30. Vaniglia - Gavriil
Tra tutte le idee sconclusionate che le sue sorelle gli avevano suggerito, quella era di certo la più folle. Kirilla e Silivja ne avevano parlato con tanta leggerezza che era sembrata un'inezia, e tanto l'avevano incoraggiato che si era infine lasciato convincere, contagiato dal loro entusiasmo.
Negli ultimi giorni, Gavriil si era lasciato travolgere dall'ispirazione, dedicando ogni pensiero e momento libero alle sue sperimentazioni culinarie. Quando non poteva cucinare immaginava, e quando non poteva immaginare un fremito correva lungo tutto il corpo, vibrando per la necessità di togliersi l'impiccio dei suoi doveri. Quand'era riuscito a sfornare un dolce che corrispondeva al suo obiettivo, l'euforia l'aveva dominato per un giorno intero ed era con quell'emozione che era uscito di casa, ma una volta raggiunta la magione Metsiz il buonumore si era dissolto come sale nell'acqua bollente.
Beyled candida, gli si era scolorito il cervello? Quello era il settimo anello, uno come lui non avrebbe neanche dovuto trovarsi lì, figurarsi bussare alla porta di una famiglia così influente. Cosa pensava di fare, una volta che gli avessero aperto? Lui non era un Donzel, il suo bunad migliore aveva tonalità così spente che non avrebbe potuto spacciarsi neanche per un domestico, doveva ritenersi fortunato che nessuno avesse ancora chiamato le guardie.
Gavriil strinse la scatola in cui aveva sistemato la torta, sentendosi d'un tratto fuori luogo. Di fronte a lui si stagliava una magione così immensa che dovette alzare il capo per scorgerne la sommità, le mura pitturate delle sfumature più luminose che era in grado di immaginare e i tetti oblunghi che svettavano verso il cielo. La sua famiglia era composta da trentasei persone, eppure la sua intera dimora non era grande che un quinto, no, un decimo di quella struttura, forse anche meno. Non ne era certo. Era pessimo con la matematica, persino per essere un uomo; riusciva a comprenderla solo quando si trattava di cucina, però una magione non si poteva cucinare. Ciò che sapeva era che la dimensione di quella magione superava persino quella della locanda, e forse ogni membro della famiglia aveva a disposizione una stanza che era grande quanto quelle di tutte le sue sorelle e i suoi cugini messi insieme, e decine di cuochi che avrebbero potuto cucinare mille torte ben più invitanti e gustose della sua.
Non che intendesse mettersi a paragone con loro. Non pretendeva di eguagliare l'estro artistico di una pasticcera professionista, voleva solo... voleva solo dire grazie. La musica di Maritruska Metsiz era riuscita a smuovere il suo animo, gli aveva donato ispirazione e spinto a creare qualcosa di nuovo. A lui, che era solo un uomo. Il semplice cuoco di una locanda.
Kirilla e Silivja avevano esagerato nel loro ottimismo, e più Gavriil ci rifletteva più l'idea di presentarsi a casa di quella ragazza e offrirle in dono il suo dolce sembrava fuori di testa, però un modo per renderle noto il miracolo che la sua arte aveva compiuto doveva pur esserci. Magari poteva lasciare la torta in giardino con un biglietto? Colori, suonava ancora più inquietante. Forse poteva lasciare che se ne occupassero i domestici? Era il caso di tornare indietro e pagare un garzone perché la consegnasse al posto suo? Che un ragazzo si recasse a casa di una fanciulla con un dono non era inusuale, ma solo se l'intenzione era quella di corteggiarla e—
La porta d'ingresso si aprì. Gavriil trattenne il fiato in un sussulto, s'immaginò a lanciare la torta per aria e a correre via, invece si scoprì immobilizzato sul posto— e forse era un bene, perché quell'immaginazione era piuttosto ridicola e doveva sembrarlo abbastanza già così. Subito drizzò il busto, richiamò alla mente tutti i modi che conosceva per chiedere scusa e si preparò a rovesciarli addosso al domestico che di certo era stato mandato per scacciarlo dal giardino, ma l'uomo che venne fuori dalla magione non poteva somigliare a un membro della servitù meno di così.
Il viola della sua giacca era accecante, le decorazioni così sfavillanti che parevano intessute con fili di oro e gemme, persino il tenue rosa della rubakha e l'azzurro della cintura erano talmente intensi da far sfigurare i petali di un fiore. Chiunque nel settimo anello vestiva colori così sgargianti, ed erano in molti a frequentare la locanda, ma vederli così da vicino e sotto la luce del sole lo lasciò comunque a bocca aperta.
E poi era affascinante. Non che un domestico non potesse esserlo, ma era un dato di fatto talmente evidente che era impossibile non riconoscerlo. Forse una donna avrebbe saputo definire se il merito era di quell'abbigliamento sfolgorante, del portamento distinto da settimo anello o della forma armonica del viso incorniciato dai capelli sciolti; Gavriil non ne aveva idea, ma si trovò costretto ad ammettere che le sue sorelle e cugine non erano poi così esagerate quando definivano Edvokin Metsiz l'uomo più attraente di tutta Kholod.
Gavriil deglutì quando incrociò il suo sguardo, e lo vide aggrottare le sopracciglia mentre lo squadrava da capo a piedi.
«E voi chi sareste, di grazia?»
«Ga-Gavriil. Gavriil Kutuzov, coloratissimo Donzel Edvokin» sputò fuori, abbozzando un inchino. Non aveva mani libere da offrire, ma non aveva idea di quale fosse l'etichetta formale per quel genere di situazioni. Avrebbe dovuto posare a terra la scatola? Reggerla in equilibrio su una sola mano e salutarlo solo con una? «È un onore di piacere— È un piacere fare l'onore— Sono felice di conoscervi.»
Serrò le labbra in un respiro profondo, sentendo il petto avvampare. Come aveva potuto pensare di consegnare la sua torta a Maritruska? Se la lingua si annodava a tal punto di fronte al cugino, non immaginava quanto si sarebbe reso ridicolo al suo cospetto. Non l'avrebbe stupito se Edvokin l'avesse cacciato a malo modo dalla sua proprietà, invece lui corrugò ancora di più la fronte prima di abbandonarsi a una risata leggera.
«È un onore fare la vostra conoscenza» lo corresse con garbo. «Senza piacere e senza felicità, risulta piuttosto semplice da ricordare poiché si tratta della verità nella maggior parte dei casi. Avrei da ridire anche sull'onore, ma temo che "nutro un così profondo disinteresse nel conoscervi che preferirei intrattenere una conversazione con i suppellettili" non sia ancora socialmente accettato. Cosa vi spinge alla mia porta, Gavriil Kutuzov?»
«Sono qui per vostra cugina Maritruska. Ho pensato... Avrei piacere, sì, avrei piacere di donarle un don— regalo. Donarle un regalo.»
«Allora siete qui per mia zia Jlenna. Mia cugina gradirà sapere che avete chiesto di lei, tuttavia è mio dovere avvisarvi che sua madre non prenderà in considerazione alcun corteggiatore che non le abbia prima chiesto udienza.»
«N-no, io—»
«E sarebbe bene che il pretendente se ne occupi di persona. Quale famiglia vi manda, Gavriil Kutuzov? Dovrebbero affrettarsi a fornirvi un'uniforme come si conviene, parola mia non somigliate per nulla a un garzone.»
«No, non sono un garzone, io... Mi manda me stesso. Insomma, sono venuto per conto mio.» Si schiarì la voce, sforzandosi di tenere dritte le spalle. Colori, come faceva quell'uomo a mantenere la postura? A lui faceva già male la schiena. «Non sono qui per corteggiare Donzella Maritruska. Mi piacerebbe farlo, se posso essere sincero, ma... Beh, potete vederlo voi stesso. Sono un semplice giovane del terzo anello, non mi permetterei mai di offendere vostra famiglia in questo modo.»
Edvokin piegò la testa di lato, accarezzando il mento liscio. «E dunque qual è la ragione del vostro dono?»
«Oh, ehm... Vedete, lavoro come cuoco nella locanda dei Martikov. Ho sentito vostra cugina suonare e la sua musica mi ha... Come dire... Travolto.» Gavriil arricciò le labbra, insoddisfatto. Avrebbe voluto usare un termine più dolce, positivo, ma non gliene veniva in mente nessuno. Non sarebbe riuscito a trovare parole squisite come quelle che usava Edvokin neanche se ci avesse pensato tutto il giorno, così decise di andare avanti. «Non sono un esperto, ma la trovo bellissima. È come se riuscissi davvero a sentire tutti i colori delle note, mi capite? Non riesco a togliermi dalla testa le sue melodie, hanno risvegliato emozioni nuove e profonde che mi è impossibile contenere.»
«Vi suggerisco caldamente di tenere le vostre emozioni a bada, Gavriil: è della mia cugina prediletta che stiamo parlando.»
Gavriil avvampò. «Colori, no! Avete frainteso, lo giuro sull'arcobaleno! Ciò che voglio dire è che mi ha ispirato, è entrata nelle mie orecchie come nota ed è diventata idea nella mia testa.»
Edvokin mugolò quello che parve essere un assenso, ammorbidendo la sua espressione. Incrociò le braccia al petto, incitandolo a continuare con un cenno del capo, e Gavriil non tardò a eseguire.
«Ho pensato... Non l'ho proprio pensato, mi è successo. Ci ho fatto caso, ecco: ho fatto caso che se ogni suono è un colore allora è anche un gusto, è caldo o freddo, morbido o duro, dolce o salato. Non sono certo che abbia un senso, però è così: la musica di vostra cugina è come un piatto ben fatto, riesco a sentirne il sapore. Il mio pezzo preferito, ad esempio, sa di vaniglia e panna, di mirtilli freschi e foglie di menta. Perciò ho cucinato... questo.»
Scoperchiò la scatola con le mani che tremavano e, quando Edvokin si sporse in avanti per sbirciare il contenuto, si ritrovò a trattenere il fiato. Credeva di essere riuscito a tenere la tensione sotto controllo, ma il cuore batteva così forte che lo sentiva pulsare tra i muscoli, nella gola, tra le tempie. Sentiva gli abiti umidi di sudore contro la pelle e pregò Beyled che non si notasse né si sentisse, e che la sua torta avesse un aspetto quantomeno decente, e che Edvokin non sarebbe stato troppo brusco quando avrebbe deciso di scacciarlo.
Lui però gli rivolse uno sguardo interessato. «Vi ha ispirato, avete detto. Devo supporre dunque che non vi siate limitato alla mera preparazione di questo dolce, è corretto? Per caso la ricetta è di vostra ideazione?»
Gavriil prese un respiro così profondo che i polmoni sembravano sul punto di esplodere. Tentò di richiudere la scatola per prendere tempo, ma i suoi gesti erano così impacciati che il coperchio non ne voleva sapere di tornare al suo posto. «Le mie sorelle hanno aiutato... Insomma, di solito sono io che aiuto loro, com'è ovvio, per passatempo. Questo è stato un colpo di fortuna.»
«Ma certo» disse Edvokin, allungando il sorriso di chi aveva capito. Gavriil sapeva che nel settimo anello fossero molto più rigidi su certe cose, eppure non seguì alcun rimprovero, neanche un'occhiataccia stranita. Invece, Edvokin afferrò il coperchio e richiuse la scatola con grazia. «Dunque avete concepito questo dolce perché ispirato dalla musica di mia cugina.»
«Esatto.»
«Poi lo avete cucinato – accertandovi che fosse piacevole al palato, mi auguro, oltre che di aspetto gradevole.»
«Certamente!»
«L'avete decorato, incartato e siete venuto fin qui dal terzo anello per offrirlo in dono a mia cugina.»
Gavriil annuì, stringendosi nelle spalle. Per fortuna Edvokin non sapeva che era giunto fin lì a piedi, la situazione era già abbastanza grottesca.
Edvokin si accarezzò ancora il mento, squadrandolo con attenzione. Si concesse qualche istante per pensare, poi batté le mani in un sorriso luminoso. «Ma è splendido!»
Gavriil sbatté le palpebre. «Lo è?»
«Iridescente, oserei dire. Eravate sincero nel dire che non l'avete fatto per corteggiarla?»
«Sì— No? Sì. Insomma, volevo solo... dirle grazie. È merito suo se questo dolce esiste, ho pensato che le avrebbe fatto piacere saperlo.»
«Oh, sono certo che sarà una notizia ben più che gradita, mia cugina ne sarà entusiasta. Sareste in grado di tornare già domani o vi occorre più tempo?»
«Io... Tornare?»
«È imprescindibile. Vedete, sebbene il candore delle vostre intenzioni sia encomiabile, altrettanto non si può dire del vostro tempismo: mia cugina è in visita alla sua più cara amica, dubito che tornerà prima del tramonto. Ma domani, oh, vi assicuro che domani sarà il vostro giorno fortunato. Farò in modo che sia libera per voi, organizzerò io l'incontro.»
Gavriil boccheggiò, stringendo la scatola per timore che gli scivolasse via dalle mani. «N-non serve che disturbiate Donzella Maritruska, io—»
«Mari» lo fermò Edvokin. «Se tenete alla vita, rivolgetevi a lei come Donzella Mari e cancellate il suo nome completo dai vostri ricordi. Lo detesta come il ferro odia l'acqua.»
«Oh, ehm... Certo.» Sorrise. Per qualche ragione, sembrava più appropriato. Aveva un suono più dolce, più... musicale. «C-comunque sia, non è necessario. È solo una torta, potete consegnargliela voi stesso— Un domestico, intendo dire. Non darei mai a voi un compito del genere, sia chiaro. In effetti vi ho rubato già troppo tempo, stavate uscendo, di certo avrete altro da fare.»
«Ah, è evidente che non mi conoscete ancora» disse Edvokin, ridendo. Il modo in cui agitava le mani mentre parlava era... bizzarro, eppure elegante. «Mi prodigo con incessante solerzia affinché le mie giornate siano prive di qualsivoglia improrogabile obbligo o impegno che dir si voglia, il giorno in cui avrò qualcosa da fare sarà quello in cui verrete a offrire una gemma al mio sepolcro. E voi offrirete il vostro dono a mia cugina personalmente, non mi perdonerebbe mai se sapesse che l'ho privata dell'opportunità di ringraziarvi a dovere.»
Il cuore di Gavriil prese a battere più forte. Era giunto lì tutto baldanzoso con l'idea di incontrarla, ma quello sembrava un incontro formale. Qualcosa di importante. Lui era solo un giovane cuoco con un dolce che forse Maritruska— Mari avrebbe gradito, lei era...
Zafferano. Figlia di un fiore pregiato, cresciuta nel caldo abbraccio del sole, una bellezza riservata a pochi. Era una fraganza sottile ma persistente, in grado di rendere unico ogni piatto, di lasciare un'impronta impossibile da replicare. Gavriil non poteva aspirare ad essere nulla più che un pezzo di pane, basilare in ogni senso possibile.
Abbassò lo sguardo, abbozzando un sorriso. «La torta potrebbe rovinarsi se aspettassi domani, perciò...»
«Ah, quello è ovvio. Era sottinteso che avreste dovuto prepararne un'altra, questa la dividerete con me. Sarebbe un peccato sprecarla, e possiedo giust'appunto un liquore che sono certo sia in grado di esaltarne il sapore. Vaniglia, avete detto?»
«Ehm, sì...» balbettò Gavriil.
Cos'era che lo rendeva così euforico? Aveva a malapena avuto il tempo di riconoscere che la brillante idea delle sue sorelle non era affatto brillante, che quell'uomo aveva ribaltato il risultato. Forse si stava prendendo gioco di lui in un modo che non aveva ancora capito. Forse le sue azioni erano assurde a un livello tale che lo assacondava per mero sarcasmo. Però il suo sorriso sembrava davvero entusiasta, e il tono era gioviale, allegro, e lo invogliava a fidarsi di lui.
«Aspettatemi qui. Vado a recuperare la bottiglia – non mi aggrada che i domestici frughino nella mia riserva personale – e possiamo andare.»
«Andare dove?»
«Al parco, a meno che non abbiate un suggerimento migliore. Oh, avete ragione: serviranno anche le stoviglie, per quelle posso incaricare un domestico.»
Gavriil strabuzzò gli occhi. Edvokin parlava di tutto come se fosse ovvio, ma più dettagli aggiungeva e meno riusciva a seguirlo. Quelle continue domande e i tentennamenti dovevano farlo apparire come un idiota, ma ingoiò il boccone della vergogna e drizzò le spalle. «Scusate, coloratissimo Donzel Edvokin... Di che state parlando?»
«Colori, non l'ho detto? Dev'essermi sfuggito via dalla mente» disse Edvokin, liberando uno soffio divertito. «Ho intenzione di gustare una fetta di torta al parco, accompagnata dal liquore di cui vi parlavo, e voi mi accompagnerete. Ho sentito dire che nel terzo anello prediligete gli approcci diretti, sicché mi sono permesso di invitarvi nella mia mente e di accettare al posto vostro. Vi aggrada?»
«Io... Credo di sì?»
«Splendido! Dunque aspettatemi qui e tutto ciò che ho detto in precedenza, sarebbe superfluo ripeterle.»
Un altro cenno della mano e Edvokin svanì dietro la porta d'ingresso, lasciando Gavriil a boccheggiare in giardino. Aveva sentito dire che possedesse una personalità eccentrica, ma non si sarebbe aspettato di restare così spesso senza parole. Quale uomo del settimo anello invitava a bere e mangiare qualcuno che non era neppure un Donzel? Quelli come lui avrebbe dovuto ignorarlo nella migliore delle ipotesi, lui sembrava entusiasta di presentarlo a sua cugina, come se ci fosse davvero la possibilità di un incontro alla pari.
Sarebbe successo sul serio? Sarebbe andato al parco con Edvokin Metsiz? Avrebbe avuto modo di conoscere Mari? Di ringraziarla, farle i complimenti per la sua musica, parlare con lei? Gli girava la testa. Le gambe erano così deboli che le ginocchia sembravano sul punto di cedere, e aveva voglia di darsela a gambe ma non lo fece. Per le sette sfumature! Non sapeva che dire o che fare, ma Beyled aveva voluto concedergli quel miracolo e non si sarebbe tirato indietro. Sarebbe andato al parco con Edvokin, avrebbe incontrato Mari... e avrebbe portato dei doni per Kirilla e Silivja, perché la loro idea più folle e sconclusionata era stata anche la migliore.
Un grazie a Trachemys che mi ha suggerito il POV di Gavriil per questa entry ♥ Avevo già in mente di scrivere questa scena con Edvokin, che fa da prequel a quella con il POV di Mari, e quale occasione migliore? :3
Gavriil è davvero un tesorino, si è visto davvero poco nei vari scritti però lo adoro! Spero possa piacere anche a voi~
La prossima entry è l'ultima, siamo davvero agli sgoccioli! Non ho ancora deciso che POV usare ma vedrò di sbrigarmi, questo Writober è già durato fin troppo XD
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