Terza prova~ ¡Cabrón!
Il vento gonfiava le tendine di un marrone indefinito, il classico colore della tela raffazzonata che si poteva ottenere da una vecchia vela, tanto per dire che si guadagnava. Ogni cosa bastava a distrarmi dal pezzo che avevo appena scritto, tutti i resoconti sul carico di cibo che si trasportava dal Paraná, dalle banane alle patate dolci, e che poi dovevano essere inviate direttamente a Montevideo, ai palazzi dei ricconi europei che ci vivevano.
Diciamo che avevo accettato tanto per evitarmi l'intera pulizia del ponte di comando, poi sapevo scrivere il mio nome e tanto bastava per farmi annotare tutto il carico della maledetta nave, a detta di Martinez ovviamente.
Avrei dovuto dire grazie al vecchio prete del mio villaggio, che era fissato con quel poeta cieco e con Virgilio, quello di Roma e di Enea, che si era interstardito a farmi studiare un po'.
Quel vecchio bastardo di Martinez se la dormiva della grossa, su quella sedia impagliata accanto al fuoco, la sua pinta di birra da due soldi vuota in mano dopo i bagordi di ieri sera.
Io, invece, scrivevo già da tre ore in quella misera stanzetta in riva al fiume, la puzza degli ubriachi ristagnava peggio che in una bettola e dovevo lavorare. Si sa che i mozzi non si divertono, oh no! Quello spetta ai grandi capi, a los oficiales y capitanos maledetti, cose così.
Comunque avevo finito, lo stoppino galleggiava nella cera bollente, il russare di Martinez era diventato davvero insopportabile e, di conseguenza, era arrivato il momento di andare da Teresita.
Già, quando tutto andava male, quando perdevo per l'ennesima volta la lettera di corsa che dovevo conservare, quando Martinez mi costringeva a pulire il ponte di comando e quando perdevo ai dadi, era il momento di andare dalla dolce Teresita. Per cui riposi penna e calamaio nel cassetto, lasciando bene in vista il resoconto della merce concluso, e me ne andai da quella sottospecie di cabina.
Montevideo era una grande città, qualcuno diceva che l'Uruguay era Montevideo, e Montevideo l'Uruguay, e non stentavo a crederci. Vivevo lì da molto tempo, ma non ci si abituava mai né all'odore del mare né ai grossi ratti che gironzolavano nei pressi del porto.
Sono originario di un villaggio di circa trenta persone sulle rive del Paraná, Las Gracias, che abbandonai a sedici anni per imbarcarmi. La mia prima nave, la Luisa, venne abbordata al suo primo viaggio da un piroscafo più grande, il Mazzini, proprio durante la traversata del Rio Grande do Sul, in Brasile.
Mi prese il capitano con sé, quello che ci aveva abbordato, prendendomi come mozzo per la sua nave.
In seguito, sbarcammo a Montevideo e mi trasferii lì, dato che tutti i membri dell'equipaggio avevano un'alloggio accanto al porto.
Non sarei tornato più a Las Gracias, forse solo da vecchio rinsecchito a farmi seppellire, dato che la mia cara nonnina, quella con i baffi più folti di tutto l'entroterra, non mi aveva lasciato altro che una capanna di fango e un pezzettino di terra secca per farci crescere i cardi, in quel villaggio di morti.
Sentivo che il mio destino era il mare, lo sconfinato azzurro pieno di pesci, che quelli tanto non devi coltivarli ma ti basta un filo, un'amo e un bel verme grasso per farti la cena.
Camminai a lungo, nonostante Calle del Porton non fosse lontana, speravo di non farmi vedere da nessuno dell'equipaggio della Carmencita, in particolare dal Brasiliano, quello aveva cattiva fama. Una volta mi raccontarono come Da Silva avesse bucato la pancia a un tizio inglese, che aveva riso per quella sua gamba ballerina che era la sua vergogna, e lo faceva zoppicare manco avesse ottant'anni, e sì che ne aveva forse quaranta.
Ogni tanto qualcuno canticchia ancora "Baila, baila mi corazoncito", ma stando ben attento a non farsi sentire, ovviamente.
La casa di Teresita si affacciava su Calle del Porton, una palazzina di due piani stretta in mezzo ad altre.
Il portone era aperto e mi precipitai dentro, salendo in fretta le scale giusto in tempo per vedere la mia amata in piedi, intenta a spazzare il pavimento.
《Oh, Teresita mia! Comporró una lode ai tuoi lunghi capelli e al tuo sguardo di fuoco! La bellezza di
Venere Anadiomene non è nulla rispetto al tuo sorriso, né le Pimplee potrebbero ispirare canti più dolci dei miei per te!》decantai, tentando di afferrarla per la vita sottile.
《¡Jesus y María, Carlos! Sto pulendo, levati dai piedi!》gridò Teresa, spazzando violentemente la polvere fuori dall'uscio.
《È per caso quel cabrón del tuo fidanzato Teresita?》
Credo di aver tremato come una gelatina di frutta a quel richiamo, ma ignorai il movimento delle ginocchia e risposi a gran voce.
《Ah, don Menotti! È tornato presto da San Paolo, come vanno gli affari?》
Il fratello di Teresita era uno stangone di quasi due metri, lo sguardo fulminante e il temperamento docile di un puma di montagna.
《Vanno bene, vanno bene. E la Carmencita quando prenderà il largo?》
《Forse ci vorranno due mesi, Martinez è nei guai con un carico di stringhe da scarpe e ghette che non è ancora arrivato, ci penserà il Brasiliano con Muñoz》
《Sarà bene.》
Punto.
Parlantina di un prete, il caro ragazzo.
《Ehm... vostro padre, Teresa?》buttai lì, tanto per cambiare discorso e distogliere la pericolosa attenzione da me.
Teresa si pulí le mani sul grembiule rovinato e lasciò andare la scopa.
《È tornato ieri sera, probabilmente ora è da Marisela all'osteria. Aspettava una lettera con il treno da Santa Lucía》
《Ah davvero? 》riuscii a dire, indeciso se filarmela o inchinarmi a lei.
Credo che suo fratello stesse per azzannarmi come un pezzo di carne, quando il cigolio della porta spezzò ogni movimento.
Nella piccola stanzetta entrò un uomo alto e barbuto, con un mantello da viaggio impolverato buttato sulle spalle. Notai, con preoccupazione, che zoppicava vistosamente, quasi quanto il Brasiliano.
Teresita lasciò andare immediatamente lo straccio che aveva appena preso e corse da quell'uomo, abbracciandolo.
《Papà!》
Davanti a me, il mio eroe.
Il capitano che mi aveva raccolto da un relitto, un grande rivoluzionario dicevano.
Giuseppe Garibaldi!
Mi avvicinai anche io, praticamente esaltato
《Don Garibaldi! Sono felice di vedervi》esclamai, praticamente gettandomi ai suoi piedi.
Gli occhi del capitano mi fissarono, le palpebre strette.
Attesi una sua risposta, fiducioso.
Teresita e suo fratello stavano in piedi, in silenzio, sicuramente aspettavano anche loro qualche parola.
Ma lui, completamente zitto.
Improvvisamente, mi diede una pacca sulla spalla talmente forte che, se avessi potuto, avrei decisamente gridato.
Credo di aver aver praticamente sentito le ossa rompersi, tanto forte mi diede quella botta.
《S-su, r-r-ragazzo! N-non piangere! N-non ti avrò m-mica fatto male! 》stentó Garibaldi, prima di proprompere in uno starnuto di proporzioni bibliche.
《Ah, no assolutamente》
《Padre, vi sentite bene? Volete che vi prepari qualcosa, magari un tè?》chiese Teresa, aiutandolo a sedersi accanto al fuoco acceso.
《N-no, m-mia eh...eh...etchiùù...cara, s-sto bene!》
Preoccupata, Teresa gli porse un fazzoletto, e suo padre ci si soffió rumorosamente il naso.
《Ah... c-colpa d-della i-i-influenza d-del R-R-Rio G-Grande》
《Oh, padre, credo che dovreste riposare, mettervi a letto...》
Garibaldi si rialzó, deciso.
《N-non se n-ne parla!》
《Ma padre!》
A riprova delle sue condizioni ottimali, Garibaldi spostò la sedia e tentò di camminare ma un nuovo, violento starnuto, lo costrinse ad appoggiarsi a Menotti, che lo riprese al volo.
《Basta, tu rimarrai a letto!》decise Teresa, incrociando le braccia.
《M-ma T-Teresita! E-E la s-s-spe etchiùù...dizione?》
La ragazza scosse la testa, decisa.
《Nessuna spedizione. Tu resterai a letto, e non voglio storie!》
Suo padre tornò a sedersi e a starnutire, tirando su con il naso. Stavo per vomitare.
《Papà ha ragione, però. Chi potrà guidare la spedizione che è stato chiamato a organizzare?》domandò serio Menotti, rivolto alla sorella.
Teresa tamburelló con l'indice sul labbro inferiore, pensando.
Io rimasi assolutamente immobile, ma ebbi una mezza idea di andarmene da lì.
Finché, improvvisamente, si illuminò.
Un sorriso malefico le attraversó il viso.
《Carlos? Hai da fare per i prossimi...ehm, diciamo 365 giorni?》
Ero incredulo.
《Io?》
Teresita si avvicinó a me, sorridendo.
《Già. Prepara i bagagli!》
《Ah...》
***
Note dell'autrice
Ciao a tutti! Ecco scoperto perché il nostro eroe nazionale è Carlos, mozzo uruguayano di povere origini, chiamato a sostituire il grande Giuseppe Garibaldi a capo della spedizione dei Mille.
Scommetto che nessuno di voi sapeva questa versione della storia, vero?
Eh già, altro che Cavour e Mazzini!
Ringraziatemi va, che sono appena riemersa dalle acque del Paraná solo per portarvi quest'inedita versione del Risorgimento (tra l'altro, sono stati proprio gli eredi della nonna baffuta a farmelo sapere, in quel di Las Gracias)
Ovviamente, Carlos non esiste, ma Menotti e Teresa sono veramente figli di Garibaldi, e la loro caratterizzazione è stata resa il più simile possibile a quanto riportato dagli storici garibaldini.
I Garibaldi hanno vissuto realmente in Calle del Porton, proprio a Montevideo, esattamente in Uruguay.
Reale anche la faccenda dell'abbordaggio della Luisa da parte del Mazzini, lo stesso anche per la traversata del Rio Grande do Sul.
Il resto è, invece, frutto della mia fantasia malata.
Mi scuso in anticipo per la qualità scarsa dello scritto, ma è inutile rimarcare ulteriormente ciò che già sapete tutti su questi giorni per me così difficili.
Spero solo che vi abbia strappato almeno un sorriso, e che vi sia piaciuto leggerla.
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