7. Giallo - Mari
Il quinto scaglione del parco era una scelta bizzarra per un primo appuntamento. Di norma si preferivano il quarto scaglione, dimora del Viola della Lealtà, oppure il secondo, dominato dal Verde della Speranza. Il Giallo della Giustizia non era molto romantico, ma dopotutto quello non era neanche un vero appuntamento. Sua madre ne era all'oscuro e lei aveva accettato quell'incontro solo perché Edvokin aveva insistito – era sicura che ci fosse il suo intervento dietro la scelta del luogo. Doveva aver detto a quel ragazzo che il giallo era il suo colore preferito, e di certo non l'avrebbe aiutato a far colpo su di lei, però la metteva comunque di buon umore. Sfiorò gli steli alti dei ranuncoli mentre passava, aggirò i grossi cespugli di crespino giallo, superò allegra le distese di narcisi tra i quali sorgeva la statua della Santa Velaj com'era nel giorno della sua incoronazione a zarina.
Riconobbe il suo spasimante seduto su una panchina di pietra, con il bunad verde e blu come le aveva detto suo cugino, e una grossa scatola incartata stretta tra le braccia. Si alzò di scatto quando incrociò lo sguardo di Mari, appoggiò il dono sulla panca e strofinò le mani sui pantaloni prima di afferrare quelle di lei. Erano comunque sudate, fredde quasi quanto quelle di suo fratello, ma dal tocco gentile mentre portava le sue nocche alla fronte.
«Gavriil Kutuzov. Sono... onorato, sì. Sono onorato di fare la vostra conoscenza, Donzella—»
«Mari» lo anticipò lei. «Donzella Mari è più che perfetto.»
«Certo, sì. Vostro cugino mi aveva avvisato.»
Gavriil sorrise, abbassando uno sguardo impacciato. Era grazioso, questo non poteva negarlo. Non bello quanto Edvokin – non aveva ancora conosciuto nessuno che fosse affascinante la metà di quanto lo era lui – ma dal sorriso luminoso e lo sguardo dolce, un viso ovale coperto da un velo di barba sottile e lunghi capelli intrecciati di un nero intenso. Edvokin le aveva anticipato che non faceva parte dell'alta società, ma il bunad che aveva indosso aveva tonalità così scolorite che non poteva appartenere a un anello più alto del quarto. Dea, suo cugino era impazzito? Se anche avesse provato un qualche interesse verso quel ragazzo, la sua famiglia non avrebbe mai approvato.
«Lui dov'è?» domandò Gavriil, tendendo il collo per guardare oltre le sue spalle. «Non siete venuta accompagnata?»
«Preferivo mettere le cose in chiaro senza orecchie esterne che potessero origliare. Ascoltate, Donzel—»
«Vi prego, parlate pure senza... insomma, non c'è bisogno di tanto rispetto.» Gavriil liberò una risata nervosa, arrossendo un poco. «Non sono un Donzel neanche con mezzo braccio.»
«La cortesia non conosce anello, vi parlerò con il rispetto che ritengo opportuno» disse lei. «Trascorrerò volentieri il pomeriggio con voi, ma c'è qualcosa su di me che dovreste sapere prima di tutto. Non so cosa mio cugino Edvokin vi abbia detto riguardo questo incontro, ma sento il dovere di avvisarvi che nutro sentimenti romantici nei suoi confronti.»
Gavriil strabuzzò gli occhi in un sussulto, e il rossore sul suo viso si fece più evidente. «Oh, ehm... Donzel Edvokin non...» Deglutì, abbassando gli occhi neri fino al sentiero sterrato. «Non mi aveva detto che foste fidanzati.»
«Non lo siamo. Temo non lo saremo mai, mio malgrado.» Abbassò lo sguardo a sua volta, stringendo una delle lunghe trecce viola. La tormentò con le dita mentre la sua voce si riduceva a un filo sottile, sforzandosi di non farla tremare, di nascondere la sofferenza che ancora le faceva avvizzire il cuore. «Sia come sia, ne sono innamorata. Profondamente. Se questa dichiarazione vi causa turbamento mi rincresce, ma trovavo ingiusto tenervelo nascosto, non è mia intenzione creare l'illusione di una falsa aspettativa.»
Gavriil la fissò per qualche istante sotto le sopracciglia aggrottate, poi scrollò le spalle. «No, nessun turbamento. Non per me, intendo, per voi immagino sia un gran bel turbamento e me ne dispiaccio, ma per me non c'è alcun problema. Se non che mi dispiace per voi, per l'appunto.»
«Oh. Perciò non... non siete geloso?»
«Colori, no! A dire il vero non ne sono neppure sorpreso. Vostro cugino è... Corrisponde alle voci che ho sempre sentito sul suo conto. È persino più avvenente di come dicono, carismatico, spiritoso, dalla personalità travolgente. Comprendo perché così tante donne siano innamorate di lui, forse se fossi una ragazza lo sarei anch'io.» Il sorriso divertito svanì in fretta dalle sue labbra, e il viso si fece pallido mentre sgranava gli occhi. «No, dimenticatelo, è uscita male. Molto male. Intendo dire che possiede tutte le qualità che un uomo dovrebbe avere, mi avrete capito, spero. Mi avete capito?»
«Ho capito» lo rassicurò Mari, e lo vide rilassare i muscoli delle spalle in un sospiro. «Però sono ancora confusa. La vostra intenzione non è quella di corteggiarmi?»
«Non lo farei mai! Non per voi, voi siete la più splendente delle gemme e... Lo giuro su Beyled, poter parlare con voi — no, il solo fatto di avervi davanti a me mi riempie di una gioia per cui non trovo parole.» Gavriil sorrise e i suoi occhi si riempirono di tutte le sfumature che si nascondevano nel nero. Le avevano fatto elogi simili molte volte, ma mai con l'ammirazione che leggeva nel suo sguardo. «Se non vi infastidisce l'onestà, ammetto che vi corteggerei volentieri... ma provengo dal terzo anello. L'ho detto anche a vostro cugino, non vi mancherei mai di rispetto in questo modo.»
«Oh.» Mari sfarfallò le ciglia, attorcigliando la treccia attorno alle dita. «E dunque per quale ragione avete richiesto quest'incontro?»
«Non l'ho fatto» disse Gavriil, la voce sempre più incerta. «Mi bastava che aveste il regalo. Volevo solo consegnarlo ai vostri domestici, ma vostro cugino... Donzel Edvokin ha detto che vi avrebbe fatto piacere se l'avessi dato a voi di persona, ecco tutto. Non volevo farvi perdere tempo,posso andare via se preferite.»
«No, no! Ero solo certa che...» La voce mutò in un sussurro sempre più flebile, fino a svanire. Edvokin aveva parlato in modo ambiguo, ma non aveva menzionato alcun corteggiamento e, ora che ci prestava attenzione, Gavriil non aveva il fazzoletto bianco attorno al collo. Avvampò. «Oh, Dea. Oh, Dea, ho frainteso tutto, che vergogna! Penserete che sono una fanciulla superba e piena di sé!»
«Per nulla! Siete stata sincera, è stata una cosa bella.»
«Come può essere bella? Vi ho praticamente rifiutato, e non avevate neppure interesse di corteggiarmi! Colori, sono così sciocca... Dovete scusare il mio comportamento.»
«Sciocca, voi? Impossibile! Non c'è niente da scusare, ve lo giuro. Siete venuta fin qui, e lo so che vi è bastato uno sguardo solo per capire che sono molti anelli sotto di voi, eppure mi avete considerato come spasimante. Dovrei dirvi grazie, piuttosto, perché avete pensato che sono meritevole di un rifiuto.» Aggrottò di nuovo le sopracciglia, grattando la fronte in una smorfia. «Nella mia mente sembrava più... Uhm. Però avete capito che intendevo dire, vero?»
«Sì, l'ho capito.»
«Lo vedete, che non siete sciocca? Continuate a capire cosa intendo anche se lo spiego peggio di un pollo cotto in brodo.»
Una risata sfuggì dalle labbra, così improvvisa che tardò a coprirsi la bocca con la mano. Che razza di detto era quello? «Perchè cotto in brodo?»
«Beh. Così è più saporito.»
Mari rise di nuovo. «Vi spiegate molto meglio di un pollo cotto in brodo, ve l'assicuro. E siete anche più spiritoso.»
«Questo mi rassicura! Essere rifiutato per Edvokin Metsiz è comprensibile, ma se avessi perso contro un pollo non sarei più riuscito a dormire la notte.»
«Oh, ma adesso sono io che vi faccio perdere tempo. Avete parlato di un dono, dico bene? A cosa lo devo?»
«Alla vostra arte.» Il suo tono si fece solenne. Il divertimento svanì dal suo viso e la guardò con occhi intensi, pregni di devozione. Le mani tremavano quando si abbassò a raccogliere la scatola dalla panca, grande più di una testa, che tese verso di lei. «Vi ho sentita suonare alla locanda. Lavoro lì come cuoco e quando vi sento pizzicare il gusli riconosco subito che siete voi, e faccio di tutto per ascoltarvi fino alla fine. La vostra musica è... Dovete scusarmi se non conosco le parole giuste per dirlo, ma è incantevole. Così piena di sentimento che non riesco a togliermela dalla testa.»
Mari schiuse le labbra, ma non venne fuori alcun suono. Restò a guardarlo mentre abbassava di nuovo lo sguardo, le gote arrossate e un sorriso che illuminava l'intero viale. Si era sempre considerata una musicista mediocre; la sua esecuzione era buona, ma le sue composizioni sembravano così banali... Potevano davvero essere la causa di quell'espressione così gioiosa e ammirata?
Mari sfilò il tessuto colorato che avvolgeva la scatola e sollevò il coperchio. All'interno c'era una torta rotonda glassata di giallo, con ciuffi di panna e strisce di crema che vorticavano in onde sinuose sulla superficie tempestata di mirtilli.
«È troppo dire che è un regalo, lo so bene» disse Gavriil, accarezzandosi la nuca. «Non è di certo all'altezza di ciò che preparano i vostri cuochi, e non può competere con il genio della creatività femminile, ma ho pensato... Voi mi avete ispirato, sapete? L'idea mi è venuta ascoltando voi, perciò mi sono detto che avreste gradito assaggiare.»
«Avete creato voi la ricetta?»
Gavriil si irrigidì. «È stato solo... Non è che io...»
«Potete parlare liberamente. Non ho nulla in contrario contro gli uomini che si dilettano in campi artistici.»
«È di mia creazione, sì» disse a voce più alta, e un sorriso che sembrava dire grazie. «Non avevo mai cucinato qualcosa di nuovo, ma dopo avervi ascoltato è stato naturale farlo. La vostra musica mi ha dato così tanti suggerimenti che non mi basta il tempo per provarli tutti, e... volevo dirvi grazie, ecco tutto. Non siete tenuta ad assaggiarla, ovviamente, e—»
«L'assaggerò più che volentieri!» trillò Mari, le labbra che non volevano saperne di abbandonare il sorriso. Chiuse la scatola e la strinse al petto, il cuore batteva tanto forte che lo sentiva rimbombare in ogni parte del corpo. «Il vostro è stato un gesto squisito, Gavriil. Non avete idea di quanto mi abbiate resa felice! Non avrei mai creduto che... Beyled candida, avete creato una torta! Ascoltando musica! Dicevate di non trovare le parole, ma cosa dovrei dire io? È semplicemente meraviglioso.»
Gavriil boccheggiò, spalancando occhi e bocca. «Dite... Dite sul serio?»
«È il dono più opalescente che abbia mai ricevuto, e giacché vi ho già rifiutato potete star certo che non lo dico per comprare il vostro favore» disse Mari, ridendo. «Vi andrebbe di parlarmene? Vedo i mirtilli, ma non so cosa ci sia dentro. Quale componimento vi ha ispirato? Sareste in grado di cantarlo per me?»
«N-non credo di essere particolarmente intonato...»
«Non lo è neppure mio cugino, eppure mi sono dichiarata innamorata di lui meno di dieci minuti fa. Non mi scandalizzerò per questo, non abbiate timore. Mi fate compagnia fino al laghetto?»
Gavriil restò a fissarla per qualche istante, immobile a bocca aperta, poi si riebbe in un sussulto e si offrì di portare la scatola al suo posto.
«Posso farvi solo una domanda? È stato mio cugino a dirvi del giallo?»
«Avrebbe... Avrebbe dovuto dirmi qualcosa?» disse Gavriil, schiarendosi la voce nel vano tentativo di nascondere il suo imbarazzo. Era evidente... ma era anche carino. «Ho scelto io il colore. Avete suonato le vostre migliori composizioni quand'eravate vestita di giallo, perciò... È stato sciocco?»
«No.» Mari si aggrappò al suo braccio, sorridente. «È perfetto.»
Oggi la scelta del personaggio era ovvia! Io e Mari condividiamo un'altra cosa oltre il nome, ossia l'amore per questo splendido colore ♥
Era da un po' che mi ronzava in testa l'idea del primo incontro con Gavriil, e mi son detta che questa era l'occasione giusta per scriverlo! Magari in futuro scriverò anche l'incontro tra Gavriil e Edvokin che ha preceduto questo, o magari qualche altra scenetta sui piccioncini, chissà~
Voi che ne pensate? A me piacciono molto insieme, adoro il fare spiritoso e un po' impacciato di Gavriil!
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