8. Teeth

Prese in braccio il gatto e si sistemò con lui sul divano. Gli carezzò il pelo morbido e folto e ripensò a quando lo aveva portato per la prima volta a casa.
Era una serata fresca di inizio giugno e stava tornando dopo una cena in compagnia. All'improvviso aveva notato delle macchie rossastre e ancora viscide sull'asfalto e una massa scura a bordo della strada. Era sceso dalla macchina e aveva cercato di rassicurare il piccolo micio spaventato e ferito. Gli aveva addentato le mani e aveva soffiato, incapace di fuggire per colpa della zampa rotta. Lo aveva raccolto nella giacca leggera con la maggior delicatezza possibile e a casa aveva preparato per lui un giaciglio in camera, con cibo e acqua a sua disposizione, insieme alla lettiera, anche se temeva che non avrebbe potuto usarla. Al mattino lo aveva portato dal veterinario, che aveva diagnosticato la frattura e ingessato la zampa del micetto. Aveva deciso di adottarlo: da quando Leone lo aveva lasciato si era sentito solo e quel gattino non aveva qualcuno che potesse occuparsi di lui.
Aveva continuato a morderlo per molto tempo, prima con aggressività, lasciandogli sottili cicatrici, poi con affetto. Era incredibile come un atto così bestiale potesse in realtà comunicare un "ti voglio bene". Non più la pressione atta a strappare la carne e lacerare le vene, ma un tenero graffietto per indicarti come preda dell'anima, come cibo fonte di affetto e premure.
Ora quelle zanne avevano incominciato ad indebolirsi, a cadere, il pelo si era iniziato a striare di bianco e gli occhi erano spesso appannati e distanti. Così non capitava più che gli afferrasse il braccio tra le mascelle per gioco, ma piuttosto che leccasse quei piccoli puntini bianchi sulla sua pelle, mentre le dita della mano libera elargivano i grattini sulla schiena che tanto adorava.

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