6. Spiacevoli inconvenienti

La stanza in cui alloggio non è niente male ed è perfino più grande della camera da letto del mio appartamento di Londra. Il bagno è di dimensioni più che ragionevoli ed è già provvisto di tutto l'occorrente, cosa che mi spinge ad aprire l'acqua della doccia e a spogliarmi.

Sono talmente stanca che sento l'esigenza di togliermi questa giornata di dosso. L'odore di cocco del bagnoschiuma si propaga presto tutto intorno a me, strofino braccia e gambe mentre la fragranza mi si instaura nelle narici.

Sto così bene sotto al getto, che non appena chiudo l'acqua, ne sento subito la mancanza. Rilascio un sospiro, sfilo il telo agganciato al radiatore a muro e me lo avvolgo tutto intorno al corpo.

È più corto di quanto mi aspettassi, tanto che fatico a legarlo. Lo tengo stretto come posso mentre esco dalla doccia e mi incammino verso la camera da letto, lasciando delle impronte scivolose al mio passaggio. Mi siedo sul letto e realizzo troppo tardi di non avere vestiti puliti dato che lo scorbutico Nathan Parker ancora non si è degnato di portarmi la valigia.

Fa parecchio freddo per essere fine giugno e il fatto che io sia praticamente nuda e ancora bagnata, non mi è certo di aiuto. Afferro il telefono pronta a comporre il numero della reception, quando sento bussare.

«Bagaglio in camera!»

La voce di Nathan rimbomba da quanto è bassa e, pur essendo dietro alla porta, riesco a sentirlo perfettamente.

Mi precipito ad aprire, dimenticandomi del mio déshabillé e anche della maniglia difettosa. La tiro troppo forte e questa mi rimane in mano, ma riesco comunque a spalancare la porta.

Resto immobile a fissare Nathan con la maniglia in una mano e l'altra alzata in segno di scuse.

La stessa che fino a poco fa utilizzavo per stringere l'asciugamano attorno al mio corpo.

Merda!

Nathan d'istinto chiude gli occhi e si volta dandomi le spalle, gesto che apprezzo particolarmente in questo contesto.

«Non ho visto niente» bofonchia, come se volesse giustificarsi.

«Resta voltato e lanciami la valigia» ordino, perentoria.

Con un colpo secco fa scorrere il trolley verso di me continuando a darmi le spalle. Evito le ruote per un soffio.

«Grazie.» Litigo un po' con la zip e con la combinazione sul lucchetto poi finalmente riesco ad aprire la valigia, ne estraggo la camicia da notte bianca e la indosso in velocità. Fa comunque freddo nella stanza e questo si ripercuote sulla mia pelle e sui capezzoli, che si inturgidiscono di colpo.

Okay, sempre meglio che restare completamente nuda. Per sicurezza, incrocio le braccia al petto e tento di nascondere il telotismo impellente.

«Ora puoi voltarti.»

E lo fa, in maniera così lenta da infastidirmi.

«Comunque prima non ho visto niente.»

«Lo hai già detto.»

«Adesso sì, però.»

«Adesso sì, cosa?»

Sposta lo sguardo verso il basso, esattamente a livello del mio seno. Il mio tentativo di nascondere i capezzoli induriti non è servito. Peggio. La camicia da notte è particolarmente scollata sul davanti e io ero talmente impegnata a tentare di coprirmi da non accorgermi che in realtà il seno sinistro è scivolato fuori.

«O merda!»

Mi volto di scatto e afferro al volo la prima cosa che mi capita sottomano. Che sia il tappetino su cui stavo appoggiando i piedi mi importa poco in questo momento.

«Ci sono delle coperte nell'armadio» commenta Nathan alle mie spalle.

Senza prendermi la briga di rispondergli, corro verso gli sportelli e li spalanco trovando immediatamente ciò di cui ho bisogno. Mi avvolgo nel calore delle fibre sintetiche e mi volto nuovamente verso la porta. Nathan è scomparso e, assieme a lui, anche la mia voglia di uscire da questa stanza.

Come posso pensare di guardarlo ancora in faccia dopo la figura appena fatta?

Mi butto sul letto e chiudo gli occhi per cercare di dimenticare tutto. Sono venuta fin qui con uno scopo che non includeva farmi vedere nuda da un uomo.

O, almeno, non così presto!

Dannazione, va bene che sono in arretrato, ma non ho intenzione di buttarmi su tutti quelli che incontro.

La mia missione si chiama Andrés Herrera non Nathan Parker!

E come se l'app potesse davvero leggermi nel pensiero, ecco la notifica che mi annuncia che mancano dodici ore all'incontro.

Riguardo l'immagina creata da AIL e mi chiedo come sia possibile arrivare a tali risultati. È davvero sorprendente.

Ogni giorno mi stupisco di quanto la tecnologia si sia evoluta eppure, vorrei tornare indietro nel tempo a quando questa era ancora all'inizio. Tutta da scoprire, da esplorare e da vivere senza semplificazioni. 

Mi fermo un attimo a pensare alla mia vita. Sono cresciuta tra arcade e console di vario tipo, organizzo tornei internazionali di videogiochi, utilizzo internet per qualunque cosa, ma non so cosa darei per passare un'intera giornata come ai vecchi tempi. 

Sospiro, ma l'attimo di tristezza dura pochi secondi. Mi è appena venuta un'idea.

Riemergo dal mio piccolo rifugio di stoffa che mi ero creata e corro a prendere il mio portatile. Sono in ferie, ma questo non mi impedisce di utilizzare il computer per fare delle ricerche. Ho bisogno di tenere la mente allenata.

Accedo al sito ufficiale del VG Tournament, che essendo consultabile da chiunque mi permette di restare aggiornata sul mio lavoro, e verifico che tutto stia procedendo come da copione.

Scorro velocemente l'elenco di partecipanti, giudici, addetti stampa e dei dietro le quinte e per poco non mi strozzo a furia di ingoiare saliva.

Non solo il nome Andrés Herrera mi dice qualcosa, ma questo qualcosa potrebbe minare tutto il mio operato e potrei giocarmi la carriera.

Devo assolutamente parlarne con Claire.

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