2. Frustrazioni di una vita


Sono solo le due del pomeriggio e io sono ferma immobile davanti al pc spento da almeno tre ore. Claire è stata tanto subdola da bloccarmi momentaneamente gli accessi ai file cosicché io non possa proprio fare nulla, nemmeno dare una sbirciatina a quello che, di fatto, è il mio lavoro.

Ho perfino saltato il pranzo, cosa che, per altro, succede piuttosto spesso. Non sono fatta per stare in vacanza. Se avessi voluto fare una vita meno frenetica sarei rimasta nelle Cotswolds, nella residenza di campagna dei miei nonni.

Londra è lavoro. Fretta. Competizione. Voglia di arrivare.

Chiudo il portatile con gesto di stizza. Mi innervosisco al solo pensiero di quanto poco manchi al torneo di Croydon. È l'ultima occasione per non far fallire The art of gaming, non posso starmene qui senza far nulla in attesa che queste due settimane passino.

Afferro il telefono, le mani tremano da quanto sono nervosa. Devo convincere il mio capo a fare annullare tutto. Sto impazzendo.

Non faccio in tempo a chiedere a Siri di avviare la chiamata che questo mi vibra tra le mani. Leggo il nome e sbianco. L'ultima persona con cui voglio parlare è proprio lei, ma se non rispondo entro il secondo squillo so già che me la farà pagare con altre venti chiamate e un'insistenza da ricovero immediato.

«Ciao, mamma.»

«Perché mi hai risposto?»

«Perché tu mi hai chiamato.»

«Ho fatto partire per sbaglio la telefonata. Tu che scusa hai per aver risposto durante le ore di lavoro? Se ti prendi anche una sola pausa finirà male e questo lo sai anche tu.»

Lo so. Me lo ripete ogni santissimo giorno. Se non lo fa per telefono, mi intasa la segreteria di messaggi vocali. Se Whatsapp mi pagasse per tutte le chat aperte tra me e mia madre, sarei milionaria.

Vorrei non essere costretta a dirle la verità, ma prima o poi scoprirebbe comunque che sono in ferie forzate per cui decido di rischiare. Incrocio le dita dietro la schiena, anche se sono sola e non mi vede nessuno. Ho bisogno di tutta la forza interiore che ho per affrontare questo discorso con lei.

«Mamma, ascoltami. Se ti ho risposto è perché Claire mi ha concesso due settimane di ferie. Dice che le devo esaurire entro l'anno.»

«Cosa? Stai scherzando? Dammi il suo numero! La chiamo immediatamente. Come si permette di decidere per te?»

Lo fai anche tu. In maniera subdola e silenziosa.

Mi mordo la lingua per evitare di dare voce ai miei pensieri. Faccio un lungo respiro e cerco di mantenere la calma.

«La stavo giusto chiamando io, non ti preoccupare.»

«Io mi preoccupo eccome! È della tua carriera che stiamo parlando. Non si guadagna standosene liberamente seduti sul divano.»

«Di fatto, sì. Il mio contratto prevede comunque delle ferie pagate.»

«Queste sono stupidaggini che ti hanno messo in testa. Il lavoro deve venire prima di tutto, il resto è solo un contorno. Vedi di risolvere la situazione che mi servono i soldi.»

«Ti ho fatto un bonifico due settimane fa. Non dirmi che li hai già spesi.»

«Ho avuto delle spese extra.»

Sono stufa delle sue spese extra. Soprattutto perché sono io a pagarle.

«Vedrò cosa posso fare. Ora devo andare. Ciao, mamma.»

Chiudo la chiamata e un nodo allo stomaco mi attanaglia. Mi sento come se qualcuno stesse torcendo le mie budella, come si fa con uno straccio bagnato. 

Va sempre a finire così.

Mi rifugio nella calma e nel silenzio della mia camera da letto. Mi sento talmente piccola e impotente da non sapere cosa fare.

Chiudo gli occhi, sperando di prendere sonno e risvegliarmi altrove. In un qualunque altro posto lontano da mia madre e la sua tossicità.

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