XXX. In segreto - prima parte
Se a Sasha era mai capitato di immaginare possibili luoghi dove organizzare incontri segreti aveva pensato a tutto, doveva ammetterlo, tranne che a una sauna.
«Esiste forse posto migliore dove spogliarsi di ogni sovrastruttura, prima di tutto dei vestiti?» stava dicendo Lukas mentre li precedeva nello spogliatoio.
Ilyas emise uno sbuffo, Sasha si limitò a una scrollata di spalle. In realtà avrebbe avuto un paio di obiezioni a quella teoria, per quanto riconoscesse che una sauna aveva il giusto grado di impensabilità per un conciliabolo; a chi sarebbe mai venuto in mente di spiare degli uomini, tutti nudi come Adamo in paradiso, riuniti per farsi una sana sudata? Forse in passato, in qualche vecchio film da KGB, non nella modernissima Mosca dove la gente parlava di ammazzare altra gente anche davanti al samovar della colazione, mentre si gustava bliny fumanti. Quindi ci poteva stare, certo, che Vosikiev avesse proposto di vedersi ai famosi bagni di Sanduny per decidere le prossime mosse volte a stanare il progetto dei Novikh. Non capiva comunque perché non nel quartier generale dei Khlysty. Il Vor aveva forse paura di altri traditori dopo che, a quanto pareva, l'uomo di cui più si fidava a Mosca si era rivelato un voltagabbana? Magari c'erano state altre infiltrazioni; Sasha poteva solo immaginarlo.
Era stato convocato insieme a Ilyas e ne era stato sorpreso, visto che pensava che il suo ruolo si fosse esaurito dopo quella sessione di recupero della memoria. In realtà, Ilyas era stato il primo a essere chiamato. Il Vor voleva parlare specificatamente con lui, così gli aveva detto Lukas, che aveva ricevuto il compito di accompagnarli. Sasha non aveva capito per quale ragione volesse vedere entrambi, ma presto l'avrebbe scoperta.
Chissà perché non vuole parlare anche con Aisha, si chiese mentre entrava nello spogliatoio comune e cominciava a riporre le sue cose. A dire il vero, ne era rincuorato. Lei aveva già fatto tanto, a suo parere, e poi sarebbe stato di fatto impossibile organizzare un incontro in sauna con lei. Nei bagni di Sanduny si praticava la sauna banya tradizionale, quella che lui considerava a pieno titolo un buon esempio dell'atavico disprezzo dei russi per la moderatezza e la comodità, nonché simbolo del loro culto della sofferenza: le saune banyas erano di solito divise per sesso, almeno quelle più altolocate come quelle terme di Mosca, non certo i capannoni di cinque metri che si trovavano in campagna, in mezzo alla neve, dove tutti si mischiavano con tutti, a battersi la schiena con rami secchi di betulla, i veniki, e a scolarsi litri di kvas.
Seguendo quel corso di pensieri, non poté evitare di immaginare lui e Aisha insieme in una banya, una di quelle più rudimentali e vere, costruita nelle vicinanze di un fiume o di un lago, con un foro di ghiaccio in cui tuffarsi dopo l'immersione nei vapori. La sua mente aveva già delineato la silhouette snella di lei che usciva dalla sauna tendendogli la mano, i capelli castani, ritornati lunghi, che le scendevano sino alle reni, la forma delicata del bacino e il risaltare della pelle ambrata risaltava contro il bianco della neve. Provvide a ricacciare frettolosamente quell'immagine in un angolo della coscienza, sentendosi arrossire fino alle doppie punte dei capelli.
Ecco, a quello non doveva pensare. Doveva smettere di pensarci in generale, soprattutto dopo quel che era successo pochi giorni prima, quando lei era sembrata così vicina, inaspettatamente e paurosamente vulnerabile, e lui si era sentito così coinvolto, turbato ed emozionato al tempo stesso, come se avesse scoperto insieme al dolore anche la gioia più estrema. Non voleva però farsi illusioni o forzarla o qualunque altra cosa. Non sapeva neanche cosa pensare dopo essersi immerso nei suoi ricordi e averne accarezzato l'anima – non trovava altro modo di esprimerlo. Era stato così tanto, e tutto in una volta, che non aveva saputo contenere le proprie emozioni, tutto ciò che aveva provato, la sofferenza di lei, nascosta eppure vibrante quanto un nervo scoperto, e la felicità nel tenerla stretta e sapere di non essere inutile, di poter fare qualcosa, prendendo quel dolore, anche per poco, su di sé.
Ilyas non gli parlava da quel giorno.
Mentre si toglieva i pantaloni, Sasha lo sbirciò. L'altro non portava più le stampelle, né il gesso. Quando gli avevano tolto quest'ultimo, il suo piede non era stato neanche gonfio; non aveva avuto bisogno di nessuna riabilitazione. Uno dei dottori, incredulo e affascinato, aveva chiesto ad Aisha perché non studiasse medicina. Lei lo aveva guardato come se fosse un alieno.
«Sarebbe una buona idea» le aveva detto Sasha più tardi, quando erano usciti lasciando Ilyas in ospedale per la sua ultima notte di ricovero.
Era stata Aisha a chiedergli di accompagnarla. Erano passati due giorni dalla sessione e non ne avevano parlato, ma non era un silenzio colmo di disagio, il loro, Sasha lo aveva capito subito. Lei sembrava serena, come se non avesse bisogno di parole, e lui si sentiva forse per la prima volta in vita sua sulla stessa lunghezza d'onda.
«Cosa?»
«Studiare medicina. Potresti farlo.»
«Non è tardi?»
«Hai ventitré anni, non cinquanta...»
«Non sono russa.»
«Non bisogna essere russi per studiare all'università di qui. A Mosca, per esempio, so che ce n'è una molto buona proprio per medicina.»
«Non sono mai andata al di là delle cose fondamentali a scuola. Ho giusto finito il liceo.»
«Beh, questo non significa che tu non possa iniziare l'università ora.»
Lei lo aveva guardato e, a sorpresa, aveva sorriso. Un sorriso pallido ma pur sempre un sorriso.
«Ok.»
«Ok cosa?»
«Ci penso.»
«Davvero?» Sasha si era sentito come se avesse appena percorso la Siberia a piedi: euforico. «Bene perché forse, sai, i Vosikiev hanno dei programmi e borse di studio per i vulkulaki, anzi sicuro alcuni di quei medici li hanno fatti studiare loro, sono pronto a scommettere...»
Aveva continuato a parlare, mentre lei camminava quieta al suo fianco, in silenzio, quel silenzio che non aveva bisogno di essere riempito, e lo sbirciava di tanto in tanto con quel suo nuovo sguardo che... Sasha non sapeva come interpretarlo, in realtà. Si era accorto che Aisha lo guardava in maniera diversa da un po', ancor prima della sessione, dalla lotta con quei vulkulaki nella fabbrica, forse, quando per la prima volta gli era sembrata impaurita. Lo guardava ora con quella che gli pareva una fiducia nuova e tenue, calda quanto la tonalità dei suoi occhi, come di chi ha scoperto un'anima affine con la quale non serve scambiare i pensieri perché quei pensieri sono già intimamente condivisi.
Lui non voleva illudersi però. No, affatto. Se l'era ripetuto quella notte, quando erano tornati alla base, e continuava a ripeterselo. Magari, sì, le cose erano un po' cambiate: Aisha era più ben disposta nei suoi confronti; come diceva Soraya avevano condiviso qualcosa che è raro condividere anche tra vulkulaki, ma questo non significava niente, non cambiava il loro rapporto che era rimasto, alla fin fine, sempre lo stesso. Non avrebbe dovuto nutrire irragionevoli aspettative o astruse speranze. Continuare a considerarla off-limit, in qualche modo irraggiungibile, lo aiutava a non farsi prendere dall'ansia anche al solo guardarla, a non gettarsi nell'angoscia del pensare che non c'era possibilità, non ci sarebbe mai stata; che una ragazza come lei non l'avrebbe rincontrata neanche tra un milione di anni, neanche se avesse pianto in latino antico.
«Come va la gamba?» chiese a Ilyas dopo essersi stretto l'asciugamano ai fianchi.
L'altro doveva ancora togliersi l'intimo.
«Bene.»
«Non ti fa male, vero? Mi diceva Aisha...»
«Tutto bene, ho detto.»
Ilyas chiuse l'armadietto con un tonfo, che riverberò in uno stridio metallico, e iniziò a sfilarsi i boxer. Sasha distolse lo sguardo e decise saggiamente di non parlare più. Ci mancava giusto dargli una sponda per incazzarsi; era dal giorno della sessione che l'altro sembrava avercela con lui, anzi, in generale con tutti – ma questa non era una grande novità.
Si voltò alla ricerca di lidi più innocui dove posare l'attenzione. Lo spogliatoio era quasi vuoto: a parte loro c'erano un altro paio di uomini. Lukas era andato in bagno. Quando tornò, era già pronto. Indossava anche lui solo un asciugamano stretto ai fianchi.
Sasha vide i tatuaggi e non riuscì a trattenere un'esclamazione di meraviglia.
«Wow!» Si avvicinò, pieno di curiosità. «Non li avevo visti prima, certo che sono... quanti sono?»
«Un po'» rispose l'uomo con il suo solito sorriso schietto. «Prima ne avevo anche di più. Ne ho cancellati alcuni nel corso degli anni.»
«Di più? Wow!»
Avrebbe voluto apparire più discreto, ma era abbastanza sconcertato. Gli sarebbe piaciuto che Igor fosse lì a vedere il siberiano, lui che si vantava di essere un vory cazzuto per quattro tatuaggi in croce, uno dei quali piazzato sulla chiappa dopo una mezza overdose; ah, ci sarebbe stato da ridere.
«Oh, guarda che lupo.» Gli girò attorno per osservare il tatuaggio a forma di lupo che aveva sulla schiena. La somiglianza con un lupo vero era impressionante e si chiese se chi glielo aveva fatto fosse stato a conoscenza della sua seconda natura. «E questo è un teschio? È rovesciato. Anche questa croce sembra mezza rovesciata. Mentre questa...»
«Questa è una madonna.» Lukas si indicò il bicipite destro, dove figurava una madonna dai capelli neri che teneva tra le mani due pistole. «Un simbolo molto in voga tra la mia gente.»
«Hanno un significato, vero? I tatuaggi della comunità criminale siberiana, dico. Ne ho sentito parlare tanto! Questa madonna per esempio...»
«Significa protezione.»
«Ah, sì? Interessante.»
Sasha la osservò con più attenzione: sembrava disegnata in maniera diversa dagli altri tatuaggi, con un tratto più netto e al tempo stesso più aggraziato. Glielo disse.
«Me lo fece una donna.»
«Esistono tatuatrici donne?» Appena quella domanda gli uscì dalle labbra, avrebbe voluto mordersi la lingua. «No, cioè, voglio dire, so che esistono, ma avevo sentito che nel...»
«Non sono tante, ma ci sono. Lei era siberiana, ma aveva origini ingusce, i suoi genitori venivano dal Caucaso. Si chiamava Sonja.» Nel pronunciare quel nome il sorriso dell'altro si fece impercettibilmente più morbido, acquistando una punta di dolceamara nostalgia che Sasha non tardò a riconoscere. «Uno degli esseri più liberi che abbia mai conosciuto.»
Lui stava ancora guardando il tatuaggio e gli parve, così d'un tratto, che il viso della madonna si muovesse, gli occhi le si allungassero e i capelli si facessero più neri e folti. Strizzò gli occhi, incredulo, davanti all'immagine di una vera donna dagli occhi scuri e allungati, armata come la madonna tatuata, la figura snella e le gambe leggermente divaricate, stagliata contro un paesaggio di neve. Sembrava alta ed era bella, bella di una bellezza selvaggia e fiera, come quella di un crepaccio di ghiaccio – qualcosa che provoca paura alla semplice vista ma da cui non puoi distogliere lo sguardo.
Doveva trattarsi di quella Sonja, arrivò a celere conclusione; l'aveva vista attraverso un ricordo di Lukas. Un ricordo soffuso di una nostalgia che era, sì, triste, ma anche dolce.
Devono essere stati amanti. Anzi, compagni. Se lo sentiva. E sentiva anche che lei non c'era più nella vita di lui, chissà se morta o semplicemente andata via come a volte vanno via le persone dalle vite degli altri; qualunque cosa fosse successa, gli aveva lasciato quel tatuaggio, un marchio sulla pelle, una promessa di eternità.
Come sempre gli capitava, quando il suo potere si manifestava in quel modo poco attento alla privacy altrui, Sasha si imbarazzò e stornò l'attenzione. Nel posare lo sguardo dietro di sé si accorse che Ilyas aveva finito di sistemarsi l'asciugamano e li stava fissando con gli occhi stretti.
«Beh? Avete finito di chiacchierare?»
«Oh, sì, adesso andiamo.» Si volse verso Lukas. «Scusa le domande, ma i tatuaggi mi interessano molto. Mi piacerebbe farmene uno, lo dicevo proprio a Ilyas un giorno.»
Lui ammiccò. «È sempre una buona idea, ma bisogna pensarci bene prima.»
«Oh, sì, sì ci penserò.»
«Su, andiamo.» Con una pacca vigorosa alla spalla, l'altro lo spinse ad avanzare. Come prima li superò e li precedette. Conosceva la strada, al contrario loro.
Mentre lo seguivano, Sasha fece cadere più volte lo sguardo sulla sua schiena ampia su cui il disegno del lupo si dipanava come un dipinto, quasi vibrando al movimento dei muscoli delle spalle e del trapezio. Certo che, pensò con un certo sconforto, bisognava anche avere il fisico per portare tatuaggi del genere...
«È impressionante» si lasciò sfuggire, al fianco di Ilyas. «Cioè, al di là dei tatuaggi, proprio lui è...»
L'altro gli scoccò un'occhiata fredda. «Cos'è, hai deciso che vuoi farti un giretto anche in altre sponde?»
«Che vuoi dir... oddio, no!» Seppe di essere arrossito ferocemente. «Io non... non stavo affatto pensando a quello! Ma che dici!»
«Sembravi tutto interessato...» insinuò lui, ma il suo tono era blando.
A Sasha bruciavano le orecchie. «Macché, adesso non si possono neanche ammirare dei tatuaggi? O ammirare un altro uomo in maniera oggettiva, neutra? Che poi, insomma, la mia ammirazione è condita anche da un po' di invidia, se devo confessarlo.» Senza abbandonare quel latente sentimento di sconforto, si guardò le braccia, che raggiungevano giusto la metà del diametro di quelle dell'uomo che gli camminava davanti. Altro che tatuaggio di una madonna armata: avrebbe potuto disegnarci sopra al massimo una margheritina. «Cioè, so che non bisognerebbe fare confronti, ma se li faccio...»
«Perderesti subito.»
«Quel che voglio dire...»
«Che non c'è storia? Vero.»
«Sì, però ecco...»
«È imbarazzante anche solo pensare un confronto.»
Sasha cominciò a scocciarsi. «Ehi, parla Mr. Muscolo!»
«Di certo ne ho più di te» replicò prontamente Ilyas.
Beh, questo era vero. Sebbene di corporatura snella, l'altro era più alto e prestante, con la sua buona dose di muscoli sulle braccia e sulle gambe e l'addome che, seppur con una vita stretta quasi quanto quella della sorella, era duro e forte; si vedevano senza difficoltà le glabre fasce muscolari affiorare sotto la pelle. Però era più grande ed era stato un soldato in passato, che diamine! Inoltre, doveva essere stato un ustascia in erba già a cinque anni. Anche lì il confronto era tarato, a modesto parere di Sasha.
«Ho sempre pensato che è più importante questa dei muscoli» disse, indicandosi la tempia con fare eloquente.
«Lo dicono tutti quelli che non li hanno» sbuffò Ilyas e lui non se la prese. In un certo senso fu rincuorato nel sentirlo ritornare a prenderlo in giro, scivolando nei loro soliti, collaudati avalli.
Nel frattempo, avevano raggiunto l'ingresso della banya prenotata da Vosikiev. Lo stabilimento si divideva in varie aree riservate, tutte ugualmente sontuose, con il soffitto a volta sostenuto da colonne e i pavimenti di marmo a mosaici. Sasha non era mai stato a Sanduny, ma ne aveva sentito parlare dai suoi parenti moscoviti e poi conosceva bene il rito della sauna: anche a Krasnodar ne era stato spesso partecipe, una delle poche tradizioni di famiglia che non disprezzava. Quand'era piccolo addirittura si divertiva a fare i bagni coi suoi cugini e coi suoi stessi fratelli. Altri tempi forse; un'innocenza fuggita via come una nuvola in cielo.
Da uno degli ingressi che portava a un'altra banya uscì un uomo, che doveva aver appena finito: era ancora bagnato e sembrava levitare sulla terra. Come aprì la porta un aroma di pane si espanse, lieve e sottile, e Sasha si ricordò che molti amavano farsi il bagno di vapore usando il kvas.
Ilyas seguì con lo sguardo l'uomo e poi si voltò verso di lui. «Ma era nudo pure dentro?»
«Ah, è vero, non te l'ho detto!» Avrebbe voluto darsi una manata in fronte. Lo guardò con una certa mortificazione, mentre Lukas finiva di parlare con un inserviente e li raggiungeva per dirgli che la sauna era pronta. «Ecco, devi sapere che la banya si fa nudi. Cioè, uno potrebbe farla anche con un asciugamano – con il costume no, ti si liquefa addosso –, ma perdi parte dell'esperienza. Cioè, la banya serve a eliminare le scorie, ti spreme il corpo come un limone e se hai qualcosa addosso... non è la stessa cosa, diciamo. È un'usanza di qui e mi rendo conto che per uno straniero potrebbe sembrare strana, se non disagevole. È che, vedi, la nudità in Russia non è un problema, è una cosa normale per noi andare "tutti nudi", donne, uomini, bambini; c'è anche l'usanza di farsi il bagno nella neve nudi d'inverno! Ho letto una volta che puoi capire un popolo anche solo da due cose: dalle sue abitudini igieniche e dai suoi riti funebri. Sarebbe interessante da approfondire, uhm, chissà se c'è una correlazione... Comunque, ecco, magari l'asciugamano lo puoi tenere, se proprio non te la senti. Mi spiace non avertelo detto prima, mi sono proprio scord...»
«È incredibile» sbottò Ilyas. «Vi credete davvero unici al mondo.»
Allora, senza preavviso, sciolse il nodo del suo asciugamano, lo aprì e lo buttò a terra.
Il gesto servì a zittire Sasha all'istante. Suppose di aver sgranato gli occhi. Era in effetti un po' scioccato. Avrebbe dovuto dirgli di aspettare di entrare prima di spogliarsi.
«Beh» bofonchiò, un po' imbarazzato ora. «A quanto pare neanche tu hai problemi con la nudità.»
Ilyas gli rivolse un sorriso smaccato. «No» disse, ma non stava più guardando lui: Sasha lo vide distintamente allungare lo sguardo verso Lukas. «No, affatto.»
Si voltò e, senza aspettarli, si diresse verso la banya con passo dritto e sicuro.
Un'altra cosa che Sasha notò, con grande chiarezza perché anche l'altro fu piuttosto smaccato nella sua reazione: Lukas seguì Ilyas con lo sguardo finché quest'ultimo non sparì dietro la porta. I suoi occhi non si staccarono un istante come se fossero stati arpionati da un gancio invisibile.
Oh, merda. Sentì l'imbarazzo stritolargli il respiro come presto sarebbe arrivato il vapore a stritolargli il corpo. Questi due che si guatano come animali in calore non li avevo considerati. Ma Vosikiev non poteva pensare a un posto diverso per i suoi conciliaboli?!
Ecco, guarda tu se adesso sarebbe stato lui ad avere problemi con la nudità.
Lukas stava sorridendo.
«Avanti, barchùk.» Gli diede un'altra pacca alla spalla che quasi lo fece capitombolare in avanti. «Il Vor sarà qui a breve.»
Anche lui, come Ilyas, si sfilò l'asciugamano e lo buttò a terra, pronto a essere raccolto da uno zelante inserviente. Sasha si sforzò di non guardarlo, non perché avesse veri problemi con la nudità altrui, ma se tanto gli dava tanto e quel che l'uomo aveva in mezzo alle gambe era proporzionato al resto, lo sconforto era dietro l'angolo a fare ulteriori confronti, quindi tenne gli occhi bene in alto e lo seguì. Si spogliò solo una volta entrato nello spogliatoio interno dell'ala riservata. Si fece la doccia e poi si infilò nella sala del vapore, la parilka.
Anche in quella banya c'era profumo di pane; lo avvertì subito appena ci mise piede. Percepì anche una punta di eucalipto. Per via del vapore, già molto fitto, andò a sbattere contro la schiena di Ilyas.
«Scusa, scusa!» Si scansò in fretta e si guardò attorno strizzando gli occhi. Intravide delle panche di legno dove li aspettavano gli inservienti già armati di veniki.
«Ma Vosikiev quando viene?» bisbigliò a Lukas nel prendere posto.
«Fra poco.»
Si vedeva che prima il Vor voleva che si facessero almeno una sessione iniziale di sauna. Sasha si preparò: si sdraiò prono su una delle panche e chiuse gli occhi. Cominciarono i ciac, ciac sulla schiena, sul sedere e sulle gambe. Erano colpi vigorosi, molto più forti di quelli a cui era abituato. A Krasnodar di solito ci si strigliava a vicenda con le fascine di betulla senza aiuto di personale e lui cercava sempre di non farlo coi suoi fratelli per non beccarsi fustigate che lo avrebbero piegato in due.
«Ahi» gli sfuggì, la faccia sepolta nella panca dura. Ingoiò la richiesta di fare più piano. Non voleva certo passare per un rammollito davanti a quei due.
Lukas, neanche a dirlo, sembrava annoiato. «E questa sarebbe una banya? Vi dico io come si fa una sauna vera: a cento gradi, con una vodka bevuta nella neve, di fronte alle montagne, mentre il corpo ancora fuma. Anche una birra va bene.»
Ilyas non commentò, Sasha era occupato a reprimere i brividi. L'inserviente che si stava occupando di lui finì con la fascina di betulla, che aveva usato fino ai talloni, e passò a quella di quercia per la nuca. Quando la "fustigazione" finì, poté alzarsi e gettarsi nella piscina di acqua fredda che si trovava nella stanza adiacente. L'impatto fu un pugno in pieno stomaco, gli mozzò il respiro ma lo rinvigorì anche. Il vapore era caldo e l'acqua ghiacciata; gli penetrò nelle ossa e si sentì così vivo in quel momento da quasi avere le vertigini.
Avvertì uno sciabordio. Ilyas si era appena tuffato: invece di lasciarsi molleggiare come Sasha e Lukas iniziò a nuotare, allontanandosi da loro. La piscina era abbastanza ampia da permettere agli ospiti di solcarla. Il pavimento a mosaico riproduceva creature marine della mitologia slava come le rusàlke, sirene dai lunghi capelli serpenteschi e gli occhi di opale.
«Rusalka» si trovò a mormorare. Sentiva le palpebre pesanti e la pelle come una cosa viva, puntellata da mille aghi. «Anche lei viene chiamata così, vero? Raisa, dico. L'ho sentito. Come mai?»
Lukas fece spallucce. Guardava oltre la sua nuca.
«Magari perché è bella e pericolosa come loro» proseguì lui e si chiese se in quel vapore ci fosse qualche sostanza che rendeva più molle la lingua, non solo le membra.
«Può darsi. A volte ti restano appiccicati i soprannomi più azzeccati senza che tu li abbia cercati.»
«Come te con Volk? Quando hai avuto questo soprannome?»
Non voleva impicciarsi, però...
«Me lo sono guadagnato nel gulag.»
«Ah.» Sasha si guardò i piedi, perfettamente visibili nell'acqua trasparente. «Brutta storia, immagino. Insomma, la prigione...»
«Come tante altre cose.»
Ilyas intanto aveva finito di percorrere la vasca con fluide bracciate. Si fermò e li raggiunse. La sua coda si era un po' sfaldata; si raddrizzò per rifarsela.
«Già stanco?» lo apostrofò Lukas. Lo guardava attraverso gli occhi socchiusi, due spiragli azzurri simili a venature nel ghiaccio.
«No.»
«Altro giro?»
«Se riesci a starmi dietro...»
Sasha li lasciò a fare le loro nuotate-barra-gare e si issò per ritornare nella sala del vapore con le sue panche di legno e la stufa con pietre riscaldate. Gli inservienti erano spariti, quindi utilizzò da solo il veniki, dandosi qualche colpo svogliato sulle spalle. Rimase più a lungo nella parilka per attivare bene la circolazione. Quando tornò nella piscina non si stupì nel vedere gli altri due ancora impegnati a nuotare. Smisero solo quando arrivò il Vor, affiancato da tre suoi uomini, gli stessi della sessione di recupero della memoria di Aisha.
Si spostarono allora tutti nella parilka, in mezzo al vapore fumante che sembrava scaturire dal pavimento stesso e che rendeva l'ambiente quanto di più simile a una pianura di geyser. Sasha si sedette vicino a Ilyas, mentre Vosikiev prese posto nella panca alla loro sinistra, circondato dai suoi uomini. Lukas si mise di fronte a loro, o meglio, davanti a Ilyas.
Erano tutti allegramente nudi.
«Grazie per averli portati qui, Lukas» esordì Vosikiev.
«Dovere» rispose l'interpellato con un sorriso affilato che si vedeva anche attraverso il vapore.
Avrebbero resistito al massimo un quarto d'ora là dentro, ponderò Sasha. Forse Lukas qualcosa di più, per via del suo potere, ma scommetteva che anche lui a un certo punto sarebbe stramazzato al suolo per il troppo caldo. Si chiese allora se non fosse proprio per questo che Vosikiev aveva voluto che l'incontro si svolgesse lì: per dire tutto quello che c'era da dire in pochi minuti in un ambiente soltanto all'apparenza rilassante; dirlo senza schermi e senza barriere, neanche quelle dei vestiti.
«Vi ho chiamati qui per parlare di quel che abbiamo scoperto» iniziò con la sua voce bassa ma profonda. Guardava loro due, lui e Ilyas. «Ci ho pensato a lungo. Dobbiamo capire cosa hanno fatto col sangue di tua sorella e c'è un unico modo: infiltrarsi nella Bratstvo.»
Buongiorno, ci sarebbe stato da dirgli. Era la stessa idea che avevano avuto Ilyas e Aisha, con molti meno mezzi di loro.
«Non la Bratstvo in senso lato, ma i Novikh. Dobbiamo andare alla fonte: Boris Novikh. Sono due i piani che mi sono venuti in mente e voglio condividerli con voi. Il primo riguarda te.» Il Vor fissò Sasha e lui deglutì forte. «Dovresti avvicinare tuo zio e coi tuoi poteri scoprire cosa nasconde.»
«Che... cosa?» Faticò a non boccheggiare. «Come posso...»
L'altro lo interruppe con un gesto imperioso della mano. «È un piano pericoloso, lo so. Tu non riesci ancora a entrare a comando nella testa di una persona, vero?»
«No, io... mi capita in modo spontaneo oppure quando mi sento in pericolo, ecco, è successo un paio di volte che sia riuscito a entrare di forza... ma non riesco a farlo a comando, no, non ancora.»
L'altro fece un secco cenno di assenso. «Appunto. Questo è un problema. Sei l'unico che potrebbe avvicinarsi a Novikh senza destare sospetti, ma non sei ancora in grado di controllare i tuoi poteri. Non abbiamo tempo per addestrarti: il clan che ha attaccato Mosca ha già catturato il cosiddetto "soggetto zero".» Strinse le labbra a quel punto. Sasha suppose che non dovesse aver preso bene quella piega degli eventi: l'aver avuto quel ragazzo, Sereb, sotto gli occhi per tutto quel tempo ed esserselo fatto soffiare come l'ultimo dei culi neri nel giro di una notte, mentre guardava da un'altra parte. «Cosa ci voglia fare non ne ho idea, ma senza dubbio sono a conoscenza degli studi di questo Karanev, devono anzi saperne più di noi. Non abbiamo tempo, ripeto, dobbiamo agire il prima possibile.»
«Non potrebbe agire un altro senziente?» azzardò Sasha. «Per esempio Raisa o sua figlia...»
Quel che voleva chiedergli in realtà: perché devo essere io a fare da kamikaze?
«Tuo zio non permette a nessuno di avvicinarlo, tranne la sua famiglia. È sempre circondato da guardie, ogni persona che incrocia la sua orbita viene minuziosamente controllata in tutto, dai suoi dati ai suoi trascorsi fino ai parametri vitali, per assicurarsi che non abbia armi, microchip o altro. Abbiamo provato in passato a far infiltrare qualcuno dei nostri nella sua rete e non ci siamo mai riusciti. Nell'ultimo anno, poi, il Vor tuo zio si è fatto addirittura più guardingo e isolato. Non capivo perché, ma alla luce delle ultime scoperte ora mi è chiaro: si sta creando la sua fortezza dove nessuno potrà attaccarlo. Il suo personale Cremlino. Quest'anno non parteciperà neanche alla Shkodka.»
Quella notizia lo sorprese abbastanza: la Shkodka era la tradizionale riunione dei Vor che si teneva una volta l'anno a Mosca, il giorno del solstizio d'estate, sempre seguita da una gran festa a cui potevano partecipare tutti gli affiliati della Mafiya, non importava quale ruolo rivestissero. Quell'anno la festa si sarebbe tenuta al palazzo dei Dazla a Fontanka, vicino Mosca; Sasha ne aveva sentito parlare da Jaroslav Vrubel mentre lavoravano al Cremlino, visto che mancava poco, a malapena un mese. Lui avrebbe partecipato, quanto meno alla festa: sarebbero venuti da Krasnodar anche i suoi genitori.
«E chi andrà al suo posto?»
«Il figlio Aleksandr.»
«Ecco, magari si potrebbe provare ad avvicinare lui? Non so quanto mio cugino sappia, ma è di sicuro più abbordabile di...»
«Aleksandr Novikh non sa nulla degli studi di Karanev.» Il tono del Vor era così sicuro che Sasha fu spinto a guardarlo meglio. «Lo sappiamo con certezza. Se ne è occupata Raisa: ha già sondato la sua mente e abbiamo usato anche altri metodi per accertarcene. Né lui, né tantomeno Sergej Novikh sanno niente dei piani del padre sui vulkulaki.»
Sasha si sentì sgonfiare. «Non so cosa dirvi. Non credo di poter aiutare.»
Era più sconfortato di quanto si aspettasse. Non era solo la sensazione di sentirsi inutile, con un potere enorme e incapace di governarlo, ma anche la consapevolezza di esserlo agli occhi di Ljuba Vosikiev. Comprese in quel momento di provare del vero e proprio dispiacere all'idea di non essere all'altezza dei suoi piani. C'era qualcosa in quell'uomo, lo sentiva, in quel suo modo di fare autorevole, nella postura dritta ed elegante, nella qualità della sua voce, che spingeva a offrire il meglio di sé.
«Ho pensato anche a un altro piano.» Il Vor spostò lo sguardo su Ilyas. «Tu sei in grado di cambiare le tue fattezze e trasformarti in chi vuoi.»
Non era una domanda, Ilyas comunque non ebbe nessuna reazione. Sedeva dritto e rigido contro la panca, le gambe leggermente divaricate, lo sguardo fisso sul Vor con quel piglio diffidente che gli era tipico, come un lupo che guata un potenziale avversario.
«Può farlo solo con la luna piena» si sentì in dovere di precisare Sasha.
«Ma ci riesci, vero? Puoi assumere le sembianze di chiunque, basta che tu abbia un campione di DNA.»
La risposta di Ilyas fu un sibilo: «Sì.»
«Anche questo è un potere molto utile.»
«Cosa vuole, che mi trasformi in Boris Novikh mentre voi lo rapite e lo costringete a cantare?» domandò allora Ilyas con una traccia sprezzante nella voce.
Sasha ricominciò ad agitarsi. «No, guardi, Vor, forse non ha capito: Ilyas può trasformarsi, sì, ma per un tempo ristretto. Giusto? Solo per la notte di luna piena. Se dovessero scoprirlo...»
«Non ho pensato a questo.»
«Eh? Allora a cosa?»
Vosikiev guardava Ilyas. «Puoi trasformarti in Aleksandr Novikh e presentarti il giorno che suo padre terrà un incontro segreto con i Vor dei Maliska e dei Razin a casa sua. Sappiamo, sempre grazie a Raisa, che Boris Novikh deve incontrarsi con Lev Kirayev e Roksana Vrubel proprio il giorno della Shkodka, mentre gli altri saranno alla festa. Non lo sa nessuno, tranne i diretti interessati, incluso Aleksandr, che è stato invitato. È molto probabile che il padre gli parlerà per la prima volta di questo progetto che ci vede coinvolti. Potrebbe essere l'occasione giusta per raccogliere tutti i dati che ci servono, che si trovano non nella sede della Bratstvo, ma nella casa di Boris Novikh.»
Seguì un breve silenzio, poi Ilyas scoppiò a ridere.
Fu una risata fredda, che contrastava col calore che avvolgeva la stanza. Sasha si irrigidì e scorse anche Lukas farsi più rigido prima di rivolgersi direttamente al Vor con un aplomb che pochi avrebbero avuto nei confronti di un nobile.
«Ljuba, che cazzo stai dicendo?»
«Vuole mandarmi dritto nell'antro del lupo?» Ilyas scoprì i denti in un sorriso tagliente, feroce. «Non solo mia sorella ha passato quello che ha passato, non solo le avete rivoltato la testa facendoglielo ricordare, ora io dovrei entrare nella tana del più potente Vor della Russia fingendomi suo figlio, frugare nelle sue cose e parlargli come se niente fosse? Mi tolga una curiosità: in questo suo piano quante volte ne esco vivo? Il tempo di esservi utile, immagino.»
«Non era quello che volevi fin dall'inizio, infiltrarti nella rete dei Novikh?»
«Non per voi.»
«Non te lo sto chiedendo per noi.» Ljuba Vosikiev era calmo. Fissava con fermezza la rabbia a malapena trattenuta del più giovane. «Non è cambiato nulla. Tua sorella è sempre in pericolo finché non capirete cosa le è successo, cosa Novikh sa di lei – di voi. Siete entrambi coinvolti in prima persona. Ti sei chiesto come mai Boris Novikh non vi abbia dato la caccia dopo l'incendio dello stabilimento?»
«Vi ho già detto...»
«Che hai eliminato ogni prova? Non è così. Quel ragazzo, Sereb, è ancora vivo, e ho forti motivi di credere che anche il dottor Karanev sia sopravvissuto.»
A quelle parole Sasha rivolse al Vor uno sguardo sorpreso. «Cosa glielo fa pensare?»
«Alcuni elementi che non entrano nel puzzle. Quel Sereb non se ne è andato a zonzo un anno nella steppa: è sbucato all'improvviso un giorno di quattro mesi fa. Dove è stato fino ad allora? E se Karanev fosse sopravvissuto e avesse continuato a fare esperimenti su di lui? Sono solo supposizioni, ma stiamo indagando. Stiamo indagando su tutto.»
Non condivise con loro altre supposizioni o scoperte e Sasha non se ne sorprese. In quello Ljuba Vosikiev era uguale a tutti i Vor che aveva conosciuto, inclusi suo zio e suo padre: sibillino, cauto, estremamente possessivo coi segreti che aveva carpito.
«C'è una cosa però che non riesco a spiegarmi.» Vosikiev continuava a guardare Ilyas. «Come voi due, tu e tua sorella, siate riusciti a scappare senza che niente e nessuno se ne accorgesse. Avete girato la Russia per più di un anno, siete persino venuti qui a Mosca e nessuno dei Novikh vi ha mai rintracciato. Tu sostieni di aver distrutto lo stabilimento e cancellato ogni prova, ma sul serio credi che un'organizzazione come la Heissemey Corporation conservasse i suoi dati in un unico posto? Che basti un incendio per far perdere le tracce di un soggetto al centro di un programma militare altamente specializzato come quello che doveva condurre Karanev sotto l'egida dei Novikh e dell'esercito federale? C'è qualcosa che non torna, un elemento che ci manca. L'unica spiegazione che riesco a darmi è che qualcuno all'interno, della Heissemey o forse persino dell'esercito, abbia fatto sparire ogni traccia di voi perché solo qualcuno all'interno avrebbe potuto, ma perché? E soprattutto: chi?»
Sasha avvertì un movimento al suo fianco, brusco. Ilyas, che si era sporto per fronteggiare il Vor, era ritornato al suo posto, si era anzi addossato alla panca con le mani strette sul bordo. Aveva avuto un breve ma palpabile sussulto alle ultime parole di Vosikiev.
To be continued
Interrompo perché se no il capitolo veniva troppo lungo. Questo è un capitolo importante per la trama, ma, avviso, anche un po' fangirloso. Siano benedette le saune russe dove si va tutti allegramente nudi xD Nella parte successiva vedrete come Ilyas e Lukas si faranno, come dire, "trasportare" dall'atmosfera... :P
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