XXIX. In your memories - seconda parte

«Soraya, svegliati.»

Uno schiaffetto leggero sulla guancia. Aprì gli occhi – doveva averli chiusi. Il mondo ritornò dietro le fessure delle palpebre. Un viso le aleggiava davanti, circondato da una luminescenza dorata.

«Raisa?»

Cercò di raddrizzarsi, ma si sentiva il corpo pesante, ogni singola giuntura bloccata. Si accorse di trovarsi a terra. Raisa le stava sorreggendo il capo; Soraya aveva la nuca posata sul suo grembo.

«Stai ferma» le disse la donna, posandole una mano sulla fronte. Il tepore del suo palmo si trasmise sotto la pelle. «Non fare movimenti bruschi.»

«Cosa è successo?» chiese lei, la voce un po' impastata. Si sentiva la gola secca e le tempie doloranti, ma Raisa esercitò una leggera pressione e gliele massaggiò con movimenti rotatori, precisi e leggeri. Le sue iridi verdi erano più chiare, il colore del mare limpido a mezzogiorno.

«Vi siete assentati per un momento, non riuscivamo a risvegliarvi. Dovete essere entrati così a fondo da aver perso la presa con la realtà, ma tu li hai riportati indietro.» Continuava a massaggiarla, come faceva quando era più piccola, dopo le loro estenuanti lezioni. «Sei stata bravissima. Come sempre.»

Soraya non commentò. Reclinò il capo, attenta al movimento – le sembrava che anche il minimo spostamento potesse provocarle delle fitte lancinanti alla testa. Sasha e Aisha erano a loro volta a terra; Bogdan si stava prendendo cura di loro. La stanza era ora occupata anche da suo padre, Viktor e Nikita, e il fratello di Aisha. Quest'ultimo era trattenuto da Nikita; stava provando a liberarsi della stretta per avvicinarsi alla sorella.

«Ho detto di lasciarmi, cazzo!»

Alla fine, quando Bogdan diede il suo assenso, poté avvicinarsi. Aisha era sveglia, seduta contro il muro – le sedie erano rovesciate a terra – e si teneva le ginocchia tra le braccia, lo sguardo assente come nei suoi ricordi.

«Aisha?» Ilyas si sarebbe chinato se le stampelle glielo avessero permesso; si dovette accontentare di guardarla dall'alto, l'espressione e la voce colmi di apprensione. «Ti senti bene?»

Lei annuì, un gesto fiacco.

«Tu come stai, ragazzo?» Bogdan si era chinato su Sasha, seduto a terra. Ciocche di capelli rossi gli ballavano davanti agli occhi e le sue labbra erano più pallide del suo viso.

«Bene» provò a dire, ma fu un bisbiglio che gli rimase incastrato in gola. Lo ringoiò e non parlò più. Sbirciava Aisha, lei non guardava nessuno.

«Cosa avete visto?» chiese suo padre, facendosi avanti.

Una volta sicura che non avrebbe avuto giramenti o non si sarebbe piegata a vomitare, Soraya si raddrizzò e si alzò grazie all'aiuto di Raisa.

«Facevano esperimenti su di lei. Degli uomini, dei medici, credo, di cui non vedevamo i volti, tranne uno. Abbiamo anche sentito il suo nome: Karanev. Era lui il capo.»

«Karanev» ripeté suo padre, atono. «Mi è familiare.» Si voltò verso Viktor. «Facciamo subito delle ricerche. Deve essere uno scienziato al soldo dei Novikh.»

«Subito, signore.»

«Che genere di esperimenti?» chiese Raisa.

«Sul suo sangue. Non sono sicura, ma credo che conoscessero la sua vera natura.» Dopo quel che aveva visto, Soraya faticava a guardare l'altra ragazza. «Prendevano il suo sangue e lo iniettavano in altre cavie. Parlavano di "compatibilità". Abbiamo visto un ragazzo, lo hanno chiamato il soggetto B501: gli hanno trasfuso il sangue di Aisha e gli hanno fatto un'iniezione di qualcosa, non so cosa, una sostanza che poi gli ha fatto annerire le vene. Lui ha cominciato a tremare e...»

«Era quel tipo dell'iniziazione.»

Soraya si voltò a guardare Sasha. Lui era ancora a terra, le mani lungo i fianchi, lo sguardo perso nel vuoto. La sua voce era stata appena un sussurro.

Raisa lo guardò. «Chi?»

«Il ragazzo.» Sasha si guardava i piedi. «Quel tipo strano coi capelli bianchi che ci ha fermato all'iniziazione. Era lui, vero?» Girò lentamente lo sguardo verso Aisha.

Lei fece un altro lieve cenno di assenso.

«Capelli bianchi?» ripeté Soraya. Con la coda dell'occhio scorse Raisa irrigidirsi e scambiare un'occhiata con suo padre.

«Quando lo abbiamo incontrato aveva i capelli bianchi e un volto più duro, ma era lui, sì. Ho riconosciuto i suoi occhi.» Sasha fissò Raisa. «Non ricordo il suo nome. Qualcosa a che fare con la parola "argento", forse. Diceva di essere il cugino di Andrej Lazarev.»

«Sappiamo chi è» disse suo padre, una nota più tesa nella voce. «È stato catturato insieme ad Andrej.»

«Quindi non avevano un solo vulkulaki tra le mani, ma ben due?» Soraya era allibita. «Ma allora... allora quegli altri di cui parlavano...»

«Cosa stavano tentando di fare?» le chiese Raisa.

«A questo punto credo che volessero trasmettere il potere di lei a lui.»

Le sembrava la spiegazione più logica. Aisha aveva il potere di curare ed auto-curarsi: una capacità preziosa che doveva aver fatto gola alla Heissemey, da sempre alla ricerca delle migliori tecnologie per creare dei "soldati perfetti". Ma era possibile? Ci erano riusciti? Quell'uomo, Karanev, prima che la visione si interrompesse, sembrava convinto che l'esperimento stesse andando a buon fine e in effetti quel ragazzo, il cosiddetto soggetto zero, era poi sopravvissuto.

«Non solo conoscono la nostra esistenza, anche i nostri poteri?» si lasciò scappare Nikita in un'esclamazione frustrata.

Il padre di Soraya si stava massaggiando il mento. La sua fronte era aggrondata di linee profonde, che gli tiravano il viso in un'espressione severa. «Non ha senso. Se i Novikh sanno di noi perché non sfruttare l'occasione? E perché quel ragazzo era a piede libero fino all'altro ieri?»

«Ho cancellato qualunque prova di quel posto e delle ricerche che hanno fatto, ve l'ho detto» intervenne Ilyas.

«Qualunque prova? Non quel ragazzo, a quanto pare. No, deve essere successo qualcos'altro. Anche lui deve essere fuggito come voi e i Novikh forse non sapevano cosa esattamente stessero sperimentando in quello stabilimento. Dobbiamo informarci su questo Karanev. Non avete sentito altri nomi?»

Soraya scosse la testa. Suo padre parve allungare lo sguardo verso Aisha, ma prima che potesse dire qualcosa, lei lo precedette: «Lei ricorda solo lui. Degli altri non ricorda nemmeno i volti. È tutto quello che possiamo trovare nella sua memoria, lo assicuro. Sasha non può fare di più e nemmeno io.»

Non aveva nessuna intenzione di costringere se stessa e gli altri due a tentare un'altra sessione del genere, fu quindi molto chiara con suo padre in modo che non ci pensasse neanche a proporlo.

Lui assentì. Non guardò più Aisha; lasciò scivolare lo sguardo su Sasha, ma solo per un attimo.

«Avete bisogno di riposare, tutti e tre. Adesso ci occuperemo noi del resto.»

Anche lei assentì, rincuorata. Si voltò e si sistemò la gonna, che si era spiegazzata per come era caduta a terra – chissà com'era successo; non ne aveva avuto nessuna percezione. Sasha si rialzò a fatica. Tremava un poco ed era ancora pallido, ma riusciva a reggersi in piedi. Aisha non si mosse.

«Aisha?» Il fratello era ritornato a guardarla. «Aisha, andiamo. Come stai? Sembri...»

«Ricordo tutto» fece lei parlando per la prima volta da quando si erano risvegliati. La sua voce suonava lontanissima, come proveniente da distanze siderali. «Ricordo tutto ora.»

Il fratello si immobilizzò sopra di lei. Aisha teneva ancora le ginocchia raccolte al petto, strette tra le braccia, una posa come di bambina, fragile e sfumata. I suoi occhi avevano perso ogni durezza. Non erano neanche più assenti come nel ricordo. Si volsero per la stanza, quasi cercassero qualcosa o qualcuno, fino a posarsi su Sasha a poca distanza da lei.

«L'hai sentito anche tu?» gli chiese in un sussurro.

Lui rispose con un cenno del capo. Soraya si accorse che aveva gli occhi lucidi.

«E faceva male?» continuò Aisha, la voce percorsa da una lieve crepa che si allargò fino a incrinarsi. «Faceva così male? Perché ora...» si lasciò sfuggire un singhiozzo, le labbra le tremarono e il fiato le si spezzò tra i denti, «... ora fa davvero male.»

A quel punto scoppiò a piangere, un pianto brusco, lacerato, che aveva il rumore delle cose trattenute troppo a lungo. Soraya non se l'aspettava come non doveva aspettarselo nessuno, men che meno il fratello che rimase interdetto e paralizzato a guardarla. Lei fu sorpresa da quella reazione, dal vedere quella ragazza spezzarsi in quel modo davanti ai loro occhi, mentre non lo fu da ciò che accadde nel nanosecondo successivo, quando Sasha Kirayev colmò in pochi passi la distanza che li separava e si chinò su Aisha. Le sue braccia presero l'iniziativa, forse ancora prima che il desiderio di stringerla si tramutasse in pensiero, e avvolsero la ragazza, l'attirarono verso di sé. Lei si aggrappò alle sue scapole con le unghie, le mani strette a lui come uncini, e affondò il viso nel suo petto, le lacrime che cominciarono a inzuppargli la camicia e il respiro che rincorreva singhiozzi sempre più fondi e sfrangiati. Pianse a lungo, le mani avvolte attorno alla schiena di Sasha. Anche lui piangeva; lacrime silenti come quelle che aveva versato nei suoi ricordi, in quella stanza bianca e asettica.

Ilyas era ancora paralizzato al suo posto. I suoi occhi erano spalancati sulla scena che aveva davanti; sembrava non sapere cosa fare delle stampelle che stringeva tra le mani come del proprio corpo. Soraya invece cominciava a sentirsi di troppo. Non poté fare a meno di provare una, seppur debole, fitta di gelosia. Per il modo in cui quella ragazza accoglieva l'altro nel proprio dolore dopo che lui l'aveva vissuto sulla pelle. Lei non era spaventata da lui, non lo avrebbe guardato con paura; non sarebbe scappata via.

Distolse lo sguardo e lo puntò sugli altri, che, a eccezione di Raisa, avevano tutti l'aria un po' imbarazzata.

Tipico degli uomini, pensò trattenendo una smorfia. Non si sconvolgono per litri di sangue, ma vedono una lacrima e vanno in tilt.

«Forse è il caso di andare» suggerì suo padre, schiarendosi la gola.

«Aisha?» tentò Ilyas e accennò un passo in avanti con quelle ingombranti stampelle.

Lei aveva ancora il volto sepolto nella camicia di Sasha, il fiato che si infrangeva contro il suo petto. Lui l'aveva stretta più forte e, un po' goffamente, aveva tratto entrambi i loro corpi a sedere. Lei non sembrava volersi staccare da lui anche se aveva finito di piangere.

«Aisha?» ripeté il fratello.

Lentamente la sorella levò il capo e lo guardò da sopra la spalla di Sasha. Aveva gli occhi lucidi, la cornea pulsante e arrossata, ma respirava con meno fatica.

«Sto bene» bisbigliò. Tirò su col naso e si sfilò dalla stretta di Sasha con movimenti lenti, ritrosi. «Sto... meglio, sì.»

«Sei sicura?» indagò l'altro volgendo lo sguardo verso Sasha, che però non ricambiò l'occhiata.

Aisha annuì, un altro gesto stanco. Mise i palmi sul pavimento e fece per sollevarsi. Sasha la precedette e l'aiutò. Le loro mani si sfiorarono. Soraya notò che lei indugiava nello stringergli le dita.

«Possiamo andare» fece. La sua voce era tornata normale. Si strofinò le palpebre e si voltò verso Sasha. «Grazie» gli disse. Lo guardava come se lo stesse vedendo per la prima volta, lo sguardo colmo di stupore e al tempo stesso attraversato una profonda, incredibile riconoscenza. «Ci vediamo domani?»

«Certo» si affrettò a dire lui. Dalla sua postura non ci voleva molto a capire che avrebbe voluto riabbracciarla. «A domani» mormorò e fece un cenno anche a Ilyas, il quale gli lanciò una lunga occhiata indecifrabile prima di girarsi e accompagnare la sorella fuori dalla stanza.

A Soraya parve di sentire Sasha sospirare.

Aisha salutò anche lei prima di andarsene e le rivolse un "grazie", più incerto però. Quando i due fratelli uscirono, suo padre e i suoi accoliti li seguirono. Raisa raccomandò sia a lei che a Sasha di andare a dormire subito dopo aver mangiato: gli avevano preparato delle stanze nel quartier generale. Soraya aspettò che fosse uscita prima di voltarsi verso l'altro ragazzo.

Erano rimasti solo loro due.

«Hai un potere incredibile.»

Lui, ancora turbato e scosso, le rivolse uno sguardo allibito. «Tu dici questo a me

«Sì.» Ora che lo aveva visto in azione non sapeva neanche cosa pensare. Non aveva mai incontrato nessuno con un potere del genere. «Riuscivi a sentire tutto quel che sentiva lei?»

«Mm, sì.» Lui buttò uno sguardo improvvisato alle sedie rovesciate. «Sentivo le sue emozioni e, non so, più le sentivo, più lei si apriva, più la sua memoria...»

«... si svelava» concluse Soraya e soppesò attentamente quelle parole. «La tua capacità empatica è riuscita a dissotterrare persino ciò che lei aveva rimosso. Ripeto, è incredibile.»

«Certo che detto da te...»

«Io posso soltanto ingannare le persone.» Sentì la curva di un sorriso amaro tirarle gli angoli della bocca. «Posso far rivivere un ricordo, ma non sarà mai vero per quanto verosimile. Anche la felicità con me è solo un'illusione, mentre tu... quel che hai fatto con lei, quel che avete condiviso, anche nella paura e nel dolore... è stato autentico. Forse la cosa più autentica che esista.»

Ne era convinta. L'altro forse ancora non si rendeva conto del dono che gli era capitato, che era anche una maledizione perché vivere il dolore di un altro, lei lo sapeva bene, è un fardello terribile, ma il dolore condiviso crea un'intimità straordinaria, anche questa era una verità incontrovertibile: forgia un legame che diventa poi impossibile da ignorare o sciogliere. Sasha non sapeva, no, cosa aveva appena fatto con quella ragazza, come l'avesse legata a sé in un modo che nessun'altro dopo di lui avrebbe potuto imitare; lo avrebbe scoperto come Aisha forse aveva già cominciato a intuire, visto il modo in cui non voleva lasciarlo andare.

Era un ragazzo fortunato, tutto sommato.

Lui continuava a guardarla con un'espressione smarrita. «Ammetto che non l'avevo considerato da questo punto di vista.»

Soraya non se ne sorprese, in tutta sincerità. Poteva essere intelligente, ma non sembrava poi così intuitivo – come tanti ragazzi. Le venne quasi da sorridere, ma sentiva ancora quell'amarezza che le impediva di distendere i lineamenti.

«Hai fame? Ci conviene mangiare e poi andare subito a letto, come diceva Raisa. A proposito: spero che questa sessione ti abbia convinto che hai bisogno di essere istruito da lei.»

«Direi di sì» ammise lui. Continuava a fissarla come se volesse chiederle qualcosa e alla fine riuscì a tirarlo fuori: «Ti capita mai di odiare il tuo potere?»

Quella domanda fu inaspettata, e dire che quel giorno era già stata testimone di molti fatti inaspettati.

Gliela rilanciò contro: «A te?»

«A volte» rispose subito lui. «Forse prima di più. Sì, prima, quando l'ho scoperto... all'inizio pensavo di impazzire, adesso riesco a controllarlo meglio, non mi sembra più di avere la testa piena di emozioni e ricordi non miei. Però a volte, quando non riesco a tenere il mondo fuori e vorrei farlo, non vorrei sentire tutto questo dolore... a volte lo odio ancora, sì. A te capita?»

«Non ho una risposta semplice a questa domanda.»

«Vuoi dire che lo odi sempre?»

Soraya lo guardò con stupore. Forse doveva ricredersi su quel che aveva appena pensato delle sue capacità intuitive.

A salvarla dal rispondere fu l'arrivo di suo padre.

«Siete ancora qui» disse entrando. «Venite a mangiare, avanti.»

Soraya notò come il suo sguardo si posò su Sasha. Sembrava incerto, un atteggiamento che gli vedeva di rado addosso.

«Sei stato molto bravo» disse prima di farlo andare via.

Sasha lo fissò, colto alla sprovvista, ma a stupirsi fu anche Soraya, che scrutò il padre con una lieve punta di perplessità.

«Oh, grazie, grazie» fece Sasha e li salutò con un po' di rossore sulle guance. Sembrava lusingato, come qualcuno non abituato ai complimenti.

Soraya aspettò che se ne fosse andato prima di rivolgersi a suo padre. «Pa...»

«Sei stata bravissima» le disse lui, posandole le mani sulle spalle. La guardava dritto negli occhi. «Quel che mi hai detto è tutto quello che hai visto?»

Lei annuì, lentamente. Sentì allora tutta la stanchezza trattenuta fino a quel momento pervaderla come una nebbia. Il tocco di suo padre, così leggero, aveva la consistenza di una mannaia e la sua voce l'avvolgeva nel morbido cappio della sua approvazione. Poteva vederla con strana chiarezza: l'approvazione che gli riluceva negli occhi, bella e fragile quanto una promessa di felicità, mentre le stringeva le spalle e le ripeteva che era brava, perché lo era davvero, lo era sempre stata, sin da bambina.

Sono brava, sono forte, la testa non mi fa male, no, non mi fa male, e non dirò niente, lo prometto, non dirò niente.

«Sei stanca?»

«Un po'» rispose. Si massaggiò la tempia e distolse lo sguardo. «Meglio che vada subito a letto.»

«Va bene.» Suo padre le stringeva ancora le spalle. «Domani mi racconti tutto per filo e per segno. Ogni dettaglio è utile, anche il minimo. Si tratta della salvezza di tutti, Soraya.»

«Lo so.»

«So che lo sai e so anche che non mi deluderai.»

Non ti deluderò, avrebbe detto quella voce di bambina, petulante e sicura.

Ed era vero: non lo avrebbe deluso. Non era quel genere di persona, una di quelle che non rispettano le aspettative. Non avrebbe creato una smagliatura così grande, in cui sarebbe stato risucchiato tutto quel che nella sua vita, plasmato dalle circostanze o meno, aveva costruito – i principi della sua famiglia, l'orgoglio di suo padre, i suoi moniti e la sua fermezza, la convinzione di avere un ruolo e uno scopo che andasse al di là di sé. Non sarebbe stata isterica o inaffidabile o egoista. Avrebbe fatto ciò che era necessario, anche quando l'avrebbe portata al limite, e sopportato tutto quello che sarebbe venuto. Tuttavia, per un momento, quando Sasha Kirayev le aveva fatto quella domanda, si era sentita sollevata nel sapere che esisteva anche quella possibilità: poter dire la verità, almeno a se stessa.

«Non ti deluderò, papà» disse come in un'eco. «Mai.»

La bella immagine a inizio capitolo è dell'artista Jefferson Muncy, la trovate qui: https://www.pinterest.it/pin/145663369209108082/

Il capitolo non è finito: mi è venuto lunghetto, eh, sì, quindi ci sarà una terza parte.

Intanto ecco qui un ritratto del dottor Karanev, personaggio MOLTO importante per le sorti dei nostri >.>

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