13. Incontrollabile Fame
Dopo la prima volta non si erano più visti. Era stato come un patto silenzioso e implicito; quella giornata sarebbe stata l'ultima, dopo non si sarebbero dovuti pensare, e scrivere, e incontrare mai più. Così erano passate settimane, mentre i giorni continuavano a scorrere inesorabili e tiranni, lasciando privi di tregua chiunque li vivesse; entrambi si erano dimenticati, o forse avevano solo deciso di credere alla favola che si raccontavano di ora in ora. Ciò che avevano vissuto non era mai capitato; ciò che era capitato non era mai esistito e nessuno avrebbe mai potuto riacquisire la memoria di quei momenti insieme perché l'avevano detto, se l'erano promesso.
Dopo la prima volta, non si dovevano più vedere.
Per qualche mese fu così; evitarono i luoghi frequentati dall'altro, la gente conosciuta in comune, rimasero ognuno nella propria zona senza muoversi troppo più in là e vissero da soli, svolgendo il proprio lavoro come sempre. O quasi.
La verità è che dopo meno di un anno avevano bisogno di incontrarsi. Sentivano l'estrema necessità di guardarsi negli occhi, toccarsi le mani a vicenda, sentire la propria pelle toccare quella dell'altro; essere certi che a respirare fossero in due nonostante prendessero un solo respiro, unico, condiviso; fissarsi mentre l'istante in cui si rubavano il fiato avveniva repentino e furioso, e continuare così volta dopo volta, gesto dopo gesto. Pregavano all'inizio della giornata perché fosse quella che li avrebbe fatti rivedere; e pregavano alla fine, quando calava la notte, prima di mettersi a letto rimanendo a fissare il vuoto, affinché la successiva capitasse il loro personale miracolo.
Eppure per quale motivo, dopo la prima volta, avevano rinunciato ai respiri reciproci?
Se l'erano solo detto con lo sguardo, non avevano pronunciato alcuna parola a riguardo.
E con uno sguardo, avevano rotto la promessa tacita a cui si erano affidati; l'uno davanti all'altro finalmente, rimasero a fissarsi qualche istante prima di rendersi conto che erano fisicamente insieme.
«Cosa ci fai qua?»
«Non lo so.»
«Che vuoi dire?»
Il primo, dopo aver aperto la porta di casa propria al suono del campanello, era rimasto immobile sulla soglia senza superarla.
«Non voglio dire niente.»
Quest'ultimo fece un passo avanti, cercando di accorciare la distanza fra loro; manteneva alta l'attenzione su di lui, come sfidando il suo sguardo insicuro. Lo stava provocando ma quello non doveva essere il suo obiettivo; eppure, vederlo davanti a sé lo faceva comportare come non aveva mai fatto.
«Fermo, Leo.»
Mettendo le mani avanti, il proprietario di casa lo bloccò prima di potersi fare raggiungere, ma era stato troppo lento, perché quel gesto gli era costato tanto, tantissimo; toccare il petto di Leo con una mano gli aveva provocato sensazioni incontrollabili, il respiro era di colpo aumentato, senza potere fare nulla per evitarlo.
«Non ci riesco, Ruan.»
Leo proseguì oltre il braccio di Ruan, opponendosi un po' con la forza; dopodiché gli si arrestò a qualche centimetro dal suo corpo, mentre anche lui prendeva a respirare in maniera scomposta e imprecisa, avendolo così vicino. Il loro occhi si cercavano, era inevitabile; le loro mani, pian piano, si erano toccate rimanendo basse, come se non volessero osare troppo. E mentre trattenevano i propri fisici scossi, avevano iniziato anche a trattenere il fiato.
«Non capisco cosa ci faccia tu qui. Avevamo detto che...»
«Non avevamo detto un bel niente, in realtà,» lo interruppe prima cauto Leo, «e proprio per questo non sono riuscito a starti lontano.»
Concluse deciso, ma mantenendo il tono di voce basso, lì vicino a Ruan, osservandogli ora gli zigomi, ora la bocca, ora la mano che a vicenda si tenevano. E quando quel momento di silenzio tra una risposta e l'altra si fece troppo lungo, Leo lo spinse dentro casa facendolo indietreggiare e imprimendogli le proprie labbra sulle sue, abbandonandosi al fremito che sentiva, senza dargli modo di rispondere; si chiuse dietro la porta, per poi continuare a spingerlo e trovare finalmente un muro che potesse arrestare quell'attacco fisico e tanto passionale che non era stato in grado di controllare e che, a dirla tutta, non aveva voluto controllare fin dall'inizio.
Ruan gli rispose quasi costretto, ma aver perso il respiro di fronte a lui subito dopo averlo sfiorato non lo poteva ingannare più di quanto non facesse da sé: desiderava quel bacio impetuoso e travolgente come se fosse stata aria dopo ore di apnea, e ora che si sentiva autorizzato a lasciarsi andare non aveva intenzione di trattenersi.
Gli prese il collo della felpa spingendolo sul proprio corpo senza il minimo riguardo, mentre Leo cercava inutilmente di riprendere fiato; sì, Ruan gliela stava facendo pagare in quel modo. Non gli avrebbe permesso così facilmente di intromettersi nella propria vita fluttuante, avrebbe deciso lui quando fargli aprire la bocca per riprendere fiato; intanto, si godeva il tentativo irrefrenabile di Leo di controllare i suoi movimenti. Era stato proprio lui a presentarsi sulla sua soglia, a fare il primo passo, a imprimere le proprie labbra su quelle di Ruan, e invece ora si rivedeva controllato in questo modo intenso e impossibile da respingere dalla persona che lo stava per mandare via. Nessuno dei due sembrava mollare un colpo; quando finalmente Ruan concesse il respiro a Leo, quest'ultimo ne approfittò per prenderlo dai fianchi e attrarlo verso il suo stesso bacino.
«Le-»
In un attimo, Leo lo aveva privato come risposta della libertà di respirare, imitando la sua stessa furia; ma durò solo qualche secondo, il tempo di fargli comprendere che fosse lui a decidere come farlo muovere, e non il contrario, poi si allontanò di nuovo con il viso rimanendogli però sempre vicino, con i nasi che si sfioravano e i respiri che si incrociavano, l'uno nell'altro, caldi e famelici.
«Mi vuoi cacciare via, mh?»
Ruan lo guardò concitato, mentre ricercava nuovamente quelle labbra morbide e insaziabili che aveva assaporato qualche secondo prima; come avrebbe potuto dirgli di sì, farlo andare via, dopo ciò che provavano ogni volta che si divoravano a vicenda?
«S-se non ti sbrighi a fare ciò che devi, potrei,» si sforzò di sussurrargli, cercando il tono più convincente che potesse avere, anche se in realtà era suonata più come una richiesta supplichevole che come una grande minaccia.
Leo non se lo fece ripetere due volte; gli sfiorò lentamente i fianchi risalendo con le mani su di essi, gli avvolse il collo per poi lasciargli un ultimo bacio delicato, dopodiché riscese giù e infilando le dita sotto la maglietta, come una coccola appena accennata, gli alzò questa stessa per toglierla e lasciarlo con il torace scoperto; lo aveva fatto con un unico gesto, improvviso, per coglierlo di sorpresa subito dopo senza permettergli di guardarlo un momento.
Ruan gli avvolse un braccio intorno al collo per tenerlo più stretto a sé, mentre il loro bacio si andava facendo più potente ma allo stesso tempo non più abbastanza.
«Questi pantaloni ti stanno stretti,» mormorò Leo sulle sue labbra, quando gli sfiorò con una mano poco al di sotto della cintura che portava l'amante, «te ne dovresti liberare...»
Ruan tremò a quel tocco, fermandolo quasi di fretta dal polso. Non riusciva a levarsi dalla mente il modo in cui il proprio corpo reagiva a ogni sua azione anche solo minima, e come di conseguenza lo faceva rispondere; non era sé stesso, ma in qualche modo si sentiva pienamente consapevole di ogni proprio comportamento, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Lo voleva davvero fermare? No, per niente. Mai aveva tanto sperato che Leo lo toccasse ancora più voracemente di come aveva iniziato.
«C-cosa fai...?»
Gli strinse il polso e con forza lo spostò in modo tale da far invertire le loro posizioni; ora colui che si ritrovava bloccato contro il muro era Leo, non più Ruan.
«Controllo i tuoi stupidi impulsi con i miei.»
Così, rimase qualche attimo a fissarlo a pochi centimetri dal suo viso: gli occhi leggermente spalancati, la bocca socchiusa da cui usciva piano un filo di fiato, rimasuglio di quello che Ruan stesso sembrava avergli lasciato. Allora, finalmente, erano tornati a farne uno unico. Dopo tutto quel tempo si erano concessi la libertà di far coincidere i propri respiri, come se non ne fossero mai esistiti due; e così condividevano ossigeno, fremiti, gemiti e incertezze, di nuovo, ma senza la minima paura. Per ore rimasero insieme senza stancarsi mai l'uno dell'altro, continuando a scoprire ogni angolo dei loro corpi come fosse la prima volta. Assaggiandosi in maniera costante e sempre più dolce, cercavano di regolare ogni proprio gesto ai sospiri dell'altro, sentendosi nella maniera più profonda, disinibiti e sicuri di ciò che volevano ottenere o concedersi a vicenda.
Dopo la prima volta, non si dovevano più vedere.
Ma l'irresistibile attrazione che provavano e la meravigliosa sensazione di sentire il respiro di colui che amavano come fosse proprio non poteva tenerli separati, così se lo dissero, quella prima vera volta: che si sarebbero sempre concessi la seconda, la terza, la quarta, fino a non riuscire più a contare quanti momenti avevano vissuto insieme come una sola anima e un solo corpo, ricolmi entrambi di ossigeno l'uno per l'altro.
Proprio come la primavolta.
Parole: 1486.
// Indovinate chi c'è? Mee agaain. L'ho detto che ve l'avrei pubblicata questa. Sentite, non lo so, okay? Colpa delle mie dita sulla tastiera, non ero io a controllarle. Hanno fatto tutto loro, giuro. Per fortuna alla fine mi sono resa conto di dove volevano andare a parare e le ho fermate in tempo. Se volete potete ringraziarmi. Oppure no. \\
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