XXII. Il Lupo randagio - terza parte
Non senza una certa sorpresa Lukas riconobbe Yuri Petrov farsi strada tra i tavoli per raggiungerlo. Al suo fianco c'era Lara Arkainova.
«Lukas, mi sembravi proprio tu» lo salutò allegra lei e lo baciò sulle guance quando lui si alzò per accoglierla. Volse lo sguardo verso Ilyas. «Noi non ci conosciamo, vero? Anche se hai una faccia familiare.»
«Maslenitsa» si limitò a dire lui. A entrambi rivolse un semplice cenno del capo. «Ci siamo visti lì.»
«Oh, ma certo, ora ricordo, il ragazzo dei coltelli della tua druzina, Lukas. Non sapevo fossi un vulkulaki anche tu. Molto piacere di conoscerti, il mio nome è Larisa Arkainova, ma puoi chiamarmi Lara.»
Si presentò anche Ilyas, seguito a ruota da Yuri, che lo stava fissando incuriosito.
«Sei dell'Azerbaijan? O dell'Armenia? No anzi, aspetta, devi essere del...»
«Tu sei mongolo?» gli chiese lui, a bruciapelo.
Era tornato alla sua espressione dura e scazzata, seduto con le braccia incrociate, il mento alzato. Petrov rispose alla sua domanda aspra con un sorriso lupesco.
«Quasi.» Non insistette sul capire le sue origini e si rivolse a Lukas. «Scusa, compagno, se ho trovato una guida migliore di te. Lara si è offerta di accompagnarmi questi giorni in giro per Mosca e ne ho molto felicemente approfittato.»
«Certo, offerta... diciamo che mi ha tartassato per bene» ribatté lei con un sospiro. «Scusate se vi abbiamo interrotto, state mangiando, continuate pure. Volevamo solo salutarti, Lukas. Ho portato qui Yuri per un pranzo tra lupi, ma vedo che non sono stata l'unica ad avere quest'idea.»
Si guardò intorno nel locale che pareva adesso ancora più affollato rispetto a prima. Lukas fece una battuta su come i lupi fossero sempre affamati. Era pronto a salutarli, impaziente di congedarli – non che lo disturbasse la presenza di Lara, anzi, mentre non poteva dire di essere scoppiato dalla gioia a rivedere Yuri Petrov; comunque aveva fretta di toglierseli dai piedi per ritornare da solo con Ilyas –, quando fu proprio l'uomo-lupo a smontargli il piano nel nanosecondo successivo.
«Possiamo sederci un secondo qui mentre aspettiamo che qualcuno liberi un tavolo?»
Lukas lo avrebbe strozzato là sul posto – no, decisamente, dopo l'iniziale complicità aveva cambiato opinione su quel tipo – e stava per dirgli di no quando Ilyas annuì e spostò la sedia per fargli spazio.
Si ritrovò seduto con entrambi i vulkulaki, rassicurando Lara che no, certo che non li disturbavano. Yuri si alzò per andare a prendere da mangiare. Lo persero di vista quasi subito nella folla che attorniava il buffet.
Si rivolse a Lara: «Ti sei davvero fatta incastrare da quel bellimbusto?»
Lei scosse la testa, i lunghi capelli neri che le incorniciavano il viso come una Madonna di Kazan. «Non ho cambiato opinione: mi sembra sempre un mascalzone. Un mascalzone divertente però.» Accettò di buon grado la vodka che le offrì e si voltò verso Ilyas. «Non sai che piacere vedere una faccia nuova in questa bolgia di lupi moscoviti. Come vi siete conosciuti tu e Lukas?»
Ah, quella era una bella storia. Prima che potesse trattenerlo dal rivelarla tutta, Ilyas fece un cenno verso l'ingresso.
«Guardate, deve essere giorno di ritrovo oggi. C'è anche quell'altra, il braccio destro di Vosikiev.»
Lukas si sentì gelare. Ancor prima di girarsi sapeva chi avrebbe visto, ma si voltò lo stesso covando la stupida speranza di essersi sbagliato. Speranza vana. Raisa era sulla soglia del locale, inconfondibile. Era appena entrata e stava sorvolando con lo sguardo la sala. Intercettò la mano che Lara sventolò nella sua direzione. Lukas era paralizzato al suo posto.
Non devo farle incontrare Petrov, non devo...
«Raisa, anche tu qui!» esclamò Lara alzandosi e salutandola. «Che piacere vederti. Pranzo di lavoro?»
«Più o meno. Devo incontrare Dimitrij, lo avete visto per caso?»
«Io no, ma sono appena arrivata. Tu l'hai visto, Lukas?»
«No. Forse deve ancora entrare.»
Si alzò a sua volta, intenzionato a condurla fuori dal locale. Ilyas rimase seduto a mangiare. A Raisa rivolse un breve cenno, lei ricambiò.
«Ilyas, vero? Anche tu qui? Mi fa piacere vedere che stai facendo ambientare i nuovi lupi, Lukas.» Nel lieve sorriso che Raisa gli rivolse c'era una neanche tanto latente punta di malizia che lui si premurò di ignorare.
«Perché non andiamo fuori?»
«Non stavi mangiando?»
«Sì, però ti volevo parlare di una cosa.»
«Che cosa? È urgente?»
«Oh, non ti prenderò molto tempo, si tratta solo...»
E proprio in quel momento apparve Yuri Petrov con un piatto di zuppa fumante in una mano e uno ripieno di manzo allo Stroganoff nell'altra.
«Poi dicono che la Russia orientale è selvaggia! Sono riuscito a trovare per miracolo della car...»
Oh, merda, pensò Lukas e forse arrivò a dirlo nel momento in cui vide Raisa irrigidirsi come se fosse davanti a una carabina invisibile. Per la prima volta, in tutti gli anni che la conosceva, la vide allentare i lineamenti per far trasparire un'emozione pura, scoperta, pulsante quanto una vecchia ferita.
«Oh, Raisa, lui è Yuri, non so se vi siete già incrociati: è a Mosca da poco, lavora per...»
Lara si interruppe nel cogliere l'improvviso gelo calato nel tavolo. Persino Ilyas alzò gli occhi dal piatto per scrutarli, attirato dalla tensione che si era impigliata nell'aria come un odore.
Lukas fremeva per andarsene. «Raisa? Possiamo...»
«Raisa.»
Questa era la voce di Yuri Petrov. Calma in superficie ma come percorsa da una corrente sotterranea. Nel voltarsi, Lukas lo vide mentre si girava, dopo aver posato i piatti sul tavolo. Non c'era niente nella sua postura che tradisse incertezza o nervosismo, i suoi occhi però, lo notò, erano nudi.
«Vi conoscete?» chiese Lara, passando lo sguardo dall'uno all'altra, il sospetto, misto alla confusione, che cominciava a germogliarle nello sguardo.
«Sì» rispose semplicemente Yuri. Continuava a guardare Raisa. «Ci...»
Qualunque cosa volesse dire fu inghiottita dal fragoroso tonfo del suo corpo contro la parete. Accadde tutto così velocemente che Lukas non riuscì a presagirlo, né a fermarlo. Un attimo prima erano tutti in piedi attorno al tavolo, tranne Ilyas, e l'attimo dopo Yuri Petrov era volato dall'altra parte della sala, spinto da Raisa come fosse un fuscello di paglia. All'istante tutti i presenti interruppero il loro pranzo e si girarono a guardare la scena. Lukas non fece in tempo a dire nulla: ci fu un secondo fragore e il tavolo dove stavano le posate e i bicchieri di servizio, quello contro cui era stato scagliato Yuri, volò in aria in un fracassarsi di vetri infranti. Ne riemerse l'uomo, in piedi, con un filo di sangue che gli scorreva dalla tempia e i denti scoperti.
«Non sei cambiata» sussurrò.
C'era nella sua voce una strana eccitazione, quasi una punta di... nostalgia? Poteva essere?
Lukas lo vide avanzare di un passo, la postura tesa di chi si prepara all'attacco – almeno così gli parve –, e allora si decise a intervenire.
«Fermatevi! Che cazzo, Raisa!» Si voltò verso di lei, che aveva una mano al fianco, pronta forse a tirare fuori la pistola. «È un agente dei Khlysty! È venuto qui chiamato da Ljuba! Per favore, ragioniam...»
Lei era così concentrata a fissare l'uomo che, in un primo momento, non sembrò sentirlo. Poi il suo sguardo parve svelarsi. La maschera dei suoi lineamenti ritornò quella che Lukas conosceva: calma, posata, la gelida perfezione dei nervi sotto la pelle. Si guardò intorno sorvolando le persone che la stavano fissando, fissavano tutti loro, con espressioni confuse o incuriosite, tutte ugualmente stupefatte.
Lukas per primo non sapeva cosa stesse succedendo e forse neanche Raisa ne aveva la benché minima idea perché da attonita divenne pallida, il fuoco che le aveva acceso lo sguardo per un attimo svanì dietro il verde dell'iride e sembrò tornare in sé, corazzata di nuovo in se stessa, di fronte a un uomo che aveva assalito mentre tutti la guardavano.
«Raisa...» provò a dire Lukas, ma lei non lo ascoltò.
Si voltò e senza degnare di un'occhiata nessuno, men che meno Petrov, infilò la porta e scomparve.
Scese un pesante silenzio, attraversato solo dal brusio indistinto della folla. Lukas era immobilizzato al suo posto, troppo sconvolto per riuscire a mettere insieme anche due parole.
Sentì Ilyas sbottare: «Certo che tra voi non ci si annoia.»
Fu come essere richiamati alla realtà. Si voltò a guardarlo, spostò lo sguardo su Yuri che, in qualche modo, aveva ripreso un aspetto più o meno presentabile. Il sangue gli scorreva al lato del viso. Tornò al tavolo, prese un fazzoletto con cui si sfregò ruvidamente la ferita, infine allungò il braccio verso la giacca posata sul sedile.
«Ehi, aspetta!» Lukas si mosse, recuperando quantomeno capacità motoria. Gli si parò davanti. «Non provare a seguirla.»
«Cos'è, me lo vuoi impedire?» L'uomo sorrise. Era un sorriso non scocciato, non condiscendente. Non sembrava un sorriso vero. «Levati dalle palle, compagno.»
«Hai già attirato fin troppo l'attenzione. Non te lo ripeterò: stai fermo o vuoi riprovare l'ebbrezza di avere il culo sbattuto contro il muro?»
«Pensi che mi facciano paura i cani da guardia, anche se sono stati svezzati?» lo irrise lui, ferale. «Non sei al mio livello.»
«Questo possiamo verificarlo subito.»
Lukas era pronto a lottare, non gliene fregava più niente, neanche che fossero in un luogo pubblico. Raisa aveva aperto le danze, d'altronde. E forse aveva bisogno di sfogarsi. La faccia di quello stronzo sarebbe stata un buon scaccia pensieri.
Lara si mise in mezzo. «Ma siete impazziti? Vi siete tutti bevuti il cervello? Anche Raisa...» Il suo sguardo svettò su Yuri. «Che diavolo sta succedendo, si può sapere? Perché ti ha appuntato al muro neanche le avessi ucciso la madre? Ti sei guardato bene dal dire che conoscevi altri lupi in città.»
Lui non ribatté. Continuava a fissare Lukas, gli occhi scuri e fermi. «Levati, Maraskin. Voglio solo parlarle.»
«Ero rimasto che non volevi parlarle.»
«Non sono affari tuoi cosa voglio o non voglio fare.»
«No, non lo sono, ma se provi a fare casino, giuro che...»
«Cosa succede qui?» fece una voce, bassa e sibillina, che Lukas riconobbe subito.
Dimitrij Berekovskij era appena apparso sulla soglia del locale. Indossava ancora il cappotto.
«Oh, mancavi tu» borbottò e si volse per fronteggiarlo, ma Yuri, approfittandone, lo scavalcò e si diresse verso l'uscita. «Ehi!»
Non solo, pensò, furente, smarcando Dimitrij e precipitandosi verso la porta, devo fare da balia a quei tre casini ambulanti, ora devo anche star dietro a questo stronzo che Raisa vuole morto mentre Ljuba lo vuole vivo. Ma dove cazzo sono finito?!
Erano settimane, se non mesi, che se lo chiedeva, in realtà. Si era anche stancato di farsi quella domanda.
Rincorse il suo simile per le scale che portavano al Vseslav. Il locale era quasi vuoto; c'erano solo degli inservienti intenti a pulire e a preparare le sale per la serata. Lukas non vide Yuri, ma sentì il tonfo della porta secondaria, quella che dava sul vicolo dove di solito si buttava la spazzatura. Uscì anche lui, nell'aria fredda di quella giornata primaverile che come una velina immergeva Mosca nella sua trasparenza illusoria.
Raisa era nel vicolo, non si era allontanata. Forse si era fermata per ritrovare la calma – una pur labile presa su se stessa. Lo suppose perché non l'aveva mai vista come quel giorno, così apparentemente fuori controllo. Si chiese allora, mentre superava la soglia della porta e avanzava nella viva luce, se l'avesse mai vista davvero.
Yuri Petrov si era bloccato a pochi passi di distanza da lei. Fu per Lukas facile raggiungerlo e afferrargli il braccio.
«Allontan...» iniziò quando Raisa, attirata dal rumore, si voltò e li vide.
«Me ne sto andando» dichiarò subito Yuri, liberandosi con uno scatto secco dalla mano di Lukas. «Non...»
«Cosa ci fai qui?»
La voce di Raisa si levò netta e chiara; la sua domanda aveva appena una nota interrogativa.
«Lavora anche lui per i Vosikiev» si affrettò a spiegare Lukas. «Non era previsto che vi incontr...»
«Lavori per i Vosikiev?» Era ancora pallida, ma lo fissava dritto. «Da quando?»
«Un anno.»
«Perché?»
Lui scrollò le spalle. «Se te lo dicessi, non mi crederesti.»
Raisa strinse le labbra. Nonostante avesse recuperato la calma, c'era una ferita nei suoi occhi che ancora pulsava.
«Non volevo che mi vedessi» proseguì Yuri, che la guardava dritto a sua volta, anche se ora, alla luce del sole, sembrava indugiare. «Non perché... non devi essere tu ad andartene, in ogni caso.»
Lukas si trovava d'accordo. Stava per rimarcare l'invito a togliersi dalle palle quando dalla porta sbucò Dimitrij.
Decisamente quel vicolo stava diventando fin troppo affollato.
«Ma si può sapere cosa succede?» chiese l'uomo, scocciato. «Raisa, qualcosa non va?»
Yuri l'occhieggiò, mentre lei non spostò di un millimetro lo sguardo dal viso dell'altro.
«Me ne vado» ribadì Yuri e fece per avviarsi, ma lei lo fermò.
«Perché sei a Mosca?»
Era sorpresa, Lukas se ne accorse: non era stata solo la rabbia a tingerle lo sguardo un attimo prima, quando lo aveva spinto contro il muro. Era stato anche lo stupore, uno stupore puro e semplice come può essere la paura.
«Non per quel che pensi tu.»
«Non sai quel che penso.»
«E tu non sai cosa penso io... fino a prova contraria. Lo sai per caso?» Un debole sorriso, amarissimo, ornò le labbra dell'uomo. «Stai usando il tuo potere?»
«Non l'ho mai fatto con te» rispose Raisa in un sibilo.
Lukas ci stava capendo poco, doveva ammetterlo. Cominciava peraltro a sentirsi un filo di troppo: il vicolo adesso puzzava non più di ostilità, bensì di intimità. La differenza era palese.
Sbirciò Dimitrij per assicurarsi di non essere l'unico ad avere quella sensazione. Forse era il caso di allontanarsi. Forse...
«Lo so» stava dicendo Yuri. «Non è importante il motivo per cui sono qui, credimi. Non cambia nulla. E non ti preoccupare: non ti costringerò a sopportare la mia presenza. Non era neanche previsto che ci incontrassimo. La verità è che... non avrei mai sperato di rivederti ancora.»
Quell'ultima frase rimbalzò nel vicolo come un sasso gettato in un pozzo, tirato all'improvviso da una mano invisibile, incauta. La sua eco riecheggiò nel silenzio, nonché nello sguardo di Raisa, turbato per un attimo da una corrente interna. In quel momento Lukas capì di essere davvero fuori posto. Stava per fare dietro front e lasciarli lì a discutere quando Yuri lo precedette: si girò e si allontanò. Nel giro di pochi secondi era già sparito dal vicolo.
Si schiarì rumorosamente la gola. «Raisa, senti...»
«Quello era Yuri Petrov?» Dimitrij si fece avanti, l'espressione accigliata. «Del clan dei Qinq?»
Raisa si limitò a un cenno del capo.
«È il nome del suo vecchio clan?» chiese Lukas.
«È un potente clan di Vladivostok, molti membri sono impelagati con gli Zanyiy.» Dimitrij si era fatto meditabondo. «Sapevo che era qui a Mosca, ma non sapevo che tu lo conoscessi, Raisa.»
«Io non sapevo che lavorasse per noi» mormorò lei, una contrazione evidente al lato della bocca. Scoccò un'occhiata a Lukas, che sospirò.
«Lo so da poco più di due settimane. Ljuba mi ha fatto promettere...»
«È vero che può resistere a qualsiasi potere dei vulkulaki?» Dimitrij appariva stranamente curioso. Di norma non palesava nessun interesse nei confronti di altri esseri viventi, chiunque fossero. Invece ora guardava la fine del vicolo con insistenza, indifferente al disagio di Raisa. «Così mi ha detto Ljuba. Anche a me ne ha parlato da poco. Lavora in incognito per noi da giusto un anno, a quanto so.»
«Può respingere attacchi esterni, sì» rispose Raisa, atona. «Anche di senzienti.»
«Anche di senzienti?» ripeté Dimitrij, stupito.
Lukas lo guardò. «Ti sconvolge? Non lavori da una vita per i Vosikiev? Dovresti essere abituato a vedere di tutto.»
«Un conto è avere un grande potere, un altro è sapersi difendere da, potenzialmente, qualunque cosa.» Dimitrij sembrò catturato da un pensiero, ma poi scosse la testa, come a scacciarlo via, e si rivolse a Raisa. «Di cosa volevi parlarmi? Non posso fermarmi a lungo.»
Lukas si trattenne dallo sbuffare. Lui e Dimitrij non erano mai andati d'accordo e quello era uno dei motivi: era un uomo all'apparenza incapace anche della minima interazione personale. Un tipo particolare, lo aveva sempre pensato: così cupo e segalino, con quell'aria severa che ricordava le vecchie icone dei monasteri russi, la mascella sempre serrata e l'alta e ampia fronte dove i suoi pensieri sembravano coagularsi, brulicare e spingere per occupare più spazio di quello concesso dalla forma naturale del viso. Anche i suoi occhi chiari, un azzurro che forse sotto il sole avrebbe potuto essere dolce, avevano una distanza e una freddezza impossibili da ignorare.
Ljuba si fidava molto di lui, lo sapeva: Dimitrij era cresciuto in uno dei Centri dell'infanzia dei Vosikiev, orfano di padre e madre, uccisi dagli umani. Era stato allevato in seno ai Khlysty e delle regole dei Khlysty si era nutrito sin dal primo vagito. Non era mai stato irrequieto, non aveva mai mostrato nessun vizio, nessuna falla. Era ascetico fino alla nausea. Una volta aveva sentito Ljuba definirlo il suo soldato perfetto.
Non ha desideri, è questo che lo rende perfetto.
«Si tratta del lupo bianco, quel Sereb» iniziò Raisa.
Lukas si era quasi dimenticato di quello stralunato capitato tra capra e cavoli a Mosca per finire, dopo alterne vicende, nell'appartamento di Andrej.
«Beh, che c'è? È successo qualcosa ad Andrej?»
«No, stanno bene entrambi, ma Andrej mi ha voluto parlare di lui oggi. Vorrebbe che gli facessimo recuperare la memoria.»
«Perché mai?» chiese Dimitrij, di colpo rigido, mentre Lukas si chiedeva se fosse possibile fare una cosa del genere.
«È strano che non ricordi niente, in effetti. E che non sappia più trasformarsi.»
«Questo è quel che dice lui.»
«No, Lukas. Non lo sa fare. Quella notte, quando lo abbiamo liberato, ha provato senza risultati. Ho visto i suoi sforzi – l'ho sentito. Non sembra neanche avere un potere. Quando l'ho interrogato su questo, non ha saputo rispondermi. So che non ha mentito.» Raisa fece un cenno con la testa, lieve. «Non ho mai avuto a che fare con un vulkulaki simile e credo nemmeno voi.»
Lukas dovette concordare.
«Non c'è un modo per far recuperare la memoria, lo sai» disse Dimitrij a denti stretti. «Viktor è in grado di cancellare un episodio appena accaduto e Bogdan può creare ricordi artefatti, ma non c'è nessun vulkulaki che conosciamo...»
«Sasha Kirayev.» Raisa guardò Lukas. «Non ha il potere di... sentire il passato delle persone?»
Lui indugiò. «Quel ragazzo non è mai granché chiaro. Non con me, almeno. Io ho solo capito che riesce a percepire le sensazioni ed emozioni della gente che gli sta attorno e quindi, sì, anche cose legate al passato. Non credo però che sappia gestire la memoria di un altro.»
Raisa assentì. «Ecco perché ho pensato di chiedere anche a Soraya.»
«La figlia di Ljuba?» Dimitrij serrò le labbra e fece scattare la mascella con uno schiocco secco. «Vuoi scomodare la figlia del Vor per un lupo qualunque?»
Due figli del Vor, pensò Lukas. Si chiese se Ljuba avesse parlato a Dimitrij di quell'altro "affare".
«Non è un lupo qualunque, lo sai. Le circostanze in cui è arrivato qui, senza apparentemente avere la minima idea di cosa gli sarebbe accaduto ad aggirarsi in forma animale, sono quantomeno sospette. Ripeto: non ho mai incontrato un vulkulaki così inconsapevole. Della sua natura, del suo potere, della necessità di nascondersi agli occhi degli umani. Non si tratta di audacia, è come se non sapesse neanche chi è. Andrej mi ha detto che sta avendo degli incubi e che ogni tanto gli sembra di ricordare qualcosa del suo passato, ma non ne è sicuro. È come se dentro la testa avesse dei ricordi non propri, mi ha detto proprio così. Io dico che dobbiamo capire chi è e perché è finito qui, se gli è successo qualcosa che potrebbe mettere in pericolo tutti noi.» Raisa concluse quel discorso con tono fermo e si girò di nuovo verso Lukas. «Voglio parlare con Kirayev e chiedergli se può aiutarci. Soraya lo può guidare: può entrare nella testa di Sereb, creare le condizioni ottimali perché lui possa usare il suo potere. Mi piacerebbe poi parlargli meglio.»
«A chi, a Sasha?»
«Sì. Mi è capitato di incontrare molti senzienti, ma mai... un "empatico", forse questo è il termine giusto. Il suo potere non ha a che fare con la mente, come il mio o quello di Soraya, ma con la sfera delle emozioni, un terreno molto meno controllabile, meno percorribile. È un dono raro.»
«Tutti lupacchiotti con grandi poteri mistici qua, vedo» ci scherzò su Lukas. «Solo io ho avuto il dono della carneficina.»
Raisa sorrise, appena. Sembrava essere ritornata lei, come se la visione di Yuri Petrov fosse stata solo un miraggio. «Tu sei un'arma umana, Lukas.»
Non perfetta però, pensò lui. Non come la intendeva Ljuba, quantomeno.
Dimitrij era ancora così rigido che sembrava che qualcuno gli avesse infilato la canna di un fucile su per il culo. «A me sembra del tutto inutile, uno spreco di tempo e di risorse. Ljuba è d'accordo?»
«Gliene parlerò domani, appena torna da San Pietroburgo. Volevo prima parlarne con te.» Raisa inarcò un sopracciglio. «Perché inutile? Anche se non dovesse funzionare, sarà un modo per testare il potere di Kirayev. Potrebbe esserci utile in futuro.»
Dimitrij fece una smorfia. «È solo un ragazzino. E anche quell'altro non è nessuno. Non capisco perché ti sei fissata.»
«E io non capisco perché tu sia così reticente.» Raisa lo guardò a fondo. «Cosa c'è che non va?»
«Niente.» Dimitrij scosse la testa, di nuovo, le labbra sempre strette e la postura di qualcuno che non vede l'ora di andarsene – Lukas lo percepì. «È tutto? Hai già deciso?»
«Domani lo proporrò a Ljuba. Voglio che ci parli anche Andrej.»
«Bene.» La voce di Dimitrij era dura quanto il suo sguardo. Superò Raisa e si avviò verso la fine del vicolo. «Ci vediamo.»
Lukas aspettò che sparisse dietro l'angolo prima di sbottare: «Sempre simpatico, eh. Ma chi è che lo ha mandato in bianco così male in passato da farlo diventare così acido?»
Raisa non replicò. Guardava la strada vuota.
«Non ti è sembrato strano?» gli chiese.
«Strano in che senso? Più stronzo del solito?»
«No, strano. Diverso.» Si mordicchiò il labbro inferiore, un gesto che le vedeva fare di rado. Quando lo lasciò andare, c'era un'unica linea rossa. «È sempre stato scorbutico, ma mai ottuso. E ora... non ti è sembrato che stesse scappando?»
«Ha detto che aveva fretta. Lo conosci: non è uno che si ferma a bere una vodka con te.»
«Mm» commentò lei. Smise di guardare la strada e lo fissò. «Lo sai da più di due settimane?»
Era ritornata a parlare di Petrov. Lukas sospirò. «Mi spiace non avertelo detto. È vero quel che ha detto lui comunque: non era previsto che vi incontraste. Ljuba lo ha chiamato giusto per avere alcune informazioni e deve aver pensato non ci fosse bisogno...»
«... di essere onesto con me, ovvio.» Di nuovo una fiamma riverberò nel verde delle sue iridi. «Non dovrei sorprendermi, in realtà. I Vosikiev sono sempre stati così: controllano il territorio senza preoccuparsi di chi lo abita. Ljuba non è diverso dai suoi antenati.»
Quel discorso, in tutta sincerità, gli risultò abbastanza enigmatico.
«Mi spiace, Raisa.»
«Non è colpa tua.» Lei fece un gesto con la mano, distratto, e il suo viso si ammorbidì. «Dispiace a me non avertene mai parlato. Anch'io non sono stata onesta. È solo che...»
«Ognuno ha i suoi segreti, no? Quelli che non confessiamo neanche a noi stessi.» Rispolverò una frase che le aveva sentito dire anni prima e scrollò le spalle. «È di certo un tipo particolare. Qualcuno in grado di farti arrabbiare così... non pensavo esistesse una creatura del genere al mondo, lo ammetto.»
«Neanch'io pensavo esistesse più» ribatté lei, appena un bisbiglio.
Lukas non chiese altro.
«Vuoi venire a farti una vodka? Per sbollire la rissa e fare un ingresso trionfale. Non so se l'hai notato, ma li hai lasciati tutti di stucco, quei lupi di città.»
«No, vado a casa, grazie. Tu ritorna al tuo pranzo.» Lei accennò un piccolo sorriso e lo guardò con intenzione. «Mi dispiace averlo interrotto.»
Ah, sì, il pranzo... nella concitazione degli ultimi minuti si era quasi dimenticato cosa stava facendo.
Il sorriso di Raisa si allargò nel vederlo voltarsi verso la porta. «Non ti preoccupare, non sarà andato via.»
«No, non cr... cosa?» Lukas ritornò a guardarla: sì, stava proprio sorridendo, un altro evento raro a vedersi. Sembrava divertita. «Stai leggendo i miei pensieri?»
«No. E per inciso: non ne ho bisogno in questi casi.»
«Ah, l'intuito femminile, me lo scordo sempre.»
«Chiamalo intuito e basta. Lo sai che cerco di evitare di "leggere" la mente delle persone, soprattutto se si tratta di te. Non sono certo una puritana, ma tu sei, come dire, molto... vivido quando hai certi pensieri.»
Lukas si sentì sorridere da lato a lato. «Ho un'immaginazione fervida. E non solo quella.»
Ci teneva a precisarlo: cercava sempre di tradurre i suoi desideri in azioni ed era per lui un vanto farlo dopo un lungo accerchiamento. Era nella sua natura, la natura del predatore: cacciare, faticare, essere respinto, ingaggiare lotte, con altri e con se stesso. Solo così, pensava, si può davvero assaporare l'ebbrezza della conquista.
Raisa non commentò. Si sporse a dargli due baci sulle guance. «Vai. Recuperalo. Ci sentiamo domani.»
Lukas la salutò e infilò la porta. Ripercorse a ritroso il locale, scese le scale e arrivò al basamento. La targa con la citazione della Achmatova lo occhieggiò sbilenca quando entrò.
Ilyas era ancora seduto al tavolo. Non se ne era andato. Non che lo avesse pensato, ma forse per un attimo... C'era Lara con lui. Stava bevendo la vodka direttamente dalla bottiglia.
«Lukaaaaas» lo accolse, entusiasta, la voce strascicata e gli occhi annebbiati. «Dov'eri finito?»
Lo sguardo che gli scoccò Ilyas nel momento in cui lo vide avvicinarsi poteva dire tutto e niente. C'era ancora un alone di durezza nei suoi occhi, stemperato però a qualcos'altro: confusione forse, un velo di perplessità.
«A impedire che quei due distruggessero tutta Mosca.» Lukas riprese posto davanti a Ilyas, al fianco di Lara. Osservò la bottiglia mezza vuota che lei stringeva in mano. «L'hai bevuta tutta tu?»
«Mentre tu salvavi Mosca, io e questo simpatico giovanotto abbiamo visto i diavoletti verdi.» ¹
"Simpatico" non era proprio il termine che avrebbe usato lui, ma tant'è.
«Io non ho bevuto niente» puntualizzò Ilyas.
Lara gli allungò un colpetto al braccio e ridacchiò. «Bravo, bisogna essere forti nello spirito quanto nel corpo. Così mi diceva mio padre, anche se lui beveva vodka di grano tutte le mattine a colazione.»
«Usanza molto russa» commentò Lukas, salace. La guardò con più attenzione. «Lara, vuoi che...»
«No, no, non ti preoccupare per me! Ho finito, ho finito, ci sono delle mie amiche laggiù, adesso le raggiungo. Stavo facendo compagnia a... Ilyas, vero? Ecco, a Ilyas. Stavamo parlando di quel che è successo.»
«Tutto bene?» Ilyas, braccia incrociate, gli scoccò un'altra occhiata in cui ora la confusione era evidente e si mischiava a un genuino stupore. «Si può sapere che cazzo è successo?»
«Niente, vecchie beghe tra amanti. Avevi visto giusto, Lara: quel tipo è un mascalzone.»
«Oh, siete tutti dei mascalzoni in qualche modo» ribatté filosoficamente lei. «Solo, ecco, una ogni tanto ci spera di incontrarne uno più normale. Ma, oh, non mi dispero. Lo conoscevo da due giorni e impiegherò il tempo di bere questa bottiglia per dimenticare il suo nome.» Bevve un altro generoso sorso e posò la vodka sul tavolo con un sonoro "ah". «Odio gli uomini» soggiunse, come un ripensamento. Si stropicciò gli occhi e si voltò verso Ilyas. «Tu no, tu sembri un tipo a posto. Sei anche molto bello, sai?»
Ilyas la fissò a sua volta. «E tu sei ubriaca.»
«Beh, sì, ma domani mi passa.»
Lukas si lasciò sfuggire un sorrisetto.
Lara si alzò alla fine e raggiunse le sue amiche sedute a un altro tavolo. Lukas le lasciò la bottiglia, che ormai conservava poche dita d'alcol. Lei se la portò via come fosse un trofeo.
«Certo che siete tutta gente strana» commentò Ilyas appena rimasero soli. Aveva una mezza smorfia incastrata tra le labbra. «Fate tanto l'allegro branco e poi vi prendete a botte appena vi vedete?»
«Ah, io stavolta non ho preso a botte proprio nessuno, anche se mi sarebbe piaciuto.» Abbassò gli occhi sul proprio piatto su cui era posata una buona porzione di manzo allo Stroganoff, ormai freddo. «Hai finito?»
Ilyas annuì. Il suo piatto era vuoto e in effetti a Lukas era passata la fame.
«Vogliamo andare?» propose. Si sentiva troppi sguardi addosso, gente che lo conosceva, che conosceva Raisa; con molta probabilità si stavano tutti chiedendo cosa fosse successo.
Ilyas fece un altro cenno di accordo e si alzò. Mentre Lukas si infilava la giacca, gli domandò: «Come ha fatto a sollevarlo così?»
«Cosa?»
«Lei. Come ha fatto a sollevare quel tipo così, a lanciarlo contro l'altro lato della stanza? Anche lui: ha sollevato quel tavolo come fosse un giocattolo.» Una linea profonda gli incideva la fronte, adombrandogli il viso. «Com'è possibile?»
Lukas prese tempo. Finì di rivestirsi, si guardò attorno. «Sono lupi forti.»
«Ma erano umani in quel momento.»
Non doveva sapere nulla dello "svezzamento". Da una parte ne fu rincuorato.
«Hanno dei poteri che glielo permettono.» Si mantenne sul vago e si premurò di chiudere il discorso indicando la porta. «Vieni?»
Uscirono, seguiti da non pochi sguardi che Lukas ignorò bellamente. Quando furono fuori dal Vseslav, si voltò verso l'altro.
«Sembra proprio che io e te non riusciamo ad avere una conversazione normale.»
«Mm» si limitò a mormorare lui.
Si stava tirando su la zip della giacca, ciocche di capelli scarmigliate sugli occhi. Li aveva ritirati in una coda arrotolata alla nuca, come faceva sempre, e si era un po' sfaldata. Altre ciocche raminghe gli accarezzavano il collo lungo e affusolato, su cui il riflesso del sole si infrangeva. Lukas venne catturato per un momento dal gioco della luce sulla pelle.
«Non guardarmi così.»
Dovette riscuotersi. «Eh?»
«Non guardarmi così» ripeté Ilyas, secco. «Come se fossi la carne che non hai mangiato.»
«Ah.» Abbozzò un sorriso, ma non era impacciato. «Scusa. Mi capita.»
«Beh, vedi di non fartelo capitare.»
«Se ti dà davvero fastidio...» Distolse lo sguardo per puntarlo verso la strada attraversata solo da pochi pedoni. «Ritorniamo alla base, avanti. Tua sorella ti starà aspettando.»
Ilyas gli si affiancò, mani in tasca, e così si diressero verso la macchina. Lukas aveva appena aperto la portiera quando lo sentì borbottare: «Comunque grazie.»
«Cosa?»
«Grazie per essermi venuto a prendere. Non eri tenuto a farlo.»
«Delle scuse, un complimento e persino un ringraziamento. Tutto in un giorno. Sei sicuro che qualcuno non ti abbia rubato la personalità?»
L'altro sbuffò. Non sembrava scocciato, però. «Non ti ci abituare.»
«Oh, no, considero oggi il mio giorno fortunato, uno di quelli che capitano ogni mille anni.» Sorrise di nuovo, più affilato e smaccato, nell'entrare nella macchina, mentre Ilyas, dopo aver sollevato gli occhi al cielo, si infilava a sua volta.
Nell'abitacolo c'era odore di tabacco, di lana infeltrita, di sole rimasto a macerare tra i sedili. La strada oltre il vetro del parabrezza era invasa di luce.
«Mi prometti solo una cosa?» chiese Lukas prima di azionare il motore.
Ilyas si girò a guardarlo. «Cosa?»
«Che ci penserai bene prima di prendere una decisione. Riguardo l'esercito, dico. Promettimi solo di pensarci e... di parlarmene, se vuoi. Se hai bisogno di un consiglio. O qualunque altra cosa.»
«Ok» rispose lui, più velocemente di quanto si aspettasse. Ritornò a guardare davanti a sé. «Non ho ancora deciso niente.»
«Bene.» Lukas annuì e infilò le chiavi nel cruscotto. «Non c'è fretta.»
Non c'era davvero, pensava. Avrebbe usato il tempo a disposizione per convincerlo a non ritornare tra i ranghi dell'esercito, ma piuttosto fidarsi. Dell'organizzazione, di quel branco sgangherato eppure ancora in piedi in cui un lupo può aggirarsi senza temere troppo la luce del sole. Dei Vosikiev che anche col loro retaggio pieno di insidie e ombre avevano creato una solida rete per la sopravvivenza. Lo avrebbe convinto a fidarsi, sì, di tutti loro, ma soprattutto di lui.
¹ I "diavoletti verdi" sono un modo di dire russo quando si beve tanto. "Bere fino a vedere i diavoletti verdi". Trovai quest'espressione la prima volta in un racconto di Cechov.
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