XIV
There was a time when I was alone
No where to go and no place to call home
My only friend was the man in the moon
And even sometimes he would go away too
Then one night, as I closed my eyes
I saw a shadow flying high
He came to me with the sweetest smile
Told me he wanted to talk for a while
He said Peter Pan that's what they call me
I promise that you'll never be lonely
And ever since that day
He sprinkled me in pixie dust and told me to believe
Believe in him and believe in me
Together we will fly away in a cloud of green
To your beautiful destiny
As we soared above the town that never loved me
I realized I finally had a family
Soon enough we reached Neverland
Peacefully my feet hit the sand and ever since that day...
La notte precedente non aveva mai chiuso occhio. Si era rigirato nel letto forse mille volte, colto da dubbi e paure che sentiva insormontabili. Nella sua mente aveva provato a immaginare il momento in cui avrebbe incontrato per la prima volta suo figlio, ma ogni volta l'esito che si prospettava era negativo. Temeva che avrebbe reagito in modo rabbioso, deluso da quell'assenza lunga una vita.
Ti odio, tu non c'eri per me!
Perché mi hai abbandonato? Perché mi hai fatto crescere da solo?
Immaginava che Fred gli avrebbe rivolto quelle parole, o peggio. Temeva che non avrebbe nemmeno voluto ascoltare, troppo sconvolto dalla rivelazione e dalla sua comparsa. Ogni scenario che aveva ipotizzato prevedeva un rifiuto da parte del suo bambino, e questo gli procurava delle fitte intermittenti al petto e al cuore.
Si alzò così quel martedì mattina, con due profondi solchi scuri sotto agli occhi e un accenno di barba incolta. Osservandosi allo specchio si fece quasi paura da solo, non riconoscendo la persona riflessa. La serenità che sembrava aver ritrovato grazie agli incontri di gruppo e alla terapia pareva essersi completamente prosciugata, scomparsa di nuovo in un soffio di vento.
Non sapeva bene come sentirsi. Affranto, preoccupato, arrabbiato? Non riusciva a dare una definizione precisa alla miriade di emozioni che permeavano il suo animo dal momento in cui Isabelle e suo figlio erano rientrati prepotentemente nella sua vita. Sicuramente l'ansia provata per quell'incontro imminente era tanta, ma non era l'unica sensazione viscerale che percepiva dentro di sé. A questa si aggiungeva anche il battito accelerato del suo cuore ogni volta che si trovava vicino a Isabelle, i brividi lungo la schiena sentiti dopo il loro breve contatto pelle a pelle, il fastidio provato quando si ritrovava a pensare a lei insieme a Lucas. Molte volte, in quei giorni, aveva cercato di tenere la mente impegnata, per non pensare ai baci che probabilmente si stavano scambiando, alle parole dolci sussurrate... le stesse che lui desiderava ardentemente pronunciare. Si doveva sforzare per non pensare a loro, avvinghiati e fusi in un profondo amore. Si era anche imposto, il giorno precedente, di mettere un muro tra di loro. Lo riteneva necessario, anche perché credeva fermamente che Isabelle lo odiasse, che fosse felice insieme al suo nuovo amore. E poi, ne aveva bisogno anche lui. Darsi autonomamente un freno, porre delle barriere tra di loro sarebbe tornato utile per evitare di soffrire di nuovo. Il giorno prima, oltre a rassicurare Isabelle, aveva rassicurato anche sé stesso, poiché credeva di non poter sostenere di nuovo delle emozioni travolgenti... quello che stava mettendo in atto era un sano tentativo di difesa.
Forse in questo modo riuscirò a non farti del male ancora, forse così il mio amore per te potrà affievolirsi. Così ti lascerò libera, libera di essere felice e avere tutto il meglio da lui. E forse anche io potrò salvarmi... senza ricadere nella mia parte oscura.
Si sciacquò il viso con dell'acqua fredda e sembrò riprendersi, almeno momentaneamente. Recuperando la lucidità decise di rendersi presentabile, non poteva certo presentarsi in quel modo davanti a suo figlio. Voleva essere perfetto. Sistemò con un colpo di bacchetta i suoi lunghi capelli e la barba e poi si avviò in camera. Dopo aver indossato un paio di jeans e un semplice maglioncino blu e aver controllato di avere con sé la passaporta per Hogwarts, prese la sua bacchetta saldamente tra le mani e si smaterializzò.
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Era mattina presto, e i primi raggi del sole stavano timidamente facendo capolino da un cielo aranciato coperto da nuvole bianche. Cercò di distrarsi guardando quel panorama così bello, ma fu tutto inutile. Camminava nervosamente davanti all'entrata dell'albergo da almeno dieci minuti. Si sfregava le mani, contorcendole in modo compulsivo, mentre una serie di pensieri nefasti continuavano a farsi strada in lui.
«Buongiorno, George».
La delicata voce di Isabelle lo fece voltare, ma ciò che vide non fu esattamente ciò che si aspettava, o ciò che voleva. La donna, infatti, era accompagnata dalla persona che invidiava e odiava di più al mondo. Lucas lo osservò in modo torvo, mentre teneva un braccio saldamente stretto intorno alla vita di lei. George pensò che probabilmente avrebbe fatto lo stesso al posto suo. Avrebbe cercato di tenerla stretta a sé, non l'avrebbe fatta fuggire. Come tra l'altro hai già fatto, idiota che non sei altro.
«Buongiorno Isabelle. Lucas» disse con un cenno del capo.
Il biondo non rispose, ma continuò a lanciare sguardi di fuoco. Lo capiva, era comprensibile. Di fronte a sé aveva il vero padre del bambino che aveva cresciuto per ben undici anni. George pensò che fosse preoccupato, ansioso, agitato.
«Lucas, puoi almeno salutare?» chiese Isabelle, rivolgendosi a lui infastidita. «Cosa ti ho detto fino ad ora?»
Lo sguardo che vide nei suoi occhi verdi era a metà tra il deluso e l'arrabbiato. Cercò di non farsi toccare dalla complicità che aveva visto in loro in quel semplice scambio di batture. Loro stavano insieme, loro erano felici. E lui doveva farsene una ragione, una volta per tutte.
Lucas sospirò. «Hai ragione, scusa. Buongiorno, George» disse a denti stretti.
«La passaporta si chiuderà tra poco, dobbiamo andare» disse George cercando di sorridere. Isabelle annuì. «Ok, qua dietro c'è un vicolo nascosto... lì non ci vedrà nessuno.» Si voltò e lasciò un veloce bacio sulla guancia a Lucas, poi si incamminò. George la seguì subito dopo in silenzio, ma venne trattenuto da una stretta forte.
Voltandosi, vide Lucas che lo teneva per un braccio. L'espressione indurita di prima era sparita dal suo volto e i suoi occhi erano lucidi. «Per favore, non fare loro del male. Sono tutto ciò che ho... sono la mia famiglia» disse quasi sussurrando.
George sentì una morsa allo stomaco. Ancora una volta, qualcuno gli stava chiedendo di non combinare guai. Non conosceva ancora Fred, ma sentiva già di amarlo immensamente, e Isabelle... non aveva mai smesso di farlo. Mai, in tutti gli undici anni passati distanti, ed era bastato un solo sguardo per riconfermare il suo profondo, sconfinato amore per lei. Come facevano a non capire? Non era più quello di prima, non avrebbe mai fatto niente per farli soffrire. Non puoi stupirtene, hai seminato tanto dolore, hai spezzato tanti cuori e hai rovinato tutto con le tue condotte impulsive e senza senso. Cosa pretendevi?
«Non potrei mai, ne ho già fatto anche troppo a lei. E Fred non si merita di soffrire» disse in un soffio. Poi si girò e seguì Isabelle. Svoltarono un angolo e si ritrovarono in una stradina buia.
«Direi che qua è perfetto» esclamò lei. «Che ne dici?»
Lui annuì semplicemente, ma senza rispondere. Lo scambio di qualche secondo prima lo aveva sconvolto, e il senso di colpa si stava nuovamente instillando dentro di lui. Aveva la sensazione che ogni suo tentativo di rimediare ai suoi errori fosse vano, e che le persone intorno a lui non perdessero occasione per rimproverarlo. Non ne aveva bisogno, perché ricordava i suoi errori bene, molto bene... si presentavano a lui ogni giorno, ogni ora e ogni minuto della sua esistenza, ricordandogli come avesse rovinato tutto ciò che di bello la vita gli aveva gentilmente offerto.
«Cosa ti ha detto?» chiese Isabelle con lo sguardo preoccupato.
«Come, scusa?»
«Lucas... cosa ti ha detto? So che avete parlato piano per non farvi sentire... cosa ti ha detto? Hai cambiato subito espressione...»
Abbassò lo sguardo. «Mi ha chiesto di non farvi del male. Ha ragione... è comprensibile, forse lo avrei detto anche io».
Isabelle sbuffò scocciata. «Non ha proprio capito niente di ciò che gli ho detto... appena torno ci parlerò subito» disse passandosi una mano sul viso. «Ascolta, George... non fare caso a ciò che dice lui. Sono sicura che non farai del male a Fred. Non sei una persona cattiva, non lo sei mai stato. Quindi adesso cerca di calmarti e pensiamo alla lunga e tosta giornata che ci attende. Fred ha bisogno di noi. Ha bisogno della sua mamma...ha bisogno del suo papà» concluse con un piccolo sorriso. «E per quello che vale... io non ho paura» terminò sorridendo lievemente.
George si sentì un po' meglio. Isabelle sapeva sempre cosa dire, cosa fare per far passare ogni male, ogni malinconia. Annuì deciso, estraendo dalla tasca una grande candela profumata. «Questo mezzo di trasporto tu non lo hai mai provato... diciamo che potrebbe darti un po' di fastidio!» disse ridendo sotto i baffi.
«Peggio della materializzazione?»
«Forse sì... ma ho preferito usare questo metodo. È più sicuro, soprattutto perché dobbiamo percorrere una grande distanza, e non vorrei che tu ti facessi male, o tu ti spaccassi e-»
Isabelle si fece leggermente scura in volto. «Ho provato quella sensazione. Non è per niente piacevole».
George sentì l'aria mancare nei suoi polmoni. Ricordava bene le parole di Lee. Si è anche spaccata una mano smaterializzandosi. Le hai fatto male in ogni senso possibile.
«M-mi dispiace...»
«Insomma, come funziona questa passaporta?» chiese lei cercando di cambiare discorso.
«S-sì. Allora, è molto semplice. Ci aggrappiamo entrambi a questa» disse indicando la candela tra le sue mani «e ci trasporta direttamente a Hogwarts. Gli effetti sono un po' forti... potresti provare nausea, mal di testa, insomma non sarà proprio piacevole. Ma penso sia un metodo abbastanza sicuro».
Dopo quella breve spiegazione entrambi presero l'oggetto tra le mani e, dopo essersi scambiato uno sguardo profondo che provocò in lui un brivido, scomparvero da quel vicolo buio e umido di Londra.
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«Prego, accomodatevi».
Charlie li accolse all'interno del suo ufficio, una piccola stanza al secondo piano. George entrò e si posizionò in piedi di fronte alla scrivania del fratello, agitato e in confusione più totale. Isabelle, dietro di lui, continuava a guardarsi attorno spaesata e intimorita dalla vastità e dalla bellezza del castello di Hogwarts. Da quando si era ripresa dal malessere provocato dal mezzo di trasporto non convenzionale era rimasta in religioso silenzio, affascinata dal panorama di fronte a lei.
«Isabelle, immagino che tu sia... leggermente sconvolta» disse suo fratello quasi leggendole nel pensiero. «Sai, diversi anni fa ho portato qui Sammy... devo dire che ha avuto la stessa reazione. Hogwarts fa questo effetto!» esclamò ridendo.
«Devo dire che... è veramente bellissimo» rispose lei con gli occhi lucidi. «Non posso immaginare cosa voglia dire vivere e studiare qui... Fred ne sarà entusiasta sicuramente.»
«A proposito, lui dov'è?» chiese George interrompendola. Era un fascio di nervi. Il pensiero che di lì a breve avrebbe incontrato suo figlio gli faceva contorcere le viscere. Non sapeva cosa aspettarsi da lui, non sapeva come avrebbero reagito entrambi e questo lo turbava. In più, anche se lei cercava di non darlo a vedere, sapeva che Isabelle era agitata quasi quanto lui. Il suo respiro era affaticato e i suoi occhi erano lucidi. Si guardava intorno circospetta da quando era entrata, forse temendo l'arrivo improvviso di Fred.
«Ho chiesto ad Alec di andare a chiamarlo. So che si sono svegliati e che stanno facendo colazione adesso in Sala Grande, dovrebbero essere qui a momenti. George, cerca di stare tranquillo, ok? Sono sicuro che andrà tutto per il meglio» tentò di dire Charlie sorridendo.
Furono interrotti da un lieve bussare alla porta. Si girarono tutti e tre di scatto, e George sentì un rivolo di sudore scendere dalla sua tempia. Il momento atteso era arrivato. Stava per conoscere suo figlio.
Charlie si avvicinò e aprì la porta piano. «Ciao campione» disse avvicinando Alec a sé e stringendolo forte. «Prego, entra anche tu Fred».
Il cuore di George si fermò per un secondo quando ebbe la possibilità di osservare bene il suo bambino. Con l'unica occhiata fugace che gli aveva rivolto quel giorno alla stazione non aveva catturato molti dettagli. Il ragazzino di fronte a lui era parecchio alto per la sua età, ma non se ne stupì. I capelli rossi ricadevano in ciuffi scarmigliati sul viso, andando a coprire due bellissimi occhi color nocciola. La sua bocca era piena e carnosa e una cascata di lentiggini si distendeva su un naso con una piccola gobbetta e sulle guance rosee. Il suo fisico era già abbastanza sviluppato, con due spalle già alquanto pronunciate e un accenno di muscolatura. Ma ciò che lo colpì fu il sorriso timido e imbarazzato che rivolse prima a Charlie e poi ad Alec. Gli era stato detto che Fred era la sua fotocopia, e rimase stupito da quanta verità ci fosse in quelle parole. Ma quel sorriso particolare lo aveva visto solo una volta nella sua vita, ed era quello di cui si era perdutamente innamorato. Il sorriso di Isabelle.
«Zio George!»
Alec gli corse incontro, buttandogli le braccia al collo e lasciandogli un bacio umido sulla guancia. Poi si allontanò e lo guardò con un sorriso a trentadue denti. «Che ci fai qui? Sei venuto a trovarmi? Vuoi fare quella dimostrazione che ti avevo chiesto? Oh, Vic ne sarà felicissima! Aspetta che glielo dica!» concluse felice.
«N-no, Alec...» rispose George titubante. Ma la sua attenzione fu subito catturata dallo scambio che stava avvenendo di fronte a lui.
«Mamma? Che... che ci fai qua?» chiese Fred impaurito e preoccupato. Lo vide sbiancare e avvicinarsi lentamente a Isabelle. «Che cosa è successo?»
L'abbraccio in cui Isabelle avvolse il loro bambino lo fece sciogliere dentro. Vide che lo stava circondando con entrambe le braccia e, in un gesto quasi automatico poi, appoggiò la testa alla sua. Una sensazione strana, di calore e di benessere si fece strada dentro di lui. Per la prima volta da molto tempo sentiva che le cose stavano andando per il verso giusto, sentiva che le due persone di fronte a lui avrebbero potuto davvero rappresentare la cura per i suoi demoni, per il buco nero che lo inglobava costantemente. E la cosa che avrebbe voluto di più al mondo in quel momento, era potersi avvicinare e godere del contatto di quella che, finalmente, poteva chiamare la sua famiglia del tutto strampalata. Ma si bloccò. Non poteva sconvolgere gli equilibri così frettolosamente, doveva aspettare con pazienza, doveva lasciare che Isabelle preparasse il terreno, così come avevano accordato la sera precedente.
«Mamma? Mi vuoi dire che ci fai qua? Hai detto che non potevi accompagnarmi, e adesso invece ti trovo nell'ufficio del Professor Weasley... si è sentito male qualcuno? Beth, o Lucas?» chiese in evidente agitazione.
«No, amore... non è successo niente» rispose lei con un sorriso, cercando di farsi forza. Ma George vide che le sue mani tremavano, mentre scostava con delicatezza alcuni ciuffi dagli occhi di Fred. «Stanno tutti bene. Sono venuta qua per un altro motivo...»
Il silenzio che calò nella stanza era impossibile da sostenere, e Fred fu il primo a protestare. «Per favore, dimmi cosa succede! Perché sei qui?» chiese con frustrazione. Poi, si fece più serio. «Aspetta... è per la storia di Teddy? Io... mi dispiace così tanto!» esclamò con le lacrime agli occhi. «Io non sapevo che quelli fossero i suoi genitori! Sono nuovo qui, non conosco niente di quello che è successo tanti anni fa, non conosco niente della magia... non volevo farlo sentire male!»
La confusione si dipinse immediatamente sul volto dei tre adulti, che ascoltavano sconvolti i singhiozzi strozzati di Fred.
«Amore... di cosa stai parlando?» chiese Isabelle piano, mentre si accucciava di fronte a lui. «Perché piangi così?»
«Fred! Ti ho già detto che non è colpa tua... non hai fatto niente!» disse Alec avvicinandosi e posando una mano sulla sua spalla. «Non lo potevi sapere! Come non potevi sapere di mio zio Fred... stai tranquillo! Sono sicuro che ci sarà un'altra spiegazione!»
«Alec, mi spieghi cosa è successo?» chiese Charlie incuriosito.
«Ieri Fred ha avuto lezione di Incantesimi, e come tutti gli anni Vitious alla seconda o terza lezione, ora non ricordo precisamente, fa provare l'incantesimo Alohomhora. E anche questa volta ha fatto aprire i cofanetti con le sorprese... e lui ha trovato all'interno la figurina delle Cioccorane di Ninfadora e Remus. Non sapendo niente di Teddy ce le ha mostrate mentre eravamo in Sala Grande a pranzare, e lui si è sentito male... gli è successo la stessa cosa dell'altra volta, papà. I suoi occhi sono diventati tutti neri e i suoi capelli cambiavano continuamente colore. Vic si è subito adoperata per portarlo in infermeria... E Fred crede che sia colpa sua, ma non lo è! In più, forse pensa che io ci sia rimasto male perché mi ha fatto vedere la figurina dello zio Fred... ma non è così!» concluse con un sorriso spontaneo.
George sentì la terra sprofondare sotto i suoi piedi. Fred sapeva di... Fred? Si chiese come fosse possibile, ma la sola menzione di suo fratello gemello gli fece sentire una stilettata di dolore mozzafiato. E vedere il suo bambino soffrire per qualcosa di cui non aveva colpe e piangere in modo così disperato gli frantumò il cuore in mille pezzetti. Dovette resistere all'impulso di abbracciarlo, stringerlo a sé e non lasciarlo andare mai più.
«Frederick, tu non hai fatto proprio niente. Per favore, cerca di calmarti... la tua mamma è qui per un altro motivo» disse Charlie mettendoli una mano sulla spalla. «Ed è per questo che noi adesso usciamo e vi facciamo parlare. Vieni, Alec» disse rivolgendosi al figlio.
«No, aspetta papà! Che succede? Voglio stare con Fred! Dove mi porti?» Le proteste di Alec non servirono a niente. Suo padre lo trascinò fuori quasi con la forza e si richiuse la porta alle spalle.
«Vieni, amore... mettiti a sedere» esclamò Isabelle. Lo accompagnò alla sedia dietro la scrivania e lo fece accomodare. «Sono qua, anzi... siamo qua per un altro motivo» disse lanciando un occhiata di sottecchi verso George.
Lui sentì il tumulto crescere dentro al petto e allo stomaco. Suo figlio stava per scoprire la verità, ed era immensamente e incredibilmente spaventato. Spero solo che tu non reagisca male. Non so come potrei accettare di non averti vicino, adesso che ho saputo di te.
«Chi è quest'uomo, mamma?» chiese finalmente Fred, mentre si asciugava gli occhi dalle lacrime che aveva appena finito di versare. Lo scrutò con curiosità e una punta di diffidenza. I loro occhi si incastonarono per qualche secondo e George si chiese se le mille emozioni che stava provando le stava percependo anche il suo bambino.
Un sospiro uscì piano dalla bocca della donna. «Fred... ci sono delle cose che tu non sai. Delle cose che per troppo tempo ho tenuto nascoste... e mi pento di averlo fatto. Mi sono tenuta questo segreto che mi ha divorato internamente, e ti ho fatto soffrire per qualcosa che avrei potuto evitare. Gli errori degli adulti non dovrebbero inficiare sul benessere dei bambini... ora lo so. Ma in quel momento per me è stato più semplice fare così. Credevo che sarebbe stata la scelta giusta...Tagliare i ponti... tagliare ogni connessione» disse guardando George negli occhi. Lui notò che Isabelle si stava commuovendo e fece lo stesso. L'emozione era tanta, probabilmente insostenibile per i loro cuori già fragili.
«Ti ho raccontato alcune bugie... o se preferisci, delle mezze verità. Ti ho raccontato che con tuo padre ci eravamo tanto amati... e questo è vero. Ma ti ho anche detto che tuo padre non era mai stato presente per noi, per te... e tu hai creduto per una vita intera che non ti amasse, che non ti volesse con sé... ti sei sentito rifiutato, tu hai sofferto così tanto... e vedere il dolore nei tuoi occhi e nelle tue espressioni mi ha frantumato il cuore in tanti pezzetti, ogni singolo giorno... e sapere che ti ho causato del male mi uccide» disse abbassando lo sguardo. Si circondò la vita con entrambe le braccia, come a voler contenere il carico di colpa e malessere che la stava mangiando dentro. «Fred... tuo padre non è sparito dalla tua vita... io non gli ho dato modo di entrarci fin dal principio. Tuo padre non sapeva di te... non sapeva della tua esistenza fino a qualche giorno fa» disse con la voce rotta dal pianto. «E sono stata un insensibile egoista, credevo che sarebbe stata la scelta migliore... ma ho causato più danni che altro...»
«Mamma, non capisco... cosa significa questo?» chiese Fred. George vide che la sua bocca tremava leggermente, e che gli occhi erano velati di lacrime pronte a scendere.
«Significa che tuo papà non ha mai saputo niente, né della mia gravidanza e nemmeno della tua nascita. Gli ho precluso tutto... vi ho precluso una vita insieme».
Isabelle iniziò a piangere, questa volta però silenziosamente. A George venne da pensare che, contrariamente all'ultima volta in cui aveva iniziato a disperarsi, non volesse sconvolgere troppo loro figlio. Isabelle aveva sempre avuto una premura speciale verso tutti, e questo lo aveva visto fin dal primo scambio osservato alla stazione qualche giorno prima. Ha sempre avuto una premura speciale anche verso di te, che non ti sei mai meritato il suo amore.
«Perché lo hai fatto? E perché me lo dici solo ora?» chiese Fred con tono risentito, ma la sua domanda cadde nel vuoto.
Decise di intervenire. L'attesa lo stava uccidendo e voleva fare qualcosa, doveva fare qualcosa. Non voleva che suo figlio e Isabelle affrontassero il carico emotivo della situazione da soli. Anche se conosceva la verità solo da pochi giorni, era qualcosa che lo riguardava da vicino, e non voleva più rimanere impassibile e impotente.
«Ciao... Fred. Credo di poter continuare io, da adesso in poi...» disse guardando Isabelle, che annuì tra le lacrime. «Credo che non ci sia un modo semplice per dirti quello che sto per dire. Quindi lo dirò e basta... sono io il tuo papà».
Di fronte alla sua affermazione, un milione di emozioni diverse passarono sul volto di Fred. Stupore, curiosità, tristezza, malinconia. «Ma tu non hai i capelli rossi...i tuoi sono neri, come è possibile?» chiese con tutta l'ingenuità che solo un ragazzino di undici anni poteva avere.
«Questo non è il mio colore naturale. Ho decido di tingerli... tanto tempo fa. Ma i miei capelli sono rossi» rispose, cercando di metterlo a suo agio. Fred, infatti, accennò un lievissimo sorriso.
«Come ti chiami?» chiese, tornando poi per un secondo mortalmente serio.
«Il mio nome è George... George Weasley».
Dopo qualche secondo di silenzio il volto del ragazzo si trasformò. Un espressione rabbiosa comparve. «N-no... non è possibile...Non ci credo! Voi mi state dicendo delle bugie!»
Isabelle cercò di avvicinarsi, scuotendo la testa. «No, F-fred... è la verità. Credimi, amore... sono così dispiaciuta. Ciò che è successo fra di noi non avrebbe dovuto intaccare te... ti ho fatto crescere senza un padre, ti ho fatto sentire poco amato e rifiutato... ed è solo colpa mia. Ma adesso avrete la possibilità di recuperare!» terminò speranzosa.
Ma Fred non sembrava dello stesso parere. «Mi hai sempre raccontato delle cavolate! Mi hanno preso in giro a scuola per anni, e forse non lo sai, ma mi chiudevo in bagno a piangere per questo! E adesso stai continuando con le bugie! Perché mi fai del male, mamma? Credevo che tu mi volessi bene!» sputò fuori alzandosi. Le lacrime rigavano le sue guance piene di efelidi e i suo occhi sembravano ancora più chiari a causa del pianto.
«F-fred... ti prego!» tentò di dire Isabelle. Ma suo figlio non la stava più a sentire, e si avviò verso la porta della stanza.
George non poteva permettere che suo figlio gli scivolasse di nuovo dalle mani, come sabbia portata via dal vento. Così, fece la cosa più semplice che poteva fare. Disse la verità.
«Tu ti chiami proprio come tuo zio. Frederick... Fred Weasley. Il cognome è lo stesso che hai sentito pronunciare dal Cappello Parlante il giorno dello smistamento, lo stesso che hai letto su quella figurina. Tua madre non ti sta raccontando nessuna bugia...puoi credermi. Sono rimasto sconvolto anche io quando l'ho saputo... ma non c'è assolutamente alcun dubbio. Sei uguale a me... e hai lo stesso splendido sorriso di tua madre» concluse George sforzandosi di non piangere. «Sarai sicuramente scioccato... lo comprendo. Ma non devi arrabbiarti con lei. Ci sono tante cose che non sai... è tanto il dolore che io stesso ho procurato. Sono riuscito a rovinare la cosa più bella che la vita mi avesse mai offerto: l'amore di una donna straordinaria. E se tua madre ha agito in questo modo è stato solo per difendersi... per difendere te. Ma adesso è tutto chiarito tra noi, abbiamo raggiunto un accordo unanime e siamo pronti per viverci questa nuova avventura... io sono pronto a viverti, Fred. Tu non vuoi fare lo stesso?» chiese allungando una mano verso di lui.
Stava quasi per sfiorare la mano del bambino quando lui si ritrasse improvvisamente. «No!» urlò a pieni polmoni. «Lasciami stare! Tu non sei mio padre! Io un padre non ce l'ho, non l'ho mai avuto e così sarà per sempre!»
Anche Isabelle tentò di avvicinarsi a Fred, ma lui si scansò. «Io non ti voglio più vedere, hai capito? Mi hai deluso, mi hai tradito! E mi hai fatto un sacco male, mamma! Mi hai fatto vivere in una bugia!» esplose, mentre nuove calde lacrime rigavano il suo piccolo volto. «Tornatene a casa, e non scrivermi mai più!» disse, prima di correre via fuori dalla stanza, all'interno dei lunghi corridoi del castello. George fu tentato di seguirlo, per cercare di recuperare, di risolvere la tragica situazione. Ma quando uscì e vide Alec, in piedi nel corridoio, sganciarsi dalla stretta di suo padre e correre dietro a Fred ci ripensò. Forse è meglio così, ha bisogno di tempo
«I-io... io non credevo, io non... George... scusami tanto» disse in un sussurro Isabelle. Si appoggiò alla scrivania, cercando di sorreggersi. Era disperata. Lunghi solchi pieni di lacrime deturpavano il suo viso, ma George la trovò bellissima anche così. Meravigliosamente immersa in quel dolore che condividevano insieme. Perché in quel momento si sentì annientato. Le speranze riposte in quell'incontro si era appena frantumate, sgretolate come pietra di fronte ai suoi occhi.
«N-non è colpa tua...» tentò di dire.
«Certo che è colpa mia! La mia colpa è vecchia di undici anni, non sarei dovuta partire senza dirti niente! Ho rovinato tutto... e adesso lui ti odia, lui mi odia... e l'ho fatto soffrire, di nuovo» disse appoggiando la schiena alla scrivania e lasciandosi andare a terra. George accorse subito da lei, inginocchiandosi. Prese il suo dolce e addolorato viso tra le mani e cercò di tranquillizzarla. «Non preoccuparti, sono sicuro che ha solo bisogno di tempo. Vedrai... presto potremo essere una famiglia».
Lei annuì lievemente, e George cercò di infonderle un po' di forza tramite quel contatto. Dentro di sé sperava di non sbagliarsi, sperava che Fred presto avrebbe accettato la situazione, che avrebbe perdonato i loro sbagli. Perché se così non fosse stato, avrebbe perso una delle due ragioni che lo tenevano in vita.
E non lo avrebbe permesso per niente al mondo.
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Il momento tanto atteso è arrivato. Forse non è stato come vi aspettavate, ma ovviamente Fred è sconvolto dalla rivelazione. Chissà se riuscirà a superare il dolore... E finalmente dare una possibilità a George ❤
Che ne pensate di questo capitolo? Lasciatemi un parere o un feedback, mi fanno sempre piacere❤
Inoltre vi ricordo che sono anche su tiktok come @Medeas_mind , e che pubblico abbastanza regolarmente edit sulla storia! Se vi va, passate a seguirmi! 😍
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