12. Slippery

Il sole attraversava le larghe chiome degli alberi in minuscole chiazze candide che facevano rilucere l'umido sottobosco. L'aria odorava di terriccio smosso e di erba bagnata. In una radura notò un ampio cerchio delle fate, le rosse teste dei funghi a punti chiari che spiccavano nel verde scuro del muschio. Al suo interno erano cresciuti rigogliose varie specie di fiori, che inondati di luce parevano scolpiti dalle gemme più preziose. Notò un movimento tra gli alberi e una lunga chioma rossa svanire dietro il tronco di un ampio pioppo. "C'è qualcuno? Non volevo disturbare." Fece finta di allontanarsi e osservò da lontano una dolce fanciulla avanzare lentamente dal suo nascondiglio. Vestita solo di fiori e con i lunghi boccoli di fiamma che le ricadevano lungo la pelle candida, avanzava in punta di piedi, leggiadra e silenziosa come una cerbiatta. E dell'animale aveva il dolce sguardo innocente, riflesso però nelle calme acque di un lago. Un brivido di piacere percorse la schiena dell'uomo, che si lasciò sfuggire un roco sospiro. La fanciulla sussultò e iniziò a correre, fluida nei movimenti come un ruscello di montagna, agile come una lepre. La inseguì, pesante e ansimante come un cane da caccia, ululandole di fermarsi. Imbracciò la balestra e una freccia sibilò nell'aria, graffiandole il fianco. La fanciulla arrancò fino ad un nuovo cerchio di funghi, di colore scuro. Al loro interno l'erba era secca e il terreno duro e crepato. Il suo aggressore le afferrò la caviglia e la fece cadere prima che potesse superare la linea tra il bosco vivo e quel piccolo rifugio nato dalla morte. La presa di lui scivolò, come se la carne soffice di lei non fosse stata altro che la morbida coda della volpe. L'uomo rimase al di fuori, senza coraggio di oltrepassare quella fragile ed inquietante barriera. Si fissarono per lungo tempo, il coniglio che si è rifugiato nella sua tana, il lupo che lo aspetta all'entrata, pronto a ghermirlo. L'odore del sangue inebriava l'uomo, che osservava il colore scuro e vivido imbrattare la pelle di lei, mentre la sua pelle diventava sempre più pallida. Il sole tinse d'oro la scena, prima di eclissarsi oltre l'orizzonte. La luna li trovò ancora fermi, impotenti l'uno sull'altra. Li ritrovò così anche la sera dopo, e quella dopo ancora. Lei sempre più bianca, lui sempre più nero. I suoi abiti erano sporchi di terra e avevano ormai perso la profonda tonalità verde che hanno gli aghi dei pini. La quarta sera trovò una massa dilaniata all'interno del cerchio e orme insanguinate e spaventate che si allontanavano il più in fretta possibile per trovare nuova innocenza in qualche fonte montana, al fianco di orme ferali. I lupi le cantarono di come l'uomo avesse infranto la sacra legge e avesse attraversato il cerchio. Le cantarono di come si erano mossi come un unico corpo per distruggere il profanatore e di come il più giovane e bello di loro avesse accompagnato la ninfa ad una sorgente sicura. 
Qualche sera dopo il canto dei guardiani del bosco venne interrotto da sibili sottili come la  saettante lingua di un serpente. 

Note dell'autrice: avevo pensato a questa ninfa sfuggevole e "scivolosa" come l'acqua, ma credo di essermi fatta prendere un po' la mano dalla mia immaginazione... Non credo però sia stato un male.

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