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I know you're somewhere out there

Somewhere far away
I want you back, I want you back
My neighbors think I'm crazy
But they don't understand
You're all I had, you're all I had

At night, when the stars light up my room
I sit by myself

Talking to the moon

Trying to get to you
In hopes you're on the other side talking to me, too
Or am I a fool who sits alone talking to the moon?


George, quella non era un allucinazione e quello... quello non era tuo fratello

Ho scoperto di essere incinta

Frederick. L'ho chiamato Frederick, proprio come tuo fratello

Le parole pronunciate da Isabelle continuavano a rimbombare nella sua testa. Rimbalzavano senza sosta, senza dargli tregua.

Frederick. L'ho chiamato Frederick, proprio come tuo fratello

Una nuova morsa si strinse intorno al suo cuore. Il gesto di Isabelle l'aveva spiazzato e sorpreso. Non si aspettava niente del genere. Aver chiamato loro figlio come suo fratello defunto era stato un atteggiamento davvero nobile. Ma d'altronde, lei era così.

È per questo che mi sono innamorato di te

«Freddie... non sai quanto avrei bisogno di te in questo momento».

Il sorriso sornione di suo gemello si palesò in risposta. George osservò la foto sulla sua tomba, quella che Isabelle aveva scelto tanti anni addietro. Un incantesimo di protezione aveva permesso di mantenerla intatta, evitando che venisse rovinata dalle intemperie e dall'usura.

«Mi sento così confuso... ci pensi? Un figlio, io...»

Portò le mani agli occhi, sfregandoli vigorosamente. Forse sperava di recuperare un po' di lucidità, di poter riflettere in modo razionale, senza essere inondato dalla miriade di emozioni che lo attanagliavano. Ma non ci riuscì, e sentì il magone salire in gola.

«È strano, sai?» esclamò, rivolgendo lo sguardo alla lapide nel giardino posteriore della Tana. «Ricordo ancora il momento in cui abbiamo aperto il negozio. Eravamo così giovani, pieni di speranze... così stupidi» concluse con una nota di amarezza. «Credevamo di avere il mondo in pugno, di poter ottenere tutto ciò che volevamo... e invece guardaci adesso. Tu te ne sei andato e hai lasciato un vuoto impossibile da colmare... e io sono un ex drogato che al minimo passo falso ci ricasca, e ho appena scoperto di avere un figlio che non ho mai conosciuto, che non ho potuto crescere...che non ho potuto vivere. Fantastico, non trovi?»

Ancora stentava a credere a ciò che era successo. Dopo averla rivista alla stazione credeva di aver sognato, ma Lee gli aveva dato le conferme di cui aveva bisogno.

«No, George. Non è un sogno, e non è nemmeno un incubo. Lei è davvero tornata, e credo che sia il momento di parlarvi... è passato troppo tempo, e anche tu devi rimettere a posto alcune cose. Vi farà bene, vedrai».

«Non capisco come abbia potuto tenermi nascosta questa cosa per così tanto tempo. Non capisco!» disse stringendo i pugni. «Io non gli avrei mai fatto del male! Lo avrei amato immensamente, mi sarei impegnato per essere un buon padre! Non è giusto...» concluse, con il volto contratto. «Chi lo sa, magari la sua nascita avrebbe dato un nuovo senso alla mia vita e-»

Si interruppe improvvisamente. Le parole appena pronunciate riportarono alla mente ricordi vaghi e indistinti, l'eco di un passato ormai troppo lontano.

Hai qualcosa che ti appartiene, qualcosa che potrà dare senso alla tua vita. Devi solo trovarlo...

«Tu... tu mi avevi avvisato. Quando ti ho visto, quando credevo di avere avuto un allucinazione indotta dai farmaci... tu lo sapevi. E hai tentato di avvisarmi. Come ho fatto a non capire? Perché sono stato così stupido?» disse abbassando lo sguardo.

Si maledì internamente. Forse, se non fosse stato in balia delle sostanze e del suo bisogno di annientarsi sarebbe riuscito a rendersi conto dei messaggi, seppur cifrati, che Fred stava comunicando.

«Non mi meraviglio, in effetti sei un po' stupido. Ma d'altronde, mamma si è tanto impegnata con me, non potevate essere incredibilmente belli e intelligenti anche voi!»

Girandosi di scatto, George riconobbe subito gli sfregi e i tagli, ormai cicatrizzati, sul volto della persona che aveva appena parlato.

«Non è il momento di darmi fastidio. Torna più tardi» disse con una smorfia.

«Ehi, fratellino... che succede?» chiese Bill, mettendosi a sedere accanto a lui e posando un mano sulla sua spalla. «Stai male?»

I grandi occhi azzurri di suo fratello maggiore lo scrutarono a fondo, trasmettendo ansia e preoccupazione.

«Io- io n-non ce la faccio a dirlo.»

«Lo sai che con me puoi parlare di tutto, Georgie. Non avere paura...».

Passò solo qualche secondo di silenzio, in cui George fissò intensamente la foto del suo gemello. Poi, si decise. «Isabelle è tornata a Londra... e non era sola» sputò fuori tutto d'un fiato. Non riusciva più a tenersi dentro niente, ormai.

La confusione comparve sul volto di Bill, che aggrottò le sopracciglia e disse: «Accidenti, George... non me lo sarei mai aspettato. Perché è tornata? E cosa significa che non era sola?»

Alzò gli occhi verso l'alto, in un tentativo disperato di ricacciare indietro le lacrime che sentiva pungere. «Non era sola perché... era insieme a suo figlio. Anzi, più esattamente a mio figlio».

«George, mi dispiace così tanto...» rispose Bill, abbracciandolo. «Però c'era da aspettarlo, insomma sono passati tanti anni e- che... che cosa hai detto?» chiese poi incredulo, interrompendosi.

George annuì piano. «Ho appena scoperto di avere avuto un figlio, undici anni fa. Bel era incinta quando se ne è andata e mi ha tenuto all'oscuro di tutto. Non so davvero cosa fare, nemmeno cosa pensare... mi sembra tutto così surreale. Un figlio...» disse scuotendo la testa. «Io l'ho visto, capisci?» L'ho visto alla stazione, questa mattina... quando sono andato ad accompagnare Alec. Credevo che fosse un allucinazione... perché è così uguale a Fred, così uguale a me... credimi, è stato come fare un tuffo nel passato. Un tuffo molto doloroso. Ho incrociato lo sguardo di mio figlio senza fare niente» concluse con la voce spezzata. «E l'unica cosa che adesso mi viene da pensare è che l'ho lasciato partire per Hogwarts senza dirgli niente, senza dirgli che sono il suo papà...io l'ho lasciato andare via, ancora una volta».

«George, frena un secondo... non sto capendo. Quando lo hai visto alla stazione avevi già scoperto questa cosa?» chiese suo fratello, confuso. «Io non mi sono nemmeno accorto di niente...»

«No... dopo aver visto lui e Isabelle alla stazione ho avuto un mancamento. Per fortuna Lee era con loro, e mi ha aiutato. Mi ha portato subito nel suo appartamento dove ho finalmente avuto modo di parlarle... e lei mi ha confessato questa cosa. Prima non mi ero reso conto...»

Gli occhi di Bill si addolcirono. «George, come facevi a dirgli qualcosa? Non potevi! Non sapevi ancora niente, e nemmeno la persona con la più fervida immaginazione avrebbe potuto immaginare uno scenario simile. In più, visti i tuoi trascorsi... ti è venuto spontaneo pensare ad un allucinazione. Non sarebbe certo stata la prima volta, o sbaglio?»

Abbassò lo sguardo, colpevole. Cercava di non pensare mai a tutto ciò che aveva vissuto nei primi anni dopo il disastro con Angelina, di non pensare al male fatto alla sua famiglia. Si era più volte affacciato sul baratro e aveva quasi rischiato di trascinare i suoi genitori e i suoi fratelli con lui.

Bill captò subito il suo cambio di espressione. «Non volevo accusarti, scusami. Cercavo soltanto di farti capire che tu non potevi fare niente. Tu hai sbagliato con lei, certo... hai fatto una cosa imperdonabile. Ma nessuno le dava il diritto di toglierti i primi momenti con tuo figlio, la possibilità di essere presente come padre. Non hai colpe, George. So che per lungo tempo ti sei considerato una pecora nera, la causa dei mali di tutti noi. Ma non è così. Ti sei solo perso... ma hai anche ritrovato la strada di casa. E noi siamo fieri di te. Tanto fieri. Non scordarlo, mai.»

Senza dire niente, George si avvicinò di più e abbracciò suo fratello maggiore. Nonostante gli otto anni di differenza che li separavano, avevano sempre avuto un rapporto speciale. Bill era come una seconda figura paterna, sia per lui che per Fred.

«Voglio conoscerlo. Voglio vivere mio figlio... ma ho così tanta paura. Cosa devo fare?» chiese a bassa voce, ancora stretto a lui.

«Comprendo il tuo spavento. Un figlio è una cosa grossa. Non sai quante volte mi sono svegliato durante la notte durante la prima gravidanza di Fleur. Ogni mio pensiero andava alla bambina, a come mi sarei comportato con lei... mi sono chiesto continuamente se sarei riuscito ad essere un buon padre. Volevo essere forte per mia moglie... ma la verità è che me la facevo sotto!» esclamò Bill ridendo.

La battuta di suo fratello gli provocò una risata sincera. «E come hai superato questa paura?»

«Non l'ho superata. È semplicemente sparita, nell'esatto momento in cui ho preso Vic tra le mie braccia. L'ho guardata per la prima volta in quegli occhioni azzurri e mi ci sono perso dentro. E quando lei ha preso il mio indice con la sua manina... ero già perdutamente innamorato» concluse con un sorriso sincero. «Un po' di paura poi resta sempre... ma viene quasi azzerata dalla quantità di amore che ti investe come un onda.»

«Questo è bellissimo, Bill... ma purtroppo non ho avuto questa opportunità, e non si può più tornare indietro. Ho perso la sua nascita, le sue prime parole, i suoi primi passi... e non so proprio come fare adesso. Voglio dire, non posso certo presentarmi a lui così! "Ciao, sono tuo padre, andiamo a fare un giro a Hogsmeade?"»

«Quei momenti non potranno tornare, George. Ma potrai costruirne di nuovi. Potrai creare nuove, meravigliose memorie... sarà più difficile, certo. Ma non lo credo impossibile!» rispose Bill ridendo, e cercando di infondergli sicurezza. «Dai, adesso andiamo dentro. Mamma ha preparato la sua torta di mele... sono sicuro che ti tirerà su».

«Va bene... ma per ora non dirle niente, voglio aspettare. Devo capire come darle questa notizia ed evitare che si senta male» disse George, e Bill annuì.

Si alzarono in piedi e dopo aver entrambi passato una mano sulla tomba di Fred si affrettarono a tornare dentro casa. George sentiva che era la cosa migliore da fare. In quel momento aveva bisogno del supporto di tutta la sua famiglia, l'unica certezza che aveva in quel mare di disperazione in cui sentiva di annegare.

Poco prima di varcare la soglia, però, un lungo acuto lo fece voltare. Alzando la testa verso il cielo vide un gufo planare in picchiata. Aveva un involucro bianco nel becco e lo lasciò cadere a terra, proprio di fronte ai suoi piedi. George lo raccolse e vide che era una lettera. Sopra non c'era il mittente, solo il suo nome. La aprì, con fare incerto, e vide all'interno la carta intestata di Hogwarts.

"George,

perdona questo modo così inusuale di comunicare con te, ma non potevo fare altrimenti.

Non so proprio da dove iniziare, ma c'è una cosa che devo dirti. Più di una, in effetti. Ho pensato molto se dire tutto in questa lettera, ma ho deciso che è meglio vederci, e parlare a voce di ciò che sta accadendo. Ho dei sospetti e credo che tu debba essere informato.

Sarò di ritorno a Londra questo week-end, più precisamente sabato mattina. Ti aspetto a casa mia, insieme a Sammy. Voglio che ci sia anche lei per discutere di questa cosa.

Stai sereno, e non ti impensierire

Ti abbraccio forte

Charlie"

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«Alla luce di quanto mi hai appena raccontato, ho solo una domanda...che effetto ti ha fatto vederlo per la prima volta?»

«È difficile da spiegare. Quando i nostri sguardi si sono incrociati ho sentito una scarica elettrica percorrermi la spina dorsale... e con il senno di poi, credo che il mio corpo lo avesse già capito. Solo che per la mia mente è stato molto più semplice credere ad un allucinazione. È stato molto più facile fornire una spiegazione razionale a ciò che stavo vedendo.»

«Deve essere stato un duro colpo per te» disse il dottor Sander, come sempre intento ad ascoltarlo con attenzione, seduto sulla sua poltrona nera.

«Sì... non mi sarei mai aspettato una cosa del genere. Un figlio... è una cosa che mi ha veramente sconvolto. Non so nemmeno come comportarmi...» disse George, portando le mani alla testa.

«George, credo che la tua reazione sia del tutto normale. Dopo una scoperta del genere sfido chiunque a non essere titubante o impaurito. Devi darti del tempo.»

«Come posso perdere ancora altro tempo?» esclamò, alzandosi in piedi di scatto. Iniziò a girare per la stanza, contorcendosi nervosamente le mani. «Ho perso undici anni della sua vita, non voglio sprecare un secondo in più!»

«Adesso cerca di calmarti... perché non ti risiedi?» chiese il dottore con sguardo preoccupato.

«Sì... mi scusi» disse George con tono basso, mentre si sistemava di nuovo sul divano dello studio.

«Scoprire una cosa del genere può essere uno shock, soprattutto per te, che hai vissuto delle esperienze disgreganti e dolorose, e che spesso ti hanno portato sull'orlo del precipizio. Per questo credo che la cosa migliore da fare adesso sia dosare le emozioni... insomma, credo che tu debba andarci con i piedi di piombo. Irrompere nella vita del bambino all'improvviso, cercare in breve tempo di recuperare tutto ciò che non ti è stato permesso di vivere non farebbe bene a lui, ma distruggerebbe te. Quindi... cerchiamo insieme di capire come procedere, facendo un piccolo passo alla volta. Credo che sia la soluzione più giusta, sia per te che per tuo figlio.»

Mio figlio

Nonostante fossero passati due giorni dal momento in cui il suo mondo era cambiato radicalmente, George non aveva ancora realizzato. Il suo cervello faceva fatica a incanalare questa informazione. Era un genitore, era un padre. Un padre che non c'era stato per il suo bambino.

Sei un padre degenere, Lucas ha ragione

«È cresciuto senza di me... che razza di persona fa questo? Che razza di padre fa questo?» sussurrò abbassando lo sguardo a terra.

«Non farti ancora del male, George. Certo, sappiamo che per te è più facile incolparti, e credere di essere portatore di un buco nero che rovina e ingloba tutto e tutti, ma non è così. Hai detto tu stesso prima che se ne fossi stato a conoscenza, ci saresti stato per lui. Saresti stato un buon padre, come hai sempre sognato di essere. Ma tu non sapevi niente, non potevi saperlo».

Alzò lo sguardo verso il dottore e sorrise debolmente. Quell'uomo riusciva a farlo stare meglio con una semplice frase. Noi abbiamo la magia che scorre nelle nostre vene, ma lui è riuscito a tirarmi su senza nemmeno avere una bacchetta, pensò.

«Ho un idea. Visto che qui lavoriamo sulle proiezioni, ho intenzione di fare una sorta di esercizio oggi. Te la senti?»

«S-sì... va bene» rispose incerto.

«Vorrei che tu immaginassi di incontrare tuo figlio. Pensa che lui in questo momento si trovi qui, davanti a noi... e che sia seduto qua» disse il dottore, alzandosi e prendendo una sedia dal fondo della stanza, posizionandola poi di fronte a lui. «Come si chiama il tuo bambino?»

George ebbe un attimo di esitazione, e il cuore perse qualche battito. In quei giorni aveva cercato di non pensare a quel particolare, perché aveva il grande potere di scaldare il suo animo e distruggerlo nello stesso istante.

«Lei... lei lo ha chiamato Fr-Fred... insomma, Frederick, proprio come mio fratello...»

Il volto del dottore si distese e un sorriso dolce comparve. «Questa Isabelle deve essere davvero una donna speciale. Ad ogni modo... immagina che Frederick, insomma che Fred sia seduto qui, proprio davanti a te. Pensa a cosa vorresti dirgli, e ricorda di parlare direttamente a lui. Solo in questo modo riuscirai ad immergerti completamente nel compito».

«O-ok... ci proverò» disse, cercando di infondersi un po' di coraggio. «Allora... beh, intanto ciao... Fred» continuò, mentre deglutiva rumorosamente. «Io... non so da dove cominciare. Forse credo che... la prima cosa che vorrei chiederti è scusa. Scusa se non sono stato presente per te, scusa se non ti ho accudito... scusa se non mi sono svegliato la notte quando piangevi, e se non sono venuto a soccorrerti dopo una brutta caduta... scusami tanto». Si rese conto che le lacrime avevano cominciato a sgorgare, ma non gli importava.

«Non chiedermi perché, ma al contrario di molti ragazzi adolescenti io ho sempre fantasticato di avere un figlio, fin da che ho memoria. Quando mia sorella è nata- insomma, quando tua zia Ginny è nata io e mio fratello ci siamo presi cura di lei tante volte. Mi piaceva coccolarla, stringerla a me... proteggerla e accudirla, anche durante gli anni scolastici. E quando sono diventato adulto e ho iniziato a comprendere cosa significasse avere un bambino, quel desiderio si è solo ampliato. Aspettavo solo la persona giusta... e credimi, la tua mamma lo era». Si asciugò velocemente gli occhi, e un nuovo cratere si aprì nel suo stomaco. «Tua mamma è una persona magnifica, e non è solo la donna più bella che io abbia mai incontrato, ma è anche la più dolce, la più sensibile... e io l'ho fatta scappare via. E mi dispiace davvero tanto non averti vissuto... avrei voluto, ma le circostanze di vita ci hanno separato. Ma adesso... sono qua, e sono pronto per creare una relazione con te... se anche tu lo vorrai. Perché io desidero tanto poter essere un porto sicuro per te, poter essere le braccia in cui rifugiarti quando ti sentirai in pericolo, insomma...vorrei essere tuo padre» terminò, con la salivazione a zero e il volto completamente bagnato.

Fece un profondo sospiro e si voltò a guardare lo psicologo. «Come sono andato?»

Si stupì di vedere il dottor Sander che si asciugava gli occhi arrossati. «Benissimo, George. Sei stato vero, e sincero. La tua emozione mi è arrivata tutta... grazie. Hai fatto un ottimo lavoro, e sono sicuro che presto potrai dire tutte queste cose anche a tuo figlio Fred.»

George si sentiva pronto a dare una possibilità al rapporto con il suo bambino, e sperava soltanto che niente e nessuno si sarebbe messo in mezzo.

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Rientrò all'appartamento sopra il negozio stanco e stremato. Tutte le emozioni e il dolore riaffiorato in quei giorni lo avevano destabilizzato. Si avviò spedito verso il bagno, dove aveva intenzione di farsi una lunga doccia calda, per stemperare la tensione e godersi un po' di meritato riposo.

«Ti aspetto da due ore, stavo iniziando a chiedermi dove fossi finito».

Angelina era seduta davanti al tavolo della cucina, con le gambe accavallate e le braccia incrociate.

«Angie, che ci fai qua?» chiese George alquanto annoiato. Non era dell'umore giusto per sostenere i discorsi della ragazza. Aveva semplicemente bisogno di stare solo e poter raccogliere i suoi pensieri.

«Cosa ci faccio qua? George, non ti fai sentire da giorni» rispose lei, mentre si alzava e si avvicinava. «Mi sono preoccupata! Ti ho scritto un sacco di messaggi, ti ho chiamato non so quante volte! Chiedilo anche a Oliver, ero agitatissima! Così stasera dopo l'allenamento ho deciso di passare. Ricordavo anche che avevi la seduta dal dottor Sander oggi, com'è andata?»

Lei avvolse le braccia intorno alla sua vita e si avvicinò pericolosamente al suo viso. «Tutto bene?» soffiò sulla sua bocca.

George la allontanò bruscamente, infastidito da quel gesto. «Sì, tutto bene. È andato tutto bene oggi alla seduta, grazie di averlo chiesto.»

«Ah, va bene...» rispose Angelina, mentre un lieve lampo di tristezza passò nei suoi occhi. «Comunque! Ho delle bellissime notizie!» esclamò riprendendosi, e sedendosi con un balzo sul divano. «Mi hanno aumentato lo stipendio! Voglio dire, non di tanto, all'incirca saranno forse duecento galeoni, ma non importa! L'importante è che hanno apprezzato i miei miglioramenti sul campo, e questo mi fa ben sperare! Avevo così tanta paura che una volta superati i trent'anni mi avrebbero messo in panchina, ma per fortuna così non è stato! Anche Ollie mi diceva di stare tranquilla, ma sai com'è? Non ci si può mai fidare in queste situazioni! Non volevo che mi capitasse come-»

«Angelina, ti prego... puoi stare zitta? Mi sta scoppiando la testa!» disse lui esasperato, in piedi di fronte a lei. Gli parve quasi che il suono fastidioso della sua voce stesse trapanando il suo cervello.

La ragazza cambiò subito espressione. «Ma io-»

«Ti prego, Angie. Non è proprio la giornata giusta per raccontarmi i tuoi fatti personali. Sono esausto, e ho solo bisogno di un bagno caldo e di una dormita. Possiamo parlarne domani?»

«George, che succede? Non mi rispondi così da tanto... tanto tempo. È successo qualcosa di grave? Sono i tuoi genitori? Oppure i tuoi nipoti? Lo sai che a me puoi parlare di tutto...» disse lei, alzandosi e avvicinandosi di nuovo. Lo scrutò a fondo, e George si sentì in parte in colpa. Angelina gli era sempre stata accanto, e nonostante tutto non si meritava un trattamento di quel genere.

«N-no... stai tranquilla, mamma e papà stanno bene, e anche i ragazzi. Non è niente, sono solo tanto stanco» rispose, sforzandosi di sorridere.

«Questa è una bugia! Ti conosco troppo bene, e tu in questo momento stai soffrendo! Lo vedo dai tuoi occhi! Avanti, George! Dimmi qualcosa, lo sai che io sono l'unica in grado di capirti!» rispose lei, alzando la voce di un ottava.

«Angelina per favore, abbassa la voce-»

«Perché non mi parli più? Sei cambiato ultimamente! Non mi dici più niente! Il problema qual è? È Oliver? Ti dà fastidio che io passi tanto tempo con lui?»

«Oliver? Che cosa? No Ang-»

«Avanti! Dimmi che succede!» urlò lei.

Qualcosa scattò dentro George e la rabbia di quei giorni, che aveva cercato di tenere repressa, si palesò con tutta la sua intensità. «Vuoi sapere cosa succede, Angelina? Succede che Isabelle è tornata in città, l'ho incontrata e adesso il mio cervello non sta capendo più niente! Sono completamente nel pallone! Ciò che credevo di aver sepolto sotto stratti di rancore e rimorso è tornato in superficie e non so come gestire tutto ciò che sento! Rivederla, parlare con lei è stato tremendamente meraviglioso e tremendamente terribile allo stesso momento. Perché mi sono reso conto di quanto è bella, di quanto avrei voluto baciarla e stringerla a me, e nello stesso esatto istante mi sono ricordato di non poterlo fare, perché lei mi odia e io invece la amo ancora così tanto e-»

«Che- che cosa hai detto?» chiese Angelina, mentre una maschera di terrore si dipinse sul suo volto. «Stai scherzando, vero? Perché? Cosa vuole ancora?»

George scosse la testa, e si sedette lentamente sul divano. «Lei è davvero tornata, e io non so cosa fare».

La ragazza fece una risata amara. «Ha davvero un tempismo perfetto. Adesso che hai iniziato a riprenderti dopo quello che ti ha fatto, lei torna per rovinarti ancora la vita. Ma quando lo capirai, George? Isabelle porta solo guai. Ti ha fatto soffrire e lo farà ancora!»

Lui alzò lo sguardo di scatto. «Ehi, aspetta. Isabelle non mi ha fatto proprio niente. Io l'ho tradita, e ciò che ha fatto dopo è comprensibile. È scappata e si è rifatta una vita. Avrei fatto lo stesso, al posto suo» esclamò, cercando di prendere le sue parti. Aveva sempre odiato i tentativi di Angelina di screditarla, e infatti quell'argomento era solitamente un tabù fra di loro, perché finivano sempre per litigare.

«Basta, non cercare di difenderla! Lei ti ha fatto male, tanto quanto tu ne hai fatto a lei. Siete pari!» disse in modo rabbioso.

«Angelina, adesso basta. Non ci siamo fatti delle ripicche! E parlare di questa cosa non ci porterà a niente, se non a discutere-»

«No, invece parliamone! Parliamo di quanto tu stia ancora sotto come un treno per lei! Per una stronza, infame e-»

«Non dire una parola in più» esclamò George, mortalmente serio. Il suo volto si era improvvisamente trasformato in una maschera di freddezza e rabbia.

«Ma, io volevo solo-»

«Non mi interessa cosa volevi dire, o fare. Vattene, adesso. Non ho intenzione di stare a sentire le tue offese verso la donna che amo. Fuori» sputò, mentre con un dito indicava la porta dell'appartamento.

«George...» disse lei, con gli occhi lucidi e il respiro pesante.

«Vai. Fuori».

Angelina deglutì rumorosamente e dopo qualche secondo si avvio mesta verso la porta. Poco prima di uscire, si voltò e lo guardò con gli occhi pieni di lacrime. «Lei non ti ama, George. E ti farà ancora male. Dovresti capirlo, prima che sia troppo tardi». Poi si girò e uscì, sbattendo violentemente la porta dietro di lei.

George chiuse gli occhi, sfinito. Ci mancava solo quel litigio a complicare la sua già incasinata vita. E per fortuna che non aveva nominato Fred. Non se l'era sentita, e aveva fatto bene. Angelina sarebbe impazzita, e avrebbe probabilmente fatto una scenata degna di nota.

Si fece un bagno veloce e poi si buttò nel letto, senza nemmeno mettere qualcosa sotto i denti. Chiuse le palpebre, nella speranza che il sonno lo cogliesse subito. Il giorno dopo sarebbe dovuto andare a casa di Charlie e Sammy per parlare con loro, e anche se non sapeva cosa lo aspettava, aveva il timore che sarebbe stata una giornata impegnativa. Si addormentò così, con tanti interrogativi in mente e con il subbuglio nel cuore.

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