Prima Prova~ Kiss the devil

"È un momento molto difficile, sono attacchi senza precedenti, siamo stati colpiti un'altra volta. Chi sono questi terroristi? Ho un pensiero per le vittime, numerose, e per le loro famiglie. La Francia deve essere forte, ognuno è chiamato alle sue responsabilità. I terroristi vogliono farci paura, ma non ci riusciranno. Non dobbiamo avere paura, siamo una nazione che è pronta a difendersi e dobbiamo sconfiggere i terroristi. Le forze di sicurezza devono liberare ancora un luogo a Parigi. Viva la Repubblica"

-Discorso alla nazione del presidente François Hollande, a seguito degli attacchi terroristici del 13 novembre 2015

In tutto le vittime degli attacchi di Parigi sono 130, mentre i feriti sono stati più di 350.
Quasi 90 morti nel solo teatro del Bataclan, innocenti spettatori di un concerto rock.
Gli attentatori fanno irruzione nel teatro alle 21.40, durante l'esecuzione del brano "Kiss the devil". Le teste di cuoio riusciranno ad irrompere solamente alle 00.20 del 14 novembre.

                          ***

Christope Gailliard fa un buon lavoro, uno di quelli ben pagati, sicuri.
È un gendarme francese, precisamente del Groupe d'intervention, precisamente nella Force Appui Opérationnel, la cellula d'assalto.
Quella mattina, prima del lavoro, è passato in pasticceria, per ordinare una torta.
È il compleanno di Charlotte, la sua fidanzata da più di dieci anni, la dolce metà che completa la sua vita. Ecco, una di quelle cose da doverle dire, quella sera, quando le avrebbe fatto la domanda più importante; mentre si affrettava sul marciapiede, ha sentito il cofanetto di velluto sbattergli contro la coscia destra, dentro la tasca dei pantaloni della divisa.
Ha risparmiato più di un anno per quel piccola scatolina, compreso il suo contenuto, ma ne è valsa la pena.
Non vede l'ora di osservare la sorpresa dipingersi su quel viso adorabile, pieno di lentiggini e sporco di colore. È un'artista, Charlotte, e aborrisce ogni tipo di violenza.
Odia la vista della SIG Sauer SIG Pro SP 2022 d'ordinanza e, quando torna dal lavoro, Christophe si preoccupa sempre di nasconderla nel cassetto del comodino, quello delle mutande, accanto alla sua parte del letto.
La mattina è la parte che preferisce, in generale, della giornata. Charlotte va in bicicletta alla scuola d'arte in cui lavora, e lui prende la macchina e affronta il traffico di Parigi fino al numero 12 di Rue de Béarn, nel III arrondissement.
Anche quella mattina è andata così, tranne che per la pasticceria, dove ha ordinato una torta al cioccolato per quella sera.
Ha il turno lungo, oggi, e tornerà a casa molto tardi, probabilmente dopo la mezzanotte, e sa che Charlotte lo aspetterà sveglia, nonostante sia completamente distrutta dopo un'intera giornata passata dietro a tubi di tempere e tele di canvas.
Le avrebbe dato la torta, e anche l'anello, e tutto ciò che aveva sempre sognato si sarebbe realizzato all'istante, rendendo la sua vita veramente perfetta.
Quella perfezione, però, avrebbe dovuto attendere ancora quattro ore.
Gérome, un grasso gendarme di mezz'etá, sbatte furiosamente la grossa mano sul lato del vecchio televisore a schermo spesso, tentando inutilmente di sintonizzarlo su France 4.
《Quello stronzo di Barret avrebbe anche potuto mandarci a casa, invece di farci restare in questo buco. Non riesco a vedere nemmeno uno straccio di minuto di quella maledetta partita!》
《Sono i soldi del governo, Gérome!》tenta di scherzare Nils Bescot, alzando la testa da dietro il poker online, ridendo.
《A fottersi anche Hollande!》impreca, sbattendo via il telecomando, che atterra in mezzo alle pratiche vecchie di settimane.
《A Gailliard, invece, non frega un'accidente. Se ne sta lì, a riflettere sulle tette della sua ragazza》si intromette Jacques Marchand, accendendosi una Marlboro nonostante il divieto e accavalla le gambe sulla scrivania.
Christophe, che effettivamente pensava al seno di Charlotte, alza la testa e gli schiocca un'occhiataccia, indicandogli con la testa il cartello di divieto.
《Barret non è qui, me ne frego di quello schifo》ribatte il ragazzo, fresco fresco di addestramento, continuando ad espirare il fumo dalle narici.
《Frega a me, Marchand. Spegni quella merda》gli intima Gérome, stringendo i denti marci di settimane e settimane di caffè scadente, continuando a squadrare lo schermo sobbalzante della televisione.
Trattenendo il fiato, Jacques schiaccia la punta della sigaretta sul bordo della scrivania, riponendola attentamente nel pacchetto.
Finalmente, dopo quasi mezz'ora di colpi e imprecazioni, il televisore parte, e le immagini traballanti di Francia-Germania si intromettono nella loro sterile conversazione, proprio durante gli inni nazionali.
Nils Bescot, con la mano destra sul cuore, tolta appositamente dal mouse del computer, è il primo ad iniziare, seguito da tutto lo Stade de France.
Allons enfants de la Patrie,
Le jour de gloire est arrivé!
Contre nous de la tyrannie,
L'étendard sanglant est levé!
L'étendard sanglant est levé!
Entendez-vous dans les campagnes
Mugir ces féroces soldats?
Ils viennent jusque dans nos bras
Egorger nos fils et nos compagnes!》canta, quasi stonando.
《Aux armes, citoyens!
Formez vos bataillons!
Marchons! Marchons!
Qu'un sang impur
Abreuve nos sillons! 》seguono Gérome e Jacques, insieme a Christophe, gridano a squarciagola le strofe della Marseillaise in contemporanea. A Christophe quasi si rompe una spalla, stretto dalle vigorose braccia di Gérome, ma il ragazzo non se ne preoccupa.
Quando c'è il calcio di mezzo, ogni divergenza si appiana per far spazio al tifo più sfrenato, e un'amichevole internazionale salda le amicizie e i rapporti fra colleghi molto quasi quanto anni e anni di esperienze condivise. Al suono del calcio d'inizio, la stanza del secondo piano tace in un religioso silenzio.
Nils Bescot tira fuori un pacchetto di patatine e inizia a mangiarle, mentre Gérome ci tuffa distrattamente la mano, lo sguardo fisso sulle azioni dei giocatori.
Il tabellone indica il minuto 16 e 24 secondi. Sull'ala sinistra, il pallone passa a Martial con un profondo retropassaggio.
Il boato di un petardo avvolge il pubblico, che ondeggia in una ola piena di fischi e grida.
Sulle tribune si alzano felici i 1.000 impiegati della compagnia aerea GermanWings in trasferta premio, per cancellare il lutto dello schianto sulle Alpi francesi, sorridenti verso le telecamere.
Il pallone va ai tedeschi.
Un rimpallo lo riconsegna a Evra. Diciannovesimo minuto e 35 secondi.
Un secondo boato.
《Ci danno sotto con i petardi, eh?》commenta Nils Bescot, rivolto a Christophe che, però, non lo ascolta.
Nel frattempo, un uomo della sicurezza presidenziale si avvicina in tribuna ad Hollande. Si china leggermente e sussurra qualcosa all'orecchio del Presidente.
I quattro gendarmi si guardano negli occhi, sorpresi.
È un attimo, poi la telecamera torna ad inquadrare il campo di gioco.
Per un secondo ancora viene mostrato il Presidente che, scortato, si alza e si dirige alle scale, abbandonando la tribuna. Il ministro degli esteri tedesco, seduto accanto a lui, lo vede andar via.
《Che cavolo sta succedendo?》
Christophe non risponde, non ha tempo.
21.36, Giroud ha segnato, ma non c'è gioia fra il pubblico, tutti sono inquieti. Qualcosa non va, è evidente, ma nessuno ha il coraggio di muoversi.
Dall'altro lato di Parigi, i quattro gendarmi restano attoniti.
《Qualcosa non quadra...》mormora Gérome, le grosse vene pulsanti al lato della testa, sotto la calvizie incipiente.
Nell'ufficio buio l'aria è stagnante, piena di inquietudine, e a Christophe da la nausea, quasi quanto quella strana paura che gli attanaglia il cuore.
《Perché il presidente è andato via?》
Nessuno risponde, nessuno sa cosa dire esattamente.
Nils Bescot prova a connettersi alle agenzie di stampa, ma non c'è nulla, assolutamente niente.
Fino alle 22.01.
《La Bfm annuncia: "Una sparatoria a colpi di kalashnikov ha provocato diversi morti in un ristorante nel X arrondissement di Parigi"》legge, il volto pallido sotto la luce del desktop.
《Nel decimo? Non dice nulla sullo stadio?》chiede Jacques Marchand, sporgendosi dalla sua postazione.
《Vado a chiedere di sotto, a Vincennes. Voi state qui》dice Gérome, alzandosi pesantemente dalla poltrona da ufficio.
A quell'ora, Charlotte è appena arrivata a casa, la bicicletta sotto braccio per salire le scale, le buste della spesa legate con le cinghie al portapacchi.
Lo sta aspettando.
E mancano ancora tre ore.
È così immerso nei propri pensieri, che non si accorge che Gérome è tornato, e sta imprecando pieno di rabbia.
Dice di scendere.
Dice di prepararsi.
Dice che è una strage.
Almeno trenta morti.
Nomina due ristoranti, qualche strada, parla di posti in cui Christophe non è mai nemmeno andato.
In mente, lui ha solo Charlotte.
Deve chiamarla, accertarsi che stia bene.
Ma Gérome gli prende il telefono dalle mani, prima ancora che lui possa comporre il numero.
《È un'emergenza Gailliard, e le tette aspettano. Muovi il culo!》
Lo spinge di sotto, per le scale, assieme a tutti i suoi compagni.
Escono dagli uffici in fila, silenziosi come ombre.
Afferrano giubbotti antiproiettile e caschi con una meccanicità robotica, nel più pieno silenzio.
Ognuno, nel suo io, pensa a qualcosa.
Christophe tenta di tenere lontano il pensiero di Charlotte, mentre si allaccia la fondina alla coscia e assicura l' MP5 al suo interno. I guanti rinforzati gli stringono le dita, il peso dell' M16, il fucile d'assalto, che lo tiene legato alla realtà.
E, più tardi, in strada, al sangue.
Il respiro che si condensa oltre al passamontagna, il rumore degli stivali che passano sopra ai bossoli di proiettile, sparsi in tutta Boulevard Voltaire, gli spari lontani, attuttiti dalla nebbia che impera, che avvolge una Parigi grigia e disperata.
Surreale.
L'XI arrondissement immerso nel silenzio più assoluto, è la zona di guerra in cui si è trasformata la capitale, e il cielo è buio sopra la facciata orientaleggiante del teatro Bataclan, ma la luna illumina comunque i corpi, vittime della sparatoria.
C'è chi è vivo, e rantola aiuto, ma c'è anche chi è morto, e tace.
Tace anche la squadra, appena arrivata sul posto, e anche la BRI, la "Brigade recherche intervention", con il loro negoziatore, che cercano un dialogo con gli attentatori.
Christophe sente qualcuno borbottare che non ci sono più ostaggi, che sono tutti i morti e che è inutile ogni compromesso.
A lui non interessa.
Lui vuole solo tornare a casa e trovare Charlotte, stanca ma sorridente, viva.
Mangiare la torta insieme.
Chiederle di sposarlo.
La negoziazione procede via telefono, nessuno riesce a sentire ciò che viene riferito ma è chiaro, anche senza parole, che discutere è ormai inutile.
Chi si è asserragliato nel teatro non ha affatto intenzione di effettuare scambi, o di cedere anche di un solo passo dall'obiettivo che si è prefissato:
la strage più totale.
《C'est pour la Syrie》si sente, dall'altro capo del telefono, una frase ripetuta a turno da tutti, di bocca in bocca.
Per la Siria.
Tutti quei morti, tutto quel terrore, ripiego di una guerra in un paese straniero.
La telefonata termina, e ne inizia subito un'altra, e un'altra ancora. L'unica chiamata che vorrebbe fare Christophe sarebbe per Charlotte.
Al telefono il Prefetto Cadot annuisce.
La decisione è presa.
Si dia l'assalto.
Christophe si trova in mezzo, lo trascinano, e lui esegue gli ordini che vengono urlati.
Prima una squadra, poi un'altra, poi la sua, per ultima.
Il rumore degli spari si acuisce ad ogni passo, ed è impossibile ignorare l'odore metallico del sangue e della paura, mentre entrano nel teatro.
Gli attentatori, sul palco, scambiano qualche pallottola con gli uomini delle forze speciali, prima di fuggire, con un uomo in meno.
I due che restano si fanno esplodere poco dopo, appena fuori dal teatro, ma Christophe non li ha visti.
Lui è rimasto fermo, in mezzo alla platea, le luci stroboscopiche lo accecano, il sangue gli sporca gli stivali, le grida di dolore lo rendono sempre più sordo.
C'è chi aiuta, chiama i soccorsi, cerca di rimettere in piedi i pochi che ci riescono.
Qualcuno impreca, in molti piangono, i più tacciono, chi per il terrore e chi per la morte.
Un uomo, forse Gérome, lo spinge fuori, all'esterno gelido di quel buco infernale.
Hanno recuperato la band che suonava, si erano nascosti nei camerini.
Non credevano di uscirne vivi.
Si contano i morti, i feriti vengono portati via negli ospedali, gementi.
Ottantanove morti.
Il rumore lontano di una sirena.
Ma lui...
Lui deve chiamare Charlotte.

                            ***

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