⇝ 8. Farfalle nello stomaco
Sarah era incredula. Anzi, di più: sbalordita.
Si sentiva come divisa in tre parti: una prima voleva strillare di sì e alzarsi per saltellare come una bambina felice, una seconda rispondere pacata e controllata, e la terza – ovvero quella che le stava causando maggiori problemi – le bloccava quella parola così banale in gola.
Lo fissava a bocca aperta, soffermandosi un po' troppo sui capelli scuri che gli circondavano il viso stanco, gli occhi neri e tondi, la mascella squadrata...
« È libero? » ridomandò il senior, pensando che la ragazza non avesse capito.
In un momento di clemenza divina, Sarah riuscì a ricomporsi e ad annuire con un cenno del capo.
L'ultima cosa che i suoi amici videro prima che il pullman facesse manovra e uscisse dal cancello, fu l'espressione allucinata e tendente al bordeaux della quattordicenne.
Sarah non aveva la benché minima idea del perché quel ragazzo avesse deciso di sedersi proprio accanto a lei. Il suo cuore palpitava talmente forte da farle sentire con chiarezza quando esso si contraeva e quando si rilassava.
Fingendo di mettersi comoda contro lo schienale del sedile, la matricola gettò una veloce occhiata ai posti davanti a lei: ce n'erano un paio liberi!
Una piacevole sensazione si irradiò per tutto il suo corpo e fu costretta a guardare fuori dal finestrino per evitare che il suo vicino di posto la vedesse sorridere da sola.
Sarah si sentiva leggera come una nuvola e, assorta com'era nel suo mondo in rosa, non udì la vocina acuta della sua coscienza avvertirla che, forse, stava correndo un po' troppo. Insomma, non ci aveva nemmeno parlato con questo ragazzo!
La cotta in questione estrasse dallo zaino un quaderno bianco di appunti, con scritto sulla copertina un nome a caratteri cubitali:
"Ethan Brown"
Sarah lo ripeté nella mente svariate volte, trovandolo dolce e piacevole come una melodia suonata con il violino.
Ethan Brown.
A Sarah quel nome non aveva mai fatto impazzire, ma ora che sapeva che quel bel senior tenebroso a cui sbavava dietro si chiamava così era tutt'altra storia.
La giovane osservava la scrittura stirata ed elegante del ragazzo come se fosse stata una preziosa reliquia dietro una teca di vetro, trovandola incredibilmente bella e delicata per appartenere ad un ragazzo.
Ancora una volta, si ritrovò a domandarsi se Ethan non si fosse seduto vicino a lei per interesse nei suoi confronti, oltre che per mancanza di posti. Dopotutto ultimamente gironzolava nei posti che frequentava anche lei e, quella mattina, qualche sedile libero nelle prime file c'era...
Chi l'avrebbe mai detto? Lei, una quattordicenne abituata a non essere mai vista da nessuno e a vivere nell'ombra di qualcun altro, con come possibile spasimante un ragazzo dell'ultimo anno! Sarah si infilò le cuffiette dell'mp3 nelle orecchie con un sorriso beato sulle labbra.
"Ah! Ti sfido a fare di meglio, Eva!" pensò soddisfatta. Finalmente, dopo anni e anni passati a dover sentire le sue mirabolanti storie, poteva riscattarsi.
Un pensiero che le tenne il morale alto per tutto il viaggio e che la spinse a domandare lei stessa ad Eva di uscire nel pomeriggio.
Miracolosamente "l'amica" accettò; Sarah si pregustava già la sua espressione sbalordita all'udire che finalmente aveva trovato qualcuno così affascinante che le faceva la corte.
Non si era mai dimenticata quando questa, alle medie, le aveva detto scherzosamente che se la immaginava single anche a quarantacinque anni – battuta che l'aveva ferita molto e che le trasmetteva amarezza ogni qual volta ci ripensava – e adesso non vedeva proprio l'ora di vederla e sbatterle in faccia quella notizia.
Arrivati a Bancroft, fermata finale della navetta, Ethan si alzò in silenzio e scese dal pullman coprendosi il capo con il cappuccio della felpa che fuoriusciva dalla giacca. Sarah lo osservò allontanarsi a piedi mentre ,con un sorriso a trentadue denti e sospirando profondamente, si infilava nella macchina bianca di suo padre.
Azione che non sfuggì affatto all'uomo e che, solo per il gusto di punzecchiare la figlia, le domandò:
« Che hai? »
« Niente. » replicò allegramente Sarah.
Percival Williams fece partire il motore con un giro delicato di chiave e rivolse alla figlia uno sguardo esaustivo.
« Per quale squadra di Hockey tifa? »
« Come scusa? »
« Va che non sono mica nato ieri. »
Il signor Williams fece manovra per uscire dal parcheggio e si fermò ad uno stop per controllare che non arrivassero macchine da entrambi i sensi.
« Non ho idea di cosa tu stia parlando. E oggi pomeriggio esco con Eva. » si inalberò Sarah, sollevando il mento orgogliosamente.
Il padre le lanciò un'altra occhiata altrettanto esauriente.
Nell'abitacolo calò un silenzio imbarazzante; dal lato del passeggero, la ragazza guardava fuori dal finestrino con le guance colorate di rosso, da quello del guidatore l'uomo sorrideva divertito.
« L'importante è che tenga per i Toronto Maple Leafs. »
Eva andò a chiamarla intorno alle quattro e mezza, con una sciarpa leggera attorno al collo e i capelli scuri raccolti in una treccia.
Sarah le sorrise fiera, pronta a darle la grande notizia – per cui, tra l'altro, si era già studiata un discorso ad honorem. L'ultima volta che l'aveva sentita al telefono risaliva al mese precedente, e quante cose potevano essere cambiare in circa trenta giorni?
« Non hai idea di cosa mi sia successo! »
A quanto pareva tante.
La ragazza non l'aveva nemmeno salutata; come Sarah si era richiusa la porta di casa alle spalle, l'altra le aveva già fatto intendere che, come al solito, avrebbe parlato solo lei.
Ma Sarah era di buon umore quel pomeriggio e non voleva proprio partire con il piede sbagliato, così fece un respiro profondo e sollevò gli angoli delle labbra rosee.
« Ciao anche a te. » disse Sarah.
« Oh, sì. Ciao. » replicò sbrigativamente Eva. « Non so come sia andato a te, ma questo mese è stato così pieeeeno di novità per me! »
Sarah si infilò le mani in tasca e serrò i pugni per il nervoso. Tutto qui? Nessun "come stai" né niente?
Si sentì subito una sciocca ad averla invitata ad uscire, avrebbe dovuto prevedere che la conversazione sarebbe stata uno degli ennesimi monologhi dell'amica.
« Anche il mio. I miei amici ed io pensiamo di aver visto un-. »
« Wow! Davvero fantastico, non ci credo! Invece io ho conosciuto la ragazza più popolare del liceo! »
Non l'aveva nemmeno lasciata finire, che rabbia! Sarah le lanciò uno sguardo amareggiato che l'altra, occupata com'era a elencare tutte le memorabili imprese da lei compiute, non notò minimamente. La mora attese diligentemente che quest'ultima facesse una piccola pausa per inumidirsi le labbra rese secche dalle fredde brezze autunnali, deglutire della saliva o anche solo riprendere fiato, ma Eva non faceva nulla di tutto ciò.
Parlava, parlava e parlava.
"Avrei dovuto farmi gli affari miei" si disse Sarah, il cui sopracciglio sinistro non ritornava alla sua normale altezza da almeno dieci minuti.
Da quando Eva aveva suonato il campanello di casa sua e lei l'aveva raggiunta, non era ancora riuscita ad aprire bocca. La sua interlocutrice, non solo non le aveva nemmeno mosso la gentilezza di chiederle come stesse, ma non si era nemmeno preoccupata di farle la benché minima domanda sulla sua scuola o anche solo sul suo ultimo pasto. Anzi, l'aveva anche malamente interrotta!
In pratica, la povera Sarah, aveva il compito di seguirla in silenzio lungo la strada principale di L'Amable e aprire bocca solo per sommergerla di falsi complimenti. Più o meno come doveva fare alle medie.
Come se tutto ciò non fosse già stato abbastanza frustrante per l'aspirante giornalista, Eva sembrava vivere un'esperienza a dir poco perfetta nella sua nuova scuola: aveva conosciuto tanti ragazzi nuovi – cinque dei quali le facevano la corte – la sua coinquilina l'adorava ed era la candidata numero uno per il ruolo di rappresentante di classe.
Considerando che tutto questo fosse successo in neanche due mesi di lezioni, Sarah era stata inevitabilmente colta da un senso di inferiorità: Eva, come al solito, l'aveva battuta in tutto. E tanto per infierire, le stava anche raccontando di quella volta in cui, alla sua prima lezione del corso di pallavolo, stracciò tutte le sue compagne con la stessa facilità con cui schioccherebbe le dita.
« ...E poi mi hanno riportato negli spogliatoi in braccio e urlando il mio nome! » vaneggiò Eva, provocando una dolorosa fitta d'invidia nel petto dell'amica.
"Avrei dovuto farmi gli affari miei".
« Davvero molto bello. » replicò Sarah, fingendosi entusiasta. « Pensa che nel mio club-. »
« Sì! Sono tutti così gentili con me, mi hanno anche detto che sono la migliore sollevatrice da tre anni a questa parte! » la interruppe senza esitazione Eva.
"Avrei dovuto farmi gli affari miei", si ripeteva come un mantra la mora.
« Nathaniel mi ha anche invitata fuori a pranzo per festeggiare! »
"Avrei".
« E come si è ingelosito Stephen! »
"Dovuto farmi".
« In più tutti gli anni si tengono delle votazioni clandestine per eleggere la ragazza più bella di ogni classe, e a quanto pare potrei anche diventare "miss classe prima"! »
"Gli".
« Sono la più popolare del mio anno e il mio oroscopo prevede grandi cose per me. »
"Affari".
« Ieri sera ho bevuto un alcolico per la prima volta. »
"miei".
« Meraviglioso. » disse laconicamente Sarah.
Poi accadde l'inaspettato: Eva si zittì per qualche secondo, il tempo necessario affinché l'altra riuscisse a ficcare nel discorso anche una sua esperienza.
« Io penso di aver visto un fantasma. »
Eva la guardò sorpresa per un istante, prima di scoppiare a riderle in faccia.
« Non esistono i fantasmi, stupida! »
Il sopracciglio sinistro di Sarah si sollevò ulteriormente, deformandole il viso in un'espressione arcigna, e le sue guance si colorarono di rosso per la rabbia. Era una sua impressione o Eva era divenuta addirittura più insensibile di quanto se la ricordava?
« Scusami? »
« Ma sì, idiota, sarà stata un'ombra. »
« Infatti ho detto che penso di averne visto uno. » replicò freddamente Sarah, sottolineando che si trattava solo di un'ipotesi.
Eva, non rendendosi conto di quanto avesse urtato i nervi dell'amica – o forse infischiandosene – continuò a ridacchiare come un'oca.
« In vita mia ne ho sentite di cazzate, ma questa... » infierì infatti.
Il buon umore del mattino era completamene svanito, evaporato come una pozzanghera al sole. Sarah l'avrebbe ben volentieri picchiata.
« Oh, non fare quella faccia; ammetti anche tu che è davvero ridicolo! »
« Non ho mai detto che fosse per davvero uno spettro, cretina! » sbottò Sarah.
D'accordo, la tesi riguardo un'ipotetica attività paranormale risultava campata in aria anche con in circolo la storia di Renée, ma le sembrava parecchio scortese etichettarla subito come stupida senza nemmeno lasciarle il tempo di spiegarsi. Era come se Eva non ritenesse le sue parole degne di venire ascoltate da lei.
Quest'ultima la guardò con gli occhi spalancati: Sarah aveva sempre avuto la tendenza ad irritarsi in fretta, ma al massimo si era sempre limitata a zittirsi e a tenerle il muso, non era mai scoppiata in quel modo. In più l'aveva pure insultata.
« Toh, vuoi un pettegolezzo che sia alla tua altezza? » le inveì contro quella che una volta era una ragazzina calma e posata. « Bene, benissimo anzi: credo che un senior mi stia facendo la corte! »
La rabbia era tale che Sarah nemmeno si accorse di aver alzato troppo la voce. Se ne rese conto quando sollevando gli occhi e guardandosi attorno, notò che Eva la stava guardando scioccata e che un'anziana – un'amica di famiglia, tra l'altro – si era fermata nel proprio giardino con una bacinella colma di vestiti da appendere stretta tra le braccia.
Sarah si sforzò di sfoderare un sorriso innocente verso la donna, quasi potesse cancellare la sfuriata appena fatta, e le fece un energico cenno con la mano.
« Salve, signora Pons! »
L'anziana le rivolse a sua volta un saluto poco convinto, prima di darle le spalle perplessa e dirigersi verso un vecchio stendipanni arrugginito.
Rimasta nuovamente in balia di Eva, Sarah le lanciò un'occhiata di sottecchi per intuire la motivazione di quel fermarsi di scambio di battibecchi: a giudicare dall'espressione incredula stampata sul suo volto, l'ex compagna delle medie stava semplicemente cercando di capire se non avesse colto dell'ironia o se invece Sarah avesse davvero un ammiratore di ben tre anni più grande.
« Che c'è? Non mi credi? » domandò freddamente la più bassa.
Visti i precedenti, Sarah non si sarebbe affatto sorpresa di sentirsi rispondere che fosse impossibile per lei riuscire in tanto.
« N-no, affatto... » balbettò Eva per un momento. « Sono solo stupita. » disse infine riuscendo a ricomporsi e a sfoderare un sorriso malizioso.
Le tirò una gomitata amichevole sulla spalla e Sarah non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto.
« E com'è? Carino? »
« Eccome, è così... misterioso! Ed è anche uno studioso, lo vedo sempre a studiare in biblioteca. » si emozionò Sarah.
Era bastato iniziare a spettegolare di qualcuno per rallegrarla.
Eva scosse la testa divertita, e ciondolando con le mani in tasca urtò l'altra.
« Aaah, i ragazzi belli e tormentati rubano sempre tutti i cuori. » sospirò. « Proprio come Louis-. »
Capendo che l'amica stava spostando nuovamente la conversazione su di sé, Sarah la interruppe senza alcun riguardo.
« Si chiama Ethan, è iscritto al corso di teatro e la sua classe di inglese è proprio accanto alla mia, lo incrocio per i corridoi tutti i giorni. » continuò trasognata.
Eva si zittì di colpo.
« Pensa che quando sono iniziate le attività dei club non ricordavo dove dovessi andare, e me l'ha dovuto dire lui... »
« Davvero? E lui come faceva a sapere dove ti eri iscritta? »
Sarah si grattò la testa a disagio: in effetti raccontata così sembrava condividere un buon rapporto con Ethan, quando invece nemmeno si salutavano. Le sue guance si colorarono per l'imbarazzo, certa che allora Eva avrebbe smesso all'istante di ascoltarla e avrebbe archiviato la storia come: "fantasia adolescenziali che non si avvererà mai".
« Non lo sapeva, stavo semplicemente chiedendo informazioni... »
« Ah, e quando vi vedete di che parlate? »
« Noi non ci parliamo... »
« Ah. »
Vedendo l'entusiasmo dell'amica scemare via repentinamente e una smorfia delusa dipingersi sul suo volto, Sarah si affrettò ad aggiungere:
« Però in biblioteca siamo sempre vicini! »
...Ad un paio di tavoli di distanza.
Per evitare che ciò non fosse ancora sufficiente a supportare la sua tesi, concluse:
« E ieri, sul pullman, è venuto a sedersi nel sedile accanto al mio nonostante ce ne fossero degli altri liberi. »
Sarah camminava con il petto gonfio per l'orgoglio e le labbra stirate in un sorriso fiero. Mordendosi l'interno della guancia per evitare che dalla sua bocca uscisse un verso di scherno (« AH! »), si augurava che Eva non cacciasse anche lei fuori dal cilindro un flirt dell'ultimo anno. E quest'ultima, non trovando altro su cui sindacare, fu costretta ad arrendersi al fatto che sì, forse c'era davvero un senior interessata alla sua amica.
Giunto il lunedì, che si prevedeva essere una giornata grigia e piovosa, Sarah era balzata giù dal letto dalla parte sbagliata, picchiando una testata memorabile contro il soffitto inclinato di camera sua, si era ficcata la matita negli occhi nel vano tentativo di farsi bella e, come se ciò non fosse stato sufficiente, una volta uscita di casa si era accorta di aver lasciato in camera sua l'ombrello.
Suo padre l'aveva accompagnata a Bancroft con un sorriso malefico dipinto sulle labbra, deridendola per il fatto che si sarebbe senz'altro bagnata durante la breve corsa dalla macchina alla navetta. In più, tanto per rigirare il coltello nella piaga, il signor Williams aveva colto l'occasione per fare velati riferimenti al fatto che le sarebbe sicuramente colato tutto il trucco e che qualcuno l'avrebbe vista così conciata.
Arrivati nel parcheggio dove sarebbe arrivato l'autobus, la ragazza cercò morbosamente la figura del suo amato, scorgendolo isolato dagli altri sotto un ombrello e con una sigaretta accesa stretta tra le dita. Il suo profilo, poco nitido a causa della pioggia scrosciante, era incredibilmente simile ad un'ombra in angolo ed era così magnetico che Sarah, nonostante si sforzasse di non fissarlo, finiva sempre per guardare nella sua direzione.
Non appena arrivò la navetta, Sarah salutò sbrigativamente il signor Williams e schizzò fuori dall'auto, correndo quanto più velocemente le sue piccole gambe glielo consentissero; ad ogni goccia che le pioveva addosso riusciva a sentire rimbombare nelle orecchie la risata divertita del padre.
Riuscì a superare con maestria e agilità tutti gli altri ragazzi, finendo per essere tra le prime a salire ma, comunque, fallendo miseramente nell'impresa di non infradiciarsi. Salutò educatamente l'autista, che stancamente si passava una mano sul volto, e andò a occupare un posto al centro del pullman.
Si impegnò a non sollevare la testa e a non dare a vedere che lo stesse aspettando, ripetendosi più volte di non fantasticare troppo e che una rondine non faceva primavera, ma quando si sentì domandare se il sedile accanto fosse libero non poté evitare di sentirsi più leggera.
***
Ehilà! colgo l'occasione per avvertirvi che ho recentissimamente (tipo un'oretta prima della pubblicazione di questo capitolo) aperto un servizio di scambi di lettura.
Lo scopo è quello di aiutare gli scrittori emergenti ad avere una visione globale della propria storia e aiutarli a correggere quello che potrebbe venir corretto.
Il regolamento è semplice semplice, lo trovate nel primo capitolo della raccolta "Reading exchange - scambi di lettura" sul mio profilo ;)
E niente follettini e follettine, io vi ringrazio per la vostra attenzione. Spero di rivedervi tutti sia nei capitoli successivi, sia - perché no - nel mio servizio di scambi di lettura.
Un bacio (a distanza eh, manteniamo il distanziamento sociale),
Lily :*
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