12. Complicazioni

«Annie? Cosa ci fai qui?»

Rimango senza parole davanti a lui e a quello che c'è nella stanza. Tento di aprire la bocca per parlare, ma le parole non ne vogliono sapere di uscire.

Incanto. Questo è quello a cui assistono i miei occhi.

«Oltre ai vestiti hai dimenticato anche la voce?» mi regala un mezzo sorriso e io ricambio, finalmente reattiva.

«Nathan, che posto è questo?» ho le lacrime agli occhi dalla commozione.

«È il mio personale e inviolabile museo-laboratorio. Vengo qui quando ho bisogno di stare solo e riflettere.»

Annuisco. Mi mordo il labbro inferiore, imbarazzata. Vorrei restare e ammirare insieme a lui il paradiso elettronico che c'è qui dentro, ma temo di disturbarlo. Se si è rinchiuso in questa stanza significa che vuole stare da solo e quindi sono di troppo.

Gli devo delle scuse. Dovrei porgergliele e andarmene, ma c'è qualcosa che mi trattiene dal farlo. Resto immobile sulla soglia, finché non è lui a parlare.

«Puoi entrare se ti va. Guarda che non mordo.»

E chi lo ha mai pensato?

«Io...grazie.»

Compio due passi e mi chiudo la porta alle spalle. Mi affaccio timidamente verso di lui, mi sta osservando da dietro una minuscola scrivania, davanti a lui scorgo una miriade di piccoli attrezzi che però non ho mai visto prima.

Sospiro, in cerca di un coraggio che sembra mancarmi.

Mi guardo un po' attorno, sgrano gli occhi un paio di volte. Dio, qui dentro è il paradiso.

«Questi coin-op games sono tutti originali?»

«Tutti quanti. Sono un estimatore e un collezionista anche se devo fare i conti con il fatto che non posso più permettermeli.»

«Sono meravigliosi. Posso?»

Indico il videogioco arcade sul cui marquee ci sono Bub e Bob, gli indimenticabili draghetti di Bubble-Bobble e mi ci avvicino. Mi tremano le mani dall'emozione.

«Sono anni che non ne vedo uno.»

«Puoi provarlo, se vuoi.»

Mi passa una monetina che io puntualmente inserisco per iniziare la partita.

«Funziona proprio come l'originale» gioisco, come una bambina.

«Non avrebbe lo stesso valore se non fosse così» mi sorride e si piazza di fronte a me. Un braccio sopra il tettuccio del cabinato, l'altro chiuso a pugno sul fianco.

Non so perché, ma la cosa mi imbarazza. Sento le guance in fiamme, ma cerco di non lasciarmi distrarre dalla sua presenza.

«Sei molto brava.»

«Sono cresciuta con questo gioco. E ora fa parte del mio lavoro.»

Gli sorrido, ma sono troppo concentrata sullo schermo per capire se lui ricambia oppure no. Sento i suoi occhi puntati addosso e questo aumenta il mio grado di bollore interno.

Fa davvero caldo in questa stanza!

Sparo bolle all'infinito, sembro una pazza mentre premo i pulsanti e muovo il joystick. Ogni tanto sposto leggermente lo sguardo verso Nathan che non si è mai mosso dalla posizione iniziale e lo trovo a fissarmi, in estasi totale.

Mi arrendo al decimo livello, troppo distratta da perdere la concentrazione. Mi massaggio il polso, indolenzito e dolorante per la foga con cui l'ho sottoposto a stress.

«Complimenti. Hai stabilito un nuovo record» mi comunica Nathan, gli occhi che brillano di una strana luce.

«Era da un po' che non giocavo. È stato divertente.»

«Nessuno ti ha mai detto che mentre giochi risplendi? E sei ancora più bella.»

Ammutolisco. Questo è il primo complimento che ricevo dopo tanto tempo, ma il fatto che sia stato Nathan a dirmi certe cose mi fa accaldare – di nuovo – e accelerare i battiti.

Siamo passati in poco tempo dagli insulti alla dolcezza.

«Grazie» la voce esce bassa, quasi un sussurro. Sento un brivido lungo la schiena e d'istinto mi copro con le braccia. Mi rendo conto solo in quell'istante di essere mezza svestita, particolare che avevo tralasciato fino a questo momento.

«Ci sono delle coperte se senti freddo. Vieni, da questa parte.»

Lo seguo in rigoroso silenzioso, percorriamo i pochi passi che ci separano da una parete, svoltiamo l'angolo e un nuovo spettacolo mi si presenta davanti e mi mozza il fiato.

«Non ci posso credere» mi porto una mano davanti alla bocca, tanto è lo stupore nel vedere tante rarità a me così familiari.

«Tieni questa.»

Nathan mi lancia una coperta di lana a quadri che mi colpisce in piena faccia, non riuscendo ad afferrarla in tempo. La raccolgo da terra, ma sono ancora troppo sotto shock da non sapere esattamente cosa sto provando. La mia attenzione è tutta puntata lì.

«Anche questi sono originali?»

«Il cocktail è un non JAMMA, sto lavorando alla piedinatura.»

«Tu li sai riparare?»

Sono sempre più affascinata. Non ho mai conosciuto nessun altro uomo oltre a mio padre che sapesse mettere mano a vecchi congegni come questi.

«Ho studiato per quello» mi sorride e io capisco al volo ciò che sta cercando di dirmi.

«Eri uno studente di mio padre? È per questo che lo conosci?»

«Sono stato uno degli ultimi a poter frequentare il suo corso prima che lo chiudessero per mancanza di iscrizioni. Hai di fronte a te un ormai introvabile ingegnere di macchine arcade.»

Mi stringo nella coperta e lo guardo dritto negli occhi. Sapere che lui è uno dei frutti del lavoro di mio padre mi riempie di orgoglio. Anche se l'ho insultato e disprezzato fino a un paio di ore fa.

Leggo una nota di tristezza nel suo sguardo, come se di colpo si fosse spento al ricordo di qualcosa.

«Se vuoi chiedermi perché lavoro come tutto fare al B&B anziché applicare quanto studiato risparmiati la domanda. Riparare "vecchi oggetti" non mi aiuta a pagare le bollette. Dare una mano a mia madre invece sì.»

Stronca sul nascere ogni mia possibile richiesta di spiegazioni. D'un tratto mi sembra più cupo e non voglio infierire solo per soddisfare una mia mera curiosità.

Annuisco. Si avvicina al tavolino che avevo già inquadrato prima e smette di parlare. Lo osservo mentre armeggia con gli attrezzi adocchiati all'inizio, la concentrazione nei piccoli gesti, il suo profilo riflesso sotto la piccola luce da tavolo.

Se solo non fosse così scostante. Se solo non abitasse in questo luogo sperduto. Se solo non mi avesse salvata quella sera nel bosco. Se solo non fosse così sexy.

Se solo non fosse tutto così dannatamente complicato. 

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