XXX. In segreto - seconda parte
«Non potrebbe essere stato lo stesso Karanev a coprirli?» chiese Sasha. Ormai si era gettato nel gioco delle supposizioni. «Se è ancora vivo...»
«E perché farsi sfuggire la ragazza che utilizzava per i suoi esperimenti? No, non è stato lui. Deve essere stato qualcun altro, qualcuno che non voleva che vi catturassero, che voleva proteggervi.» Ljuba Vosikiev scosse la testa. Continuava a guardare Ilyas, che se ne stava in silenzio, seduto rigido contro la panca. «Il fatto è questo: tu pensi di essere al sicuro, che tu e tua sorella siate fuori da qualsiasi radar perché siete fuggiti da quel posto, ma chi ti dice che lo sarete per sempre? Non è per questo che vi siete spinti fino a qui, non vivere con una spada di Damocle costantemente sul capo?»
Ilyas non rispose. Sembrava assorto, il volto una maschera dura e indecifrabile.
Il silenzio che calò nella parilka non durò a lungo comunque: Lukas lo spezzò quasi subito.
«E dovrebbe impersonare Aleksandr Novikh per scoprire cosa è successo alla sorella? Ljuba, questo è un piano da kamikaze.»
Ecco, quel che aveva pensato anche Sasha.
«Non se lo guidiamo. Lo faremo alla Shkodka che, guarda il caso, è proprio una notte di luna piena. Manca poco, è vero, ma abbiamo più tempo a disposizione per istruire qualcuno a fingersi un alto vory che insegnare a un senziente ancora inesperto a entrare nella testa di una persona.»
Adesso Sasha si sentì preso in causa. Fece per intervenire, ma Lukas, ancora una volta, prese parola.
«Entrare nella casa di Boris Novikh: tanto vale calarsi in una fossa di serpenti! Io non credo affatto...»
«Le possibilità sono solo queste: dobbiamo entrare nel covo di Boris Novikh, in qualche modo, nel cuore dei suoi piani. Lui non si fida di nessuno se non dei suoi figli. Con Aleksandr Novikh abbiamo un accesso privilegiato grazie a Raisa. È un'occasione da sfruttare.» Vosikiev ritornò a guardare Ilyas. «Non vuoi capire cosa è successo a tua sorella?»
«Vaffanculo» mormorò lui, facendo irrigidire gli uomini ai fianchi del Vor. Quest'ultimo però non si scompose.
«Siamo insieme, ragazzo: in questa storia siamo tutti coinvolti. Quel che è successo a lei poteva capitare a chiunque e purtroppo è successo proprio a lei. Potrebbe accadere di nuovo, anche domani, e non possiamo permetterlo. Mi dispiace per quel che avete passato.» Sembrò indugiare su quelle parole, lo sguardo ancora dritto, puntato sul giovane vulkulaki. «Pensi che mi sia indifferente? Pensi che ti stia chiedendo di andare in prima linea senza considerare tutte le incognite? Ti do la mia parola che faremo tutto il possibile per salvaguardarti.»
«Non sono preoccupato per me» rispose Ilyas, un mezzo sibilo, fremente di baldanza ma anche di paura – Sasha la percepì, nonostante l'altro cercasse di nasconderla tra le pieghe della voce.
«Lo so.»
Scese un altro, l'ennesimo, silenzio in bilico. A lui cominciava a mancare l'aria.
Dieci minuti, siamo qui da quasi dieci minuti, fra poco ci cuoceremo...
Non avevano neanche indosso i cappelli di feltro che a volte si portavano, le shapkas, per proteggere il capo dalle alte temperature. Si passò la mano dietro la nuca e la trovò intrisa di sudore.
«Se questo piano dovesse funzionare» iniziò, cauto. «E badate bene: dico se. Se Ilyas accettasse, se funzionasse... ecco, come la mettiamo con il vero Aleksandr? Se Ilyas prende il suo posto lui che fine fa? Lo addormentiamo e quando si sveglierà non saprà niente di quello che gli ha detto il padre? Come...»
«A quello ci penserò io» prese parola Bogdan. «Ho la capacità di impiantare nella mente di una persona dei ricordi artefatti. Manipolerò la memoria di Aleksandr Novikh al punto da fargli credere di aver partecipato all'incontro.»
«Bogdan ha questo potere, sì» intervenne Vosikiev. «L'ha già usato in passato e ha sempre avuto successo. Ovviamente non ci sarebbe solo lui a coprirti le spalle.»
Si stava rivolgendo a Ilyas, che era ritornato al suo scostante silenzio.
Sasha invece non riusciva a non parlare: «Ci sarà anche mio padre a quell'incontro. Potrei...»
Voleva fare qualcosa anche lui. Si sentiva responsabile per aver svelato il segreto di Aisha e Ilyas, per quanto fosse convinto che era stata la scelta giusta. Non voleva comunque lasciarli soli a sguazzare nelle complicate conseguenze che ne erano derivate. Non l'aveva voluto con Aisha e non lo voleva neanche con Ilyas.
Il Vor lo occhieggiò. Aveva avuto uno strano moto quando Sasha aveva nominato suo padre. «Hai detto che non puoi entrare a comando nella testa di una persona.»
«Posso iniziare ad allenarmi per imparare a farlo, intanto. E posso... potrei... se mio padre è implicato, quando verrà a Mosca proverò a sondare la sua mente, le sue emozioni, magari riuscirò a captare qualcosa e qualunque cosa mi sembrerà rilevante ve la riferirò.» Si voltò verso Ilyas. «Non sarai solo.»
Quell'ultima frase gli uscì più pomposa di quanto avrebbe voluto – forse era il vapore; stava cominciando a sentirsi accaldato –, ma Ilyas non ribatté. Guardava il Vor.
«Che cosa vuole che le dica?»
«Che ci penserai.» Anche Vosikiev lo fissava dritto negli occhi, lo sguardo grigio e duro come acciaio. «Per almeno un giorno: dammi la tua risposta domani. Un giorno, solo questo chiedo.»
Che un Vor chiedesse qualcosa per Sasha era già la fiera dell'assurdo, ma che addirittura si dicesse disposto ad aspettare una risposta, anche solo per un giorno, superava qualsiasi convinzione avesse avuto fino a quel momento. Era come vedere un mondo al contrario: il mondo dei lupi.
Sono davvero diversi, pensò, e non era la prima volta. Certo, c'erano anche lì delle gerarchie da rispettare e si vedeva come tutti i vulkulaki, chi più, chi meno, orbitassero attorno alla famiglia dominante, ma i meccanismi di quel mondo erano molto diversi da quelli a cui era stato abituato fin da bambino, nel seno della propria famiglia e nel feroce habitat della Organizatsya. Le interazioni stesse tra i suoi simili gli sembravano più... tribali, forse, ancestrali, fondate su un sentire collettivo avvertibile quasi a livello spirituale, come se tutti loro, dal capo dei Vosikiev all'ultimo lupo solitario, fossero consapevoli di essere accomunati dallo stesso destino.
E non era stato così anche per lui, in fondo? Ancor prima di incontrare Aisha e Ilyas li aveva sentiti. A causa del suo potere, certo, come gli aveva spiegato Soraya, ma non riusciva a togliersi dalla testa che in un modo o in un altro li avrebbe comunque trovati; che tutti loro erano destinati a incontrarsi.
«Un giorno» disse Ilyas a labbra strette. «E poi le darò la mia risposta.»
Ljuba Vosikiev assentì. Sasha lo vide ancora una volta, e con sorpresa, lasciar scivolare lo sguardo su di lui.
«L'aspetterò.»
***
Dopo aver sottoposto il corpo ad elaborate sevizie i russi ci tenevano a rifocillarsi. Masochisti sì, ma con la pancia piena – almeno di questo Ilyas doveva rendergliene atto.
Sasha si era avventato sul tè appena usciti dalla sauna e ora si stava riempiendo il piatto di acciughe salate, pane con formaggio e gli immancabili cetriolini sottaceto. Ilyas si mise invece in cerca di qualcosa di più appetitoso – e meno russo – nell'ampio buffet preparato nella sala relax.
I raggi del sole penetravano in calde lame dorate attraverso il soffitto a cupola fatto interamente di vetro. Si trovavano nella sala adiacente alla piscina più lussuosa dei bagni, una piscina di un blu intenso come il mare che, gli aveva raccontato Sasha, era stata usata in passato in un qualche film famoso per riprodurre le acque agitate del Mar Nero ¹.
Dopo l'incontro col Vor avevano continuato la sauna e Ilyas aveva perso il conto di quante volte fosse entrato e uscito dalla parilka per tuffarsi nell'acqua gelida e ritornare nel vapore bollente. Tra un bagno di vapore e l'altro aveva tracannato vari bicchierini di birra e di vodka perché, a quanto pareva, anche quello faceva parte dell'esperienza, e adesso che avevano finito li attendeva un ricco buffet da condividere con gli altri ospiti che si aggiravano nella grande sala, i corpi rosa e fumanti avvolti da accappatoi e asciugamani.
Nudi e senza pudore quanto volevano, ma alla fine ritornavano tutti ligi soldatini vestiti, ah.
Si sentiva un po' brillo.
Il buffet era spalancato davanti a lui come una balena spiaggiata. L'aria era impregnata di profumo di abete e di kvas; un forte aroma di aneto si levava dalle vivande. Quasi ovunque sbucavano secchielli di ghiaccio con bottiglie di champagne ricoperte di condensa.
«Champagne di Sichuan» precisò uno degli inservienti. Lo aveva adocchiato da quando lo aveva visto apparire all'estremità del tavolo. «Vuoi provare?»
Ilyas ricambiò lo sguardo. L'altro doveva avere la sua età, più o meno. Alto, ben piazzato, coi muscoli delle braccia e del petto che gonfiavano la divisa bianca, i capelli scuri tagliati cortissimi e le sopracciglia più folte, nere ed espressive, a ombreggiare due occhi blu che parevano fari accesi nel buio.
Non male, pensò istintivamente e quasi si leccò le labbra.
«Perché no?»
Il tipo non se lo fece ripetere due volte: gli versò lo champagne in un calice, uno di quelli lunghi ed eleganti che Ilyas non sapeva neanche come si prendevano. Non che gli interessasse: strinse le dita sullo stelo di vetro come gli veniva e bevve lo champagne in un sol sorso. Era molto più fresco e dolce di quanto si aspettasse.
Gli occhi dell'inserviente andarono su e giù seguendo il movimento del suo pomo d'Adamo. Ilyas li vide scivolare al di sotto del collo, lungo il torso nudo e più sotto ancora; fecero una scansione completa prima di tornare al suo viso.
«Da dove vieni?» gli chiese, la voce più bassa.
Forse era per via del cerchio alla testa provocato dall'alcol, forse per la sensazione di beatitudine dopo la parilka, ma si sentiva stranamente ben disposto nei confronti del genere umano quel giorno.
«Caucaso.»
«Ma dai! Un bel viaggio da qui.»
«Non immagini quanto.»
Proprio in quel momento Sasha scelse di piombare tra loro con il suo piatto di cetriolini.
«Uh, champagne!»
Anche lui aveva già bevuto, e parecchio: era su di giri, le guance soffuse di rossore e la voce allegra e impastata. Chiese un bicchiere di champagne e restò a ciarlare sulle proprietà benefiche della sauna prima di eclissarsi alla vista delle uova in salamoia appena servite dall'altro lato del tavolo proferendo un «Uh, uova!».
L'inserviente, dopo averlo seguito con lo sguardo, tornò a squadrare Ilyas con quei fari blu. «Sei con lui?»
«Non sono con lui.» Calcò sulla parola. «Posso fare di meglio.»
A quel punto il tipo sorrise, affilato e complice. «Mi chiamo Nikolaj. Tra poco finisco il turno» buttò lì quelle strette informative, le labbra che rincorrevano le parole, fattesi più dense in sottofondo. «Ti va di...»
«Non dirmi che ti piace questa roba.»
Ilyas girò il capo e non si sorprese nel trovarsi Lukas a praticamente un palmo dal naso, sbucato all'improvviso vicino al buffet.
Si rivolse all'inserviente. «Dammi un altro bicchiere, va.»
Il ragazzo apparve più incerto. Scoccò un'occhiata a Lukas, uno sguardo cauto, come in allerta. Continuò a sbirciarlo anche quando versò lo champagne. Fece per riempire un secondo bicchiere, ma l'uomo lo scansò con un gesto annoiato della mano.
«No, grazie, certi vinelli li lascio a chi ha più latte che sangue nelle vene.» Si avvicinò al tavolo, a Ilyas. Lo guardava. «Dai, dimmi la verità: ti piace?»
Senza staccare gli occhi dai suoi, lui prese il bicchiere e mandò giù un sorso robusto. «Troppo dolce.»
Lukas sorrise, appena. «Come pensavo.» Si voltò verso l'inserviente e lo soppesò con una lunga occhiata fredda prima di indicargli due uomini dall'altra parte del tavolo. «Quei tipi là vogliono essere serviti. Perché non fai il tuo lavoro, ragazzo, invece di stare qui a bighellonare?»
Un cane alzerebbe la zampa e piscerebbe con più discrezione, pensò Ilyas nel buttare giù un altro sorso mentre l'inserviente, dopo un attimo di esitazione, senza più trovare appigli in lui, obbedì defilandosi.
Chissà perché non si sentiva infastidito per quell'atteggiamento da animale che segna il territorio – come altro avrebbe potuto definirlo? Da un po' di tempo vedere il modo in cui l'altro lo marcava stretto gli provocava la stessa sensazione di quando si accorgeva del suo schietto apprezzamento dietro le iridi azzurre: qualcosa che gli accendeva le viscere. Ne avrebbe sorriso in realtà, anche ora, un sorriso leggermente frastornato da premere contro il bordo di vetro. Forse si stava davvero ubriacando.
Almeno l'alcol impediva alla sua mente di funzionare con cognizione. Di pensare ad Aisha, a Vosikiev, a ciò che quest'ultimo aveva detto. Avrebbe solo voluto non dover pensare più a niente, anche solo per poco, anche per quel pomeriggio soltanto.
La voce di Lukas richiese attenzione. «Non starai bevendo troppo?»
«Cos'è, prima fai l'amicone e adesso la mamma chioccia?»
Ilyas lo preferiva quando non faceva nessuna delle due cose, né l'amico, né il protettore, ma come era prima, un uomo nudo che lo fissava col suo sguardo duro di desiderio. Forse era l'alcol, forse quelle ore di sauna che gli erano parse un lento e piacevole stillicidio, ma se avesse dato retta all'istinto si sarebbe tolto l'asciugamano e si sarebbe fatto scopare lì sul pavimento davanti a tutti. Era tutta la mattina che ci pensava. Pensava al corpo dell'altro, forte, imponente, perfetto; alla bellezza di quel corpo e a quella che sarebbero stati capaci di creare insieme. La sola idea bastava a eccitarlo. Magari era anche per questo che si era messo a bere: per non pensare troppo nemmeno a quello.
«Ci manca solo la mamma chioccia» sbuffò Lukas e squadrò la sala. «Dov'è finito quell'alt... ah, eccolo, si sta sbafando tutto il buffet. Certo che per essere così magrolino ha parecchio appetito.»
Ilyas alzò le spalle e finì lo champagne. Posò il calice sul tavolo e strizzò gli occhi per scacciare la sensazione che la sala gli stesse ondeggiando attorno.
«Hai mangiato?»
«Sei proprio una mamma chioccia.» Sorrise pigramente e si voltò per trovare i suoi occhi chiari, trasparenti come l'acqua della piscina in cui avrebbe voluto sprofondare. Gli sembrava di fluttuare. «Di' un po', Vosikiev ti paga anche per tutta questa premura?»
«Vosikiev non mi paga. Credo di avertelo detto almeno centomila volte.»
«Sì, sì.» Ilyas fece un cenno distratto con la mano. «Sei un lupo libero, tu. Incatenato come tutti, ma pur sempre libero.»
L'altro assottigliò gli occhi. Una luce di allerta gli balenò nelle iridi. Fece un gesto che Ilyas, coi riflessi rallentati, non scorse in tempo: allungò la mano e gli prese il braccio. Fu appena un tocco però, quasi inconsistente. «Allontaniamoci da qui.»
Ilyas lo seguì senza protestare. Si sentiva davvero fluttuare, come se fosse un'altra personalità a guidare i suoi passi. Si allontanarono dal tavolo del buffet e si misero in un angolo della sala, vicino a una statua di marmo a forma di leone alato. C'era un tavolino, uno dei tanti messi solertemente a disposizione dalla struttura, ma lui non si sedette: preferì mettersi contro il muro, con la schiena appoggiata contro le piastrelle fredde che gli trasmisero una piacevole sensazione di refrigerio sulla pelle ancora calda per il vapore. Lukas si fermò vicino al tavolino e lo guardò.
«Ti porto da mangiare.»
Ilyas non rispose. Lo osservò voltarsi e dirigersi verso il tavolo imbandito; fissava la sua schiena, il tatuaggio del lupo nero dalle zanne sguainate che risaltava come un vero lupo in mezzo a quei corpi tutti uguali, nella luce smerigliata che filtrava attraverso la cupola di vetro. Si immaginò per un momento di vederlo prendere vita e diventare reale, un lupo imponente, inquieto come un temporale e calmo quanto una guerra, una guerra che non avrebbe mai raggiunto una tregua.
Gli ricordava Shanna o forse no, non Shanna, il suo padrone...
Sono ubriaco, pensò quasi lasciandosi scivolare lungo la parete. Sono ubriaco e ho bisogno di una scopata.
Gli sarebbe servita anche solo per togliersi le parole di Vosikiev dalla testa.
L'unica spiegazione che riesco a darmi è che qualcuno all'interno, della Heissemey o forse persino dell'esercito, abbia fatto sparire ogni traccia di voi... qualcuno che non voleva che vi catturassero, che voleva proteggervi...
Lukas tornò con un piatto di salmone marinato e lo costrinse a sedersi per mangiare. Non volle sentire storie quando Ilyas protestò – una protesta debole, in ogni caso.
«Adesso capisco perché non bevi spesso: guarda come diventi.»
«Reggo benissimo.»
«Sì, certo, e io sono astemio.»
Si sedette davanti a lui, senza smettere di scrutarlo come se ne stesse studiando le reazioni. Ilyas invece faticava a non lasciar scivolare lo sguardo sui suoi tatuaggi, soprattutto sulla madonna armata. Fino a quel giorno non ci aveva prestato granché attenzione.
Sonja, aveva detto Lukas nello spogliatoio. Aveva tirato fuori quel nome e, nel pronunciarlo, aveva sorriso; era sembrato catturato da un pensiero che Ilyas in quel momento avrebbe voluto sfilargli via coi denti.
«Perché non vai a recuperare anche Sasha?» chiese mentre iniziava a mangiare.
«Mi sembra che il piccoletto se la cavi benissimo da solo.»
«Quindi il lupo fa da guardia solo a me? Pensa che ne abbia bisogno ora che il grande Vor mi manda in prima linea?»
Lukas si incupì. Fu un cambiamento subitaneo, che un po' lo sorprese. «Non sono d'accordo con quel che ha proposto Ljuba. Non ne avevo la minima idea.»
«Ci credo.»
«Guarda che sto dicendo...»
«Davvero: ci credo.» Ilyas alzò la mano, di nuovo, la fece svolazzare in aria e si guardò attorno con aria assente. «Ma è l'unico modo, no?»
L'idea di fingersi il figlio del più importante Vor della Russia e introdursi in casa di quest'ultimo non lo allettava per niente; aveva rivisto parecchi dei suoi precedenti piani da quando era arrivato a Mosca. Eppure, sapeva che Vosikiev aveva ragione: non potevano passare il resto della vita a chiedersi quando sarebbe arrivato il pericolo, se dal folto degli sterpi o da dietro l'angolo.
«Non sei costretto a farlo.»
«Lo so.»
«Ci sono altre soluzioni.»
«Lo so.» Piluccò un pezzo di salmone e se lo lasciò sciogliere in bocca, il forte sapore dell'aneto che gli accarezzava le papille gustative. «Voglio capire quel che è successo a mia sorella. Se c'è ancora qualcosa, qualunque cosa, anche minima, che ricollega questa gente a lei... voglio che lei sia al sicuro.»
«È comprensibile, ma questo non significa che devi andare dritto nella tana del lupo.»
«Pensavo che i lupi fossimo noi.»
«Esistono molti tipi di bestie in questo mondo. Ljuba dice sempre una frase, un motto del suo clan: il lupo deve muoversi nell'ombra, ma verrà il giorno in cui tutti temeranno di essere visti da lui sotto la luce del sole.» Lukas pronunciò quelle parole e le lasciò macerare in aria prima di riprendere: «L'ho sempre interpretato come un invito all'attesa: verrà il nostro tempo, il tempo di non nasconderci più.»
«E gli serve una frase criptica per dirlo? Ecco una cosa che non sopporto: tutta quest'aria di mistero, le parole imbellettate, la mancanza di chiarezza. Che cosa ci vuole a dire le cose come stanno e cioè che siamo nella merda finché non sopraffaremo gli umani? Ci vuole così tanto?»
«Ah, guarda, sull'essere chiari sono completamente d'accordo. Bisognerebbe dire le cose come sono, dirle tra i denti. Coi nobili però è tempo perso: non stanno bene se non infiocchettano ogni discorso.»
Lo aveva notato anche lui. Vosikiev gli aveva chiesto di partecipare a una missione potenzialmente suicida, ma era riuscito a non pronunciare neanche una volta le parole "morte" o "pericolo". Da un certo distorto punto di vista era da ammirare.
«Quindi, mentre aspettiamo di camminare "sotto la luce del sole", ci muoviamo nell'ombra, in retroguardia.»
«Non è sempre un male combattere in retroguardia.»
«In retroguardia non si combatte, si guardano gli altri morire.»
Nel pronunciare quella frase Ilyas sentì il cibo diventare acido in bocca. Gli era tornato un cerchio alla testa, ma cercò di non farci caso e di non ripensare al Daghestan, alla Legione, ai tanti, troppi corpi che aveva visto, distesi a terra e sepolti nel sangue.
«Dipende in che tipo di esercito ti trovi. Nel mio clan, ad esempio, tutti combattevamo. Io non sono mai stato a guardare, neanche quando ero un cucciolo.»
«Mi sembra non ti dispiaccia però.»
«Cosa?
«Guardare.» Ilyas si lasciò scivolare sulla sedia e stropicciò le labbra, beandosi della possibilità di fargli cadere lo sguardo sulle spalle e sul petto, fino ai contorni dei tatuaggi. «Non mi sembra ti dispiaccia farlo.»
E allora Lukas sorrise, il suo solito sorriso, che aveva qualcosa di possessivo, ferino, ma anche di scoperto e autentico. Accettò il cambio di argomento con la stessa naturalezza con cui lo aveva introdotto Ilyas.
«Dipende da cosa guardo, ragazzo.»
«Oggi allora ti devi essere proprio divertito.»
Voleva stuzzicarlo, divertirsi un po' anche lui. L'alcol aiutava così come l'atmosfera rilassata e la voglia di non pensare più a niente che lo facesse sprofondare nel gorgo scuro dove si trovavano le sue paure più segrete.
Lukas continuava a scrutarlo come se lo stesse studiando. «Quanto hai bevuto esattamente?»
«Non abbastanza da proporti di scopare, non ti preoccupare.» Sentì gli angoli del sorriso curvarsi alla vista delle sue pupille che si diradavano, del nero che inghiottiva tutto quel blu, riducendolo a un anello sottile. «O forse dovrei dire: non sperarci?»
Glielo domandò con gli occhi socchiusi, inclinando leggermente la testa all'indietro ed esponendo così il collo. Nel regno animale quel gesto era un invito palese; lo sapevano entrambi.
Non rimase a gustarsi la sua espressione, che più che interessata parve assorta, e si alzò di scatto. Aveva finito di mangiare a tempo di record.
«Vado a cambiarmi» annunciò e a passo svelto, più stabile di quanto pensava, si avviò verso l'uscita, diretto agli spogliatoi.
Si aspettava che Lukas lo seguisse e non si sorprese infatti nel sentire i suoi passi dietro di sé nel corridoio. Si aspettava anche che, appena superata la soglia dello spogliatoio vuoto, lo afferrasse per un braccio e lo traesse verso il primo muro disponibile, incastrandolo con la schiena contro la parete. Si aspettava la sua mano sulla nuca, che gli artigliò i capelli e lo tenne fermo in una presa ferrea. E si aspettava il bacio, che arrivò avido e duro, ustionante, a spezzargli il respiro e a farlo fremere di un brivido atteso e al contempo inconsueto. Di fronte a quell'assalto Ilyas reagì mordendogli le labbra, forte, con forza deliberata, fino a sentir stillare il sangue. Alle narici gli arrivò una zaffata di ruggine e la bocca gli si fece umida fino al mento, vorace e affamata.
Rilassò le spalle, divaricò leggermente le gambe. Il muro era freddo contro la schiena nuda, mentre il corpo dell'altro era caldo, bollente. Avevano entrambi ancora quegli stupidi asciugamani legati ai fianchi, una barriera sottilissima che non capiva come e perché fosse ancora in piedi. Abbassò le mani per togliersi il proprio, ma Lukas gli catturò i polsi e li bloccò contro la parete. Ilyas emise allora un verso di protesta tra le sue labbra e subito dopo un lungo gemito nel sentirlo premergli un ginocchio contro l'inguine, quel tipo di suono umido e indifeso che non somigliava a nessun altro ricordasse di aver fatto, neanche quando era ferito, quando era più vulnerabile.
Si sentì davvero come un animale in quel momento. Come un giovane lupo impaziente che si stava sottomettendo a un lupo più anziano. Si aspettava, forse, persino della violenza. Di certo non immaginava che, dopo averlo baciato con tanta urgenza, Lukas si staccò da lui, lentamente, i denti incastrati nel suo labbro inferiore che indugiarono e si allontanarono, costringendolo quasi a inseguirlo per rincorrere quel piacere interrotto troppo presto, vibrante nel sangue. Gli lasciò andare i polsi e ritirò il viso, il fiato ancora intrecciato al suo.
«Non voglio giochi.»
Ilyas, contro il muro, il respiro un po' ansimante, lo guardò senza capire. «Eh?»
«Hai detto che apprezzi la chiarezza, no? Bene, anch'io. Non voglio giochi con te.»
Lo stava fissando con quel suo sguardo dritto in cui si annidava l'ombra del desiderio, stretto tra le maglie di una fermezza che ora, nel silenzio dello spogliatoio, con quei pochi centimetri d'aria a separarli, divenne tutto a un tratto difficile da ricambiare. Ilyas abbassò gli occhi sulla sua bocca, sul rivolo di sangue che gli scendeva da un angolo del labbro e scivolava lungo il mento, fino a incunearsi nell'incavo della clavicola.
«Non so di cosa parli» disse sentendo il sapore di quello stesso sangue sulle labbra.
«Lo sai invece.» Lukas non accennava a spostarsi; stava ancora a meno di un passo da lui; respiravano nello stesso respiro. «All'inizio era diverso, te lo concedo, adesso però le cose sono cambiate, mi sembra evidente, ma in caso non lo fosse te lo dico: non voglio solo una scopata, non voglio giocare al gatto col topo, né a qualunque altro gioco. Ti voglio davvero.» Rialzò la mano e la portò a sollevargli il mento. Le pulsazioni di Ilyas rimbombarono contro il suo palmo. «Se ti sta bene, perfetto, possiamo finalmente finirla con tutti questi accerchiamenti. Se invece non ti sta bene, dimmelo e la finiamo una volta per tutte, ognuno prende la sua strada e non ci torneremo neanche col pensiero. Sta a te la decisione.»
Lui non reagì in un primo momento. Aveva la gola secca, la lingua incollata sotto il palato. Lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, vibranti di un'energia nervosa che gli percorreva il corpo come una frustata. Si scoprì all'improvviso teso, pieno di indecisione; non sapeva se rispondere o fuggire.
«Non devi dirmelo subito» continuò Lukas come se gli avesse letto nel pensiero. «Ripeto: ho voluto mettere le cose in chiaro. Spero che apprezzerai.»
Si chinò allora, colmò di nuovo la distanza tra i loro visi e si immerse negli odori del suo collo; gli accarezzò la mandibola con le labbra, salì con la bocca fino all'orecchio e soffiò in un sussurro caldo: «È vero che mi piace guardarti. Non riesco a trattenermi. Ci ho provato, ma non ci riesco.» Ilyas avvertì un tocco umido: la sua lingua. Gli stava mordicchiando il lobo, l'odore del sangue che si levava nell'aria, arrivava alle sue narici e gli torceva i sensi. «Ma tu d'altro canto non fai molto per evitarlo.»
«Forse» ammise lui, un borbottio.
Lukas sorrise di scorcio, un angolo della bocca sollevato quanto bastava a mostrare i denti. Aveva le palpebre socchiuse, la bocca affondata nel suo collo e la mano che era scesa ad accarezzargli la curva del fianco. Ilyas percepiva la sua voglia con la stessa chiarezza con cui avvertiva l'odore del suo sangue: la voglia di avventarsi su di lui e affondare i denti, dare inizio a una guerra di morsi che si sarebbe fatta sempre più intensa, viscerale e senza ritorno, fino a quando non si sarebbero ritrovati entrambi con segni scintillanti in ogni centimetro di pelle.
Baciami, pensò. Non lo disse, ma lo pensò, quasi lo implorò nella testa, e Lukas parve leggergli ancora una volta nel pensiero perché portò la bocca aperta sulla sua e lo baciò di nuovo, più lento e calmo stavolta, ma con sempre quella forza e urgenza sotterranea, come se volesse prendersi il suo respiro direttamente dai polmoni. Ilyas risentì il calore gorgogliargli nelle vene, il piacere come un uncino nel basso ventre, e lo morse ancora, un altro invito, il permesso di andare avanti, che però l'altro non raccolse. Si staccò e indietreggiò di un paio di passi per ristabilire una distanza di sicurezza, e allora Ilyas si chiese per la prima volta se non lo avesse sottovalutato per tutto quel tempo.
Aveva molto più autocontrollo di quanto pensava. Molto più autocontrollo di lui, a quanto pareva.
«Allora aspetto la tua risposta» disse Lukas, sfregandosi il lato della bocca col dorso della mano. La maggior parte del sangue si era seccata, ma alcune gocce gli rimasero in bilico sul palmo; sorrise a guardare la macchia rossa che gli brillava sulla pelle. «Mi auguro sia positiva, ovviamente.»
Ilyas non rispose. In quel momento sarebbe potuto arrivare un treno in corsa e con molta probabilità lui non avrebbe avuto la forza di scostarsi, né di fare alcunché per evitare l'impatto.
Immobile e in silenzio contro il muro, guardò l'altro allontanarsi, il lupo tatuato che non smise di fissarlo fin quando non superò la soglia dello spogliatoio. Rimase solo, con un'ingombrante erezione tra le gambe. Si lasciò sfuggire un sospiro.
In meno di un pomeriggio aveva già collezionato due risposte da dare, una che riguardava sua sorella, la sua vita, i piani di Vosikiev, e l'altra... all'altra non sapeva dare una definizione.
Eppure, pensò mentre si risistemava, anche lui era in debito di una risposta. Qualcosa che non aveva mai avuto il coraggio di chiedere, per cui non aveva mai trovato le parole, ma che aveva bisogno di sapere. Una volta per tutte.
¹ Il film in questione, girato nei bagni Sanduny, è niente poco di meno che La corazzata Potemkin.
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