9. L'incubo peggiore

Trovare mia madre sulla soglia mi mette addosso un sacco di agitazione. Non ho idea di come sia arrivata fin qui, né come abbia scoperto dove mi trovo. So solo che non la voglio qui.

Mi rendo conto di tremare e di non essere in grado di dire nulla mentre lei mi inveisce contro.

«Dove diavolo è quella scema di mia figlia?»

Non c'è bisogno che qualcuno mi indichi perché mi nota subito. Riesco a guardarla, ma non a parlare.

Sono abituata alle scenate di mia madre, ma finora si era sempre e solo limitata a maltrattarmi a parole quando eravamo da sole, tra quelle quattro mura che corrispondo al mio appartamento o al suo. Mai si era spinta troppo oltre e mai al punto da umiliarmi di fronte ad altre persone.

Aveva esagerato in qualche occasione, chiamando Claire o i miei amici quando non otteneva risposte da parte mia, ma mai avrei creduto potesse arrivare a tanto. Raggiungermi qui per ribadire per l'ennesima volta quanto io non sia in grado di gestire la mia vita. Secondo i suoi canoni e desideri riflessi.

«Si può sapere che cosa ci fai qua? Se non avessi seguito quella che tu tratti come capo, non avrei mai saputo dove trovarti. Ti ho forse insegnato a comportarti come una perdente?»

«Mamma, per favore...» con un gesto della mano le faccio capire di abbassare la voce. Già devo sopportare il fatto che mi sta mettendo in imbarazzo, almeno che lo faccia in maniera meno plateale.

«Sono due giorni che ti cerco e tu ti fai negare. Io ho bisogno di te e tu sparisci. Dopo tutto quello che ho fatto per te, mi tratti in questo modo?»

«Mamma, per favore, ascoltami.»

«No, Annie. Tu ascoltami. Non ti ho cresciuta per farti sottomettere da un capo dispotico e incompetente. Ti ho insegnato a mettere il denaro, prima di tutto, ma se ti ostini a dare ascolto a consiglieri da strapazzo non combinerai mai niente nella vita. Ora dimmi vuoi essere una fallita e ritrovarti fra un paio di anni a fare la homeless nella stazione metro della Circle line

Non mi pare il caso di essere così drastici per un paio di giorni di ferie. Vorrei risponderle a tono e dirle che no, non fallirò nella vita e che augurarmelo da madre non è incentivante, ma me ne sto zitta.

Perché sono sotto shock.

Non mi rendo conto di quanto la sua sceneggiata mi abbia fatto male, finché non sento le mie guance bagnarsi. Lacrime amare le mie. Di rabbia e frustrazione. E di non reazione.

«Invece di piangere, datti una mossa che devo fare la spesa e mi servono soldi.»

Che mia madre non abbia mai avuto istinto materno è palese, ma potrebbe almeno sforzarsi di mostrarsi amorevole quando ci sono altre persone.

Sto quasi per voltarmi per andare via e raggiungere la mia stanza, quando mi sento afferrare per la mano. La stretta è calda e accogliente e lo sguardo tenero della madre di Nathan mi riporta per un po' in pace.

Mi faccio accarezzare come fossi una bambina. Chiudo gli occhi e il ricordo di quelle carezze e abbracci mai dati mi destabilizza. Quanto mi è mancato quell'amore materno...lo stesso che rivedo tra la donna che mi sta consolando e Nathan.

Di lui ora sento solo la voce.

«Signora, non abbiamo più stanze disponibili qui al B&B, per cui le chiederei di andarsene.»

La calma serafica con cui si rivolge a lei, mi fa scoppiare a piangere nuovamente. È come se avesse raccolto il mio silenzioso grido di aiuto e mi stesse in qualche modo salvando.

«Non voglio pernottare qui. Voglio che mia figlia torni alla realtà.»

«Suo marito era Paul Foster, vero?»

Spalanco gli occhi e alzo la testa di scatto per immortalare la scena. La domanda di Nathan ha colto troppo impreparata mia madre che ora ha gli occhi ridotti a due fessure, pronti a incenerirlo.

«Cosa c'entra Paul?»

«Lo conoscevo. E so per certo che non avrebbe mai voluto questo.»

Indica prima me e le mie lacrime, per poi voltarsi di nuovo verso mia madre.

«Come puoi sapere cosa voleva lui? Le ha sempre lasciato troppa libertà e questo è il risultato. E basta difenderla, non ha scusanti. Sono io quella senza soldi, che vive da sola, che è delusa dal comportamento della propria figlia. Mi sono rotta le scatole di lei e della sua ingratitudine.»

Mi lancia un ultimo sguardo di fuoco prima di voltarsi e prendere la strada dell'uscita.

In corridoio è calato il silenzio, interrotto solo dal rumore di una sgommata e dei sassi che schizzano e rimbalzano sulle vetrate.

Ci manca solo che se ne scheggi una e poi potrò aggiungere altre spese da pagare al posto suo.

Sento il peso della vergogna crollarmi addosso.

Fuggo via. 

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