15. Lo "Smatto" del Castello

Gli piaceva tanto la casa del nonno, perché poteva divertirsi a giocare con ogni cosa senza che qualcuno la disturbasse minimamente. Soprattutto amava far finta di lavorare in un castello come una guardia reale, pronta a difendere il principe o la principessa che vivevano lì, e girare come se fosse alla ricerca di ladri da sconfiggere e catturare, per poi portarli come premio al re e alla regina. Il nonno le aveva regalato una spada di legno, costruita proprio da lui stesso, e non se ne separava mai, a maggior ragione se si trovava in quella villa enorme di periferia; l'oggetto era massiccio e pesante rispetto ai giocattoli che si potevano comprare nei negozi per bambini, ma simulava perfettamente una vera arma da battaglia del medioevo e il colore scuro e un po' antico la faceva impazzire.

Non le era mai importato di non avere tanti amici o rimanere sola per due mesi ogni anno per via degli impegni dei genitori in quel periodo, perché sapeva che l'avrebbero aspettata mille e una avventura in quel castello; combattimenti contro busti di gomma sparsi per la casa, cene lussuose a cui far da guerriera protettrice, pedinamenti segreti e premi da parte dei reali a cui ambiva fin dall'inizio. Possedeva così tanta fantasia che aveva circa una cinquantina di amici immaginari con cui ogni giorno discuteva, chiacchierava, si allenava con la propria arma o combatteva; ognuno di essi possedeva un nome originale, come la principessa che chiamava "Marbù" o il cuoco di corte che era conosciuto da tutti come lo "Smatto del Castello" - già, non matto, proprio "Smatto".

Inoltre, settembre e ottobre erano i mesi che rendevano il tutto più suggestivo, per lei; quei colori così saturi della campagna intorno alla villa in cui risaltavano il marrone e l'arancione delle foglie secche autunnali che lente cadevano dalle chiome degli alberi, il profumo dell'erba bagnata dalla pioggia o dai temporali, che nonostante tutto non riuscivano a smuovere nemmeno un ramo dalle querce che conosceva da una vita e che si trovavano lì da chissà quante decine di anni; tutto intorno a sé la affascinava e meravigliava come fosse sempre una vista nuova, una nuova scoperta, e stare dentro la casa immensa del nonno la faceva sentire oltre che al sicuro e coccolata, anche molto ispirata. Tutte le storie che inventava avevano un inizio ma non finivano realmente mai; non riusciva a rendersi conto del tempo che passava, nonostante fossero due mesi, e concludeva tutto in fretta prima di andare via, in città con i genitori, senza dare un vero e proprio "vissero felici e contenti" a quei personaggi un po' strambi che gestiva tutta da sola. Quando poi l'anno dopo tornava, era cambiata un po' e con lei anche il modo di giocare. A sette anni le piaceva creare delle storie attorno al principe e alla principessa, li voleva aiutare a comportarsi bene come dei bravi reali; due anni dopo pensava già alle guerre di cui era protagonista, immaginandosi a guidare con coraggio il suo gruppo di soldati del re con la sua lucente spada da Primo Cavaliere. Adesso che ne aveva undici adorava unire tutto ciò che le piaceva di più, e ricordava anche meglio a che punto avesse lasciato la sua creazione l'anno precedente senza perdere la voglia di continuarla. Così, finalmente sola con la propria spada e la mente pronta a inventare qualsiasi cosa, era arrivato il suo momento preferito.

L'ispezione del castello.

Il primo personaggio che incontrò fu anche il suo preferito: era il compagno di avventure, colui con cui condivideva tutto, battendosi schiena contro schiena per non essere mai sconfitti; non erano di sicuro amabili l'uno con l'altra, anzi sembrava che lui la innervosisse spesso con le sue azioni; eppure, quando c'era bisogno, erano lì per difendersi e proteggere l'altro compagno, che sia affrontando un tradimento o una guerra sanguinosa.

«Oh, Papaci, sempre a battere la fiacca tu, eh?» esordì la bambina con tono da generale, camminando con la spada dentro al fodero creato da lei stessa e legato con una cinta attorno alla vita, la mano sull'impugnatura pronta all'azione.

«Ma se sono di guardia!» si sentì rispondere dal collega, fermo immobile davanti la porta della stanza del principino.

«Invece di giustificarti, dimmi dove si trova Marbù!» gli ordinò imperterrita.

Dopo aver ricevuto, un po' controvoglia, la posizione della principessa, si diresse proprio nell'ala del castello più popolata: lì si aggiravano servitori, camerieri, dame di corte e qualche gente del popolo che veniva per fare le proprie richieste al sovrano; mentre camminava, osservava attenta i movimenti di quelle persone, in cerca di inganni e sotterfugi di cui occuparsi. Stranamente, sembrava tutto tranquillo. Niente ladri, furbetti o assalitori improvvisi: ogni cosa era come doveva essere, e lei ne sembrava contenta. Finalmente dopo tanti anni aveva fatto in modo che il castello raggiungesse la pace che desiderava e non le dispiaceva più di tanto non combattere, per una volta, appena tornata dalla sua vita cittadina. Quando arrivò davanti alla stanza di Marbù, esitò qualche istante prima di bussare e andare a salutare; dietro di lei, appoggiata al muro e sorretta da un bastone di metallo argentato, c'era l'armatura che più l'attirava della villa del nonno. Fin dai suoi primi anni d'età, il luccichio di quella sotto i raggi del sole la ammaliavano come fosse un incantesimo; nonostante ora avesse undici anni, era comunque più alta e grossa di lei, almeno il doppio. Sembrava crescere di anno in anno, o forse si trattava di un gioco ottico, la posizione che aveva d'altronde era paragonata a piccoli oggetti e bassi mobili che rendevano quella figura maestosa e fiera.

In tutte le sue storie, quell'armatura risplendeva sempre, non mancava nemmeno una volta. Era al centro di scontri all'ultimo respiro in quel corridoio largo con un lungo tappeto verde decorato con figure geometriche rosse e gialle; si vedeva da fuori quando la notte era buia ma la luna luminosa, e la toccava fornendo un punto di riferimento per le guardie notturne. C'era sempre, e in qualche modo risultava un aiuto per ogni tipo di missione o pattugliamento speciale. Era come un portafortuna: se l'armatura era presente, allora tutto sarebbe andato per il verso giusto. E la presenza, anche dopo un anno, di quel cimelio del nonno tornava a rassicurarla di più. Questa volta non si trovava vicino alla sala da pranzo, ma fuori dalla stanza da letto della principessa. Bene.

«Principessa Marbù, sono Adele! Sono tornata dalle vacanze che mi avete concesso e sono di nuovo pronta a proteggere questo luogo per il bene della vostra famiglia!»

La principessa ormai doveva essere cresciuta; e quando aprì la porta, la sua bellezza colse di sorpresa Adele facendola esitare prima di parlare. Il vestito azzurro che le cadeva morbido lungo il corpo e i capelli rossi raccolti in due trecce attorcigliate dietro la nuca – ormai Adele sapeva che quella fosse la sua acconciatura preferita – la rendevano elegante, esprimeva la grazia che le si addiceva e che crescendo aveva coltivato insieme alla bambina che le aveva dato un nome. Nonostante Adele non amasse gonne, pizzi o colori pastello chiari, impazziva di gioia quando stava con Marbù e la aiutava a scegliere i vestiti, o provavano insieme a ballare per le danze di corte che si tenevano ogni quindici di ottobre.

«Adele, che bello rivederti. Spero tu stia bene.»

«C-certo, principessa! Sempre un onore vedervi così incantevole...»

Marbù le sorrise dolce, dopodiché non appena finirono di scambiarsi qualche parola di circostanza, tornarono alle loro posizioni. Ogni anno che passava, Adele si rendeva conto di quanto le piacesse incontrare la principessa e sentire cosa aveva fatto quando non c'era. Era ben consapevole che fossero solo fantasie, eppure tutto si basava su quella, e per il resto dei mesi non faceva che pensare a cos'altro avrebbe scoperto di sé o degli altri durante il soggiorno dal nonno.

Rimase di nuovo a fissare l'armatura.
"Perché ti trovi qui?" pensò fra sé, mentre stringeva l'impugnatura della spada e assumeva un'espressione un po' contorta e perplessa. Forse il nonno le faceva prendere un'aria diversa rispetto al solito. Eppure Adele non ricordava di averla mai vista in questa parte del castello; essendo quella più abitata, c'era il pericolo che la urtassero. In ogni caso la giornata passò tranquilla; Papaci la raggiunse durante il pranzo e Adele lo rimproverò come al solito, urlandogli addosso perché non l'aveva visto faticare abbastanza; poi, arrivata la sera, Adele andò a trovare il suo cuoco preferito. Lo faceva ogni volta per assaggiare in anticipo le prelibatezze che il giorno dopo le avrebbe presentato, perché lui arrivava sempre dopo il primo pranzo di Adele quindi le cucinava qualcosa di speciale il pranzo successivo.

«Smatto!»

Il cuoco le sorrise caloroso e Adele gli saltò addosso.

«Ehi, ehi, signora guardia, mi sta facendo cader-»

Un tonfo pesante si sentì per tutto il piano terra: erano caduti entrambi a terra e ora stavano ridendo come matti guardandosi divertiti.

«Quest'anno è davvero cresciuta. Si vede proprio che diventa sempre più forte.»

Lo chiamavano Smatto perché era forse il più tranquillo fra tutti, ma in qualche modo sembrava sempre stesse per combinare un casino. Non era matto, per niente, e non si sbilanciava mai per nessun motivo. Ma quando era insieme ad Adele, riusciva a lasciarsi andare un po' di più; comunque, di solito, rimaneva molto fermo sulle proprie posizioni. Ci teneva a essere preso sul serio. Anche in quel caso dopo una chiacchierata veloce, lo Smatto del Castello fece assaggiare alla signora guardia il piatto del giorno dopo, poi si salutarono e Adele continuò la sua prima ronda notturna con Papaci.

«Hai visto che la posizione dell'armatura è cambiata? Chissà perché,» si chiese l'amico all'improvviso nel silenzio del castello.

Adele ci rimuginava da tutta la giornata, ma aveva poco senso chiedersi una cosa del genere, dato che non c'era mai stato un criterio secondo il quale la posizione dell'armatura fosse cambiata o no. Eppure il proprio istinto le consigliava di andare a controllare, che forse quella notte stava per capitare qualcosa. E non appena arrivarono nel corridoio dell'ala della principessa, un vuoto buio e polveroso nel punto dell'armatura allarmò i due compagni in un attimo. Allora era così, qualcosa stava per accadere! Però... questa volta il loro portafortuna era scomparso.

«Attenzione.» sussurrò Papaci.

«Vado a controllare che la principessa stia bene.» gli rispose Adele, correndo con passo silenzioso verso la stanza di Marbù.

Proprio quando stava per aprire la porta, qualcuno la tirò dalla maglietta, indietro, facendola cadere.

«Ah!!» urlò, girandosi svelta verso l'assalitore.

Si stupì quando si ritrovò davanti la luccicante armatura scomparsa; non si scompose troppo perché sapeva che dentro ci fosse qualcuno. Le armature non potevano mica avere vita propria!

«Palesati, assassino!» gridò Papaci puntandogli la propria lama.

Adele si rialzò agile e si posizionò davanti la porta della principessa, «non ti farò entrare!»

Quando la persona dentro l'armatura le rispose, un brivido lungo la schiena la percorse rapido e gelido.

«Non è la principessa che mi interessa.»

Non è possibile, si disse, non può essere...

«Questo è il momento che attendevo da anni! La resa dei conti! La mia vendetta!»

«Ma tu...»

«Sì, sono io. Colui che tutti chiamano lo "Smatto" del Castello, che fa tanto ridere senza però compiere alcuna azione tanto spiritosa. A cui nessuno riconosce il talento culinario, ma solo la goffaggine che provo con fatica a mascherare!»

Ma sì, doveva aspettarselo! Era un cuoco poco rumoroso, sempre sulle sue, ma a volte dal suo sguardo traspariva quel velo di invidia che lo rendeva un po' strano e distante da Adele; l'aveva sempre sottovalutato perché lo conosceva come il cuoco di corte, non poteva sospettare certo che fosse un combattente! Eppure ormai quella era la verità, e avrebbe dovuto affrontarlo come aveva sempre fatto con le difficoltà presentatele negli anni.
Era diventata brava a maneggiare la propria spada; per il primo minuto lo scontro fu molto equilibrato, lo Smatto attaccava ma non era violento né sembrava volesse rischiare di farle troppi danni. Lo contrastò con facilità. Poi, passato quel primo minuto, la sfida si fece complicata; gli affondi diventavano più potenti, le mosse agili e inaspettate, e nemmeno tutta l'esperienza di Adele riuscì a farla risaltare nel duello.
Si ritrovò presto, senza nemmeno rendersene conto, con le spalle al muro e il fiatone, la spada stretta fra le mani in avanti, puntata all'armatura su cui aveva da sempre fatto affidamento. Era forse quella la sua fine? I suoi sforzi si sarebbero rivelati vani?
Dopo tutto il duro lavoro, stava per abbandonare il castello tanto amato, con i grandi corridoi colorati dai tappeti sul pavimento e antiche credenze contenenti oggetti di epoche passate e future.

Abbassò pian piano la spada, finché un urlo improvviso non la risvegliò dalla sua resa.

«No, Adele! Non puoi arrenderti!»

Era femminile, delicata come una carezza, ma allo stesso tempo di un'incredibile forza, innata, infermabile e decisiva.

Marbù si lanciò con tutto il corpo sullo Smatto, o meglio, sull'armatura; insieme finirono per terra e a quel punto Papaci riuscì a intromettersi e bloccare il cuoco, allontanando anche dal pericolo la principessa. Fu tutto talmente veloce che non c'era stata alcuna reazione dall'avversario, se non un po' di contrasto al tocco che lo aveva immobilizzato.
Adele fissò Marbù stordita, maledicendo un po' se stessa per aver fatto fare a una principessa tanto aggraziata una cosa tanto violenta. Però quando la principessa ricambiò il suo sguardo con un sorriso, tutta la tensione sparì d'un colpo.
Sembrava che avesse portato con sé e rilasciato nell'aria, oltre la vittoria, anche la pace che da anni Adele cercava di mantenere. Intorno a loro il pulviscolo del corridoio si intravedeva grazie ai raggi lunari che vi entravano dalle enormi finestre; un silenzio disteso avvolse tutti i personaggi della mente dell'undicenne in un abbraccio riparato e sereno, mentre Marbù si avvicinava lentamente ad Adele.

«Visto cosa ho fatto? E pensare che non sono per niente atletica!»

Adele era sempre più paralizzata; la spada le cadde dalle mani e fece un gran rumore data la sua pesantezza. Le venne improvvisamente da piangere, e quando scoppiò in lacrime Marbù ridacchiò e la consolò dandole delle piccole pacche sulla testa.

«Su, non c'è bisogno di disperarsi tanto! Per una volta che sono io a proteggerti, e non vengo protetta io da te,» continuò con un sorriso stampato in viso, «dovresti essere fiera».

Adesso, ancor più della mattina, Adele ne coglieva l'estrema bellezza e fierezza che la caratterizzavano; e non fece a meno di paragonarla alla stessa meraviglia che le dava fissare l'armatura che l'aveva protetta sempre, anche solo stando ferma. Si fece consolare un altro po' sfogando con il pianto la paura che aveva provato combattendo contro lo Smatto; la mano cortese della principessa la rassicurava e sentirla sul proprio capo come quella di un'amica che si prendeva cura di lei la faceva stare bene.
Fra sé e sé pensò: "forse è sempre stata lei la mia armatura per tutto il tempo. A proteggermi con il suo pensiero premuroso ogni notte e giorno passati in questo castello immenso. Meravigliosa e splendente come quella che ho sempre creduto fosse il mio portafortuna".

Dopo quell'esperienza, poté finalmente andare a riposarsi nel suo comodo letto poco distante dalla stanza della principessa.

Certa che, il giorno dopo, e quello dopo ancora, avrebbe affrontato ogni nemico più potente senza timore. Perché l'armatura di cui aveva bisogno era dentro di sé, e anche accanto a sé, e diventava ogni anno più bella e luminosa che mai.


Parole: 2535.


// Ed eccoci qua.
Mi sono divertita molto scrivendo questa OS, me la sono proprio goduta e ci ho messo tutta la leggerezza del mondo per renderla dolce e pura come le favole per i bambini. Mi sono un po' rivista in Adele e forse è perché c'è più me in questa OneShot che in tutte le altre di questo Writober. Volevo scrivere qualcosa di lontano dalla realtà, non per forza perfetto ma rassicurante proprio come la carezza di Marbù sulla testa della piccola protagonista. Spero ne abbiate colto l'intento o anche solo la delicatezza che volevo rappresentare. O minimo, che vi sia semplicemente piaciuto leggere questa fantasiosa storia che racconta di una bambina a cui piace raccontarsi avventure, fallimenti, ma soprattutto successi e felicità. \\

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top