5. Facile - Georgette

Dev'essere bello avere una vita facile come la tua!

La voce di quella stupida intervistatrice continuava a tormentarla. Il modo in cui aveva riso, inclinando la testa di lato; la mano con cui le aveva sfiorato il braccio in un buffetto; le labbra tinte di rosso che si erano allargate tanto che gli occhi si erano stretti fino a sembrare due linee avvolte dalle rughe.

Georgette aveva sfoggiato il più splendido dei suoi sorrisi di circostanza e proseguito l'intervista senza raccogliere la provocazione – perché di quello si trattava. Uno sciocco, crudele e insulso tentativo di farla innervosire per poi rigirare le sue parole in chissà quale modo becero. Non le aveva concesso l'occasione di farlo, aveva risposto a ogni domanda in modo impeccabile, ponderato, trasparente. Credeva che fosse facile anche quello? Che fosse un talento naturale, gentile concessione del Signore della Luce?

«Stupida vecchia... oca maledetta!»

Georgette sbatté la porta della camera dietro di sé, slacciando alla svelta i sandali per liberarsene e camminare a piedi nudi sulla moquette. La sensazione delle setole morbide che sfioravano la pelle di solito la rilassava, ma quella volta non fece che alimentare il suo turbamento, come un fiammifero sfregato sulla striscia ruvida della scatola.

Sfilò le spalline dell'abito di seta viola e abbassò la cerniera che lo stringeva a lato, con tanta foga che il tiralampo le restò tra le dita. Un ringhiò le sfuggì dalle labbra, raschiando contro la gola mentre lanciava via il piccolo anello metallico. Non era importante; aveva creato lei quell'abito, aveva creato lei quasi ogni cosa lì dentro, poteva distruggere la trama di Sihir che aveva imbastito e rifare tutto – perciò afferrò i lembi della cerniera e tirò, strappando la stoffa finché l'abito non cadde ai suoi piedi. Tra i muscoli correva un'energia vibrante, impossibile da contenere, e cominciò a camminare per la stanza perché se fosse rimasta ferma sarebbe esplosa.

Affondò le mani tra i boccoli biondo platino e si liberò delle forcine che li tenevano raccolti in un'acconciatura elaborata, un incastro di onde e trecce morbide che aveva richiesto tre ore di preparazione, ma anche quello era facile, giusto? E il trucco, quasi due ore a partire dalla pulizia della pelle. Georgette sollevò lo specchio tondo della toeletta per controllarlo, trovandolo ancora impeccabile: la pelle chiara, retaggio delle sue origini lasyardee, coperta da ogni imperfezione. Le gote arrossate da una dolce sfumatura naturale, le labbra piene brillanti del lucidalabbra che esaltava il rosa perlato del rossetto, l'ombretto sulle tonalità del viola che avvolgeva gli occhi scarlatti, contornati di eyeliner per enfatizzare la forma rotonda e di mascara per allungare le ciglia. Persino con l'acconciatura stravolta, le onde morbide stravolte che si afflosciavano sulle sue spalle, era splendida.

«Ovvio che sono splendida» borbottò alla sé nello specchio, schioccando la lingua contro il palato. «Tre ore al giorno di trattamenti per la cura di cute e capelli. Trattamenti alla cheratina, maschere nutrienti, idratazione costante. Alimentazione sotto controllo, una dieta equilibrata senza la minima trasgressione, e allenamento fisico quotidiano.»

Abbassò lo specchio, inquadrando il fisico a clessidra dalle spalle strette alle cosce. Vita sottile e fianchi pronunciati ma non troppo, un seno di dimensioni medie che l'imbottitura spingeva in alto, dandogli maggiore volume. Era nata fortunata, quello era evidente; il Lucente non aveva conferito ai suoi figli le medesime qualità di partenza, ma quella troglodita credeva che quell'aspetto fosse soltanto merito della sua buona stella? Credeva che si fosse semplicemente svegliata perfetta?

«Ogni giorno. Mi impegno per tenermi così bella ogni giorno, ogni giorno, ogni stramaledetto giorno!»

Lanciò contro lo specchio la spazzola che non si era accorta di aver raccolto. Il suo riflesso si frantumò in una miriade di schegge che si collassò sulla toeletta, lasciando dietro di sé frammenti taglienti incastrati in un cerchio di metallo vuoto. Georgette ringhiò di nuovo, sfogando la sua frustrazione in un grido mentre avanzava oltre.

«Cosa pensi che sia facile, la ricchezza? Io ne sono l'artefice, io ho risollevato la mia famiglia dalla bancarotta. L'accademia, la villa, il patrimonio... Avevamo perso tutto. È solo grazie a me se il nome LeFevbre significa di nuovo qualcosa, è merito delle mie idee, del mio lavoro, dei miei premi!»

Si fermò davanti alla parete che raccoglieva i suoi successi, decine di mensole e vetrine che sfoggiavano coppe, targhe, medaglie scintillanti appese con cura. Quelle non erano sue creazioni: avrebbe potuto tenerle al sicuro in cassaforte e mettere in mostra le repliche Worldmaker, ma non tollerava l'idea. Quei premi erano veri e tali dovevano restare, reali tanto quanto i meriti per cui li aveva vinti.

«Cinquantasette vittorie nei concorsi di bellezza di tutta Sayfa, incoronata Bellezza Splendente dal Generale Corvus in persona. Campionessa di ginnastica ritmica, encomiata della stella d'oro per la migliore esibizione come violinista nell'orchestra di Sirio, tuttora imbattuta nella categoria femminile di latreo...» Vi camminò accanto, il passo leggero sulla moquette, sfiorando il vetro rinforzato che proteggeva i suoi tesori. Sollevò una mano perché la sua immagine riflessa tenesse quel trofeo, si mosse per farle indossare quella medaglia, accarezzò i contorni distanti di quel premio. «Ho vinto più competizioni di quanti sono i tuoi anni, come pensi abbia fatto? Mh? Pensi che sia andata lì col mio bel sorriso, gli occhi dolci, ed è tutto finito? Pensi che non abbia accumulato più ferite e fallimenti di quanto la tua stupida mente sia in grado di razionalizzare?»

Scoppiò a ridere, una risata acuta e isterica, e salì di corsa i gradoni al centro della stanza che innalzavano il letto a baldacchino. Afferrò uno dei cuscini decorativi e lo schiantò contro il letto, ma quella sensazione non voleva saperne di sparire: urlava tra le sue ossa, squarciava le vene, graffiava fino al centro della sua anima. Rabbia, così tanta che le ribolliva il sangue, e le lacrime pizzicavano gli occhi così lucidi da offuscarle la vista.

«Pensi sia facile il mio Naru? Oh, deve sembrare così esagerato dall'esterno, uno schiocco di dita e si materializza tutto ciò che voglio! Cosa vogliamo creare, oggi? Un carillon, magari?»

Agitò una mano a mezz'aria, percependo il Sihir pizzicare sulle dita mentre lo assorbiva. Lasciò che fluisse attraverso la pelle, immaginando di plasmare il flusso di energia come creta morbida nella sua mente. Disegnò le linee di una piccola scatolina di legno, poi i colori vibranti delle decorazioni floreali e una minuscola manovella dorata per azionarlo. Delineò ogni dettaglio finché il pensiero non divenne abbastanza definito, allora schioccò le dita e il Sihir si concretizzò nell'esatta riproduzione di ciò che aveva ideato. Georgette la raccolse tra la mani, sfiorandone la superficie lucida con le dita.

«Sai com'è fatto un carillon? Sai esattamente cosa serve per costruirne uno? Ti svelo un segreto, ignorante citrulla incartapecorita: io devo saperlo. Devo conoscere ogni minuscolo particolare, perché altrimenti...» Cominciò a ruotare la manovella, la voce ormai ridotta a un sussurro. Non accade nulla. Aveva immaginato a un carillon, ma non aveva pensato all'interno e quando sollevò il coperchio la scatola era vuota. «Altrimenti non funziona nulla

Gettò il carillon contro la parete, osservandolo schiantarsi in un rumore sordo. Georgette scese le scale e camminò verso le mensole che decoravano l'altro lato della camera, sede di soprammobili della più svariata natura. Ne afferrò uno, una statuetta di cristallo che raffigurava un delfino avvolto tra le onde, e la gettò a terra. «Il potere di un Dio non ha alcun valore senza la mente per controllarlo. Uno scultore deve pensare alla forma, io devo pensare al colore, al materiale, al meccanismo, alle dimensioni, al peso. Rendere concrete le idee direttamente dalla tua mente, congelarle in un istante nella loro forma completa? Sai quanto cazzo sia difficile?» Uno dopo l'altro, altri soprammobili trovarono la loro fine contro il suolo: una bambolina di porcellana, un globo di vetro, una riproduzione in metallo del simbolo dei LeFevbre. Quello non si ruppe, ma il Sihir di cui era composto si dissolse in fumo quando lo schiacciò con il piede, svanendo sotto il peso della sua volontà. «Hai studiato giornalismo? Come sei graziosa. Io ho studiato progettazione, fisica, arte, chimica, ho analizzato e memorizzato ogni singolo oggetto che abbia mai creato in tutta la mia vita. Non è stato facile. Non è stato bello!»

Si fermò, scoprendo di avere l'affanno. Le dita dalle unghie ovali smaltate di rosa tremavano tanto che dovette stringere i pugni per farle smettere, il respiro non riusciva a stare al passo col ritmo del cuore impazzito nel suo petto. Osservò la distruzione che si era lasciata alle spalle, la mensola svuotata per metà, il frutto della sua creazione ridotto in pezzi. Poteva riprodurli; l'aveva fatto una volta, lo ricordava, se si concentrava abbastanza poteva donare nuova vita a ognuno di loro. Quello era il risultato che aveva raggiunto, per cui aveva sacrificato sonno, affetti, svago.

Non era stato facile. Non era stato bello, ma aveva ottenuto il controllo su uno dei Naru più potenti nell'intera Halka. Aveva ridato lustro alla sua famiglia, creato un impero economico sotto il suo nome, vinto tutto ciò in cui si era cimentata. Aveva ottenuto fama, soldi, bellezza, raggiunto l'eccellenza che altri potevano solo sognare, e tutti l'adoravano, la invidiavano, la imitavano – e nessuno l'amava.

Per i suoi genitori era alla stregua di un portafoglio; i suoi fratelli si facevano sentire solo quando avevano bisogno di qualcosa; i suoi amici avevano più a cuore la sua reputazione che lei; il suo fidanzato l'aveva tradita con una domestica. Georgette singhiozzò, scivolando in ginocchio. Aveva creduto che almeno Tertius potesse capire cosa si provava, che riuscisse a vederla, ma l'immagine di se stes che aveva costruito piaceva solo se vista da lontano.

Schioccò le dita e un cuscino quadrato, identico a quelli che aveva sul letto, si materializzò tra le sue dita. Vi soffocò urla e singhiozzi mentre piangeva, rannicchiata al suolo, finché non smise di tremare.

«Signorina Georgette?» Uno dei suoi domestici – Massimo, ne riconosceva la voce piena – bussò alla porta. «È arrivata la signorina Feranti.»

Georgette tirò su col naso. Creò un fazzoletto con cui soffiarlo e si tirò su, osservando il disastro che aveva disseminato per la stanza. Un movimento del braccio fu sufficiente a far svanire tutto, e il petto si aprì in un respiro profondo. Si concentrò per creare lo specchio – al resto avrebbe rimediato dopo – e lo inclinò per guardarsi: aveva i capelli più spettinati di prima, gli occhi arrossati e il trucco da rifare, ma era comunque splendida. Deglutì, gettando fuori l'aria in un lento sospiro. L'espressione del suo riflesso era di nuovo calma, fiduciosa, perfetta.

«Riferisci che sarò da lei tra dieci minuti.»  



Georgette scommetto che non ve l'aspettavate! In Bluebird viene a malapena nominata due volte, ma in realtà si tratta di un personaggio che ho ben chiaro in mente, poiché fa parte di quella lunga serie di personaggi che ho creato anni addietro per un progetto che ho poi abbandonato e che si è evoluto nell'Halkaverse (?) attuale.

Non so ancora che piani ho per lei nella nuova realtà delle cose, aka se scriverò qualcosa su di lei o se la vedremo apparire come secondario/comprimario in qualche altra storia, ma resta un personaggio che mi piace molto ed è stato bello scrivere di lei :3

È in parte ispirata a Georgette di "Oliver & Co.", che poi mi ha dato l'idea della scena (Per via della canzone che canta, "La perfezione non è semplice"), e infatti prende anche il suo nome.

Avete idea di che personaggio vi attende domani? No, stavolta ve lo dico io, non avete la più pallida idea di chi sia xD Anche lui fa parte della serie di personaggi di cui accennavo, ma a differenza di Georgette non l'ho mai nominato, quindi... Sorpresa? XD

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