- VIII - Il Gufo
Se ne stava fermo, acquattato silenzioso sul suo ramo.
Voltava la testa prima da un lato e poi dall'altro, cosicché nulla potesse sfuggire ai suoi enormi occhi ambrati.
La preda, ignara della lugubre presenza, passeggiava sul ciglio della strada, illuminata dalla luce calda dei lampioni. Ogni tanto si fermava, tendeva l'orecchio e scrutava nella nebbia, per poi riprendere il suo cammino verso casa.
Il Gufo l'ammirava, mentre lei gli si avvicinava sempre di più.
Pochi passi ancora e sarebbe stata sua.
Tac.
Tac.
Tac.
Poteva già sentire l'odore della sua carne tenera.
Tac.
Tac.
Tac.
Riusciva persino a pregustarne il sapore.
Tac.
Le fu sopra nel tempo di un sussulto. Prima che potesse divincolarsi, le afferrò la testa gliela sbatté violentemente sul traliccio di legno alla sua destra.
Lei barcollò e poi cadde carponi, stordita.
Lui le afferrò i capelli biondi e la strattonò all'indietro. Le si accovacciò di fronte, la esaminò con ingordigia e leccò via il sangue che sgorgava dalla ferita alla tempia.
Lei tentò di gridare, ma lui le prese il collo con la mano libera e strinse le dita lunghe e sottili contro la trachea.
«Ti... Ti pre...go. Non...»
Lei lo fissò terrorizzata, fino a che le iridi non si rivoltarono lasciando, al loro posto, due sfere lattiginose frastagliate da linee violacee. In pochi secondi perse i sensi e si abbandonò completamente al suo carnefice.
Il giorno seguente nessuno uscì più da solo dopo il tramonto.
Il Gufo era tornato in città e aveva fame.
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