⇝ 10. RF

Gli ultimi mesi della vita di Lauren non erano stati i più felici che avesse mai vissuto.

Malgrado la gioia di essere riuscita finalmente a farsi un gruppo tutto suo e poter guardare il passato – in cui era rimasta perlopiù in compagnia di Sarah, quando questa non era con Eva, o di un'altra sua compagna dalla salute cagionevole – con minor tristezza, la ragazza non riusciva ancora a sorridere spensierata. La sua famiglia era andata in pezzi.

Non che prima d'allora fosse stata molto più allegra.

Lei e suo fratello avevano sempre condiviso un rapporto freddo e distaccato. Cedric Rodgers, di appena un paio d'anni più grande, viveva nella sua bolla di sapone e le rivolgeva la parola solo se strettamente necessario; il livello di conversazione tenuto dai due adolescenti era talmente basso che Lauren non sapeva dire neanche quale fosse il suo colore preferito e viceversa.

Nemmeno sua madre e suo padre erano mai stati tanto calorosi. Troppo impegnati con i rispettivi lavori – lei responsabile delle risorse umane in un'importante impresa, lui avvocato – non si scambiavano un bacio dal '96, anno di nascita di Lauren.

L'ambiente casalingo in cui era stata abituata a crescere era gelido, teso e grigio.

Lauren guardava da sempre la situazione di Sarah con malinconia: figlia unica dei coniugi Williams, era amata e viziata da praticamente tutti e, l'unica persona con cui si ritrovava ad avere qualche screzio, era sua nonna Concordia. L'amica viveva una vita che Lauren avrebbe solo potuto sognare e la sua unica ancora era il pianoforte a coda nel soggiorno di casa. Della vecchia casa, quella di L'Amable.

Ma poi il tutto era peggiorato ulteriormente: la signora e il signor Rodgers avevano richiesto il divorzio, poiché lui si era trovato un'amante – una donna più giovane, più bella e più esuberante della moglie.

Da allora, la villetta bianco latte di L'Amable era divenuta solo un ricordo, e Lauren era stata costretta a trasferirsi a Coe Hill con sua madre e suo fratello dalla nonna, vedova da appena un paio d'anni. La signora Rodgers detestava L'Amable, il divorzio non fu altro che un pretesto per andarsene.

Di fronte alla triste e altrettanto silenziosa nuova residenza della nonna, abitava un ex amico delle elementari con il quale non aveva più rapporti. Lo vedeva pressoché tutti i giorni nei corridoi del liceo, così tronfio nella sua aria da duro, ma non l'aveva mai considerata di uno sguardo. Era come se non si fossero mai ritrovati a giocare insieme nella sabbiera del giardino di lui.

Aveva cercato di nascondere con così tanto impegno la sua situazione familiare alla sua coinquilina, ma sapeva di aver fallito. Le era spesso impossibile riuscire a non mostrare un minimo di tristezza e non erano stati rari i momenti in cui Sarah l'aveva sorpresa assorta nei propri pensieri, con un velo di desolazione a coprirle gli occhi.

Anche adesso, immersa nella calda luce soffusa di una lampada da scrivania, sapeva di venire osservata di sottecchi dalla mora.

Perché anche lei non aveva una madre che, vedendola allontanarsi nel corridoio di una scuola lontana, aveva versato lacrime di commozione? Perché non aveva un padre che, dietro l'apparente aria da menefreghista, nascondeva un forte senso di orgoglio verso sua figlia? Le sarebbe stato sufficiente anche avere una nonna che, inveendo contro la psiche instabile del coniuge, le avrebbe cucito un maglione orrendo come amuleto. Sarah non aveva idea di quanto fosse fortunata.

E poi, quando meno se l'aspettava, la voce limpida e ben scandita dell'amica ruppe il silenzio della stanza:

« So cos'è successo. »

A quelle parole Lauren non seppe trattenere una lacrima amara. Per non farsi vedere dall'amica, si girò nel letto e si portò la trapunta al mento.

Sarebbe stato inutile arrabbiarsi per il fatto che Sarah non fosse stata in grado di non immischiarsi nella sua vita, litigare e chiederle di smetterla, poiché era perfettamente consapevole che questa si sarebbe semplicemente limitata ad informarsi di nascosto con maggiore discrezione. In più L'Amable era un paese molto piccolo, le informazioni circolavano molto in fretta. 

Avrebbe voluto confidarsi, certa che ad ogni modo l'altra non avrebbe mai osato spettegolare su un qualcosa di così personale, ma forse complice la componente genetica passatale dai genitori, le risultava estremamente difficile aprirsi con qualcuno.

« Lo so. » si limitò a rispondere, sempre dando le spalle all'amica.

Sarah, altrettanto in difficoltà, dovette prendersi un momento per soppesare bene le successive parole.

« Vuoi parlarne? » domandò con cautela questa. « Non uscirà nulla da questa stanza. »

Parlare.

Un azione così banale, eppure così complessa. Lauren sentiva di non avere nulla da dire ma, allo stesso tempo, di avere così tanto da raccontare.

Per un istante fu tentata di andare contro corrente rispetto le usanze di famiglia e vomitare tutto quello che le passava per la testa, ma si rivelò più complesso di quel che immaginava: le parole sembravano non volersi combinare tra loro, e tutto quello che riuscì a formulare in un primo momento furono balbettii sconnessi. Era come se un grosso concetto stesse cercando di passare per una fessura piccola piccola e avesse finito inevitabilmente per bloccarsi all'entrata di essa.

« Sai, io mi sto rodendo il fegato perché, più o meno due settimane fa, un ragazzo conosciuto al club mi ha implicitamente sfidato a trovare la chiave della Stanza di Renée. » iniziò Sarah per evitare che il silenzio creatosi finisse per mettere in soggezione l'amica. « E io non ho ancora trovato un accidente. Mi ha anche detto che c'è un modo per non essere costretta a dover sempre e solo revisionare testi altrui, ma sto iniziando a convincermi che si sia solo divertito a confondermi! » continuò frustrata.

Lauren ascoltava tranquilla, sentendo pian piano la tensione sciogliersi.

« La presidentessa è una vera stronza. Secondo me gli altri membri tirano avanti fantasticando su una sua prematura dipartita. Una vera fortuna che questo sia il suo ultimo anno... » proseguì sempre Sarah.

Le ci volle una discreta quantità di tempo per convincere la pianista ad aprirsi, seppur parzialmente, e quando ciò accadde non osò interromperla o fare commenti in proposito.

La ascoltò senza proferire parola, accorgendosi di quanto poco fosse indicata per consolarla - con una vita perfetta e con i genitori ancora innamorati, Sarah non aveva niente a disposizione per empatizzare la coinquilina. L'unica cosa che seppe dire fu un misero "mi dispiace". Toccata da quell'inaspettato scambio di confidenze, ad ogni modo, le diede momentaneamente le spalle fingendo di sprimacciare il cuscino.

La seconda, nella sua semplicità, aveva saputo apprezzare anche il semplice fatto che Sarah stesse rinunciando ad ore di sonno per aiutarla e si sentì fortunata di averla lì con lei.

Lauren lanciò un'occhiata alla sveglia digitale poggiata sulla scrivania, ignorando l'ora tarda segnata dal led giallo; non aveva abbastanza sonno per assopirsi e, forse per la prima volta in vita sua, voleva andare avanti a chiacchierare.

« Come va con quel ragazzo, Ethan? »

Sarah, presa alla sprovvista, si voltò di scatto con le guance rosate verso la coinquilina, che immediatamente si preoccupò di aver appena menzionato un taboo.

« Non devi rispondermi, se non vuoi-. » si affrettò a dire la pianista.

« No, no, tranquilla! Ero solo sorpresa. » la interruppe Sarah.

Per una volta che riusciva ad intrattenere una conversazione da normale teenager con Lauren, non voleva certo che questa si mettesse in testa di doversene stare zitta.

« Va tutto bene, comunque. Non bene quanto vorrei io, visto che ancora non mi ha mai chiesto di uscire e gli unici momenti in cui si può parlare con tranquillità sono sul pullman. » aggiunse con lieve imbarazzo.

D'accordo, si rivolgevano la parola da sole due settimane, ma per Sarah non c'era tempo da perdere!

Sdraiata in posizione fetale e rivolta verso il lato di stanza di Lauren, la quattordicenne aveva lo sguardo perso nel nulla e la mente che freneticamente ripercorreva tutto quello che era successo in quei quattordici giorni.

Purtroppo, però, per un motivo o per un altro, non si erano mai presentate occasioni che gli consentissero di potersi fermare e prendere un caffé insieme: a colazione ognuno se ne stava con i propri compagni, durante i cambi dell'ora lui girava per l'istituto come una trottola per cambiare aula, a pranzo come di prima mattina, e in biblioteca per ovvie ragioni non potevano alzare troppo la voce senza venir zittiti dalla bibliotecaria. Risultato: riuscivano ad intrattenersi in chiacchiere solo sul pullman e nel breve tragitto che collegava l'aula studio ai dormitori, dopo lo studio.

Lauren la guardò con un sorriso dolce, felice di poter avere anche lei una conversazione su un ragazzo come una normale adolescente. Sarah aveva sempre avuto un modo di porsi abbastanza spigliato con lei – d'altronde, qualcuno avrebbe pur dovuto indossare i pantaloni nella coppia – ma adesso che parlavano della sua cotta, il suo carattere sembrava essersi addolcito.

Quando però Lauren notò il suo sguardo farsi improvvisamente deciso, capì di non doversi aspettare nulla di buono. Quel piccolo scambio di confidenze unidirezionale era durato poco.

« E tu? Come sei messa dal punto di vista sentimentale? »

A Sarah piaceva parlare di Ethan, avrebbe passato le ore a farlo se solo non fosse sembrata una psicopatica, ma la vita amorosa della sua misteriosa amica d'infanzia la incuriosiva decisamente di più.

L'aveva fatto apposta a chiedere più vagamente di interessi romantici, invece che chiedere più banalmente se avesse un ragazzo, poiché, per quanto ne sapeva, Lauren avrebbe anche potuto essere lesbica.

E davanti allo sguardo perso della pianista, Sarah capì immediatamente di aver appena toccato un nervo scoperto.

« Io non ho un ragazzo. » si affrettò a dire Lauren.

Sarah si lasciò sfuggire una smorfia delusa: dopo aver parlato del divorzio dei genitori, si sarebbe aspettata più fiducia nei suoi confronti.

« Una ragazza? » la buttò lì questa.

« Nemmeno. »

La bionda si allungò nel letto per spegnere l'abat-jour sulla scrivania, ma non arrivandoci fu costretta a scostare le coperte e alzarsi.

« E non ti piace nessuno? Insomma, ti dovrà pur interessare qualcuno! » esclamò frustrata Sarah.

« No. » replicò piattamente Lauren. « Posso spegnere la luce? »

Sarah sospirò abbattuta.

« Sì. »


Quel breve e non gradito tentativo di scoprire di più sulla vita di Lauren aveva raffreddato parecchio gli animi della pianista. La ragazza, di per sé silenziosa ma comunque presente, per tutta la mattinata del giorno successivo era parsa a tutti distante e con la testa da tutt'altra parte.

Certo non avevano aiutato tutti i "sei sicura di stare bene?" e i "che cos'hai?" detti dal resto del gruppo, che non conoscendo molto la pianista non avevano idea che continuare a porle quesiti corrispondeva a gettare benzina sul fuoco. Se spesso nemmeno Sarah sapeva che pesci pigliare con lei, figurarsi gli altri.

All'aspirante giornalista dispiaceva molto vederla in quello stato apatico, e non poteva fare a meno di domandarsi se l'amica si fosse ridotta così perché l'argomento fidanzati l'aveva ferita in qualche modo, o se invece non avesse semplicemente apprezzato quell'intrusione nella sua sfera personale. Si sentiva terribilmente in colpa.

L'unico momento in cui Lauren tornò a sorridere fu quando il controllore del corso di musica l'avvicinò per porgerle degli spartiti e informarla che sarebbe stata lei a fare da sottofondo alla recita di Natale e che avrebbe suonato anche qualche melodia alla fine di essa.


La giornata si protrasse con una lentezza talmente estenuante che Sarah rischiò più volte di crollare con la testa sul banco.

Una volta suonata la campanella che sanciva la fine delle lezioni, invece che approfittare dell'assenza del corso di giornalismo per dormicchiare un po', strinse i denti, si mise degli abiti più comodi, e si trascinò fino in biblioteca per il solito incontro silenzioso con Ethan.

Scivolata oltre il portone della libreria, Sarah sgusciò tra gli scaffali alla ricerca del senior; quando lo trovò, il suo volto si illuminò per la gioia: Ethan, come al solito, si era già cambiato e si era seduto al suo solito posto. Le dava le spalle, e Sarah si prese qualche istante per ammirare la silhoutte della sua schiena, coperta dalla solita felpa nera.

La scena davanti a lei era così bella e rassicurante che la ragazza avrebbe tanto voluto poterla fotografare per guardarla nei momenti di sconforto.

Trotterellò felice verso di lui, dimentica della stanchezza avvertita per le sei ore precedenti, e andò a prendere posto vicino a lui, lasciandosi cadere sulla sedia con la leggerezza di una ballerina.

« Ciao! » lo salutò.

Ethan sollevò velocemente la testa verso la fonte della voce e, trovandosi davanti il visetto allegro della quattordicenne, le rivolse un sorriso.

« Ciao. » replicò con gentilezza. « Hai avuto una buona giornata? »

Per niente. Era stata stressante. Ma adesso che Sarah era lì, con lui, aveva preso una piega totalmente differente.

« Sì. La tua com'è stata? » domandò con premura lei.

« Se proprio devo essere sincero, ne ho avute di migliori. » replicò Ethan in tutta onestà.

"Quanto ti capisco, Ethan, quanto ti capisco" pensò la giovane.

Sarah si perse momentaneamente nei suoi occhi color rovere e impiegò qualche istante di troppo per riprendersi: Ethan infatti la stava guardando confuso, poiché non comprendeva perché lei lo stesse fissando così.

« Hai voglia di parlarne? » gli domandò frettolosamente lei, arrossendo per l'imbarazzo.

Il senior annuì – facendo saltare di gioia la futura giornalista, che dopo la nottata precedente con Lauren sarebbe uscita di testa se adesso l'avesse respinta anche lui – e si stirò sulla sedia.

« Tanto per cominciare, ho preso una D nel test di diritto perché in questi giorni non sono per niente concentrato... »

La mente di Sarah cominciò a fantasticare: e così stava avendo problemi a studiare ultimamente... da quanto? Da quando si erano conosciuti? Il suo cuore stava facendo le capriole per la felicità. Avrebbe voluto alzarsi e saltellare sul posto, così come avrebbe fatto Emma, e allo stesso tempo avrebbe voluto prendergli il viso e stampargli un bacio con tanto di schiocco.

Sarah non lo stava nemmeno ascoltando, non aveva nemmeno la più pallida idea di che cosa stesse parlando. Fissava con discrezione il danzare delle sue labbra ad ogni parola, pregando di non venir sorpresa.

Quando finalmente riuscì a tornare sul pianeta terra e a concentrarsi sull'argomento della conversazione, capì di aver avuto un tempismo perfetto: Ethan sembrava sul punto di confessare qualcosa di grosso.

« ...Perché sì, insomma, non è facile da dire. » stava spiegando il senior.

« Perché? » incalzò Sarah, a metà discorso.

Non aveva udito cosa le avesse rivelato in precedenza, ma che stesse per confessarle i suoi sentimenti?

Una cosa era certa: se davvero stava per assistere ad una dichiarazione, voleva farlo con un aspetto quanto meno decente – fosse mai che un giorno Ethan si ricordasse di lei con dei capelli orrendi. Si sistemò la chioma lucente con apparente nonchalance e si posizionò sul bordo della propria sedia, pronta a protrarsi in avanti nell'eventualità che ci scappasse un bacio.

« Perché mettiti nei panni dei miei amici: immagina di venire sapere, di punto in bianco che-. »

« Silenzio! »

Sarah e Ethan si voltarono di scatto verso la figura che aveva pronunciato quell'ammonimento: il bibliotecario di turno, con una folta zazzera castana e che ad occhio e croce sembrava non avere più di trent'anni, li guardava con aria di rimprovero.

« Scusaci, Tristan. Controlleremo il tono di voce. » disse Ethan con cortesia.

Ma non appena l'uomo aggirò alcuni scaffali per tornare alla sua postazione, il senior si voltò verso la quattordicenne e aggiunse:

« Normalmente ti lascia fare quello che vuoi, ma questo pomeriggio, oltre ad aver dovuto sostituire la signora Florence, si deve essere beccato una bella strigliata d'orecchie dalla dolce Trinity; altrimenti non si spiega tutto questo malumore. »

« Una strigliata per cosa? » domandò in un sussurro Sarah.

« Non lo so, è un'ipotesi, magari è semplicemente nervoso perché aveva ben altri piani, invece che stare qui a controllare gli studenti; la preside non lo sa perché è nell'interesse di tutti tenerglielo nascosto, ma non è una novità che durante il suo turno del mattino è più il tempo che passa al bar di quello che passa dietro la scrivania. » Ethan mise mano alla tasca dei propri jeans per estrarre un pacchetto di sigarette. « Senza contare che si vocifera che il suo account personale, sul computer della biblioteca, sia pieno di... cose interessanti. »

« Di cosa?! » chiese incredula Sarah.

La ragazza non capì se il senior si stesse riferendo a file vietati ai minori o se più semplicemente a documenti di natura personale. O perché no, entrambi.

Ethan scrollò le spalle e si alzò dalla sedia con l'agilità di un felino.

« Faccio una pausa: fumo una sigaretta e torno. »

Non appena il senior se ne fu andato, Sarah si fermò a pensare a quel che lui le stava dicendo prima di quella brusca interruzione: possibile che Ethan provasse davvero qualcosa per lei e che fosse ad un soffio dal confessarglielo?

Dopotutto l'incipit c'era: qualcosa difficile da confessare, l'angoscia del momento, le reazioni non poi tanto allegre dei suoi amici... insomma, lei stessa avrebbe guardato storto qualcuno dell'ultimo anno che inizia a corteggiare una del primo.

Sarah sospirò atterrita; l'amore è dolore, dopotutto.

I suoi occhi scivolarono sul materiale scolastico di lui e, non riuscendo proprio a resistere alla tentazione, allungò una mano pallida verso il suo quaderno blu scuro per aprirlo. Voleva semplicemente poter ammirare la sua bella scrittura, così stirata ed elegante, e leggere quelle che scoprì essere poesie scritte di suo pugno; erano così delicate e così profonde da sembrare appartenenti ad un'altra epoca. Per un attimo pensò scherzosamente che il ragazzo stesse per confessarle di essere un vampiro e non riuscì a reprimere una risatina ironica.

Il semplice fatto di star reggendo tra le dita un qualcosa appartenente ad Ethan – che portava con sé, che sfogliava e che leggeva tutti i giorni – la fece sentire... viva? In fibrillazione? Era come quando curiosava in qualcosa che non avrebbe mai dovuto vedere, e il rischio che il senior potesse ritornare da un momento all'altro e sorprenderla le provocava una scarica di adrenalina.

Quando questo la raggiunse, emanando un forte odore di fumo, Sarah aveva già riposto il quadernetto di poesie e aveva già ripreso a rileggere il proprio libro di matematica.

Lo osservò rimettersi al lavoro con una punta di angoscia: avrebbe voluto riprendere il discorso precedentemente interrotto, ma l'atmosfera creatasi era ormai scomparsa.

Delusa, chinò la testa sul testo davanti a lei nel tentativo di allontanare il pensiero e non pensarci più.

Avevano davanti ancora otto mesi, avrebbero sicuramente avuto altre occasioni per poterne discutere.

Sarah salutò Ethan e abbandonò la biblioteca solo alle cinque meno un quarto, quando il sole stava già tramontando. Per rimediare a quanto successo quella stessa notte, la ragazza decise di attendere Lauren davanti all'aula dove si svolgeva il suo corso di musica, al primo piano. 
Forse così avrebbe potuto redimersi ai suoi occhi e, perché no, ascoltare una piccola parte della segretissima scaletta del concerto di Natale.

Camminava a passo spedito lungo l'androne, quando sentì una radio di sottofondo e le voci di alcuni bidelli provenire da una classe aperta. La luce del sole morente che penetrava da una finestra creò un luccichio strano che la fece voltare nella direzione di un banco contro il muro, diverse porte prima della classe da cui provenivano i suoni.

Si avvicinò con passo felpato, curiosa di scoprire di cosa si trattasse, lanciandosi occhiate circospette attorno.

Era un mazzo di chiavi tenuto insieme da un moschettone, uno di quelli che rende particolarmente facile sottrarne qualcuna. Erano quasi tutte ben lucidate e etichettate per indicarne l'utilità: c'era quella per i ripostigli, i bagni, la mensa... ma ce n'era una che stuzzicava in specifico modo la sua curiosità: era vecchia, arrugginita, color bronzo e con sopra incise due iniziali quasi del tutto consumate, "RF".

"RF" come "Renée Forthbay", forse?

Fu molto veloce. Un attimo prima la chiave era legata al moschettone tramite uno spago ingiallito, quello dopo era sul fondo della sua tasca.


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