⇝ 2. Il cavolo e il bambino
Che si fosse trattata di banale fortuna o di un autentico dono divino, Sarah non sarebbe stata in grado di dirlo con precisione: Eva, una volta tanto, era stata puntuale.
Un vero peccato – o un altro caso di buona sorte – che Sarah e i suoi genitori avessero invece pianificato il tutto tenendo conto della straordinaria capacità di arrivare sempre, e comunque, in ritardo dell'amica.
Il risultato? Circa un'ora di anticipo.
Escludendo il momento iniziale in cui Eva aveva strillato all'amica quanto fosse emozionata, le due non si rivolsero la parola per tutto il tragitto.
Una volta giunte a destinazione Sarah e Eva si salutarono nel parcheggio della Forthbay senza mostrare troppa malinconia per quella divisione. Nessuna delle due si voltò per guardarsi un'ultima volta e nessuna si fermò improvvisamente sul marciapiede per urlare all'altra un'ultima parola d'addio, come ricordo di quel loro primo - e nuovo - giorno.
Sarah trascinò le sue valigie sul selciato pietroso che conduceva oltre il cancello di ferro battuto con passo deciso verso l'edificio, subito seguita dai suoi genitori. Non aveva alcuna intenzione di apparire debole davanti agli altri ragazzi; se uno di questi avesse tentato di approcciarla probabilmente si sarebbe ridotta ad un susseguirsi di balbettii incerti, ma Sarah sperava che nessuno dei presenti si sentisse in vena di fare quattro chiacchiere.
Sua madre, la signora Liberty Williams, osservava la sua unica figlia con un misto di commozione e tristezza: la sua bambina non era più tale. Il momento in cui se ne sarebbe andata via da casa era finalmente giunto e le sembrava così presto, soprattutto per una ragazzina così giovane. Percival Williams, suo padre, invece, si ostinava a mantenere un'aria calma e rilassata.
D'altronde, dopo quattordici anni passati a scherzare su quel fatidico momento (« Di' un po': quand'è che avresti intenzione di sloggiare? »; « Tanto tra poco ti sposi e te ne vai. »), non poteva dar a vedere che, sotto sotto, provava un senso di dispiacere anche lui.
La madre, prima che Sarah ebbe modo di aprire il pesante portone d'ingresso, le sistemò la sciarpa leggera attorno al collo, come gesto abituale, prima di rivolgerle un sorriso triste.
« Mamma, sono solo cinque giorni. » le ricordò la figlia.
« Mi mancherai lo stesso. » le rispose lei, cercando di bloccare una lacrima che, tanto sapeva prima o poi sarebbe scesa comunque.
Sarah le diede le spalle, prima che questa incrociasse i suoi occhi e leggesse la sua incertezza, e varcò la soglia. Il battente di legno scuro si aprì con fatica, dando libero sfogo ad un'improvvisa esplosione di rumori: il frastuono provocato dall'assordante chiacchiericcio di vecchi e nuovi studenti e dei genitori delle matricole la raggiunse con violenza, e Sarah, trovandosi davanti tutti quei visi nuovi, ricominciò a provare lo stato d'ansia che credeva di aver messo finalmente da parte.
La giovane si guardò attorno, ma dal suo metro e mezzo di altezza non vedeva altro che una fiumana di gente indistinta.
Lauren non era ancora arrivata, ne era certa perché, conoscendola, sapeva che la ragazza non si sarebbe mai avventurata in mezzo alla calca, a costo di ostruire il passaggio di ingresso.
Sarah ebbe quasi la tentazione di mandarle un messaggio per chiedere dove fosse, ma sapeva anche che avrebbe dovuto attendere una decade per ricevere risposta e tanto valeva aspettare e basta.
Sarah si rallegrò di non doverla attendere per troppo tempo.
La famiglia Rodgers era al completo e affiancava la figlia senza lasciar trapelare alcun entusiasmo. Anzi, era evidente che sarebbe potuta scoppiare una lite da un momento all'altro. Sarah non ci badò molto, perché la sua attenzione si concentrò sull'amica.
Per il suo primo giorno di scuola non si era nemmeno impegnata a scegliere degli abiti carini, mantenendo così il solito look anonimo e spento.
Il caschetto di capelli dorati era, come sempre, in disordine e le sue guance avevano assunto un classico rossore imbarazzato. Gli occhi scuri dietro gli occhiali si muovevano freneticamente da una parte all'altra, così come farebbero quelli di un topolino spaventato.
« Ciao... » mormorò la bionda.
La differenza di altezza tra le due era tale che Lauren era costretta a guardare l'amica dall'alto verso il basso, come si farebbe con una bambina. Con le sue gambe slanciate, Lauren avrebbe potuto essere scambiata facilmente per una ragazza più grande, se solo si fosse decisa a prendersi cura del suo aspetto. Sarah le sorrise calorosamente.
« Lauren, ti trovo bene! » si complimentò la signora Williams, con la sua classica voce esuberante.
La bionda arrossì violentemente e d'istinto, come se ciò l'aiutasse a mantenere la calma, si passò una ciocca di capelli tra le dita ossute.
I coniugi Williams salutarono cordialmente i Rodgers, apparentemente disinteressati al fatto che la figlia si fosse allontanata.
Sarah tornò ad osservare con curiosità il comportamento strano dei genitori di Lauren: i due adulti guardavano in direzioni opposte pur di non incrociare lo sguardo dell'altro e Cedric - il fratello maggiore di Lauren - sembrava non vedere altro che il display del suo cellulare. Lauren lanciò un'occhiata incomoda all'amica che le fece intendere di avere a che fare con uno dei suoi tanti segreti. Sarah scrollò le spalle con fare rassegnato, domandandosi quante confidenze Lauren custodisse.
« Sei già andata a ritirare le chiavi? » le chiese Lauren per distrarla.
Se c'era una cosa che questa sapeva su Sarah, era che nessuna informazione le sfuggiva quando quest'ultima si metteva ad unire i punti.
« No, ti ho aspettata per farlo. » disse l'altra sorridendole.
Cedric, che per tutta la durata del tempo era sempre stato per i fatti suoi, si avvicinò a loro con aria spazientita, salutando senza particolare enfasi Sarah e i suoi genitori. Poi si rivolse alla sorella.
« Papà chiede se ti serve una mano. Dice che aveva promesso al suo capo che sarebbe rientrato alle nove e mezza e potrebbe fare tardi. » le spiegò con tono piatto e indicando il genitore con il pollice.
« Oh...» esclamò Lauren, abbassando lo sguardo tristemente. « No, me la cavo da sola. »
« Quindi possiamo andarcene? »
La signora Williams storse il naso davanti quella scena e suo marito, vedendo Cedric e i suoi genitori congedarsi con un misero saluto, lanciò loro un'occhiata disgustata: loro figlia iniziava il liceo e non solo a malapena le rivolgevano la parola - azione che avrebbe sicuramente rassicurato una ragazzina timida e spaventata come Lauren - ma se ne stavano andando senza nemmeno salutarla a dovere. Che Lauren vivesse in una famiglia strana Sarah l'aveva sempre saputo, ma mai si sarebbe immaginata di dover assistere ad una scena così pietosa. La giovane si voltò verso l'amica e vide sul suo volto un'espressione mortificata.
Sapendo che tanto non avrebbe ottenuto nessuna risposta a nessuna domanda, decise di cambiare discorso.
« Allora? Andiamo a prendere queste chiavi e a metterci la divisa? » propose quest'ultima con un sorriso incoraggiante.
La bionda annuì con il capo, trovando la forza di sollevare gli angoli delle labbra carnose in un'imitazione poco riuscita di un sorriso.
« Dobbiamo venire anche noi? » s'intromise scherzosamente il signor Williams.
« No, ci arrangiamo. » Sarah voleva evitare di venir derisa dai ragazzi più grandi - aveva sentito un sacco di storie di bullismo verso i più piccoli, e la mora voleva proprio evitare di finire tra queste.
« Ti vergogni del papà? » la derise il signor Williams, intuendo il motivo di quella risposta.
Un po' gli dispiaceva dover essere messo da parte, ma dall'altra capiva che sua figlia stava semplicemente diventando indipendente.
« Perce! » lo richiamò la moglie, con gli occhi lucidi per la commozione. « Nostra figlia è cresciuta, lasciala fare. »
La donna, con le dita incrociate sotto al mento come durante una preghiera, guardava la sua unica figlia con ammirazione e, allo stesso tempo, tristezza.
« Dunque è un ciao? » chiese il padre di Sarah.
« Sì, direi di sì. »
Liberty Williams si avvicinò alla sua figliuola e prima che questa potesse fare un balzo indietro per sfuggirle, la strinse in un forte abbraccio.
« Non mangiare troppe porcherie o ti verrà il mal di pancia. » iniziò.
« Sì, mamma. »
« E quando esci mettiti la sciarpa, o ti verrà il mal di gola. E quando... »
« Sì, Liberty, lo terrà a mente. » si intromise il marito, prima che la moglie potesse elencare qualcos'altro.
Alle spalle della ragazza, Lauren osservava la scena infelice; sua madre non si era mai comportata così, e ciò non poteva non farle sentire una piccola fitta al cuore.
« Il maglione di nonna Concordia... » tirò su con il naso Liberty, prima di completare la frase. « ...te lo stavi dimenticando a casa, te l'ho messo in borsa. »
Sarah alzò gli occhi al cielo e si appuntò di trovare un nascondiglio migliore per quella schifezza pelosa quando il sabato successivo l'avrebbe riportato a casa. E se ciò non si fosse dimostrato possibile, allora, un giorno, l'avrebbe casualmente perso.
Dopo averle fatto un'ultima raccomandazione, la signora Williams liberò la figlia dall'abbraccio. Si allontanò da lei ed estrasse un fazzoletto di carta per asciugarsi gli occhi, ormai rossi per le lacrime che aveva versato. Sarah cercò di reprimere una smorfia schifata davanti alla vista della bella macchia scura lasciatele dalla madre sulla spalla (muco nasale, forse?), ma il disgusto le impedì di distogliere lo sguardo da essa.
« Coraggio, la riavremo tra le scatole già sabato e vorremo rispedirla indietro. » scherzò nuovamente il signor Williams, per sdrammatizzare la situazione.
« Sei il solito insensibile, Perce! » gli ringhiò contro la moglie.
Sarah lanciò un finto sguardo di rimprovero al padre, prima di slacciarsi la collana che portava al collo e porgerla alla madre.
« Ecco. Ogni volta che ti mancherò, guarda questa. »
La signora Williams la strinse tra le dita curate e scoppiò definitivamente in lacrime. Alcune teste si voltarono nella loro direzione e Sarah desiderò scomparire.
« Forse sarebbe il caso di andarsene. » sentenziò il padre di Sarah, spingendo via la sua dolce metà, per poi scompigliare affettuosamente i capelli della figlia – causandole ulteriore imbarazzo – e salutare con altrettanto affetto Lauren, che per tutta la durata del tempo era rimasta in silenzio ad osservarli.
In quel gesto, apparentemente fatto con nonchalance, si nascondeva tutto l'amore che il papà provava per la sua bambina, che ormai bambina non era più.
E mentre la signora Williams si dirigeva verso l'uscita in lacrime con suo marito, farneticando a proposito di certe emergenze in cui Sarah sarebbe potuta incappare (« E se le viene mal di testa? Non le ho dato neanche un'aspirina! »; « e se le viene qualche... problema femminile? Si sarà ricordata gli assorbenti? »), la ragazzina in questione e la sua amica si precipitarono in segreteria - trascinando con loro i bagagli - per ritirare le chiavi della loro stanza. Insieme a quelli, venne consegnato loro anche un plico di volantini, i documenti pertinenti all'iscrizione ai corsi e il programma che avrebbero seguito per il resto dell'anno, che Lauren cominciò subito a sbirciare.
Il tragitto che le avrebbe portate ai dormitori sembrò loro estremamente lungo e, sebbene dal soffitto dei corridoi penzolassero cartelli che indicavano alla perfezione il percorso per le varie aree del liceo, Sarah e Lauren finirono col fare un giro turistico non programmato. Le due persero diversi minuti a rimirare il contenuto di alcuni espositori disseminati per i corridoi dell'ala antica: c'erano vecchi microscopi risalenti alla metà del secolo precedente, cianfrusaglie della famiglia Forthbay, vecchi orologi a pendolo rotti che segnavano tutti il medesimo orario - le dieci e dieci - e alcune fotografie scolorite raffiguranti la reggia nel corso degli anni.
Ma il pezzo forte della collezione scolastica era esposto appena fuori l'aula magna: una prima pagina di giornale, datata 1865, recitava un glorioso annuncio riguardante Renée Forthbay e un suo concerto col pianoforte. Una reliquia che la preside si teneva ben stretta.
Una volta arrivate a destinazione, un palazzo anch'esso di mattoni rossi che richiamava lo stile del blocco antico del liceo, le due ragazze accelerarono il passo. Dal portone spalancato uscirono alcune studentesse, che la Williams osservò con ammirazione e, senza più preoccuparsi di attendere Lauren, superò l'area comune per precipitarsi nel primo corridoio che vide, alla ricerca della loro camera – che si scoprì essere in realtà al piano superiore. E così, dopo aver trascinato le valigie negli ascensori di servizio, la mora cercò il numero segnato sulla propria chiave.
Giunte in camera - un'accogliente stanza doppia con le pareti dipinte di pesca - Sarah non si limitò ad osservare la l'ambiente in sé, ma si mise subito a sbirciare ovunque: nell'armadio color noce, nei cassetti di una vecchia scrivania che presto sarebbe stata sua, sotto ai letti...
« Però, niente male. » valutò infine.
Al contrario, Lauren si era limitata a sistemare i suoi libri preferiti su una mensola e a cambiarsi senza proferire parola.
Sarah la osservò preoccupata, certa che tutta quella tristezza provenisse dal freddo arrivederci della sua famiglia; si sentì immediatamente a disagio, colta da un opprimente senso di impotenza: consolare non era mai stato il suo forte, specie se all'oscuro di tutta la storia che c'era dietro. Per evitare di continuare a guardarla si apprestò ad estrarre la divisa scolastica dalla valigia e a spogliarsi per indossarla a sua volta, ma il silenzio della coinquilina era a dir poco assordante.
La mora gettò un'occhiata alla brochure appena ricevuta dalla scuola sulla scrivania, identica a quella che aveva a casa, e l'afferrò per sfogliarla.
« Hai visto che c'è il corso di musica? » attaccò Sarah, nel vano tentativo di risollevare il morale.
Lauren sollevò impercettibilmente un angolo delle labbra, senza guardare la coinquilina.
« Ho visto. » replicò.
« Guai a te se non ti iscrivi! » la minacciò bonariamente Sarah.
Finalmente la bionda si aprì in un debole sorriso e per non incrociare lo sguardo dell'amica, fissò il quaderno che teneva tra le mani.
Lauren era un'ottima pianista, suonava da quasi dieci anni. Era di una bravura e di una capacità fuori dal comune e da qualche mese aveva addirittura cominciato a comporre da sé in segreto.
« Tu intendi iscriverti a qualche corso? » chiese quest'ultima.
« Ovvio che sì. » replicò Sarah piena di sé. « Il club di giornalismo sembra chiamarmi. »
Lauren ridacchiò con una punta di ironia: aveva sempre saputo che l'amica aveva la tendenza ad impicciarsi degli affari altrui, con suo disappunto. Era sicura che prima o poi avrebbe finito per scovare il suo armadio dei segreti e aprirlo, facendo così cadere tutti gli scheletri che si era tanto impegnata a nascondervi. Sarah le avrebbe rivoltato la vita come un calzino per saperne di più.
Il volto della giovane si corrugò in un'espressione inquieta e la sua coinquilina capì di aver fallito miseramente nell'intento di far scomparire la nuvola nera che fluttuava sopra la sua testa.
« Senti - » esordì Sarah, avvicinandosi con lunghe falcate alla bionda e strappandole dalle mani un reggiseno con più violenza di quanto avesse realmente avuto intenzione di fare. « Oh, perdonami! » si scusò davanti al cipiglio stupefatto della pianista.
Sarah sospirò dispiaciuta.
« Lascia stare. Andiamo al bar, ti offro una brioche. »
L'ampio locale mensa, dal design interno meno pacchiano e più contemporaneo, era abbastanza affollato, ma non tanto da impedire ai ragazzi di muoversi liberamente nella stanza. Alcuni studenti occupavano i tavoli, altri erano riuniti in gruppi più numerosi, altri ancora erano delle coppie come Sarah e Lauren; chiacchieravano rumorosamente, riempiendo l'aria di risa e voci sommesse. Si respirava un delizioso aroma di dolci.
Sarah lasciò vagare lo sguardo sulle piastrelle bianche che componevano le pareti del locale; i banconi color perla erano stati posizionati vicino alla porta d'ingresso e il pavimento a scacchi bianchi e neri sembrava quasi amplificare il rumore dei passi dei ragazzi.
Le due quattordicenni si diressero timidamente verso il barista, un uomo sulla mezza età e calvo, che si stava intrattenendo in chiacchiere con due ragazzi in divisa sicuramente più grandi di loro, e si misero in coda.
« Avete già finito le ciambelle? » si lamentò uno dei due, con i capelli mossi e neri.
« Ebbene sì. » replicò il pelato.
« Ma sono le otto e venti! Siamo in una scuola di cavallette! Ogni anno è sempre peggio. » continuò il giovane.
« Votami come rappresentante di istituto e non si incapperà più in questi spiacevoli avvenimenti. » s'intromise l'amico, un ragazzotto biondo e non troppo alto a sua volta.
« Non dirmi che vuoi veramente candidarti. » ribatté il barista alzando un sopracciglio, senza nascondere la sua perplessità.
« Sì, caro Simon. » gongolò il biondo. « É il mio ultimo anno, voglio buttarmi. Inoltre svolgerei un ottimo lavoro. »
« Come minimo finirai solo per buttarti da una finestra del secondo piano, e poi ci sarebbe da inventarsi una leggenda anche su di te. » ribatté ironico il compagno, picchiettando le dita pallide sulla superficie legnosa del banco.
« Sei al corrente del fatto che, se dovessi davvero arrivare primo, dovresti fare periodicamente visita a quella vacca che gestisce questo liceo, vero? » domandò il barista.
Sarah e Lauren si scambiarono uno sguardo scioccato quando udirono la frase dell'uomo.
« La dolce Trinity non mi preoccupa. » rise il biondo.
Si voltò verso la zona più affollata della mensa, si portò le mani a coppa ai lati della bocca e urlò:
« Votate David Brooks come rappresentante di istituto! »
Gli studenti nella mensa si zittirono per un attimo, giusto il tempo di capire cosa stesse succedendo, per poi ricominciare a chiacchierare. Solo quelli che sembravano avere più o meno la stessa età del ragazzo risposero con versi di apprezzamento e alzate di pollici.
Solo allora il biondo notò le due ragazzine in fila.
« Oh, scusateci. Prego, noi non dobbiamo prendere niente. » disse lui con un profondo inchino e tirando per una manica l'amico bruno per invitarlo a spostarsi.
« Andiamocene, Dave. Alla prima ora ho Peterson e non voglio tardare. » si espresse quest'ultimo, non considerando le due matricole.
« Cazzi tuoi, non ti ho spinto io a scegliere storia moderna come materia opzionale. Ho un programma elettorale da mandare avanti. Ci vediamo alla seconda ora per inglese. » Dopodiché si voltò ancora verso le due ragazze e riprese: « Alle elezioni di istituto di novembre ricordatevi di David Brooks, che a inizio anno vi ha lasciate passare. David Brooks, mi raccomando! »
A sentire le voci di corridoio udite durante la loro breve permanenza nella mensa, la Forthbay High School appariva ancora più particolare di quanto le giovani pensassero inizialmente. Ad esempio, Sarah aveva ascoltato con interesse due ragazze parlottare tra loro a proposito del giornalino scolastico, "Write about us", e della perfida presidentessa Olivia, che a quanto pareva si era conquistata il titolo l'anno precedente con una specie di colpo di stato: aveva fatto ritirare la vecchia caporedattrice facendola scoppiare a piangere. Si vociferava che terrorizzasse gli iscritti al club se questi non producevano a sufficienza, e che nel suddetto avesse una piccola ristretta cerchia di ragazzi, "i veri giornalisti", ovvero coloro che effettivamente si occupavano del mensile. E con la prospettiva di dover affrontare un mostro del genere, Sarah ebbe un piccolo attacco d'ansia - con pallore e lieve iperventilazione annessa.
Non solo avrebbe dovuto combattere contro una strega, ma non era nemmeno sicuro che sarebbe riuscita a prendere parte alla stesura degli articoli. Scuola diversa, stessa situazione. Bello schifo.
I rumori della mensa le parvero come ovattati e lontani e l'unico suono sinistro che le rimbombava nelle orecchie fu il furioso scalpitare del suo cuore.
« Sarah, ti senti bene? » le domandò preoccupata Lauren.
« Sì. » disse l'amica. « Sì, va tutto bene. »
Lanciò un'occhiata veloce al display del cellulare che aveva accanto a sé e, sempre con una pessima cera, guardò poi la bionda.
« È meglio andare. »
L'aula magna, una spaziosa stanza che ancora manteneva il vecchio stile da ricconi, era colma di studenti e genitori. Gli unici posti rimasti non consentivano alle due ragazze di rimanere unite.
« Siamo arrivate tardi. » valutò delusa Lauren.
« Oh, grandioso. » commentò tra sé e sé l'altra con tono scocciato.
Sarah era di pessimo umore: non solo si era spaventata come una bambina di fronte ad un pettegolezzo, era addirittura costretta a rimanere in piedi. Un contrattempo dopo l'altro!
La mora continuò ad osservare l'aula e, sul lato corto della sala, vide una serie di banchi perfettamente allineati, dal quale alcuni professori osservavano con interesse la folla. Dietro di loro c'era un vecchio camino riccamente decorato e un telo candido, che sarebbe servito per le proiezioni; a fare da sfondo, c'erano le pareti dipinte di bianco e celeste.
In un angolo, qualcuno travestito da volpe – la mascotte della scuola – sedeva scomposto su uno sgabello; dalla pelosa testa da peluche poggiata stancamente su un braccio, Sarah si convinse che il poveretto fosse stato costretto ad accettare la carica solo per una scommessa persa.
Una donna dai lisci capelli neri e la faccia cavallina parlava (e parlava, e parlava...) con un uomo dai baffoni ingrigiti, che non dava alcun segno di star ascoltandola.
Poco più in là un'anziana in sovrappeso con un tailleur nero e l'espressione arcigna, si passava tra le dita un microfono spento senza proferire parola in una posizione rigidamente composta. La tinta, anch'essa nera, copriva a malapena la ricrescita candida, e il viso rugoso sembrava un incrocio tra una mela e una prugna avvizzita.
Quando questa si alzò con l'ausilio delle braccia puntate sul tavolo e tremanti per lo sforzo, tutti i docenti si zittirono di colpo. Fenomeno che, invece, non si verificò nella folla di ragazzini e genitori.
« Hem hem... » si schiarì la gola l'anziana, avvicinando il microfono spento alle labbra sottili come fogli di carta.
Lanciò un'occhiata ad un uomo curvo e con dei radi capelli chiari, vestito con una tuta sportiva anni ottanta, che si apprestò ad accendere l'amplificatore.
« Silenzio! » esortò l'anziana con voce stridula.
Tuttavia, il brusio non cessò.
« SILENZIO! » strepitò, facendo fischiare le casse.
Gli sventurati più vicini ad esse emisero un verso infastidito e si coprirono le orecchie. Sarah e Lauren fecero un saltino all'indietro, andando a sbattere contro la parete alle loro spalle.
« Scusate per l'inconveniente. » disse la donna, « ma io pretendo la disciplina. » continuò inflessibile.
Il gelo calò nella stanza.
« Io sono la professoressa Trinity Ortiz, rettrice di questo istituto da ben quindici anni, da ben prima che voi nasceste... » iniziò la preside con solennità, osservando per bene i nuovi alunni seduti in prima fila. « ...dottoressa in psicologia – sì, hai capito bene, Tu qui davanti, sono una psicologa: niente giochetti mentali con me, non reggono. » si rivolse ad un ragazzino terrorizzato seduto nei primi posti.
Il giovanotto in questione, resosi conto di essere al centro dell'attenzione, divenne color porpora e scivolò leggermente lungo la sedia, nel disperato tentativo di svanire.
« Tornando a noi: come ben saprete, la Forthbay High School è un liceo serio, che fornisce un'istruzione esemplare e che, pertanto, va presa con il massimo della coscienziosità. Avrete letto nella nostra dettagliata brochure o sentito ad uno dei nostri Open day che voi ragazzi del primo anno parteciperete alle lezioni pressoché sempre nella medesima aula, ma che dal secondo anno, con l'aggiunta di materie opzionali, dovrete spostarvi da stanza a stanza. » recitò muovendosi nello spazio intermedio tra le sedie degli spettatori e i banchi degli insegnanti.
« Qualcuno di voi potrebbe aver sentito voci poco lusinghiere sul nostro liceo, magari dette da quei cialtroni della Waxbee High School, con cui non riusciamo proprio a mantenere rapporti diplomatici... oh, le hai sentite? » si interruppe vedendo una manina sollevarsi dal fondo della stanza.
Il burlone in questione, un ragazzotto dai capelli biondo scuro e un viso vispo, sorrise come un ebete vedendo tante teste girarsi verso di lui, e gonfiò il petto come a volersi fare bello.
La preside, tuttavia, sembrava non trovare affatto divertente quell'uscita; le sue labbra si contrassero per l'irritazione, assottigliandosi ulteriormente, e le rughe del suo volto si accentuarono.
« Fesserie! » tuonò la donna.
Sebbene il microfono fosse troppo lontano dalla sua bocca, nessuno ebbe alcun problema a udire quel latrato furioso, e i ragazzi delle prime quattro file si ritirarono all'indietro all'unisono come se la rettrice avesse iniziato a sputare fiamme.
Sarah cominciò a sospettare che il tailleur nero servisse nell'eventualità che uno dei nuovi studenti passasse a miglior vita per la paura.
Dietro i banchi, i professori e il ragazzo travestito da volpe – con un latente umore suicida – non sembrarono meravigliarsi per l'aggressività dell'anziana.
« Noi ci teniamo a fornire un vasto bagaglio culturale e anche a insegnare della sana disciplina ai nostri alunni. » continuò con la stessa irruenza di prima. « ... A differenza loro »
L'ultimo commento era stato soffiato con un filo di voce, quasi fosse più una frase detta tra sé e sé. Tuttavia, la donna non si era minimamente disturbata ad allontanare il ricevitore.
Alcuni genitori si guardarono tra loro sconvolti di fronte alla scena che stavano assistendo. Sulle loro facce si leggeva senza alcuna difficoltà il dubbio di aver iscritto il proprio pargolo in una scuola tenuta insieme da una matta. La signora Ortiz era una strega.
« Non azzardatevi a fare più di tre ritardi senza una giustificazione: al terzo si finisce » riprese la rettrice con tono freddo, che non ammetteva repliche. « Il coprifuoco è alle undici. Chiunque venga beccato dal custode in giro per il giardino oltre questo orario se la vedrà subito con me; guai a voi se dovesse succedere una cosa del genere. I minorenni che alloggiano qui possono uscire il venerdì sera, previo consenso firmato dai genitori. »
Pausa infinita.
« Niente effusioni nei corridoi e non mi prendo la responsabilità di bimbi nati per sbaglio tra queste mura... oh, per piacere, si tolga quell'espressione dalla faccia: suo figlio sa benissimo di non essere stato trovato sotto a una pianta di cavolo. » si rivolse verso una madre iperprotettiva, che avendo intuito che l'argomento sfiorato era proprio il tanto temuto e ancora coperto da taboo, sesso, aveva tappato le orecchie del suo pargolo.
Sarah e Lauren si guardarono allucinate.
« Ma nel caso in cui a casa sia stata realmente insegnata un'assurdità simile, a fine anno si terranno delle lezioni sull'argomento. Credo che certi argomenti sia decisamente meglio apprenderli in un ambiente sano e controllato da un adulto coscienzioso, piuttosto che da soli su un sito internet o in compagnia di altri ragazzini inesperti. » continuò la preside, apparendo per un istante una donna seria e responsabile, invece di un'anziana frustrata che aveva fatto del tormentare gli alunni la propria missione personale.
Dopo aver osservato il distendersi delle espressioni tese di alcuni genitori, che dopo l'uscita del cavolo e del bambino cresciuto sotto di esso avevano sbarrato gli occhi allarmati, riprese a dettare alcune regole riguardo la cura degli spazi comuni.
La preside si avvicinò ad uno dei banchi e tentò, con un'improbabile saltello che non la sollevò di nemmeno un paio di centimetri, di sedercisi sopra. Si portò una mano rugosa all'anca con una smorfia di dolore e preferì rimanere in piedi.
« Signora preside, sta bene? » domandò in preda all'ansia il professore curvo che a inizio incontro aveva acceso gli altoparlanti.
« Sì, sì, sto bene. » lo liquidò lei malamente. « Inutile che fai il carino, O'neil, non te lo concedo quell aumento. »
Sarah si sollevò sulle punte per sussurrare qualcosa nelle orecchie di Lauren.
« Dovevamo iscriverci alla Waxbee... » valutò lugubre.
Lauren, senza nascondere il terrore che le infondeva la rettrice, annuì guardando l'amica con due occhietti sbarrati.
« I fumatori – che teoricamente non dovrebbero esistere in questa sala, essendo voi tutti minorenni – dovranno riempirsi i polmoni di catrame fuori dal perimetro scolastico, fuori dalla mia giurisdizione. Bene, spero che abbiate tutti le idee chiare, perchè Paganini non ripete. »
La donna dalla faccia cavallina si alzò, rivelando una silouette secca e slanciata, e si avvicinò con sorriso forzato e passo zoppicante alla preside. A prima vista, Sarah le dava una cinquantina d'anni.
« Direi quindi di passare a dividervi per classi: cominciamo dalla 1^A, com'è giusto che sia. »
Sarah e Lauren, consapevoli di essere in quella sezione, osservavano con interesse tutti gli studenti chiamati per nome affiancare l'insegnante, e quando giunse anche il loro momento, le due quattordicenni si unirono al gruppetto formato senza guardare in faccia nessuno, e sollevando lo sguardo solo per sorridersi consolatorie tra loro.
A lista terminata, ai ragazzi non rimaneva che seguire l'insegnante fino alla loro nuova classe.
***
Ehii, ecco il secondo capitolo! Che dite, vi piace? Fatemelo sapere con un commento o con una stellina!
Vi informo inoltre che potete trovarmi su Instagram con il nome lilythebennet ... vi aspetto, eh!
Al prossimo capitolo,
Lily Bennet
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