QUARTI DI FINALE / Grosso guaio a Chinatown

GENERE: Avventura.

PERSONAGGIO: Giornalista.

LUOGO: San Francisco.

PAROLE USATE: 1483.

***


Dopo aver ricontrollato per l'ennesima volta l'indirizzo trascritto in fretta sul Moleskine, Morris scoccò un'occhiata febbrile all'orologio da polso. Le undici meno un quarto. Mancavano quindici minuti esatti all'orario convenuto e lui era ancora imbottigliato nel bel mezzo della parata di capodanno.

«Maledizione.»

Un'altra insopportabile tempesta di coriandoli lo costrinse ad aprirsi un varco fra la folla urlante e a mettersi in salvo sul marciapiede.

Sopra di lui, bambini dagli occhi a mandorla salutavano il primo gennaio gettando stelle filanti dalle finestre, giovani coppie sventolavano bandiere scarlatte oltre i balconi e ambulanti in costumi tradizionali strillavano frasi in una lingua che Morris ovviamente non conosceva. Sentirsi un perfetto straniero nella sua stessa città: ci mancava solo questo.

Disorientato dalla bolgia di colori e dalla luce delle fiaccole, Morris si strinse nel cappotto scuro e si diresse a passo di marcia verso il centro della calca. Non c'era altro modo per arrivare in fondo al viale, ed era già in ritardo mostruoso.

Iniziò allora a farsi strada a forza di gomiti e spallate, ignorando gli insulti in dialetto Ping che gli piovevano addosso da ogni dove. Continuò ad avanzare con la stessa determinazione di un guerriero suicida, con la musica che diveniva sempre più assordante man mano che si avvicinava al cuore di Chinatown.

Era l'inferno in terra, ma proprio in quel momento accadde il miracolo: la ressa che lo separava dalle vie laterali si disperse all'improvviso, come preda di una psicosi collettiva.

Morris si gettò istintivamente in avanti.

Si sarebbe messo a correre, ma qualcuno – o meglio, qualcosa – gli sbarrò d'un tratto la strada, senza lasciargli neppure il tempo d'imprecare: il muso del dragone puntato dritto verso di lui e pronto a sputar fuoco gli mozzò in gola il respiro.

Si buttò a terra, coprendosi la testa con entrambe le mani.

Non vide la fiamma, ma ne percepì il calore, e questo lo convinse a rimanere accucciato per un'altra manciata di secondi.

Ma non rimase a sentire le urla della folla alle sue spalle: sollevando la testa, Morris si rese conto di essere proprio sotto il corpo del dragone e si mise a gattonare senza pensarci due volte, schivando sia gambe che zampe.

Si levò di torno non appena scorse il viottolo laterale, e cominciò a correre. Il cuore pareva sul punto di esplodergli nel petto, ma non vi badò. Le priorità erano ben altre: per esempio, il 15/B di Portsmouth Square.

Morris strizzò le palpebre verso la piazzetta deserta. Si voltò verso un negozietto di souvenir e ne adocchiò subito il numero civico: 9/E. Preso dalla disperazione, si mise a correre in cerchio facendo passare ogni singolo cartello, finché il buon senso non gli suggerì di fermarsi per chiedere indicazioni.

Proprio in quell'istante uno squittio sinistro e vagamente demoniaco parve leggergli nel pensiero: «Stai cercando il 15/B, laowai

Morris girò di scatto la testa, ansimando più per lo spavento che per la corsa. Un vecchietto solitario lo stava fissando al di sotto di un ingombrante cappello a cono di paglia. «Come mi hai chiamato?»

«Laowai» ripeté candidamente il cinese. «Forestiero.»

«Non sono un forestiero» protestò Morris. «Io sono di San Francisco, sei tu che... Oh, lasciamo perdere.» Si passò la manica del cappotto sulla fronte sudata. «Come sai che sto cercando proprio quell'indirizzo?»

«Tutti i forestieri cercano il 15/B. Pure quelli armati e in uniforme.» Il vecchio gli indicò ridacchiando il centro della piazza, illuminata quasi per sbaglio dalla luce dell'unico lampione funzionante. Un'immensa e sgraziata figura femminile incombeva dall'alto di un piedistallo di marmo. «Eccolo lì.»

Morris aggrottò la fronte. «La statua?»

Il vecchio lo ignorò. «Ricorda, laowai: davanti alla Signora, un inchino profondo e un bacio sull'alluce.»

Morris non poté far altro che ringraziare e obbedire.

Da vicino il monumento era ancora più brutto, se possibile. Era una replica della Dea della Democrazia distrutta in Cina durante i tumulti di piazza Tienanmen, ma pareva piuttosto una copia mal riuscita della Statua della Libertà.

Morris si inchinò e ad occhi chiusi stampò un bacio sul dito di bronzo della Signora. Uno schiocco metallico lo fece trasalire. Pochi passi dietro di lui, un tratto d'asfalto pareva essersi sollevato lasciando intuire un passaggio sotterraneo.

Morris si voltò verso il vecchio per chiedere indicazioni, ma non trovò nessuno. La piazza era deserta e pure la luce del lampione stava per abbandonarlo in via definitiva.

Morris dovette deglutire a vuoto un paio di volte prima di trovare il coraggio di avvicinarsi a quella specie di botola.

Non si vedeva il fondo, ma i pioli di ferro di una scaletta scintillavano invitanti. Non aveva alternative: Morris afferrò il passamano e iniziò a scendere. Non osava neanche immaginare che ore fossero, e il ritardo gli bruciava come una ferita aperta. Non aveva fatto tardi nemmeno una volta in tutta la sua vita, neppure al college.

Sospirando, s'accorse di non avere più pioli sotto di sé e balzò a terra. Davanti a lui ora si allungava un tunnel dalle pareti coperte di fiaccole. Morris si avviò titubante verso l'ignoto. Il suo respiro affannato e gli echi lontani della parata erano gli unici rumori udibili.

«C'è nessuno...?» azzardò, giunto davanti ad un portone sbarrato.

Bussò una volta. Nessuna risposta.

Bussò due volte. Uno scricchiolio sospetto lo persuase ad indietreggiare d'un passo.

Non riuscì a bussare di nuovo perché il portone si spalancò all'improvviso strappando a Morris un grido di puro terrore.

Due uomini travestiti da guerrieri di terracotta gli avevano puntato le spade alla gola strillando come degli ossessi.

«Vengo in pace!» si affrettò a urlare Morris, ma i suoi interlocutori non parvero sentirlo.

Con un calcio ben assestato lo buttarono a terra, in ginocchio, e Morris scorse le lame brillare sopra la sua testa. 

La sua intera esistenza gli passò davanti agli occhi in meno di cinque minuti: rivide sua madre regalargli il suo primo taccuino e la sua prima stilografica, rivide le facce invidiose dei suoi compagni di classe durante le nomine di merito scolastico, rivide una delle noiosissime lezioni di letteratura alla San Francisco State University, rivide il signor Clark stringergli la mano nel giorno della sua assunzione, rivide sé stesso sorridere come un'idiota davanti alla telecamera del servizio serale. Forse in cerca di un qualche conforto materiale, Morris si mise la mano in tasca afferrando il primo oggetto capitatogli a tiro.

«Fermo, bastardo! Che cos'hai lì?»

«Tiralo fuori lentamente e posalo a terra!»

Morris poggiò senza fiatare un dispositivo marcato Sony sul pavimento umidiccio.

Uno dei due guerrieri lo indicò con la punta della spada. «Cos'è questo, faccia pallida? Ricetrasmittente? Telefonino della CIA? Esplosivo?»

«...atore.»

«Cos'hai detto?» sbraitò l'altro. «Schifosa spia federale! Sei venuto qui per farci saltare in aria, non è così? Allora, che diavolo hai detto?!»

«Che è solo un registratore» piagnucolò Morris. «E che io sono qui per l'intervista...»

I guerrieri si scambiarono uno sguardo confuso. «Sei tu l'uomo del giornale? Quello che il signor Zhou aspettava per le undici?»

«S-sì, sono in ritardo, perdonatemi.» Morris congiunse le mani nella posa del supplice. «Non l'ho fatto apposta, ma... vedete... la festa... il traffico...»

«Vieni con noi, laowai.» I guerrieri raccolsero il registratore, sollevarono Morris e lo scortarono oltre il portone.

Una nube d'incenso lo avvolse costringendolo a tossire peggio di un tisico. 

Strizzando gli occhi, Morris mise a fuoco un'altra dozzina di guerrieri di terracotta impegnati a lucidare le armi. Erano tutti accampati ai piedi di un piano rialzato, sovrastato da un enorme trono d'oro. E assiso su quel trono, con la faccia rivolta al muro, c'era un uomo attorniato da uno stuolo di fanciulle intente ad acconciargli i lunghissimi capelli neri.

«Signor Zhou, c'è qui l'uomo del giornale» mormorò il guerriero alla destra di Morris dopo un inchino ossequioso.

Il trono ruotò su se stesso. Il fumo sembrò farsi ancora più denso, per poi diradarsi ad un cenno del famigerato Yang Zhou di Chinatown. Morris sgranò gli occhi: davanti a lui era apparso uno strano incrocio fra il primo imperatore della Cina e Confucio.

«L'uomo del giornale, dite?»

Morris ebbe quasi l'impulso di inginocchiarsi insieme al resto dei guerrieri, più che altro per sottrarsi allo sguardo indagatore di Zhou. Tuttavia ad un suo schiocco delle dita le ragazze e le false statue di terracotta si dileguarono lasciandoli soli.

Calò il silenzio, rotto solo dall'ansimare impaurito di Morris. 

Dov'era finito il suo leggendario distacco professionale? Aveva intervistato criminali della peggior specie, boss mafiosi e delinquenti da sedia elettrica senza battere ciglio, ma mai nessuno l'aveva messo così in soggezione come l'uomo che aveva di fronte.

Stava ancora rimuginando su queste cose quando Yang Zhou aprì la bocca.

«È fortunato che pure io sia in un ritardo tremendo, sa?» Zhou si tastò cautamente la bocca. «I baffi non hanno intenzione di rimanere attaccati quest'anno.» Tutto d'un tratto si voltò, afferrò una scatoletta di cibo precotto e la allungò a Morris. «Involtini primavera?»

Morris scosse la testa. «N-no, grazie.» Si sforzò persino di abbozzare un sorriso cordiale, ma finì soltanto per produrre una smorfia a metà strada fra il contrito e il terrorizzato. «Non mi sembra la stagione giusta, e non vorrei...»

«Giusto, non perdiamo altro tempo» tagliò corto Zhou. «Perché il suo giornale l'ha mandata qui a intervistare me?»

Morris sbatté le palpebre. «Pe-perché, ecco... ci sono giunte parecchie soffiate anonime che dicevano che lei...»

«Aspetti, mi faccia indovinare. Che dicevano che io ho intenzione di espandere Chinatown e di inglobare San Francisco per poi farmi incoronare re?» Zhou scoppiò a ridere scoprendo una fila di denti affilati come zanne. «Ma mi guardi, signor uomo del giornale: ho la faccia di uno che vuole conquistare una città?»

Morris non trovò le parole per rispondere. Era troppo concentrato a chiedersi se Zhou portasse una parrucca o delle semplici extensions. «Le sue guardie però mi hanno scambiato per un poliziotto e hanno cercato di tagliarmi la testa...»

«Nelle ultime settimane abbiamo ricevuto almeno dieci lettere minatorie, sa? E pure l'FBI ha voluto dare un'occhiata qui sotto... pensavano stessi pianificando un attacco terroristico. È incredibile come delle semplici dicerie possano metterti in testa certi sospetti, non trova? Ovviamente i miei ragazzi si sono fatti prendere un po' la mano dalla situazione.»

Morris si guardò intorno. «M-ma allora... perché se ne sta nascosto qui sotto?»

«Io? Nascosto? Ma nemmeno per sogno! Questo è solo il mio camerino.» Zhou sollevò la manica ricamata dell'abito scoprendo un Rolex contraffatto. «A proposito, fra meno di cinque minuti devo assolutamente uscire fuori e salire in tempo sul carro imperiale. Sono già tre anni che faccio questo numero a capodanno e molti mi considerano il pezzo forte della parata. Non posso proprio mancare.» Scrollò le spalle. «Comunque se vuole a tutti costi questa intervista un giorno può venirmi a trovare in negozio... è al 9/E, proprio sopra le nostre teste. Non è molto grande, ma è ben fornito. Lo gestisco insieme a mio padre, magari l'ha pure visto da queste parti... gli piace andare in giro da solo di notte.» Strinse la mano a Morris facendo attenzione a non graffiarlo con le unghie chilometriche. «Venga a trovarmi di lunedì però, e possibilmente non in orario di punta. Da quando ho iniziato a vestirmi così la clientela non manca mai, sa?»



***

NOTE:

Allora... per chi non lo sapesse i concorrenti rimasti erano tenuti a scegliere per sé una tripletta (genere-personaggio-luogo) da una lista piuttosto eterogenea. Io naturalmente mi ero tuffata a prendere il genere storico (eheheheh). 

È da quando sono piccola che voglio scrivere un racconto su Leone l'Africano, esploratore berbero del XVI secolo e bff di papa Leone X. Quindi immaginatevi la mia faccia quando ho trovato nelle scelte pure l'opzione "studioso" e "Timbuktu". Mi sembrava di essere in paradiso, vi giuro.

Purtroppo i giudici m'hanno fregata pure stavolta e mi sono ritrovata la traccia scelta dalla mia sfidante ajajajajajaj.

Va be', a parte questo... dato che probabilmente sarà la mia ultima prova in questo concorso, volevo ufficialmente ringraziarvi per aver letto questa OS e tutte quelle precedenti: GRAZIE.

E adesso beccatevi le solite curiosità inutili su questa traccia:

- Ora che sono riuscita a scrivere un racconto sia sulla cultura giapponese che su quella cinese la mia vita è completa.

- Il titolo si riferisce ad un film vecchiotto che qualcuno di voi avrà visto (spero...?). Ho passato l'estate scorsa a guardarlo e riguardarlo con mia sorella, e il bello è che non fa nemmeno ridere ajajajajaj.

- La Chinatown di San Francisco è la più grande comunità cinese in Occidente e la più antica in America.

- La statua di bronzo in Portsmouth Square è davvero bruttina, in effetti.

- Il tono umoristico (?) di questa OS non era affatto previsto nei miei piani.

- Non ho idea se questo sia effettivamente un racconto d'avventura oppure no ajajajaj.

- Stasera devo andare a mangiare in un ristorante cinese. Coincidenze? Io non credo.

- Scriverò ugualmente la OS sulla mia tripletta dei sogni "storico-studioso-Timbuktu", tanto per realizzare i miei sogni d'infanzia *^*

- Addio.

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