4. Tesi, Ipotesi, Dimostrazione
La sensazione che gli dava tenere quel filo sottile ma resistente tra le dita era impagabile. Non riusciva a descrivere quanta soddisfazione gli desse ripulirlo ogni giorno dopo uno dei suoi soliti lavori; la sera, nel silenzio del suo piccolo ma accogliente appartamento in centro città, si rifugiava in bagno e ripassava una pezza bagnata per tutta la lunghezza del filo, strumento fondamentale per guadagnarsi da vivere tutti i giorni. Comunque, non si trattava solo di sopravvivenza; non era un lavoro che aveva scelto di fare perché unica possibilità di avere uno stipendio variabile ma fisso, lui l'aveva creato e portato avanti fino a farlo diventare un business vero e proprio. La gente lo chiamava perché sapeva della sua estrema bravura, faceva di tutto per recuperare il suo numero e contattarlo, cosa praticamente impossibile, perché nessuno ce l'aveva mai fatta. Era sempre lui a chiamare i propri clienti; notava un interessamento, un movente che li spingeva ad assumerlo, e allora era lui che decideva se meritavano o no i suoi servizi.
Si godeva il proprio lavoro, doveva per primo lui provare piacere a soddisfare qualcuno, e poi trarne il guadagno che si meritava. Non poteva desiderare vita migliore; passare le sere a ripulire il filo dell'appagamento, in bagno, come un rito, una tradizione indistruttibile e necessaria, per poi usarlo la mattina o il pomeriggio successivi e ritornare allo stesso punto del giorno precedente. Il suo appartamento si trovava nel centro di una delle più grandi città del suo paese, eppure c'erano così tanti palazzi, condomini e grattacieli che la vita di una persona si perdeva tra quelle di tanti altri come lei. Tutti erano parte di un sistema ben più grande a cui non importava nulla dell'individualità, ma dello scorrere inesorabile ed egoista dell'economia e degli affari, fino alla fine dell'esistenza della gente che contribuiva a farli andare avanti.
La sensazione che gli forniva quel filo era impagabile. Nessuno avrebbe potuto equipararla. Quella domenica era da solo, e non aveva ricevuto alcun particolare incarico. Stava riflettendo su come migliorare la propria tecnica, ma non poteva farlo soltanto immaginandolo o creando teorie astratte e prive di prove concrete. Aveva bisogno di mettere in pratica ciò che pensava e, per farlo, doveva sacrificare quel briciolo di umanità che gli rimaneva. È vero, faceva tutto per passione; eppure non era mai fuggito dal dovere, era rimasto relegato a quello senza sforare o passare oltre la linea che lo avrebbe fatto perdere per sempre. Doveva sacrificarsi per appagare sé stesso, o non sarebbe sopravvissuto un giorno di più. Era quello il punto di non ritorno? Era arrivato al limite, allora, doveva accettare di non poter resistere più senza continuare come aveva sempre fatto? Accettarlo sembrava la scelta più semplice, e anche la più giusta per sé. Non riusciva più ad andare avanti solo obbedendo ai desideri di altre persone. Doveva in qualche modo preservare il proprio stesso bene.
Così uscì il pomeriggio, sotto il sole cocente di un ottobre folle e soffocante; camminò tenendo il filo avvolto con la mano dentro la tasca della sua giacca grigia, verso una casa in periferia che non visitava da anni. Era il luogo giusto dove mettere alla prova la sua tecnica. Camminò circa un'ora e mezza senza fermarsi, mentre il sudore iniziava a colare dalla fronte agli occhi e gli bruciava la vista; con la mano libera se lo asciugò, maledicendo quel giorno di afa assurdo. Quando arrivò davanti alla piccola casa sul fiume che esisteva da sola senza pretendere nulla da nessuno, esitò qualche secondo prima di bussare.
Ma sì, ormai doveva continuare.
Era arrivato fin lì, non poteva più tirarsi indietro.
Poche ore dopo, in bagno, era tornato a pulire il proprio filo, con un sorriso soddisfatto in volto. In testa sentiva le urla della donna che aveva appena sgozzato, miste a un suono dolce di pianoforte; vedeva il volto contrarsi in una smorfia di disperazione, le braccia dimenarsi nell'aria senza il minimo raziocinio. D'altronde lui le stava dietro, perché le agitava in avanti? Forse riflesso involontario di una pianista morente?
Udì il suono del filo che pian piano s'infilzava nella carne del collo della donna, e la sua voce farsi più sottile, spaventata, paralizzata. Si era abbandonata alla realtà, all'omicidio di cui era vittima, ascoltando Chopin come sottofondo rassicurante del proprio epilogo; e mentre lei si rassegnava a quella orrenda fine, lui strinse ancora di più il filo, tenendolo da una parte con l'indice e il pollice, stretto e teso, mentre dall'altra facendogli fare uno strano giro tra l'anulare e il medio, controllandone la direzione. Non aveva mai usato quelle dita: erano deboli e imprecise. Ma poteva permettersi di provarlo con la donna che lo aveva amato di più della sua stessa vita. La sentì abbandonarsi su di lui, senza forze, mentre il sangue cominciava a scorrere sulla superficie del filo sottile. Il collo era avvolto da una linea incalcata e scarlatta. Con un unico colpo secco, le concesse l'ultimo respiro, in un abbraccio letale e spaventoso.
Dentro il bagno, l'uomo ripuliva con una pezza bagnata il filo sporco di sangue, seguendo il solito rito silenzioso e sicuro.
Lo guardò, accennando un sorriso.
«Ecco... il sangue del mio sangue.»
Ma ne era stato davvero appagato?
Parole: 866.
// mi sono rilassata molto scrivendo questa One Shot, lo ammetto. Volevo cimentarmi nella descrizione minuziosa di qualcosa di... crudele, in qualche modo. Spero non mi prendiate per pazza psicopatica; lo sapete che amo giocare con la scrittura, soprattutto in occasioni del genere, dove con un solo prompt si dovrebbe pensare a una storia, a dei personaggi, alla loro psicologia. Mi piace sperimentare, tutto qua. Pian piano riuscirò a fare di meglio, magari. Intanto vi beccate questa storia un po' macabra. Buonanotte \\
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top