XLVII

Bentornati a tutti! Sia ai vecchi lettori che ai nuovi, vi do il benvenuto in un nuovo capitolo.  È passato piu di un anno dall'ultima volta che sono entrata su questa piattaforma... è stato un anno ricco di estremi cambiamenti, novitá, cose belle e anche brutte. Avevo bisogno del mio tempo per staccare, riprendermi da qualcosa che stavo probabilmente iniziando a vivere come forzato. E invece eccomi qua, dopo un anno e tante boccate di aria fresca. Sono tornata per terminare la storia dei miei amati e adorati protagonisti, a cui molto spesso pensavo e che mi mancavano. Non mancano molti capitoli, pochissimi direi... ma spero che possano ancora coinvolgervi come un tempo. Buona lettura e grazie di essere di nuovo qua con me! ❤️

Consiglio di avviare la canzone suggerita nel punto del testo indicato da una freccia.

Non appena la vide al centro della radura iniziò a correre. Schivò gli incantesimi che sfrecciavano da una parte all’altra, abbatté due Mangiamorte di cui non conosceva l’identità e corse, corse a perdifiato per raggiungerla. La colse alle spalle, e con un gesto sinuoso della sua bacchetta la atterrò, costringendola a terra.

Angelina si voltò sulla schiena e non appena si rese conto di chi aveva davanti i suoi occhi si inumidirono e la sua espressione cambiò. In un filo di voce disse il suo nome, ma che in mezzo al delirio della radura George non riuscì a sentire.

«Stai zitta!» tuonò lui, lanciandole addosso un altro incantesimo che la sospinse qualche metro più in là. Angelina era rannicchiata a terra, con le braccia che proteggevano la testa, scossa da singulti disperati. George la raggiunse in poche falcate e la prese per i capelli, costringendola ad alzarsi e facendola poi posizionare in ginocchio di fronte a lui.

«Ah, ahia! Mi fai male… George…» sussurrò lei, muovendo piano la testa e cercando di liberare la presa salda delle sue mani.

«Senti male? Bene, perché questo è solo la metà di tutto il dolore che hai afflitto a me, alla donna che amo e alla mia famiglia. Il peggio deve ancora arrivare». Tirò su di scatto la sua bacchetta e la puntò alla tempia di Angelina, premendo forte.

«No! No, per favore! George! T-ti prego… ti prego, abbi pietà di me! P-per favore… in nome di tutto quello che ci lega!»

George scrutò a fondo Angelina. La osservò intensamente, cercando all’interno del suo sguardo, agli interno di quegli occhi che un tempo considerava dolci e accoglienti, un briciolo di umanità rimasta. Ma nemmeno in quel caso riuscì a scovarla. Il suo grido di disperazione, il suo tentativo di impietosirlo gli sembrarono ancora una volta un inganno, una trappola, una delle tante in cui aveva cercato di incastrarlo nel corso degli anni e delle vicende che li avevano riguardati da vicino.

«George… per favore! Mi conosci!» Angelina continuò con le sue urla e il suo pianto. Si aggrappò ai pantaloni di George, ricercando il suo sguardo e la sua vicinanza.

«Lasciami subito, maledetta vigliacca» sibilò lui tra i denti, e scacciandola come se quel contatto gli avesse provocato una scossa elettrica. «Ho cercato di capirti, da che ho memoria. L’ho fatto anche quando tutti mi dicevano il contrario, quando sei rimasta vicino a me nonostante tutto… e credimi, ci ho provato anche quando la verità è venuta a galla e ho capito che tipo di persona sei. Ci ero riuscito in parte perché il tuo obbiettivo ero io, e lo è stata anche Isabelle. Ma adesso… hai superato ogni limite, persino per l’individuo spregevole che sei. Hai osato toccare dei bambini… i nostri bambini! Cazzo, Angelina avete trucidato l’anima di quella povera ragazzina! Non pensi a lei? Ai suoi genitori?»

«L-lo so, George… lo so che ho sbagliato! Ma non è colpa mia! Augustus ci ha traviati tutti, era come essere in una setta, non riuscivo… n-on riuscivo a ribellarmi…» balbettò lei, tentando ancora una volta di aggrapparsi alla sua gamba, ma George si scansò nuovamente.

«Io non ti credo più».

Dopo queste parole George spostò la bacchetta dalla tempia di Angelina e indietreggiò. Lentamente abbassò il braccio e puntò dritto al suo cuore.

«Ti prego, ti prego! Non farlo!» gridò lei, disperatamente. «George!»

George chiuse gli occhi e inspirò. Si trovava tra due fuochi che lo stavano ardendo dall’interno. Da una parte la rabbia verso Angelina e tutto ciò che di terribile aveva commesso insieme a quei mostri, incontenibile e straripante; Dall’altra la sua parte buona, compassionevole, quella che lo aveva sempre caratterizzato e che lo rendeva fiero di sé stesso. La parte che aveva fatto innamorare Isabelle di lui, la parte di cui sua moglie era più fiera.

E in quell’istante il pensiero di lei bloccò il movimento del suo braccio, arrestò il percorso della sua voce che voleva uscire dalle corde vocali pronunciando le due parole più terribili che il mondo magico conoscesse, le parole che garantivano un biglietto di non ritorno per Azkaban. Non poteva farlo, non voleva farlo. Sarebbe diventato anche lui un mostro, macchiandosi di quel terribile gesto. Avrebbe fatto sì che Angelina e tutti i suoi compari pagassero, ma non in quel modo. Aprì piano gli occhi e osservando ancora una volta la sua vecchia amica fece un cenno con la testa e abbassò il braccio che reggeva la bacchetta. Era arrivato il momento di deporre l’ascia di guerra. Era finita, per tutti.

Poi, nel giro di un secondo, si ritrovò circondato da due braccia esili, mentre una coltre di capelli neri lo inondò. Un profumo inebriante lo avvolse, il suo profumo e a George parve di sognare. Aveva pensato così intensamente a lei da non essersi reso conto che se ne era andato dalla radura e l’aveva finalmente riabbracciata? No, gli sembrava troppo strano. Non poteva essere. Isabelle si era allontanata insieme agli altri, insieme a suo figlio. La sua presenza lo aveva reso nervoso, preoccupato per la sua sorte, ma finalmente loro due si trovavano al sicuro, dove sarebbero dovuti stare fin dal principio.

L’impatto di qualcosa di duro contro di lui lo colse all’improvviso, spostandolo indietro di qualche passo, e quando il volto di Isabelle apparve di fronte ai suoi occhi George si rese conto che non stava sognando. Lei era lì, di fronte a lui, e lo fissava con i suoi penetranti occhi verdi, occhi da cui la luce stava iniziando a diradarsi. George spostò lo sguardo più in basso, e sussultò di fronte alla vista della freccia che spuntava dal petto di sua moglie e del sangue che si stava piano piano allargando sulla sua camicetta.

«B-bel, c-cosa… cosa hai fatto?» Iniziando a realizzare l’accaduto, George la aiutò a distendersi a terra, e sgranò gli occhi quando Isabelle tossì, facendo sgorgare un rivolo di sangue dalla sua bocca.

«Ti prego, proteggi Fred ad ogni costo. Ti amo, George», disse, prima di chiudere gli occhi e fare quello che sembrava il suo ultimo respiro.

«N-no! Amore, ti prego rispondimi!» urlò George, mentre cercava di scuotere la donna. «Isabelle! Bel, no! Ti prego, no!» George si accasciò su di lei, piangendo sommessamente. Come poteva essere accaduto? Isabelle se ne era andata, doveva portare suo figlio al sicuro, nella loro casa, dove lui li avrebbe raggiunti e avrebbero proseguito con la loro vita, la loro felicità. Invece sua moglie se ne era andata, sacrificandosi ancora una volta per lui.

«M-mi dispiace così tanto… non era così che doveva andare…»

George sentì la rabbia pervadere ogni centimetro del suo corpo. Si alzò di scatto, e con un movimento velocissimo diresse la sua bacchetta verso Angelina, che aveva appena pronunciato quelle parole. «Stupeficium!» gridò a pieni polmoni, scagliando la donna molti metri più indietro, a lato della radura.

George tornò a concentrarsi su Isabelle. Non poteva essere morta, non riusciva ad accettarlo. E fu proprio mentre cercava di riemergere dalla disperazione in cui stava sprofondando che notò un piccolo movimento del petto di sua moglie. Sgranò gli occhi e un piccolo sorriso si fece strada sulle sue labbra. Non era tutto perduto, aveva ancora una minima possibilità di salvare l’amore delle sua vita. Ma doveva sbrigarsi, e subito.

--> Fix you

«Andiamo amore… ti porto a casa» disse piano, mentre sollevava il corpo di Isabelle da terra e lo prendeva in braccio. Noncurante degli ultimi strascichi di combattimento che si stavano svolgendo intorno a lui, George iniziò ad avanzare velocemente, dirigendosi verso l’uscita della Foresta Proibita, in direzione del Castello. Si fece strada all’interno del percorso impervio che conosceva bene, cercando di non inciampare nelle grandi radici che sbucavano dal terreno, ma si rese presto conto che trasportare il corpo di Isabelle in quelle condizioni lo avrebbe solo fatto ritardare nel tentativo di salvarle la vita. Così, decide di fare qualcosa di rischioso per sé, ma non gli importava. Avrebbe fatto tutto il possibile per portarla in salvo, per poter vedere ancora una volta i suoi magnifici occhi e perdersi al loro interno, per poter baciare le sue labbra morbide e per vivere una vita, finalmente felici, insieme.

Così si smaterializzò, tenendo bene a mente l’immagine del Castello di Hogwarts. Non appena terminato il processo di trasporto, George si rese conto di non essere ancora giunto a destinazione ma di essersi spostato alla fine della Foresta Proibita. Era stanco, debilitato, fortemente preoccupato e stressato per la sorte di sua moglie, e probabilmente non era riuscito a concentrarsi abbastanza. Riprovò di nuovo, fallendo ancora una volta. Al terzo tentativo iniziò a percepire sulla sua pelle i tagli che si aprivano, il sangue iniziare a sgorgare e il dolore si fece strada. Ma era niente, di fronte al dolore che stava provando il suo povero cuore. Ogni secondo che passava rappresentava una possibilità in meno di rivedere il sorriso di sua moglie.

Un altro passo, un altro tentativo.

George iniziò a vedere in lontananza la scuola, e forse fu proprio questo ad aiutarlo. In un ultimo estremo sforzo si smaterializzò, arrivando proprio di fronte all’enorme portone della scuola. A quel punto la sua maglia era zuppa di sangue, un misto tra il suo e quello di Isabelle. Ma era giunto a destinazione.

Dallo sforzo cadde in ginocchio, ma riuscì ad appoggiare delicatamente il corpo di Isabelle a terra. I suoni iniziarono a farsi ovattati, e quasi non riconobbe la sua voce possente gridare aiuto, richiamando l’attenzione di chi si trovava all’interno delle mura. L’unica cosa che riusciva a fare era fissare il petto di Isabelle, pieno di sangue, martoriato dalla freccia che continuava a spuntare, e focalizzarsi su quell’impercettibile movimento, quasi invisibile, quell’alzarsi e quell’abbassarsi lento ma ritmico. Quel movimento che gli stava fornendo un briciolo di speranza.

Poi, arrivarono delle mani. Gli sembrarono tante, e si sentì sollevato. Mani che presero delicatamente il corpo di Isabelle dalle sue, mani che lo toccavano. Poi, arrivarono le voci. Erano confuse tra loro, difficili da riconoscere. George scosse la testa e alzò lo sguardo, vedendo la McGranitt di fronte a sé. Non riusciva nemmeno a leggere il suo labiale, era troppo confuso.

Salvatele la vita

Aiutatela

Vi prego

Erano questi i suoi pensieri, ma non appena George riuscì a sentire la voce delle preside della scuola che gli rispondeva, si rese conto che le aveva trasformate in suoni e parole.

«Faremo tutto il possibile per lei, George. Te lo prometto» disse per poi voltarsi e correre dentro al Castello.

George restò da solo, e abbassò di nuovo lo sguardo. Dove prima c’era Isabelle adesso vedeva solo le sue mani. Rosse, rosse di sangue. Ne era colato così tanto che il liquido era penetrato in profondità nei solchi e nelle creste dei polpastrelli, e a George sembrò che il sangue di sua moglie si fosse fuso con il suo. Le mani iniziarono a tremare, così come il corpo dell’uomo.

«Papà? Che cosa è successo alla mamma?»

Fu la voce di Freddie a risvegliarlo da quel torpore. Diresse lo sguardo verso l’alto e lo vide di fronte a sé, con le braccia distese ai fianchi e i pugni stretti. Aveva un’espressione smarrita sul volto e le lacrime agli occhi. George aprì le braccia e suo figlio corse verso di lui, stringendolo così forte da toglierli il fiato. Ma era un dolore piacevole. Finalmente era di nuovo insieme al suo bambino, di nuovo insieme alla sua famiglia.

Un tintinnio attirò la loro attenzione. «Ma che cosa…» esclamò George, toccandosi sul petto. Estrasse dall’interno della maglia insanguinata qualcosa che riconobbe subito, e il suo cuore ebbe un sussulto.

«Papà. è… è l’orologio da taschino che ti abbiamo regalato noi» disse Fred, mentre con delicatezza lo prendeva dalle mani del padre e lo osservava. «C’è un buco al centro… e anche all’interno» esclamò mentre lo apriva. Entrambi videro la loro foto di famiglia, quella che avevano fatto durante la loro vacanza in Polinesia. Erano estremamente felici e sorridenti. «Il v-vetro si è rotto proprio dove… proprio dove c’è mamma!» Fred esplose in un singhiozzo strozzato, ritornando ad abbracciare il padre. George rimase atterrito, e lo fu ancora di più quando la consapevolezza si fece strada in lui. Non solo Isabelle gli aveva salvato la vita, ma quel dono così speciale lo aveva protetto, facendo da scudo contro la freccia scagliata da chissà dove, che altrimenti avrebbe trafitto anche lui.

Dopo un tempo che parve interminabile e in cui George fu avvolto da mille pensieri, Fred si staccò dalla presa e disse in tono risoluto: «Papà andiamo dentro… adesso devi darti una ripulita e farti curare. Devi farlo per la mamma».

George annuì. Doveva farlo, per lei.

~~~~~~

Le sue ferite vennero rimarginate subito dal pronto intervento di Hermione, che stava dando una mano in infermeria a Madama Chips.

«Herm… devi dirmi qualcosa. Come sta?» chiese George, in preda al panico. Era passata all’incirca una ventina di minuti e ancora non aveva avuto notizie sulla sorte di sua moglie.

«Io… George, non lo so davvero. Madama Chips sta facendo tutto il possibile ma-»

Un urlo li interruppe, squarciando l’aria. George balzò in piedi, scostò la tendina che stava davanti al suo letto di degenza e si diresse verso la direzione di quel rumore tremendo.

«Fa troppo male! FATELO SMETTERE!»

George riconobbe la voce di Isabelle e in un secondo la trovò all’interno dell’enorme stanzone. Scostò la tenda e quello che vide davanti ai suoi occhi fu agghiacciante. Isabelle si dimenava nel letto, con la freccia conficcata ancora nel petto. I suoi occhi erano rossi, iniettati di sangue, e le vene nel suo corpo erano completamente in rilievo e di colore blu scuro, quasi nero. Madama Chips di fronte a lei cercava di aiutarla con unguenti e pozioni, mentre Verity cercava di trattenerla per le spalle.

«Che succede?» chiese George in preda al panico. Si avvicinò ad Isabelle, cercando di confortarla e di calmarla. Lei continuava a urlare e muoversi come un anguilla, mentre i suoi occhi saettavano da una parte all’altra della stanza.

«Non la toccare, George!» gridò Madama Chips. «La freccia era intinta di un veleno di cui non conosciamo la provenienza e gli effetti… non riusciamo a far niente!» George si fermò, e solo allora vide che le mani dell’addetta all’infermeria e di Verity erano coperte da spessi guanti bianchi, probabilmente incantati per proteggere le loro mani. «Non posso far niente da qua… devo mandarla immediatamente al San Mungo!»

~~~~~~

Con la testa tra le mani, George sospirò. Aveva sempre odiato gli ospedali, sia quando vi si era trovato come paziente che come visitatore. Ricordò Beth, così piccola e così fragile, tanto tempo prima, e il suo cuore si strinse. Anche in quell’occasione, però, una persona aveva fatto da collante, era riuscita a mantenere il gruppo intatto, forte e deciso per aiutare quella piccola ragazzina ormai diventata donna. E quella persona, in quell’esatto istante, si trovava sotto le cure dei Medimaghi del San Mungo. Non riceveva notizie da più di due ore e questo poteva rappresentare solo un brutto segno.

«Ciao fratellino… posso sedermi qua?»

George sorrise lievemente a Charlie e fece un cenno di assenso con la testa. Mentre il fratello si sedeva George notò la fasciatura sul suo braccio e intorno alla sua testa.

«Quei maledetti mi hanno lasciato un po' di segni. Ma lo sai che ho la pellaccia dura» esclamò, toccandosi la testa.

«Come è finito lo scontro a scuola e nella radura? Dopo quello che è successo io…» si interruppe, sospirando profondamente «io non ho più pensato a niente se non a lei. Come è andata?»

«Non ti sei accorto di niente, ma già da quando Isabelle è stata colpita le cose non si sono messe bene per i Mangiamorte. Eravamo in inferiorità numerica, certo, ma oggettivamente più forti di loro, d’altronde hanno passato gli ultimi anni in prigione e non erano al massimo della loro forma… quindi siamo riusciti a farli retrocedere verso il fondo della radura e disarmarli. In questo momento sono di nuovo ad Azkaban, in stato di arresto in attesa che inizi il processo che li condannerà e che darà loro ciò che si meritano… almeno lo spero».

«E a scuola?»

«Non hanno fatto i conti con la potenza di maghi del calibro di Lumacorno e la McGranitt. In breve tempo sono riusciti a scacciare i Dissennatori e a catturare i Mangiamorte rimasti… il piano di Rockwood faceva acqua da tutte le parti».

George si irrigidì di fronte alla menzione dell’uomo che aveva causato tutto quel dolore, tutta quella disfatta.

«George io… devo dirti una cosa. Non credo che ti piacerà» disse piano Charlie, cercando di scrutare da sotto le folte ciglia rosse la reazione del fratello.

«Di cosa si tratta?»

«Vedi… una volta finito lo scontro e disarmati i Mangiamorte, abbiamo pensato ai Centauri. Erano stati sottoposti a Imperius, come avevamo ipotizzato… è per questo che hanno scagliato quelle frecce, tra cui quella che ha colpito Isabelle. Il fatto è che… George, Rockwood ha ordinato al Centauro di scoccare quella freccia. Era destinata a te. Il resto… il resto lo sai».

George cambiò espressione, e iniziò a sentire montare una rabbia cocente, una rabbia che ormai era diventata sua fedele amica, e purtroppo molto spesso cattiva consigliera. «Lui dov’è? È arrivato il momento di farlo fuori!»

«Ecco… è scappato, George. Non lo abbiamo trovato. Ma ci sono già diverse squadre alla sua ricerca, gli Auror del Ministero stanno interrogando la moglie e la figlia-»

«Come? Come è possibile? Come avete potuto farlo scappare? Quel bastardo è la causa di tutto!»

«George, ti prego, calmati…»

«Mi chiedi di calmarmi? L’infame che ha causato dolore indicibile alla mia famiglia e a tutti noi è a piede libero, e io dovrei restare calmo? Ma cosa credi-»

«Scusate l’interruzione. Lei è il signor George Weasley?»

George voltò la testa e incrociò lo sguardo di un dottore di mezza età, alto e con folti capelli bianchi. «Si, sono io. Lei chi è? Avete notizie su mia moglie?» chiese, riportando l’attenzione sul luogo e il motivo per cui si trovava al San Mungo.

«Sono il dottor Black, infettivologo e specialista di veleni e maledizioni e sì, ho notizie su sua moglie. In questo momento è sedata, poiché il veleno contenuto nella freccia le provoca un dolore interno difficile da spiegare, e abbiamo timore che stia piano piano attraversando tutto il suo corpo per arrivare agli organi vitali. Abbiamo prelevato un campione del veleno e del suo sangue per capire di cosa si tratta e trovare una cura. Non è niente che io o la mia equipe abbiamo mai visto…»

George fece un piccolo sorriso e si voltò verso Charlie. «Sono buone notizie, giusto? Troverete una cura, e lei si sveglierà e starà bene-»

«Purtroppo è ancora troppo presto per dirlo» lo interruppe il dottore. «Signor Weasley, c’è un'altra cosa che vorremmo comunicarle…»

Solo in quel momento George si rese conto che il dottore non era solo. Accanto a lui c’era una donna che dimostrava molto meno dei suoi anni reali, con capelli castani lunghi fino alle spalle che le incorniciavano il volto dolce e degli occhi castani, profondi e amorevoli. Indossava un uniforme rosa e degli zoccoli bianchi ai piedi. Gli sembrava un viso noto, ma fece fatica a ricondurlo a qualcuno che in passato poteva aver conosciuto. La donna gli porse la mano e la strinse forte, infondendogli sicurezza. «Sono Elisabeth Kinghore, e sono il capo ostetrica del reparto maternità dell’ospedale. Perché non si siede?»

«R-reparto maternità?» balbettò George, mentre piano eseguiva il gentile invito proposto dalla dottoressa.

«So che la cosa probabilmente la sconvolgerà, ma dagli esami effettuati ci siamo resi conto che sua moglie è incinta, di circa due mesi, e crediamo che la sorte del feto possa essere seriamente messa in pericolo a causa del veleno. Lei non sapeva niente?»

Ringrazio tanto Jpcpc79 perché mi ha gentilmente concesso di usare uno dei suoi fantastici personaggi, Elisabeth, protagonista di La vita è... imprevedibile, storia che se non avete ancora letto vi consiglio di correre a recuperare! ❤️❤️❤️❤️❤️

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