I. L'ho sentito, il loro Fruscio
Ho la sensazione che qualcosa mi fissi.
Da giorni, quando torno a casa, sento gli occhi di qualcuno - o qualcosa -, addosso, agghiaccianti e penetranti, come se desiderassero attaccarmi, prendermi dalle caviglie e portarmi sotto terra, fino a non respirare.
Immagino un non morto che esce da lì per me, per quello specifico motivo.
La paranoia si è sviluppata in maniera graduale, ovviamente, non sono mai stato influenzabile e di rado ho manie di persecuzione. Dico "di rado" perché a volte capita di sentirsi osservati. Capita di sentirsi seguiti, spiati, scoperti e prede di un predatore sconosciuto. Una paura irrazionale e psicologica, è chiaro; frutto di percezioni alterate, di luci dagli strani colori, di condizionamenti esterni e incontrollati. Ma pur sempre qualcosa che può essere riconosciuta, e affrontata.
Esattamente quattro giorni fa, mentre tornavo a casa da lavoro, un brivido fulmineo mi aveva percorso la schiena fino alla nuca, e mi ero fermato per un attimo davanti la porta, senza voltarmi, come in attesa di riprendere possesso del mio corpo. Avevo visto con la coda dell'occhio, ma lucidamente, muoversi un mucchio di foglie sulla strada, cadute da alberi circostanti e accumulatesi nel tempo.
Però non c'era un filo di vento.
Ero stanco e ormai fa buio prima con l'autunno in arrivo, quindi ho pensato, rientrando a casa, che fosse stata solo una mia impressione. Eppure, la mattina dopo, era capitato di nuovo: chiudendomi la porta alle spalle avevo visto di sfuggita lo stesso identico movimento, ma nessuno che potesse provocarlo. Solo un rumore, leggero, alimentava la minuscola paura che si stava annidando dentro la mia mente; un suono difficile da decifrare, che avevo deciso di ignorare fino a quando non l'avessi riconosciuto. Fu due giorni fa il momento in cui ho capito che la situazione mi stava sfuggendo di mano. Non riuscivo a passare dalla stradina che portava al mio portone senza temere di essere attaccato. Anche di giorno avevo il terrore che un'orribile entità mi stesse osservando per tendermi un'imboscata nell'istante più opportuno, e razionalmente parlando pensavo ogni secondo di stare impazzendo, perché non vedevo nulla. Non riuscivo a comprendere quella mia immotivata paranoia che mi faceva camminare con lentezza e sospetto; non riuscivo a comprendere perché mi sentissi studiato da un qualche tipo di lupo solitario in cerca di cibo; non riuscivo ad accettare di essere condizionato solo ed esclusivamente da me stesso. Così, due giorni fa, avevo chiesto a un amico di passare una serata insieme, bere qualcosa e rilassarci. Lui ovviamente era tranquillo e continuava a ripetermi che fossi solo un po' paranoico, ma la sua voce non riusciva comunque a sovrastare quella del fruscio sempre più intenso che sentivo.
Una bambina con una bicicletta stava passando suonando il campanellino, e io avevo urlato.
Terrorizzato.
Ero corso dentro casa, come se un'ombra mi avesse inseguito per inghiottirmi. Non avevo nemmeno aspettato il mio amico per chiudere la porta: l'avevo chiusa e basta.
Non ho mai avuto fobia di qualcosa. Da piccolo non mi piacevano gli animali, perché i cani mi ringhiavano sempre e una volta un cavallo mi aveva calciato da dietro facendomi cadere prematuramente due denti da latte; ma una vera e propria paura non l'avevo mai sperimentata. Riuscivo sempre a risolvere da solo un pensiero negativo su qualcosa, spiegandomi con la logica perché mi sembrava negativo. Ero forse fin troppo rigido nei miei ragionamenti, ma funzionavano e mi facevano vivere con serenità. In questi giorni però è sparita, quella serenità.
Totalmente.
Il mio amico bussava alla porta e il mio respiro era sempre più rapido, il petto mi stava esplodendo. Una volta riacquisito un minimo di lucidità, avevo aperto e lo avevo abbracciato come un bambino.
La serata era poi proseguita senza intoppi, la distrazione funzionava e soprattutto ero dentro casa mia, lì non sarebbe entrato nessuno. Ancora lo credevo. Mi cullavo del fatto che quella fosse una zona sicura.
Ma adesso no.
Adesso sono le cinque di mattina. C'è ancora un po' di buio, ma si distinguono bene i contorni delle case, dei pali della luce, si vede la strada e c'è una certa umidità nell'aria. Io sto tremando. Sento il sangue gelare ogni minuto di più, le unghie delle mie mani sono violacee, sudo freddo. Sono stato tutta la notte fuori. Non voglio rientrare a casa, non voglio neanche avvicinarmi alla mia porta, i cespugli al lato del sentiero che mi ci porta continuano a muoversi e creare un rumore fastidioso e deleterio. Per la mia mente. Stringo le mani in due pugni, senza accorgermene, per distogliermi dal pensiero che sia giunta l'ora. Il quinto giorno della mia paranoia, forse, morirò. Allora cerco le chiavi nello zaino, le cerco disperato, le cerco in ogni tasca, le cerco come l'aria che mi manca, mi graffio un dito con la cerniera e poi le trovo. Chiudo la zip e poi provo a chiudere me stesso nel giubbotto che indosso, anche se inizio a sentire un improvviso calore provenire dallo stomaco, la sensazione di voler vomitare seduta stante, il rumore della cerniera si unisce al fruscio delle piccole foglie delle aiuole, vorrei tapparmi le orecchie e chiudere gli occhi ma mi fanno male le braccia, così mi fermo.
Sono solo.
Sono solo, sono solo, sono solo. Sono. Solo.
Sono completamente solo.
Me ne devo convincere, devo ripetermi che sono solo, che non c'è nessuno, che non c'è mai stato in realtà qualcuno fuori da casa mia a osservarmi, a studiare i miei movimenti, i miei orari, le mie abitudini, i miei passi.
Sono solo. E mi muovo.
Il cielo sta iniziando a schiarirsi, ma ancora non c'è una luce vera e propria, non c'è un raggio di sole, solo io. Sono, ancora, solo io. Metto un piede avanti, questa volta c'è un soffio di vento che mi sfiora il collo come fosse una piuma leggiadra e letale; mi fermo di nuovo.
Le ho viste.
Le foglie che si muovono.
L'ho sentito, il loro fruscio.
Cazzo. Sono finito, altro che solo. Cesserò di vivere da pazzo paranoico senza capire cosa mi è successo per arrivare fino a questo punto. Smetterò di respirare veramente, non perché il mio cervello non sa controllare il mio corpo, finirò sotto terra davvero, non perché qualcuno mi ci ha trascinato. Non voglio pensare sia una punizione. Razionalmente parlando, non esiste qualcosa che fa paura se non si può vedere, giusto? La morte non mi fa paura, e nemmeno le anime tormentate. Una è certa, incontrollabile, le altre sono solo dicerie. Io non ho paura di niente, da sempre, sono stato bravo a controllarmi. Ho allenato la mente a essere logica, corretta, quasi matematica nel calcolare i pericoli attorno a me. Perché questa volta non ne vedo, eppure mi sento finito? Cosa è questa sensazione di terrore che prova il mio fisico, la mia mente?
Sto camminando, ma non sono io a farlo. Sto camminando, ma non so come riesco a farlo. Le mie gambe tremano, le mie braccia tremano, le mie labbra tremano, il mio petto trema, bollente, forse potrebbe bruciare.
Ma arrivato alla porta, sento un miagolio. È basso, soave, quasi trasparente. La mia testa si gira, perché continuo a non controllarmi, ma la mia testa si muove e i miei occhi scendono fino alla sagoma di un gatto arancione che mi fissa.
Ho la sensazione che qualcosa mi fissi.
«Sei tu che mi guardi?»
Mi abbasso e porgo il palmo della mano. Quando viene verso di me, uscendo dal cespuglio dietro il quale si nascondeva, fa muovere le foglioline in maniera delicata. Un lieve fruscio che mi avvolge, mi entra tra le membra. Finalmente mi rilasso e sento di nuovo riappropriarmi dei miei movimenti.
«Sei una gattina.»
Parlo con lei, ora che la vedo meglio ha tre colori. La base arancione, le orecchie bianche e una macchia più scura sulla schiena. Mi fa le fusa, si struscia sulla mia gamba per chiedere ancora più coccole, poi mentre miagola si allontana, ma mi aspetta, non sparisce subito. Quando faccio per seguirla, lei scappa via e la seguo.
Giro l'angolo dove l'ho vista andare, e mi accorgo di altri tre gattini più piccoli, tutti dalle strisce scure e la base come la madre.
Miagolano verso di me. Non penso più a ciò che mi terrorizzava. Forse sono solo stato stanco per cinque giorni di fila. Forse avevo bisogno di risvegliarmi dalla mia stessa mente. Non ho idea di cosa mi abbia condizionato.
Prendo tutti e quattro i gatti, li porto dentro casa.
Così, almeno, non sarò più solo.
Parole: 1416.
// Buonasera, eccomi qui col primo testo del Writober.
Avevo un po' di idee sul tema "Fruscio", principalmente belle e carine, però poi parlando con le mie coinquiline di generi che a loro piacevano è uscito fuori il discorso thriller e mi sono detta: "perché no?". Io non lo so scrivere, non l'ho mai scritto seriamente ma in realtà mi piace e volevo provarci.
Non sono soddisfatta al cento percento, a dire la verità, non so se a un certo punto la suspense si è spenta o è risultata corretta, però non me ne frega molto, sono soddisfatta comunque di aver scritto così tanto perché non lo faccio da un botto. E alla fine mi diverte.
Daje tutta a me e a voi che leggete e state provando la stessa sfida, o qualsiasi cosa stiate provando. A domani <3
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