XXV. Homo homini lupus - prima parte

Aisha prese il fucile e controllò la canna. Non aveva una bacchetta a disposizione, ma fece tutto il possibile per assicurarsi che non fosse ostruita. Dopo aver finito la pulizia, mise il fucile a terra e innestò la spalla scanalata sul supporto, infine sistemò il mirino telescopico.

McMillan-Arasake Mark-4 o più semplicemente Moloch, il suo nome in codice. Se lo ripeté in testa come una filastrocca. Fucile d'assalto adottato dalle Specnaz russe quando era ancora in fase di sperimentazione. L'arma preferita della Legione nella sua versione migliorata, col mirino a puntamento laser e la tecnologia a energia assistita che permetteva ai soldati di collegare l'arma ai visori. Non si era aspettata di trovare a Mosca un vecchio modello, lucido e senza un graffio, ma che Ilyas lo avesse preso tra tutte le armi dell'armeria della druzina questo, sì, forse se l'era aspettato.

Inserì il caricatore, controllò la leva dell'otturatore. Mandò il primo proiettile nella camera di sparo.

Sasha la stava fissando.

«Aisha...»

La voce di Ilyas, ridotta a un sibilo esangue, la raggiunse quando si alzò e si mise il fucile in spalla dopo essersi assicurata di aver inserito la sicura. Suo fratello era seduto a terra, si teneva la coscia sanguinante. Continuava a guardarla con quello sguardo in cui si mischiava la rabbia all'apprensione.

«Andrà tutto bene» gli disse lei. «Tu resta qui con l'altro fucile.»

L'arma era leggera sulla spalla; più leggera di quanto si aspettasse.

Uscì dal passaggio insieme a Sasha dopo aver preso anche una pistola.

«Bene.» L'altro inspirò profondamente. «Vado. Li porto qui. Quanti colpi hai?»

«Cinque nel fucile.»

«Basteranno.»

Aisha non capì se fosse una domanda o un'affermazione, in ogni caso assentì.

Lui rispose con un cenno del capo. Nel vederlo voltarsi, lei aprì la bocca e la voce le uscì senza che avesse dato un vero e proprio ordine al cervello: «Sasha?»

Era strana: una voce strana che non le apparteneva, incerta, esitante. Impaurita, forse.

«Ehi.» Lui si voltò e con sorpresa lei si accorse che stava sorridendo. Un sorriso fievole ma deciso, che sembrava moltiplicare le sue lentiggini. «L'hai detto anche tu: andrà tutto bene. Mi fido di te.»

Con quelle parole iniziò a scendere i gradini. Una volta nell'arena Aisha lo vide trasformarsi e immergersi nelle ombre della fabbrica.

Rimase sola.

Aveva piovuto mentre si trovavano nel passaggio. Un singhiozzante scrosciare contro il tetto di lamiera che le aveva ricordato il rumore di una slavina in movimento. La pioggia era filtrata attraverso il buco del soffitto, lo stesso che aveva fatto penetrare il lume della luna durante l'iniziazione di Soraya Vosikieva. Il centro dell'arena era bagnato; l'acqua risplendeva di un velo d'argento. Si sorprese nel vedere che la luna era ora del tutto visibile, circondata da rade nuvole. La sua luce sembrava in agonia, ma sarebbe bastata per illuminare i corpi - i bersagli.

Non ho paura, pensò e strinse forte le dita attorno all'impugnatura del fucile. Sono figlia di una lupa. Non ho paura di niente.

Per un attimo rivide il volto di sua madre, sfuggente e diradato come spesso appariva nella foschia dei suoi ricordi. Il suo bel volto dal sorriso triste, gli occhi verdi riverberanti come pietre fossili. Nei suoi sogni pronunciava parole che si sfrangiavano come lapilli di cenere.

Promettimi che vivrai...

Sentì un tonfo. Una porta che sbatteva. Passi nel buio.

Ricordati di respirare, si disse mentre imbracciava il fucile e sganciava la sicura.

Sparare era un'abilità millimetrica e il respiro era la prima cosa che poteva danneggiare la mira. Lei lo sapeva, suo fratello gliel'aveva insegnato. Aveva imparato a riconoscere il momento immediatamente successivo all'espirazione, quando i polmoni si sono appena svuotati e devono prendere aria per un nuovo respiro. Un minuscolo lasso di tempo, inconsistente quasi: il momento più stabile per il corpo, il migliore per premere il grilletto.

Si impose di respirare con calma, in maniera completa. Guardava l'arena vuota, circondata di ombre. Sentì Sasha ancor prima di vederlo; lo vide correre verso il centro della sala, inseguito dagli altri due vulkulaki. Aisha alzò il fucile, chiuse e aprì gli occhi, trasse un profondo respiro.

Crac!

Metà del cranio di uno dei vulkulaki esplose. Aveva mirato dritto alla testa, nonostante la scarsa illuminazione. Il secondo lupo, di cui al bagliore della luna era possibile intravedere il pelo grigio, indietreggiò davanti al cadavere del compagno. Aisha premette di nuovo il grilletto, puntò alla testa, ma stavolta mancò il bersaglio per un soffio.

Tre proiettili, pensò ricaricando. Me ne rimangono ancora tre.

Non doveva sbagliare.

Il vulkulaki ancora vivo alzò il muso, sembrò annusare l'aria. Era sotto la luce della luna ma si ritirò rapidamente, confondendosi con l'ombra. Aisha non lo vide più. Allargò le narici anche lei. Odore di sangue, acqua, umidità rappresa. Inspirò profondamente. Mano estesa, palmo rivolto verso il basso, indice sul grilletto. Inspirare, espirare. Prendere copertura. Incollare l'occhio al mirino. Scrutare. Aspettare nel silenzio.

Percepiva il respiro di Sasha, assordante quanto il battito del suo cuore.

"Aisha?"

Aisha sentì lo spostamento d'aria come quello di una foglia che cade volteggiando nel vento. Fu appena percepibile, ma lo captò e si girò in tempo per cogliere la sagoma del vulkulaki grigio, saettante tra gli spalti, che correva verso di lei. Sparò. Il proiettile fischiò nell'aria e colpì il fianco del vulkulaki. Tuttavia, lo sparo non fu sufficiente ad arrestare la sua corsa. Correva verso di lei come una meteora, come un oggetto lanciato nello spazio che non conosce freni. Lei ricaricò, ripuntò l'arma e...

"Aisha!"

L'urlo di Sasha superò il proprio quando il lupo le balzò addosso evitando il penultimo proiettile. Aisha cadde all'indietro e la sua testa colpì il duro pavimento, facendole vedere un lampo di luce bianca per un momento. E poi la vista le si tinse di rosso. Sentì il respiro del vulkulaki, pesante, sopra il viso, il suo peso sullo sterno, la sua zampa che si alzava per colpirla - ucciderla.

L'aria ritornò a fluirle nei polmoni quando il peso sopra di lei si alleviò. Un suono ronzante le fischiava nelle orecchie, sentiva un sapore metallico in bocca. Riusciva a sentire anche...

Sasha stava ululando di dolore.

Fu come se una scarica elettrica le avesse appena attraversato la colonna vertebrale, risvegliandole tutti i sensi: quel suono straziante, di un animale in agonia, la spinse a raddrizzarsi, a cercare il fucile. Sasha era a pochi metri da lei e si stava dibattendo contro il lupo grigio, a cui era saltato addosso. Il vulkulaki cercava di azzannarlo alla gola. I due erano così avvinti che quasi non si distinguevano l'uno dall'altro. Troppo vicini. Troppo.

Respira, si impose.

Cercò dentro di sé la calma mentre imbracciava il Moloch e guardava nel mirino. Le restava solo un proiettile.

Respira, si ripeté.

Chiuse gli occhi, respirò. Aprì gli occhi, respirò. Pregò, respirò.

Premette il grilletto.

Lo sparo riverberò nella sala fragoroso, assordante, e la mole grigia sopra Sasha si irrigidì, fremette prima che il suo cervello schizzasse in aria in una poltiglia rossa. Sasha emise un lungo guaito e a lei parve di poter riprendere a respirare normalmente solo in quel momento.

«Cristo.» Sasha, di nuovo umano, si contorse sotto la massa ora inerte del vulkulaki. «È morto - è morto davvero?»

Aisha si avvicinò per aiutarlo a districarsi. Gli tese la mano e lui la prese per rialzarsi. Le loro dita rimasero legate, per qualche istante.

«Stai bene?» gli chiese lei, setacciando con lo sguardo le sue condizioni. Era ricoperto di sangue, ma non sembrava il suo.

«Sì» affannò lui. Guardò il cadavere del vulkulaki. «Merda.» Si piegò leggermente, le mani sulle ginocchia tremanti, e trasse dei profondi respiri prima di sollevare lo sguardo e tornare a guardarla. «Mi hai salvato la vita.»

«Sei tu che hai salvato noi» disse lei senza neanche pensare. Lo fissava. Qualcosa di caldo le si era appena depositato nel fondo dello stomaco, una sensazione fugace, imprendibile eppure intensa quanto una scarica elettrica.

«Diciamo che ci siamo salvati a vicenda» fece lui e parve ridacchiare. Gli tremavano ancora le ginocchia quando si rialzò, ma il suo volto non era teso e le sue labbra erano stese in un sorriso incerto. «Tuo fratello? Se ne sarà stato davvero a cuccia?»

«Se non si è trascinato fin qui è solo perché è svenuto» suppose lei.

E aveva ragione: lo constatarono entrambi quando scesero nel passaggio e trovarono Ilyas vicino all'entrata, disteso a terra, in una pozza di sangue, col fucile ancora in mano. Doveva aver provato a uscire appena aveva sentito gli spari. Per un attimo angosciante Aisha temette che fosse morto dissanguato, ma si accorse subito che respirava ancora.

«Quel lupo nella foresta l'ha proprio conciato per bene» esclamò Sasha mentre lei si chinava su di lui e iniziava a rigirarlo piano sul fianco. «Aveva una forza mostruosa. Anche gli altri due. Non è normale, no? Non l'hai pensato anche tu? Non sembrava normale...»

Aisha non commentò, troppo impegnata a maneggiare Ilyas in modo da stenderlo a pancia in su e così ispezionargli la ferita. Sasha l'aiutò, ma quando lei, con l'aiuto del coltello, tagliò i jeans per svelare la ferita all'altezza della coscia, Sasha divenne prima bianco, poi verde e non si trattenne: si alzò di scatto, si allontanò di un paio di metri e si piegò a terra per vomitare.

«Maledizione, scusa, non... oddio, ma gli ha quasi staccato la gamba! Gliel'ha staccata? Non posso guardare...»

Anche lei, doveva ammetterlo, fece fatica a rimanere impassibile davanti allo scempio che si trovò davanti: il vulkulaki aveva affondato i denti così tanto in profondità nella gamba di Ilyas da arrivare a lacerare i tendini. Non aveva staccato pezzi di carne e fortunatamente non aveva colpito l'arteria femorale - questione di centimetri -, ma il morso era così profondo che il sangue a distanza di un'ora ancora continuava a sgorgare. Lei si affrettò a tamponarlo con la propria giacca e cercò di capire quanti litri suo fratello avesse già perso. Il suo viso era pallido come quello di un morto.

E voleva anche combattere in questo stato.

Strinse le labbra in una smorfia.

Non perse tempo: si concentrò e impose le mani direttamente sulla ferita, sul sangue scuro e caldo, ribollente. Chiuse gli occhi. Come sempre quando utilizzava il suo potere, pensò a sua madre. A sua madre che, quando lei era appena una bambina, le diceva che la Natura è un meccanismo razionale ma anche meraviglioso: ciò che dà, lo chiede indietro, ma un dono rimane un dono, per quanto possa a volte sembrare un sacrificio, e loro avrebbero sempre dovuto ringraziare di ciò che avrebbero ricevuto dalla foresta.

Al contrario di suo fratello, lei non aveva mai considerato il suo potere qualcosa di diverso da questo: un dono di cui ringraziare tutti i giorni, finché avesse respirato su quella terra.

Mentre teneva gli occhi chiusi, sentiva il corpo sotto di sé riprendere vita. I tendini che si ricompattavano, il sangue che rientrava, la ferita che si rimarginava. Sotto le mani, dalle sue dita, dalla carne viva e tenera, si soffondeva il calore, lo stesso del fuoco di un camino acceso durante l'inverno, che riscalda il viso e il cuore delle persone che vi si stringono attorno. Un calore che era come un abbraccio, un sorriso. Come un ritorno a casa.

«Wow.»

Aisha sgranò piano gli occhi e colse Sasha davanti a lei, tornato seduto vicino a Ilyas, l'espressione soffusa di meraviglia.

«È incredibile» disse con quello stupore che gli incrinava la voce, mischiato alla soggezione, all'ammirazione e a qualcos'altro di puro e intenso come quel calore che le soffondeva le dita, che Aisha non riuscì però a decifrare. «Voglio dire: il potere che hai... tu...»

Sasha parve mordersi la lingua. Tacque e distolse lo sguardo, mentre lei continuava nell'operazione. Aisha abbassò gli occhi ed esaminò la gamba di suo fratello: era sempre malconcia e i segni dei denti del vulkulaki rilucevano sul lato della coscia, ma non c'era più sangue che stillava. Sembrava magicamente essersi interrotto.

"Magia" era il termine che avrebbero usato gli umani, lei invece sapeva che si trattava di qualcosa di diverso: un altro pegno pagato alla Natura. Come diceva sua madre, tutto ciò che avrebbero preso da essa, gliel'avrebbero restituito, sempre così, in un eterno ciclo di vita e di morte, di inverno e rinascita, fino alla fine dei giorni.

Tolse le mani e riprese fiato. Aveva male alla testa e il corpo le doleva in più punti; una cappa di pesantezza l'avvolgeva come una coperta di morbida lana. Aveva compiuto uno sforzo ingente quella volta: una ferita di quella gravità le aveva richiesto più forza e concentrazione del solito. Avrebbe avuto bisogno di riposare prima di rimettersi in piedi.

«Stai bene?» le chiese Sasha, gli occhi attenti e un po' preoccupati che la scrutavano.

Aisha annuì, un gesto fievole.

«L'hai già fatto altre volte? Curarlo, intendo. Immagino che uno come Ilyas abbia richiesto il tuo potere ogni due per tre...»

«Non così tante. Non me lo permetteva. È sempre stato molto rigido su questo. Non voleva che mi sforzassi - che mi consumassi. Un giorno, sarà stato solo quattro anni fa, è tornato dal Daghestan con una ferita da arma da fuoco; ci ho messo un'intera giornata per convincerlo a farmela vedere.»

Abbassò gli occhi su Ilyas, che aveva riacquistato colore nel frattempo: stava disteso davanti a lei, il corpo lungo e inerme, con il capo reclinato, i capelli quasi sciolti e ciocche raminghe a velargli gli occhi chiusi. Le sue ciglia disegnavano un ventaglio frangiato sugli zigomi alti e aveva le labbra socchiuse da cui fuoriusciva un espiro sottile e regolare. Così immobile, pervaso dal torpore, sembrava stranamente vulnerabile, come lei non lo vedeva spesso.

Sentì la propria voce levarsi: «L'unica volta che avrei voluto davvero curarlo non aveva ferite visibili.»

«In che senso?»

«Aveva fatto una simulazione virtuale. Le conosci? Sono molto in voga nella Legione, il corpo d'arme di cui faceva parte.» Aisha si allungò a sfiorare la tempia di Ilyas; con delicatezza gli tolse una ciocca da davanti agli occhi. «Al tempo in realtà non era ancora un soldato: era una recluta. Il suo addestramento prevedeva un test finale da svolgere in una realtà simulata, uno scenario di guerra montato dall'esercito, ma molto realistico, e lo superò, lo superò a pieni voti, ma quando tornò...»

Esitò. Non aveva mai parlato di quell'episodio, quel periodo della loro vita, di lei e Ilyas, a nessuno. Forse era stata lei la prima a non averlo affrontato e metabolizzato con cognizione, lei che al tempo doveva ancora compiere quindici anni, mentre suo fratello ne aveva appena diciannove.

«Quando tornò, era diverso» riprese, un sussurro. «Per molto tempo non l'ho più riconosciuto. Non voleva parlare, neanche mangiare o dormire. Non voleva essere toccato da nessuno. Sembrava un'altra persona. Ecco, in quell'occasione non c'erano ferite da curare perché la simulazione non ne lasciava, ma ho sempre pensato che ci fossero, solo che lui non mi ha mai permesso di vederle.»

Si stupì lei stessa di quell'ultima frase, forse un po' criptica, e di aver parlato tanto. Sbirciò Sasha che la stava fissando a sua volta, con attenzione.

«Deve essere stata l'esperienza della guerra. Insomma, era la prima volta per lui, come soldato, dico» azzardò e lei concordò con un breve cenno del capo.

Tuttavia, sentiva un sapore amaro in bocca.

Non era solo quello, pensò ritornando a guardare il volto immoto di Ilyas, i suoi occhi chiusi e placidi. Non era mai stata solo la guerra, lo sapeva.

«Prima...» iniziò Sasha, cauto. «Quando gli hai detto "non fare come lei"... di chi stavi parlando?»

Aisha alzò di nuovo lo sguardo e lo fissò.

L'altro parve ritrarsi. «Scusa, sono indiscreto. Se non me lo vuoi dir...»

«Parlavo di mia madre» fece ancora quella voce che era strana, sì, perché stava parlando tanto, come lei di solito non faceva, ma non era sbagliata. Non l'avvertiva tale, perlomeno. Le sembrava che fosse la cosa più naturale del mondo parlare con lui in quel momento. «Anche lei ci ha chiesto di andarcene e non voltarci indietro.»

Sasha, se anche era stupito da quell'improvvisa confidenza, non lo diede a vedere. «Prima di morire, intendi?»

Aisha assentì, un altro gesto fievole. Accarezzò ancora la tempia di Ilyas, ma non smise di fissare negli occhi l'altro ragazzo. «È morta per salvarci: è rimasta indietro per prendere tempo e coprirci le spalle quando siamo fuggiti dal nostro villaggio o forse... forse semplicemente non poteva fuggire. Me lo sono sempre chiesta.»

Anche Sasha annuì come se gli stesse confermando una teoria.

«A volte la vedo, sai.»

«Cosa?»

«Tua madre.» Le guance di lui si incavarono. «Non dovrei, lo so, ma non riesco sempre a trattenere i miei poteri, te l'avevo detto, no? Mi capita così di "vedere" i ricordi degli altri. Ci provo a non farlo, giuro, ma non sempre mi riesce. E ho visto tua madre, sì, mi è capitato. Vi assomigliava. O meglio: voi somigliate a lei.»

Aisha allora, con sorpresa, con quel senso di calore che non l'aveva abbandonata, sorrise. «Ilyas ha i suoi occhi.»

Sasha sbatté le palpebre. Forse era per via del sorriso che lei gli aveva appena rivolto, ma sembrava spiazzato.

«Anche tu le assomigli tanto» disse, un po' precipitoso. «Era davvero bella...» Le guance a quel punto gli si soffusero di rosso; per celare l'imbarazzo si alzò di scatto. Fece per dirigersi verso l'entrata del nascondiglio. «Vado a controllare sia tutto in ordine là fuori. Che non ci siano altri lupi assassini in agguato. Uomini-lupo, cioè. Homo homini lupus, si dice, eh? Ecco, si dice proprio così...»

Prima che varcasse la soglia Aisha lo fermò. Ancora una volta, come nell'arena.

«Sasha?»

Lui si voltò. «Sì?»

«Grazie» disse con quella voce che non era affatto difficile da tirar fuori, che percepiva calda come il potere che le scorreva nelle dita. «Ci hai salvato la vita, davvero. Se non fosse stato per te, forse saremmo morti, lui di sicuro.» Ritornò a guardare Ilyas per un attimo, ma rialzò subito lo sguardo. «E se lui fosse morto...»

Sasha completò la frase per lei: «Sarebbe stato come uccidere anche te.»

Aisha si limitò ad annuire.

«L'ho capito che per voi è così: che tu non puoi sopravvivere senza di lui e lo stesso vale al contrario.» Anche Sasha sfiorò con lo sguardo il corpo di Ilyas disteso sul pavimento. Linee pensose gli solcavano la fronte. «Deve essere bello avere un rapporto così viscerale con un'altra persona. Bello ma anche... terribile.»

Aisha aveva smesso da un po' di stupirsi dell'acutezza che lui spesso dimostrava, pur così giovane e all'apparenza inesperto di tante cose, e non fece eccezione quella volta: non si stupì. Era certa che Sasha Kirayev avrebbe capito subito anche un concetto complesso come quello.

«Lo è» confermò. «E Ilyas poi... lui è difficile a volte. Tante volte. Lo so che dall'esterno può sembrare impossibile averci a che fare, ma è mio fratello e io lo conosco. Non ha solo rabbia dentro di sé. Mi ha salvato la vita, più volte, e non è stato per mia madre, per il sangue, per il senso del dovere. Lo so perché anche per me è così. Mi ha protetta in tutti i modi in cui può essere protetta una persona e ha cominciato a farlo quando era solo un bambino, quando avrebbe avuto bisogno di protezione anche lui. Non mi ha mai abbandonata, neanche quando sarebbe stato più facile per lui, quando lo avrebbe reso, forse non felice, ma almeno libero.»

Ripensò al periodo in cui Ilyas era entrato nell'esercito, dopo quella simulazione, quando sembrava una belva che mordeva una catena invisibile, sempre teso, sul chi va là, incapace di accettare il minimo contatto, anche il più innocuo, persino da lei. Avrebbero dovuto passare i giorni della sua licenza insieme, ma lui era rimasto tumulato nella sua camera per dieci giorni e dieci notti, isolato da tutti, anche dalla famiglia che a quel tempo si occupava di Aisha, due persone che per lei erano state come i genitori che aveva perso troppo presto - Magda e Voznjak; da quanto tempo non pensava a loro? Aveva voluto dimenticarli per non sentire la loro mancanza quando erano scappati da Darial...

Nel ritornare con la mente a quel periodo, rimasto come cicatrizzato sulla pelle della sua memoria, pensò a come sarebbe stato semplice per Ilyas andare via, lasciare la Legione ancor prima di entrarci con tutte le scarpe, darsi alla macchia e non voltarsi indietro; a come sarebbe potuto scappare da ciò che sembrava assediarlo, quel che aveva spezzato il ragazzo che era stato, come lei lo ricordava: audace e sicuro di sé, linguacciuto e riottoso, così giovane, bello e affamato di vita, così felice, pur in tutta la sofferenza che avevano già attraversato... Lei non aveva mai capito, no, cosa gli fosse successo, non aveva mai posto la domanda a cui suo fratello non avrebbe mai risposto, ma ricordava il giorno della cerimonia ufficiale di premiazione, Ilyas in divisa da tenente, che guardava a terra, i pugni chiusi, le labbra strette sull'assenza di un grido, quel giorno in cui lei aveva visto per la prima volta quell'uomo, il futuro generale Jagun Bezbòznij...

Avrebbe potuto fuggire già allora, ma non l'aveva fatto. Era rimasto per lei; Aisha lo aveva capito soltanto anni più tardi e non si era mai perdonata come non aveva mai perdonato lui per aver scelto lei e non se stesso.

«Lo so che non ha solo rabbia.» Sasha increspò le labbra in un piccolo sorriso. «È un buon fratello e, visto che è svenuto, posso dirlo: anche una brava persona, nei limiti di quanto si possa esserlo in questo mondo. Avrei voluto avere anch'io un fratello come lui.» Sospirò pesantemente e si voltò di nuovo verso la soglia. «Non ringraziarmi. Me l'hai detto tu che sono uno di voi. È la prima cosa che mi hai detto quando ci siamo incontrati, me lo ricordo. Non hai idea di quanto abbia significato per me. Quanto significhi ancora adesso.»

Lo disse in un sussurro, di spalle, come se avesse bisogno di non guardarla in faccia per proferire quelle parole, e lei non ribatté. Avevano parlato anche troppo: non c'era bisogno di altre parole per capirsi, ne era convinta. Lei sentiva di non averne bisogno con lui e questo le sembrava, nella sua semplicità, un altro dono.

Anche quando Sasha uscì il calore non se ne andò: rimase lì, come una fiamma tiepida e guizzante, a scaldarle il cuore e il petto, ad avvolgerla in tutto il corpo, e percepì con chiarezza che si trattava di una sensazione nuova, che non aveva mai provato.

Oh, pensò, forse un po' sorpresa, forse un po' impaurita, forse solo grata, lo sguardo posato su suo fratello che dormiva quieto davanti a lei. Oh.

Un piccolo avviso: come alcuni già sanno ho quasi finito uno spin-off con protagonista Ilyas (sì, sempre lui) (l'angst peso mi ispira, che posso farci?), ambientato proprio nel periodo di cui accenna qui Aisha: quando lui era ancora una recluta e stava per svolgere questa famosa simulazione, chiamata la Simulazione, in alto-basso, dalle reclute del corpo della Legione. La simulazione dove è successo quel che è successo con Jagun Bezbòznij.

È una storia di una decina di capitoli che diventa a un certo punto crudissima, per cui in realtà nutro dei dubbi a pubblicarla qui su WP vista l'utenza media così giovane. Forse la pubblicherò ma in una versione censurata/ammorbidita nel capitolo in cui succede lo stupro, mentre su EFP la pubblicherò nella sua versione originale. Chissà. Comunque da qualche parte la pubblicherò, sto aspettando di arrivare a un capitolo in cui c'è un sogno-ricordo di Ilyas in cui si vede il primissimo vero approccio tra lui e Jagun, grazie a Shanna (lei c'entra sempre tanto nella dinamica distorta che si è poi instaurata), quando Ilyas non avrebbe mai neanche lontamente immaginato cosa sarebbe successo perché all'inizio il loro rapporto era del tutto diverso, venato di rispetto reciproco, persino di ammirazione da parte di Ilyas.

L'ho detto: angst a palate D:

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