⇝ 11. Pentiti dei tuoi peccati
L'indomani fu possibile udire la voce della preside gracchiare dagli altoparlanti ad ogni cambio d'ora, incitando il ladro a restituire pentirsi del proprio peccato – senza però sottointendere di cosa dovesse espiare.
La dolce Trinity era sicura che fosse tutta colpa di uno degli alunni più scalmanati del liceo – che ovviamente conosceva come i suoi stessi nipoti, dal momento che molti di loro erano finiti nel suo ufficio svariate volte – e temeva che, se solo avesse confessato apertamente che ad essere sparita era una chiave su cui mezza scuola aveva messo gli occhi addosso, questi si sarebbero coalizzati tra loro per entrare tutti insieme nella Stanza.
Nessuno sospettava di quella peste in incognito su All Star bianche.
« Sei stata tu? » le domandò incredulo Logan, quando questa gli aveva mostrato di nascosto il metallo arrugginito nascosto nello zaino.
A entrambi sarebbe piaciuto entrare per curiosare, ma quando Sarah, quel pomeriggio, ci passò davanti per raggiungere il club di giornalismo e vi trovò davanti due bidelli a guardia, cambiò immediatamente idea. Non avrebbe mai immaginato di gettare tanto scompiglio con così poco.
A fine giornata, voci di corridoio affermavano con sicurezza che la preside si fosse sfogata al microfono per ben novantadue volte.
E quando Isaac notò il sorrisetto soddisfatto di Sarah, in genere abbastanza annoiata dal lavoro di correzione dei testi, non poteva proprio immaginare cosa gli sarebbe stato messo sotto al naso; all'inizio credeva semplicemente che la ragazza avesse avuto una bella giornata e basta, ma quando notò che questa gli stesse rivolgendo sguardi con un po' troppa insistenza per trattarsi solo di comune allegria, decise di attendere che si allontanasse dalle sue amiche per andare a parlarle.
Soprattutto perché, se quelle continue occhiatine significavano interesse da parte della quattordicenne, Isaac voleva stroncarle sul nascere.
Ma quest'ultima fu decisamente più lesta di lui a braccarlo e, non appena lo notò solo, si affrettò a liberarsi delle due ragazze con cui chiacchierava con piacere durante i suoi pomeriggi al club, e a raggiungerlo.
Isaac, seduto davanti al suo pc portatile, una pila di tovaglioli di carta e una fetta di torta comprata alla caffetteria, non fece nemmeno in tempo a sollevare gli occhi azzurri sulla ragazza davanti a sé, quando una chiave arrugginita piombò proprio accanto al dolce mezzo mangiato con un rumore metallico. Avendola già vista in precedenza, non gli ci volle molto per capire di cosa si trattasse.
Il giornalista sollevò di scatto la testa e guardò Sarah dritto in viso: non si sarebbe mai aspettato che un esserino così piccolo e carino sarebbe sarebbe stato capace di rubare qualcosa al liceo. Con il suo aspetto da bambina, le braccia spesso incrociate al petto e gli occhi innocenti lo aveva ingannato per bene.
Quando l'aveva sfidata a scoprire dove fosse quella dannata chiave, credeva che al massimo questa si sarebbe solamente limitata a dirgli che era agganciata ad un moschettone che le bidelle si portavano sempre dietro, non che se la sarebbe intascata e che gliel'avrebbe sbattuta sotto al muso quando meno se l'aspettava.
Isaac se la rigirò incredulo tra le dita, sotto lo sguardo compiaciuto della quattordicenne che, orgogliosa del suo operato, se ne stava in piedi davanti a lui con il petto in fuori.
« Ma... » biascicò lui.
Non trovava nemmeno le parole, talmente lo stupore. Si doveva essere sbagliato sul suo conto, altrimenti non si spiegava come mai quella ragazzina dall'apparenza così tranquilla e rassicurante gli avesse tirato contro una chiave non sua.
« Ho vinto la sfida. » rispose Sarah, riafferrando l'oggetto che Isaac stringeva nella mano destra e ricacciandoselo in tasca.
L'insistenza della preside si prolungò anche nei giorni a venire sempre con lo stesso messaggio: il colpevole doveva pentirsi. E oramai, a causa della scarsa discrezione dei bidelli, che il più delle volte chiacchieravano tra loro senza preoccuparsi dei ragazzi in ascolto, tutti sapevano della scomparsa delle famose chiavi.
Ma poco prima che Sarah, esasperata da quel gracchiare di casse ad ogni cambio d'ora, potesse abbandonarle in un posto dove sarebbero sicuramente state recuperate dallo staff scolastico, qualcuno decise di mettere fine a quel supplizio smontando il microfono nell'ufficio della rettrice; azione che la fece imbestialire maggiormente e che la spinse a deambulare per i corridoi fermando ogni studente sospetto per porgli delle domande. E tra questi alunni malvisti c'era anche Max, che non apprezzò particolarmente il fatto di essere finito nella lista nera, quando per una volta si era tenuto lontano dai guai.
David Brooks, l'amico di Ethan che al primo giorno l'aveva lasciata passare al bar, apparentemente il favorito per la carica di rappresentante di istituto, per arruffianarsi la dolce Trinity affermò con veemenza che sotto il suo controllo non sarebbe mai più avvenuta una simile bravata.
Capendo di non poter più lasciare la refurtiva in luoghi chiave della scuola, Sarah decise di fare una capatina al bagno maschile del primo piano, un paio di giorni prima delle elezioni di istituto, e piantarle lì. Dell'uso improprio che ne sarebbe stato fatto una volta ritrovate non era affar suo.
Arrivata la mattinata delle votazioni - e neanche a dirlo, una delle ore occupate era proprio quella della Wilson - Sarah non aveva ancora ricevuto voci attendibili riguardo la sorte di quelle beneamate chiavi. Quella più gettonata e assurda, però, le vedeva già clonate e vendute a dieci dollari l'una.
Seduta al suo banco in fondo alla classe, la ragazza ascoltava lo scambio di battibecchi tra la docente e Max, uno spettacolino che sebbene si ripetesse almeno tre volte a settimana non smetteva mai di divertirla.
« Non le sto dicendo di mettere da parte il programma e lasciarci liberi di giocare a carte solo per pigrizia, come le viene in mente? » si finse sbalordito quest'ultimo, dopo che la professoressa aveva estratto sbuffando dalla borsa il libro di testo. « No, mi lasci spiegare bene: visto che aspettiamo che vengano a chiamarci dall'inizio della seconda ora, adesso siamo già alla terza e le classi che ancora devono votare sono sempre meno, sarebbe davvero un peccato se lei iniziasse a spiegare... di cosa ha detto che vuole parlare oggi? »
« Vorrei iniziare ad introdurvi alla nascita della lingua francese, tra il V e X secolo. »
« Grandioso! Sogno questa lezione da una vita! » continuò il ragazzo con falso entusiasmo, suscitando l'ilarità della classe. « Ma vede, non riuscirei proprio a superare emotivamente una sua improvvisa interruzione a causa di queste elezioni di istituto. Per salvaguardare la stabilità psichica della classe, proporrei di non fare lezione e osservare come ci gestiamo in un momento destrutturato. »
La Wilson lo guardò accigliata. In due mesi di lezioni non aveva mai visto l'alunno impegnarsi seriamente in qualcosa che non fosse disturbare e infastidire. A quanto era emerso chiacchierando con alcuni colleghi, inoltre, la professoressa Morgan e il coach di atletica erano le uniche persone a cui il ragazzo non faceva venire il sangue amaro.
« Tzè! I piantagrane sempre nel mio corso... » borbottò la donna, non abbastanza a bassa voce perché nessuno riuscisse ad udirla.
« Forse ha ragione Torres, professoressa: non sarebbe piacevole venir interrotti mentre si parla di Baudelaire... » intervenne Logan per dare man forte all'amico.
« Non ti ci mettere anche tu, Ross! » strepitò la donna, assumendo la sua iconica vocetta infantile. « E Baudelaire è dell'ottocento, non del medioevo! Complimenti per l'ignoranza. »
« Apprezzi lo sforzo, è già tanto che sappia il suo nome. » le fece notare Amber, guadagnandosi un dito medio dal diretto interessato.
« ROSS! »
« Quando ci vuole, ci vuole. »
La Wilson sbuffò esasperata, brontolando qualcosa a proposito di un viaggio di sola andata per Honolulu e sfogliando svogliatamente il volume di francese. Capendo di non poter più sfuggire e che, volente o nolente, la professoressa avrebbe comunque spiegato la sua lezione durante l'attesa dell'inizio delle elezioni, Sarah afferrò il proprio libro e lo posò sul banco, imitata da Lauren e altri compagni.
I più ostinati, invece, andarono avanti a chiacchierare e ridacchiare tra loro, con come unico risultato quello di far innervosire maggiormente la donna; quest'ultima, decisa ad imporre la propria supremazia e a rendere chiaro a tutti chi comandasse in quell'aula, alzò la voce e iniziò a parlare delle tre divisioni linguistiche dell'antica Gallia.
Risultato: una gara a chi urlava di più per sovrastare l'altro.
Max e Logan smisero di fare baccano solo dopo che la docente, stanca di quella situazione, li minacciò di spedirli dalla preside - e considerando quanto quest'ultima fosse già adirata di suo per la storia delle chiavi, finire nel suo ufficio proprio in quel periodo corrispondeva ad una condanna a morte.
Un po' come accadeva regolarmente durante tutte le sue altre ore, una piccola parte dei presenti – quelli più intelligenti, che avevano capito che sarebbe stato tutto inserito nel test successivo – l'ascoltava con attenzione e prendeva appunti, la rimanente dormicchiava sul banco o pensava agli affari propri.
Ma dopo appena dieci minuti di gloria, un picchiettio contro la porta costrinse la donna ad interrompere i propri sproloqui.
« Avanti? » esortò stancamente la Wilson.
Una ragazza bassa e in carne con in mano una cartellina, che Sarah riconobbe immediatamente come una degli studenti membri dello staff Forthbay, fece capolino nella stanza.
« Professoressa, la 1^A sarebbe richiesta in aula magna. »
La Wilson sospirò.
« È proprio necessario? Non si può rimandare? »
« Oh no, la prego. La preside è di pessimo umore perché siamo in ritardo con la tabella di marcia e non abbiamo seguito un ordine preciso... » la supplicò la ragazza.
La prof di francese, mossa da un sentimento di pietà verso la povera studentessa, fece un altro respiro profondo; dopodiché afferrò la borsetta firmata e fece scivolare i cinturini sulla sua spalla destra.
« Andiamo. »
« E dovete ancora consegnare i risultati delle votazioni di classe, la preside li vuole entro la fine della prossima ora. » aggiunse la ragazza, gettando una veloce occhiata al portadocumenti.
« Non abbiamo ancora votato. » replicò piattamente Nick.
La Wilson strabuzzò gli occhi.
« Cosa?! E che avete fatto con la professoressa Stewer? »
« Lezione. Proprio come voleva fare lei adesso. » frecciò il russo.
Rimasta senza una buona risposta e punta sul vivo, la professoressa si limitò a gonfiare il petto offesa e a indirizzarsi verso le scale.
Sarah pensava che l'atmosfera tra i candidati sarebbe stata tesa come in una qualsiasi competizione, ma invece, con sua enorme sorpresa, l'aria che si respirava era al contrario amichevole; forse perché gli aspiranti rappresentanti erano tutti del terzo e quarto anno e si conoscevano da tempo, o forse perché ormai erano maturi e capaci di gareggiare lealmente.
Sarah notò David Brooks in compagnia di altri aspiranti rappresentati e si augurò che questo non si ricordasse di lei. Sarebbe stato divertente vedere le facce dei suoi amici quando si sarebbero accorti che stava parlando con uno dell'ultimo anno, ma sarebbe stato anche imbarazzante venir pubblicamente molestata da uno che le chiedeva con insistenza se avesse scritto il proprio nome. Fortunatamente per Sarah, però, David sembrava aver completamente rimosso quell'aneddoto.
Le votazioni furono molto rapide, giusto il tempo di scrivere il nome del candidato scelto e lasciar scivolare la scheda in una delle urne.
Ormai arresa alla triste realtà che non potesse più spiegare, la Wilson non si disturbò di metter fretta ai propri alunni, lasciandoli liberi di bighellonare per i corridoi come pecore al pascolo per qualche minuto.
Sarah e i suoi amici ci misero cinque minuti di orologio per percorrere un percorso che normalmente ne richiedeva a malapena uno e, a circa tre quarti di esso, incrociarono Ethan. Il ragazzo, con un'ora libera, sembrava si stesse dirigendo verso l'aula magna per raggiungere il compagno del corso di inglese.
Questa volta decisa a non rendere palese la propria cotta, si sforzò di darsi una controllata si evitare di strillare un saluto come la fan isterica di una boyband qualsiasi.
Si limitò dunque a fermarsi e a fargli un delicato e contenuto cenno con la mano.
« Ciao. » rispose lui con un sorriso cortese, interrompendo anch'esso la propria camminata per poter scambiare quattro parole.
I maschi del gruppo la guardarono incuriositi, la sua amicizia con il senior gli era nuova, mentre Amber e Emma le rivolsero una discreta occhiata maliziosa; Lauren sollevò gli angoli delle labbra felice per lei e, presa a braccetto da Emma, si allontanò a passo veloce per lasciarla sola con il suo lui.
« Tornate dalle votazioni? » le domandò passandosi stancamente una mano pallida sulla fronte.
Sarah osservò quel gesto con ammirazione, ipnotizzata dal fondersi della trama scura dei suoi capelli color ebano con il bianco latte della pelle. Annuì con un sorriso d'ebete, facendo poi scivolare gli occhi sui fili di barba incolta sul mento.
« Sì, adesso dovremmo eleggere il rappresentante di classe e di disciplina. » replicò Sarah, mentre osservava rapita una ciglia sulla sua guancia.
« Oh, allora ti lascio libera-. »
La quattordicenne scattò in allarme: sapeva di non potersi fermare a lungo poiché prima o poi la docente l'avrebbe mandata a cercare, ma non voleva che lui se ne andasse via subito.
« No! Possiamo parlare un paio di minuti! » lo pregò la ragazza.
Nella fretta di evitare che il senior la abbandonasse, si era sporta in avanti e gli aveva afferrato il braccio. Lo sguardo di entrambi calò lentamente sulle dita di Sarah aggrappate al suo avambraccio e le guance di questa si colorarono immediatamente di rosso. Spaventata dall'idea di averlo infastidito, ritirò la mano come se si fosse scottata. Contrariamente a quanto temuto, però, invece che storcere il naso in una smorfia spazientita, il senior la guardò con tenerezza.
« D'accordo. »
Sarah sospirò sollevata e un sorriso soddisfatto le increspò le labbra rosee.
Poi però pensò al fatto di non avere nulla da dirgli cadde nel panico. In effetti sperava che sarebbe stato lui a mandare avanti la conversazione.
« Hai votato per David Brooks? » sputò di colpo dopo qualche secondo passato a spostare velocemente gli occhietti da una parte all'altra del corridoio.
« Beh... il voto sarebbe segreto, teoricamente. » replicò Ethan, preso alla sprovvista da quella domanda « Ma sì, ho votato per lui. »
Sarah gli rivolse un sorriso imbarazzato, consapevole di aver tirato fuori dal cappello la peggiore domanda che potesse esistere e, quando il senior aggrottò le sopracciglia confuso capì di aver dato fiato alla bocca a sproposito.
« Ma tu come lo conosci? »
La ragazza si congelò sul posto: Ethan non si ricordava di averla vista al suo primo arrivo, a settembre. Quando lei era stata super recettiva e pronta a memorizzarsi ogni particolare di quella mattinata, il suo viso per lui era stato semplicemente uno dei tanti.
« Il primo giorno di scuola mi ha fatto passare al bar. » gli ricordò, speranzosa che quell'aneddoto insignificante gli dicesse qualcosa.
« Mi ricordo di essere stato al bar con lui, ma sai che proprio non ricordo di averti vista? » replicò pensieroso lui.
Ecco, appunto. Sarah cercò di non mostrare la sua delusione e continuò a ripetersi come un mantra che era perfettamente comprensibile che a lui fossero sfuggite molte più piccolezze di lei - dopotutto per lui era un primo giorno di scuola come tanti.
Il suo ego, però, stava strillando dal dolore. Quello che più la feriva era quella vocetta che risuonava nella sua testa e che le rammentava quanto fosse invisibile agli occhi degli altri.
« Non fa niente, nemmeno io ricordo di aver visto te. » mentì lei con una risatina nervosa. « Sai, l'emozione del primo giorno... »
« Già. C'è sempre un gran caos, è difficile memorizzare delle facce. » Ethan fece una piccola pausa. « Le persone più valide le conosci sempre più tardi. »
Sarah sollevò il capo di colpo. Era un messaggio in codice o solo una frase saggia da senior?
Questo la guardò dritta negli occhi e le regalò un sorriso al quale lei rispose senza alcuna esitazione.
« Sono d'accordo. » annuì lei.
Era tutto perfetto: loro due soli in un corridoio, intenti a parlare come due amici. Sarah ovviamente non si sarebbe mai spinta a tanto, ma a suo parere quello era il momento perfetto per baciarsi. Si figurava già la scena nella sua mente: lui che si chinava e lei che si sollevava sulle punte per depositargli un innocente bacio sulle labbra.
A rovinare l'idillio ci pensò il cellulare del senior, quando prese a vibrargli nella tasca dei pantaloni. In più uno strillo della Wilson che richiamava i suoi compagni all'ordine le comunicò di non potersi più trattenere.
Ethan estrasse il telefonino e guardò il display; un velo di tristezza gli coprì gli occhi come un'ombra e il sorriso che fino a poco prima le stava rivolgendo svanì.
« È mio padre, devo rispondere. » disse.
Sarah annuì confusa, non capendo il motivo di quel crollo improvviso di umore.
« Certo, figurati. » lo rassicurò. « É meglio che vada, stanno iniziando le votazioni. »
Fece un passo indietro e si indirizzò mogia mogia verso la sua classe; poco prima di raggiungere l'uscio si voltò verso il senior per fargli un ultimo cenno, ma lui era già sparito.
Sarah varcò l'entrata dell'aula blaterando in direzione della professoressa una serie di scuse e ricevendo in risposta un atono invito a sedersi al proprio posto. La Wilson aveva già iniziato a leggere sbrigativamente le modalità in cui sarebbero avvenute le elezioni, ma quasi nessuno stava prestando attenzione.
La ragazza attraversò la stanza frettolosamente, cercando di ignorare le occhiate maliziose di Amber e Emma, sedute in prima fila.
« Tutto okay? » le sussurrò Lauren.
« Sì, certo. » risposte l'altra.
« Chi era? » si voltò per chiederle Logan.
Sarah scrollò le spalle con apparente nonchalance.
« Un amico. »
Per evitare di dover sostenere lo sguardo indagatorio del compagno fece finta di cercare qualcosa nella borsa: l'ultima cosa che desiderava era parlare di un ragazzo con un altro ragazzo. Specialmente se il suo consulente matrimoniale in questione era Logan Ross, qualcuno con assoluta incapacità di affrontare un argomento serio.
« Ross, io sono da questa parte. » lo riprese scocciata la Wilson. « Smettila di fare gli occhi a cuoricino a Williams e ascoltami. Sarò molto fiscale, sono cose serie queste. »
Logan tornò a guardare la professoressa con una smorfia stizzita e le guance rosse, mentre in sottofondo la classe ridacchiava.
« Serie? Ma se fino a mezz'ora fa non ne voleva proprio sentir parlare! » le fece notare Max, passandosi una mano tra i folti capelli d'oro.
Non c'era alcuna nota di rimprovero nella sua voce, eppure la Wilson gli lanciò lo stesso uno sguardo inceneritore. Senza staccargli gli occhi minacciosi di dosso, riprese la propria tiritera.
Ma quasi gli astri si fossero allineati apposta per renderle più complicata l'impresa, qualcuno bussò debolmente alla porta, interrompendo di nuovo la lettura. La professoressa la guardò come se volesse uccidere colui che stava dietro di essa.
Il ciuffo di capelli chiari del professor O'neil fece capolino da dietro di essa e, notando l'espressione arcigna della collega, si asciugò i palmi sudati per il nervoso sulla sua solita tuta sportiva grigia.
« P-posso entrare? » domandò lui.
« Veramente dovremmo votare i rappresentanti di classe e di disciplina... »
« Ci metterò un attimo, devo solo consegnare questi permessi per partecipare ad otto lezioni alla piscina comunale, a partire da gennaio. » disse l'uomo, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle con delicatezza.
« Piscina comunale?! Chi avete dopo le due ore di ginnastica?! » chiese allarmata la Wilson.
« Lei, prof. »
La donna si accasciò teatralmente sulla sedia e sollevò gli occhi al cielo, in una perfetta imitazione de "L'estasti di Santa Teresa" del Bernini.
« Eh ma insomma, è una congiura... » borbottò torva.
Il professor O'neil sembrò non udirla e andò avanti a distribuire il plico di documenti che stringeva tra il braccio sinistro e la cassa toracica. Una volta terminato il giro e aver notato l'espressione esaurita della sua collega, preferì saggiamente non far perdere ulteriore tempo, scusarsi per il disturbo, sollecitare gli studenti a consegnare il permesso il prima possibile e sparire.
« D'accordo, chi si candida come rappresentante di classe? » domandò svogliatamente la docente, una volta terminato di leggere le regole. « Jones? Va bene. Choi, gentilmente, potresti scrivere il suo nome sulla lavagna? » domandò poi ad una delle sue alunne in prima fila.
« Davvero? Ma non mi dire. » commentò sarcasticamente Logan rivolto in direzione della rossa.
Questa lo incenerì con lo sguardo, non disturbandosi nemmeno a rispondere alla provocazione e ricevendo sempre dallo stesso un sorrisetto divertito. Ormai era abituata a venir punzecchiata da Logan e Max, e pertanto aveva imparato a saper tenere a freno la lingua quando necessario.
Sarah sollevò entrambi i pollici come segno d'incoraggiamento, anche se piuttosto sicura che l'amica non ne avesse bisogno.
Anche un altro ragazzo, Eugene Douglas, alzò la mano per farsi vedere dalla Wilson, che lo fece segnare immediatamente.
Ma quando nessun altro sembrava più volersi candidare, una voce dagli ultimi banchi fece voltare tutti.
« Scriva anche il mio nome. »
Max, con la sua solita aria tronfia e il suo ghigno furbo – come se trovasse il tutto estremamente spassoso – si passò nuovamente una mano tra i capelli setosi.
« Tu?! Non farmi ridere, Torres. » commentò la Wilson.
« Lei mi offende. » si finse oltraggiato il biondo. « Non capisco da cosa nasca tutto questo astio nei miei confronti. »
La docente intrecciò le dita tra loro e guardò dritto dritto nella sua direzione, seriamente tentata di alzarsi e strangolarlo.
« D'accordo. Supponiamo che la classe impazzisca improvvisamente e ti voti, cos'avresti intenzione di fare una volta ottenuta la carica? »
Max si alzò con aria solenne, si aggiustò il colletto della divisa e rivolse alla donna un'espressione da seduttore, ottenendo come risposta un verso stizzito.
« Beh, non mi sono preparato un programma elettorale, ma improvviserò... »
Sarah si sistemò sul posto, certa di stare per assistere ad uno dei suoi soliti spettacoli; Lauren al suo fianco, fece la stessa medesima cosa.
« Dunque, innanzitutto vorrei proporre al consiglio di classe una meta per la gita decente, tipo Las Vegas... » cominciò, provocando qualche applauso. « ...Poi vorrei suggerire di unire dormitori maschili e femminili; non è possibile che io debba condividere la stanza con un altro ragazzo e dover stabilire dei turni per portarmi in camera quella che frequento. »
« Momento, momento: vi siete messi insieme?! » gli domandò incredula Emma con gli occhi luminosi per il grande scoop.
Questa lanciò un'occhiata eccitata ad Amber, ma invece di scorgerla elettrizzata dallo scoop, la trovò imbronciata con le braccia incrociate al petto. Quest'ultima in condizioni normali si sarebbe lasciata andare a commenti provocatori – tanto per far assaggiare all'atleta un po' della sua stessa medicina – però, essendo divenuto un suo oppositore politico, non poteva far altro che scuotere la testa contrariata.
« Non ancora, ma l'ho presa all'amo. » ammiccò Torres.
Amber si cacciò teatralmente due dita in gola per fingere di vomitare.
« Terza ed ultima cosa, per il momento: consentirci di fumare sotto i porticati o quantomeno allestire un'area apposta in giardino, cosicché io non debba infradiciarmi nelle giornate di pioggia. »
« Sei minorenne, non dovrebbero nemmeno vendertele! » gli fece notare la Wilson.
« E in più, meta per la gita a parte, sono tutte cose che non ti competono! » strepitò Amber.
Max la guardò con un mezzo sorriso.
« Beh, Pippi Calzelunghe, hai delle proposte migliori? »
Le guance di Amber divennero rosse per la rabbia e le ci volle un sforzo disumano per non scattare in piedi e scagliarsi addosso al suo oppositore.
« No. Perché è solo una carica da rappresentante di classe, non da presidente degli Stati Uniti. » rispose digrignando i denti perfetti.
« Si vede che non la prendi abbastanza sul serio. Votate me e avrete una persona responsabile e matura, al contrario suo. » proseguì affabile Max.
« Mettiamola ai voti e facciamola finita. Questa pagliacciata sta durando fin troppo per i miei gusti. » intervenne la Wilson, porgendo le schede da distribuire a Yoora Choi e Florence Park, altra ragazza in prima fila.
Ma con un'atmosfera così colma di superficialità, nessuno poteva veramente aspettarsi che quell'elezione potesse venir presa con coscienziosità. Il tutto infatti di svolse con Max che faceva il giro dei banchi per controllare di essere in testa, Amber che gli abbaiava insulti di nascosto e la Wilson che tentava di mantenere l'ordine.
Risultato: tre voti per Eugene Douglas, sei per Amber Jones, otto per Maximillian Torres e uno nullo, poiché sulla scheda era stato scritto: "mia mamma non vuole"; Max non disse a nessuno di essere lui l'artefice di quella scemenza, poiché nemmeno si considerava tanto fuori di testa da scegliere sé stesso.
La Wilson era scioccata e l'unica cosa che era riuscita a dire mentre segnava sul documento il nome del biondo era stato un impagabile e freddo:
« Insegno a dei cretini. »
Commento che aveva spinto Max a gongolarsi maggiormente e a rinfacciare alla rossa la propria vittoria; alzatosi per gettare un fazzoletto usato, passò di proposito accanto a questa a passo di conga e canticchiando la propria supremazia.
Nessuno si sorprese di vedere Amber allungare con nonchalance una gamba per fargli uno sgambetto, mandandolo quasi a faccia a terra.
Ad ogni modo, alla rossa spettò il ruolo di vice.
L'unico aspetto positivo di quel riscontro fu che, almeno, il biondo non poteva più candidarsi per la nomina di rappresentante di disciplina; sarebbe stato ironico avere in carica un elemento che di austerità se ne intendeva quanto di fisica quantistica.
L'unico a proporsi, poiché nessun altro aveva alcuna intenzione di fare da avvocato del diavolo in caso di sospensione di un compagno, fu Nick. Il che rese la Wilson estremamente contenta perché non solo il russo sembrava uno che non si sarebbe mai lasciato arruffianare dal biondo in caso di richiami disciplinari, ma anche perché, in assenza di ballottaggi, la lezione poteva riprendere prima.
La professoressa appuntò il nome del ragazzo canticchiando e arricciandosi una ciocca di capelli con la mano libera come una sedicenne. Lanciò un'occhiata compiaciuta al suo costoso orologio da polso e infine ai suoi alunni, che ignari di tutto ascoltavano gli sproloqui senza senso di Max.
« Ragazzi. » chiamò la professoressa, attirando l'attenzione di tutti i suoi sfaticati, così come le piaceva definirli.
A questi era bastato uno sguardo per intendersi e, in un'impeccabile imitazione di un caprone che bela, si lasciarono sfuggire un lamento di protesta.
« Mancano cinque minuti al suono della campanella, possiamo fare lezione! »
***
Ehilà! Ecco qui un altro capitolo! Questo è un po' più lungo, vi va bene? Fatemi sapere se li preferite corti o lunghi in questo modo:) io personalmente li preferisco così, ma ditemi voi.
Che ne direste di farmi vedere il vostro appoggio commentando o mettendo una meravigliosa stellina?
Vorrei anche ringraziarvi per tutte le letture, le stelle e i commenti che avete postato; abbiamo raggiunto le ottocento visualizzazioni! Magari per voi non sono tantissime, ma per sono un grande traguardo.
Spero che continuerete a seguirmi e che questa storia vi appassionerà sempre di più! Al prossimo capitolo,
Lily
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