5. Un incontro non previsto
Ciren...Circesten...
Non riesco neppure a pronunciare il nome da tanto suona fastidioso.
Il navigatore mi comunica che ho raggiunto la destinazione desiderata, ma ora che sono arrivata non ho il coraggio di scendere dalla macchina.
Cosa diavolo mi è saltato in mente? Di solito sono una persona razionale, non mi riconosco.
Sono a due ore da Londra. La mia Londra.
Ancora mi chiedo come abbia fatto a finire nel Gloucestershire, in uno di quei luoghi in cui il turismo passa inosservato. Sento già l'odore del nulla cosmico che c'è qui intorno e non ho ancora messo il naso fuori dall'abitacolo.
Io odio la campagna. Ci sono fuggita quando ero ragazzina, non vedo perché debba rimetterci piede ora che sono adulta e consapevole di ciò che voglio dal futuro.
Sto quasi per rimettere in moto per tornarmene a casa quando il telefono trilla. Se non altro prende. Temevo non ci fosse campo qui in mezzo al verde incontaminato.
Per un attimo sono tentata di ignorare quel singolo bip, ma realizzo troppo presto che il suono è quello di una notifica. Non di una qualunque, ma di AIL, la dannatissima app che mi ha fatto installare Claire e che mi ha portata a venire fino a qui per incontrare un certo Andrés.
Lancio un urlo di frustrazione che rimbomba tra i quattro vetri della mia Adam e che, per fortuna, posso sentire solo io. Tento di calmarmi, prendo un bel respiro, afferro il telefono di fronte a me e faccio scorrere le dita sullo schermo che, a parte la notifica appena arrivata, sta ancora indicando la destinazione di arrivo.
Cerco di non farmi prendere dal panico o dall'ansia, ma non è facile. Le mani mi tremano, sono nervosa e ho i sudori freddi.
Il messaggio che lampeggia conferma l'appuntamento per domani, facendomi agitare ancora di più. Se solo penso al fatto che sto facendo tutto questo per incontrare un uomo, mi sotterrerei.
So di mentire anche a me stessa affermando ciò, ma faccio fatica ad ammettere che le cause di questa mia fuga sono mia madre e la sua tossicità.
Molto meglio nascondere la verità dietro alla scusa del voler trovare l'amore.
Sospiro. Abbandono per un attimo il cellulare e stringo il volante con forza, quasi volessi spezzarlo.
Sento che sto per mettermi a piangere.
Toc. Toc. Toc.
Sobbalzo. Non so se è più forte il rumore dei colpi sul vetro o quello dei battiti del mio cuore. Mi volto di scatto e in preda a una strana ansia, qui fuori c'è un uomo con un tatuaggio sulla testa che gesticola verso di me. Ha un non so che di sinistro e sospetto.
Data la sua insistenza mi faccio coraggio e apro la portiera, anche se resto immobile sul sedile.
«Alloggia qui?»
I suoi modi burberi mi irritano. Non so chi sia costui, ma sta perdendo punti ancor prima di riceverne.
Gli rivolgo uno sguardo truce che lo fulmina all'istante.
«Può ripetere?» faccio la gnorri
«Le ho chiesto se alloggia qui» indica un casolare che, visto da fuori, dà l'idea di essere comunque molto accogliente. A differenza di chi mi sta di fronte e mi sovrasta dalla sua posizione eretta.
Continuo a guardarlo storto, ma non proferisco parola.
«Ma cos'è sorda per caso? Le ho chiesto se alloggia qui altrimenti devo chiederle di spostare la macchina. Questo parcheggio è per uso esclusivo dei clienti del B&B.»
Che modi! Mi chiedo se è solito accogliere tutti gli ospiti così. È abbastanza insopportabile e mi ha rivolto la parola per due minuti.
"Ecco l'ennesima oca snob che viene in campagna e poi si lamenta di tutto" sussurra tra i denti.
«Non si preoccupi ci sento benissimo!»
Esco in maniera poco elegante dall'auto e gli porgo le chiavi. Deve per forza essere il parcheggiatore che si guadagna da vivere spostando le auto dei clienti e portando loro le valigie.
«La ringrazio, ma io un'automobile già ce l'ho. Cosa dovrei farmene di questa scatoletta di tonno color menta sbiadita?»
«Parcheggiarla?»
«E perché dovrei?»
«Forse perché è il suo lavoro?»
Scuote la testa, mi volta le spalle e se ne va lasciandomi sia le chiavi che il bagaglio.
Si allontana e io lo osservo camminare senza fare nulla.
«Ehi!» urlo, ma lui non accenna a fermarsi né a venirmi incontro per aiutarmi.
Deve trattarsi di uno scherzo. Non c'è altra spiegazione.
Alla fine, mi arrendo al fatto che quell'individuo tatuato non tornerà, scarico la mia piccola valigia e mi avvio verso l'ingresso.
Spingo la maniglia, respiro. C'è un buon profumo qui dentro. Gelsomino e torta fatta in casa.
Percorro un piccolo corridoio che termina con un bancone dietro cui è seduta una signora con gli occhiali che mi sorride con fare gentile.
Per fortuna almeno lei sembra essere dotata di buona educazione.
«Buongiorno, cara. Ha fatto un buon viaggio?» domanda.
Annuisco e le sorrido a mia volta. Lei sì che è simpatica.
«Dovrebbe esserci una prenotazione a nome Annie Foster. Due notti.»
«Un attimo solo che verifico.»
Mi guardo un po' attorno mentre aspetto. La cascina è parecchio grande e ha una perfino una piccola torre con una guglia che ricorda un castello, con una finestra da cui ammirare il panorama.
«Qui ci sono dei volantini se vuole» mi interrompe la gentile signora mettendomi in mano dei depliant. Noto che ha smesso di digitare, mi fissa ma non accenna a consegnarmi le chiavi della stanza.
«Signora, c'è qualche problema con la mia prenotazione? Perché vorrei andare a riposarmi un po' nella mia stanza.»
«No, nessun problema è solo che non sono tanto pratica con queste cose online.»
«Ah. Io un po' me ne intendo, vuole che dia un'occhiata?»
«Ci mancherebbe! Lei qui è un'ospite. Attenda solo un minuto. Nathan!» urla, facendomi trasalire.
Ma dove diavolo sono capitata?
Mi volto verso l'ingresso, un ragazzo completamente rasato, ma con un e norme tatuaggio a ricoprirgli la testa, fa il suo ingresso sbuffando.
Non ci posso credere! È il tipo incontrato qui fuori. Lo stesso che si è rifiutato di scaricare il mio bagaglio dalla macchina e che pensa sia la classica snob di città senza conoscermi.
Resto basita dai suoi modi, ancora una volta, rudi e antipatici.
Il rumore dei suoi passi, tanto pesanti da far quasi tremare il pavimento, rimbomba nella stanza, sembra quasi che lo faccia apposta a sbattere così forte la suola della scarpa. Lo osservo mentre si avvicina, lancia sguardi truci specialmente alla sottoscritta, o almeno così pare.
Si posiziona accanto alla signora della reception e inizia a smanettare con il pc.
«Mamma, questa schermata è quella per le cancellazioni. Le prenotazioni sono da questa parte.»
Muove con fare sicuro il mouse e spiega il funzionamento dei moduli online con una pazienza e dolcezza infinita. Le stesse che di sicuro non ha usato per accogliere me.
«Mi ripeta il nome.»
Si rivolge a me senza nemmeno chiedere per favore.
«Annie Foster.»
Alza lo sguardo dallo schermo per posarlo su di me. Occhi di cenere. Se non fosse così maleducato potrei anche fargli dei complimenti in merito.
«Foster. È per caso parente di Paul Foster, il professore?»
Annuisco.
«Era mio padre.»
«Capisco. Mi dispiace per la sua perdita.»
«Grazie. Lo conoscevi?»
«Sì.»
Restiamo per un attimo in silenzio, come se entrambi avessimo bisogno di prenderci qualche minuto per elaborare le informazioni.
Mi sono rivolta a lui come se fossimo già in confidenza, mi sento quasi di avergli mancato di rispetto.
«Stanza n.3, secondo piano. Prego, da questa parte.»
Mi fa cenno di seguirlo e insieme iniziamo a percorrere le rampe di scale che ci separano dalla reception. Nessuno dei due parla. Nella fretta ho dimenticato la valigia, ma non ho il coraggio di dirglielo.
Arriviamo davanti alla porta che lui apre con un po' di difficoltà.
«La serratura è un po' difettosa. Per qualunque problema qui c'è il numero della reception» indica un foglio attaccato al muro «qui ci sono la password per il wi-fi, il telecomando per l'aria condizionata e quello per la tv». Punta il braccio in giro per stanza mostrandomi tutto ciò che può servirmi per il mio soggiorno qui.
«Grazie» balbetto.
«C'è qualcos'altro che posso fare per lei Miss Foster?
«Sì. Ho dimenticato il mio bagaglio all'ingresso. Sarebbe così gentile da portarmelo, Mr...qual è il suo nome?»
«Nathan Parker.»
Annuisco, porgendogli la mano. Nonostante un inizio un po' burrascoso, una presentazione ufficiale mi pare comunque doverosa.
«Piacere di conoscerla Mr. Parker.»
«Piacere mio, Miss Foster.»
Mi volta le spalle e se ne va lasciandomi con la mano a mezz'aria. Ha completamente evitato il contatto fisico.
Sono sempre più basita dal suo comportamento a dir poco ambiguo. Spero solo si ricordi di portarmi la valigia.
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