Gli era stato concesso di assistere. In qualità di "salvatore" del lupo bianco ebbe il diritto di prendere parte al colloquio tra quest'ultimo e il Vor Ljuba Vosikiev. La notte prima, dopo una lunga discussione con Raisa, Sereb aveva capito che nessuno voleva ammazzarlo e si era finalmente calmato. Fu portato al cospetto di Ljuba Vosikiev senza opporre resistenze; era solo guardingo come lo era stato tutta la notte. Non avevano avuto tempo per dormire e Andrej si era quasi appisolato sul sedile posteriore della macchina di Raisa che li aveva condotti al quartier generale. Lei sembrava ancora fresca come una rosa anche se invisibili rughe di stanchezza le segnavano gli occhi. Quanto a Sereb, aveva cominciato a pensare che fosse un sopra-umano – o sopra-lupo.
Lui non l'aveva guardato, si era limitato a chiedere: «Davvero?»
Lo sa. Perlomeno lo intuiva. Quanto ricordava del momento precedente la metamorfosi, prima di svenire? Andrej non aveva mai visto qualcuno soffrire tanto nel trasformarsi.
«Credi a quel che ti pare, ma ora siamo...»
Stava per dire "compagni", ma gli era suonato tutt'un tratto troppo sbagliato e quindi non aveva più parlato.
Ljuba Vosikiev disse le solite cose che diceva di fronte a un nuovo vulkulaki – ricordava le parole che gli aveva rivolto quando si era trasferito a Mosca –, ma notò un atteggiamento diverso: anche il Vor era guardingo, quanto e più di Sereb.
«Non ricordi nulla? Nulla di nulla?»
«Ricordo solo che ho sempre corso» dichiarò il ragazzo, ripetendo ciò che aveva detto a Raisa quella notte. «E poi un giorno ho sentito un richiamo.»
Richiamo... Andrej si convinceva ogni istante di più che quel tipo fosse fuori da qualsiasi schema.
«Un richiamo in che senso?»
«Come una voce. O un odore piuttosto. Qualcosa che mi chiamava qui, a Mosca.»
Forse si era drogato...
Vosikiev lo guardava con attenzione. «Un sogno?»
«Qualcosa di simile.»
«Una visione?»
«Anche.»
«Con queste risposte criptiche non risolviamo niente, ragazzo.»
«Non sono qui per risolvere un bel nulla» ribatté lui. «Voglio essere lasciato in pace.»
«Per cosa? Per aggirarti come un lupo in una città che è pronta a spellarti vivo? Come hai potuto essere così incosciente da non trasformarti in umano?»
«Ve l'ho già detto: non ci riuscivo. Ieri sera... mi sembra di indossare questi panni per la prima volta.»
Andrej ebbe l'impressione che la sua sicurezza vacillasse. Anche a casa, con Raisa, aveva avuto la stessa esitazione. A sentirlo, quel ragazzo non si era mai trasformato prima d'ora e questo era assurdo, andava contro ogni cosa che avesse creduto di sapere sui vulkulaki.
Colse l'occhiata del Vor rivolta a Raisa, che annuì impercettibilmente. Il ragazzo stava dicendo la verità. Di colpo un fitto reticolo di rughe aggrondò la fronte di Vosikiev.
«Non ho mai avuto a che fare con un vulkulaki che non conoscesse la sua natura umana. Al massimo succede il contrario.»
Sereb non rispose.
«Lasciateci soli» ordinò il Vor ad Andrej e Lukas.
Andrej seguì Lukas fuori dalla stanza, continuando a sbirciare furtivamente il suo simile. Sereb stava dritto come un fuso, quell'espressione rigida di concentrazione che tradiva una strana, impercettibile inquietudine.
Non è mai stato umano, pensava, perplesso. Com'è possibile?
«Secondo te sta mentendo?» chiese subito a Lukas nel corridoio.
«Ovvio. Oppure la spiegazione più credibile: ha un enorme vuoto di memoria.»
«L'ho pensato anch'io. Stanotte Raisa gli faceva domande sul suo passato e lui rispondeva a mozzichi, diceva di non ricordare più che un branco circondato dalle fiamme. Pensavo stesse mentendo per proteggersi, ma Raisa ha detto che era la verità. A proposito.» Saltellò da un piede all'altro. «Non sapevo fosse anche in grado di manipolare la mente.»
Lukas lo guardò interrogativo.
«Ieri lo ha costretto con la forza del pensiero ad abbassare l'arma.»
«Però, quel ragazzo è un guerriero» commentò lui con una risata aspra. «Sì, se vuole Raisa può "controllare" la mente di una persona costringendola a fare quel che lei desidera, ma per poco e solo con una certa intensità. La moglie di Ljuba ci riesce integralmente.»
«Oh.» Andrej non aveva mai conosciuto la consorte del Vor. Si diceva che tra lei e il marito le cose non andassero bene; lei viveva a San Pietroburgo, lui a Mosca, non si parlavano e non si vedevano da anni. «E, senti, ci sarebbe un'altra cosa...»
Di nuovo quello sguardo interrogativo. «Andrej, sputa il rospo. Cos'è successo stanotte? Sembri scosso.»
«E come dovrei essere secondo te? Ero partito con l'intento di uccidere un mio simile, poi mi si è trasformato davanti agli occhi – completamente nudo – e mi ha minacciato con un coltello alla gola dopo averlo salvato.»
«Era sempre nudo?»
«È un tipo fuori dalle convenzioni.»
Lukas rise di gusto. «Ultimamente stanno capitando gli esemplari più particolari in questa città. Allora, la tua domanda?»
«Riguarda sempre Raisa.» Esitò, provando la sensazione di essere davanti a una porta che non avrebbe dovuto aprire. «Ieri, dopo aver costretto Sereb ad abbassare il coltello, gli è saltata addosso sotto forma di lupo e poi da umana lo ha sollevato da terra, sbattendolo al muro e quasi strozzandolo.» Lo guardò con aperta perplessità. «Com'è possibile? Cioè, lo so, è una vulkulaki. Noi tutti siamo più forti di un essere umano normale, ma solo quando ci trasformiamo. Lei ha avuto la stessa forza di un lupo da umana. Non avevo mai visto nessuno così forte a parte... a parte te.»
Qualcosa era cambiato nel volto di Lukas, ma fu tanto impalpabile da avere la stessa consistenza di un fiocco di neve sciolto contro il vetro.
«Ti ho detto un giorno che la mia forza non deriva soltanto dal mio potere» cominciò, piano.
Andrej assentì. Ricordava: era stato in occasione di un combattimento a mani nude come se ne facevano spesso nei bassifondi della città, in cui Lukas aveva mandato a tappeto tutti i suoi avversari. Andrej, che aveva solo assistito, aveva scherzato su come fosse facile vincere per un tipo come lui che aveva un corpo come fatto d'amianto, resistente a qualsiasi ferita, e l'altro aveva ribattuto con una frase che gli era rimasta impressa: La mia forza è stata un patto col demonio.
Allora non ci aveva dato tanto peso: era ubriaco e la vincita lo aveva reso euforico. Quel giorno si chiese cosa avesse voluto veramente dire.
«Sei sicuro di volerlo sapere?»
«Cosa sarà mai? Sarò un poppante in confronto a te o Raisa, ma ne ho viste e sentite di tutti i colori in questi anni.»
Voleva preservarlo? E da cosa? Lui aveva preso a calci qualsiasi innocenza avesse avuto l'ardire di possedere molti anni prima.
«In effetti, considerato il mondo in cui viviamo, non c'è da sorprendersi di nulla, ma è una cosa che può turbare.»
Non lo aveva mai visto così criptico: Lukas di solito era un uomo sfacciato, più che disinvolto coi propri peccati.
«Di cosa si tratta?»
«Non posso parlare per Raisa, ma esiste solo un modo perché un vulkulaki acquisti più forza e potere ed è mangiare carne.»
Andrej quasi gli rise in faccia. «Non mi vorrai dire che sono le proteine a darti la super forza? Cavolo, io sono un estimatore della zuppa di carne, perché non riesco a sollevare una macchina con una sola mano ora me lo spie...»
«Parlo di carne umana, Andrej.»
Si interruppe di colpo. Lo guardò, cosciente di non aver saputo nascondere ciò che quella risposta gli aveva trasmesso – era sempre stato così per lui: le emozioni gli passavano sul viso come una folata di vento sull'acqua; non era capace di celarle come facevano Raisa o il Vor e lo stesso Lukas, in una certa misura.
«Non tutti lo sanno» proseguì lui, sempre con voce calma e bassa. «È un segreto custodito nella comunità dei vulkulaki per impedire che troppi ne approfittino, rompendo l'equilibrio che da millenni permette alle due specie di coesistere. Noi siamo numericamente inferiori agli esseri umani, ma sapere che questi ultimi sono una tale fonte di potere avrebbe conseguenze irreparabili. Il mio clan, il clan di mio padre e di mio nonno, usava mangiare il cuore dei nemici sconfitti nelle lotte di territorio contro gli umani. A me fu concesso di mangiarne il numero di volte che mi distinsi in battaglia. Era un privilegio che veniva concesso con estrema cautela e comunque in molti, soprattutto vulkulaki figli di esseri umani, non approvavano. Mio padre, per esempio, figlio di un'umana, lasciò il nostro clan anche per questo motivo.»
Andrej si passò la lingua sulle labbra. «Quindi anche Raisa...»
«Raisa non parla volentieri del suo passato. Prima di arrivare a Mosca anche lei faceva parte di un clan, anzi, lo comandava, questo lo saprai. Mi ha fatto delle confidenze che non posso rivelare.»
«No, certo, non volevo...»
«Sai, conoscevo i nomi di quegli uomini, quelli di cui divorai il cuore. Mio nonno diceva che il crimine più grande che un uomo può compiere su un altro è rubargli il nome. Devo dire che anche mangiargli il cuore non è da meno. Mi ha reso più forte, però. Forse non sarei sopravvissuto al gulag senza quella forza.»
Si era fatto pensieroso. Andrej cercava di registrare quelle informazioni tenendo a bada l'inquietudine.
«E mangiare carne di vulkulaki?» chiese d'improvviso. La domanda gli sorse così, sulla punta della lingua.
Lukas sorrise, un sorriso affilato e amaro. «Se un essere umano può renderti più forte, immagina cosa può fare un tuo simile.»
Provò un brivido, intenso e freddo, lungo la colonna vertebrale. Tacque perché anche Lukas non sembrava più in vena di parlare.
La porta si aprì. Era Raisa; li invitò a entrare.
«Andrej» esordì il Vor appena furono al suo cospetto. Sereb stava ancora in piedi, dritto e immobile, lo sguardo ostile. «Andrej, ti occuperai della sua custodia.»
«Che cosa?» Avrebbe perlomeno voluto che lo preparassero al colpo. Spalancò la bocca e gli occhi. «Non capisco...»
«Non ha un posto dove andare e si rifiuta di entrare in una druzina o in uno dei nostri ricoveri, quindi la custodia passerà a te.»
«Custodia» sibilò Sereb, le labbra così strette da essere più bianche dei suoi capelli. «Io non sono...»
«Sì, lo abbiamo capito, non sei un lupo in gabbia. Ed è vero: non lo sei. Non siamo come quegli uomini che ti hanno catturato. Sei libero di fare quello che vuoi, ma devo assicurarmi che non semini caos in città trasformandoti in lupo per inseguire questo fantomatico richiamo.»
La voce di Ljuba Vosikiev era dura e venata di quella asciutta perplessità che aveva mostrato durante il colloquio. Con molta probabilità anche quei minuti da soli non lo avevano convinto della sanità mentale del ragazzo – anche Andrej se ne convinceva di meno ogni minuto che passava.
«Dovrà stare con me?» Ancora non realizzava. Boccheggiava, quasi. «Ma, Vor, io...»
«Sarai ricompensato.»
«Ma...»
«Prepareremo dei documenti. Passerà per tuo cugino.»
«... non è il cas... cugino? Non mi somiglia per niente!»
«I cugini non sempre si somigliano» osservò Lukas, che sembrava divertito, ma ben presto la sua espressione si indurì. «Se permetti, Ljuba, trovo l'idea assurda. Perché mai Andrej...»
«È l'unica persona in questa stanza di cui questo ragazzo si fidi.»
Una smorfia. La vide distintamente: Sereb fece una smorfia, ma lo occhieggiò e Andrej si ritrovò inghiottito da quello sguardo nero. Non seppe più cosa dire.
«Non so se è una buona idea, ma se sono queste le istruzioni...»
Le rotelle obbediscono, non pensano. Si ripeté quel mantra nella testa.
«Cercheremo di farti recuperare la memoria» disse il Vor a Sereb. «Per capire perché sei arrivato qui, perché non riuscivi a trasformarti e perché ieri ci sei riuscito senza apparente motivo. Ci sarà una spiegazione logica.»
«Voi cercate anche la logica, a me non interessa» disse il ragazzo. «So che c'è un motivo per cui sono qui e non ho bisogno del vostro aiuto per scoprirlo.»
È pazzo, pensava Andrej. Mi ficcherò un pazzo in casa, uno che ha provato a uccidermi e di cui ho già visto i genitali e tutto quel che sta sotto!
Maledizione a Sergej che aveva scelto proprio quella notte, mesi prima, per fare un raid.
«Abbiamo finito?»
Il Vor era impaziente: si vedeva che voleva liberarsi di loro. Ora che Sereb si era trasformato e non rappresentava più un pericolo era diventato irrilevante. Raisa appariva più interessata invece; continuava a osservare il ragazzo con un cipiglio vigile, cauto.
Ha mangiato carne umana, pensò Andrej e involontariamente rabbrividì. Anche Lukas.
Loro erano veri lupi in fondo, non come lui, un "lupo di città" come lo avrebbe definito sprezzantemente Sereb. Era vissuto in una famiglia umana fino a quindici anni e aveva scoperto la sua seconda natura per caso, nel modo peggiore possibile. Aveva visto sua madre morire davanti ai suoi occhi; da allora non aveva più avuto un posto in cui tornare – né un uomo da chiamare padre. Di clan, di branchi, di caccia, di solidarietà tra membri dello stesso gruppo, non sapeva nulla. Si era adagiato nelle maglie della Mafiya così come in quelle della comunità vulkulaki moscovita comandata dai Vosikiev senza mai alzare la testa o prendere una decisione di sua iniziativa e, prima che quel lupo incrociasse la sua strada, non si era mai sentito fuori posto per quel modo passivo di accogliere le circostanze della vita; lo riteneva inevitabile, un modo per non soccombere.
Si sfregò le mani sui jeans e posò lo sguardo ovunque tranne che su Sereb.
«Va bene, prenderò la sua custodia. Cosa devo fare?»
«Nulla, portalo a casa.»
L'essere trattato come un bene sotto sequestro non dovette far piacere a Sereb: lo udì ringhiare tra i denti.
«Vieni con me. Ti accompagno.»
Andrej cercò di smorzare con la gentilezza il tono perentorio del Vor. In questo era bravo: tutti di solito lo trovavano simpatico e accomodante ed erano felici di fare quel che chiedeva.
Sereb lo guardò un attimo, poi, irrigidendo le spalle, si mosse e lo oltrepassò senza degnare di un'occhiata gli astanti.
«Mi sa che devo seguirlo.».
Ljuba Vosikiev lo fissava con severità.
«Mi dovrà molti soldi» fu l'ultima cosa che borbottò Andrej prima di voltarsi, salutare sbrigativamente Raisa e Lukas e uscire.
Trovò Sereb nel corridoio, in piedi contro il muro. Lo stava aspettando.
Non ha altro posto dove andare, rifletté. Vuole restare a Mosca.
Era strano pensare di essere l'unico appiglio per quel tipo che sembrava in grado di strapparti la giugulare con una sola occhiata torva.
«Senti.» Prima di avviarsi lo approcciò. Trasse un profondo respiro e si sforzò di guardarlo negli occhi. «Questa situazione non piace a te come a me. L'ultima cosa che vorrei, credimi, è riproporre una situazione come quella della druzina. Ma è diverso, lo capisci, vero? Non c'è nessuna gabbia, non sei prigioniero di nessuno. Potremmo anche... insomma, potremmo...»
Qualunque cosa stesse per dire fu troncata sul nascere dal suo sibilo.
«Ieri volevi uccidermi.»
Non fu una domanda. Non aveva nessun accento interrogativo e il suo sguardo era deciso, dritto; Andrej non riuscì a reggerlo. Fece scivolare gli occhi al di là delle sue spalle, in un punto imprecisato del corridoio dove era più facile posare lo sguardo.
«Anche tu hai provato a farlo.»
«L'ho fatto per difendermi.»
«Anch'io lo stavo facendo per difendermi, per difendere tutti, perché, come te con me, pensavo che tu fossi un pericolo.» Aumentò la voce, che si fece rauca anche al proprio orecchio. «Mi odierai per questo? Perché ho pensato che non ci fosse altra scelta?»
La risposta dell'altro lo sorprese. «No.»
Lo sguardo di Andrej ritornò all'istante al suo viso.
«Non hai obbedito a degli umani, lo hai fatto per dei lupi e questo...»
Sereb scosse la testa; i capelli gli caddero davanti agli occhi a quel movimento, ciocche scarmigliate che per un istante gli offuscarono il viso. Avrebbe avuto bisogno di un bel taglio, considerò Andrej, ma nel momento in cui partorì quel pensiero – piuttosto inopportuno per il contesto serio –, pensò anche che non avrebbe sopportato l'idea di una forbice tra quei capelli bianchi. Sembrava un affronto, un delitto, come sporcare la neve...
«C'era un motivo, un motivo nobile.»
Andrej sbatté le palpebre. Lo guardò come se volesse metterlo a fuoco.
«Fammi capire: non ti andava bene quando ti coprivo mentre eri prigioniero di umani, ma ucciderti per dei lupi sarebbe stato ammissibile e nobile?»
Di nuovo Sereb scosse la testa. «Lo avresti fatto per proteggere la nostra specie, non per gli interessi di un manipolo di volgari umani.»
«Non avrei mai lasciato che quegli umani ti spellassero, per inciso.»
«Ma mi hai catturato.»
«Te l'ho già detto milioni di volte: non mi ero accorto che eri un mio sim...»
«Mi hai voluto tirare fuori da lì solo perché ero metà umano. Avresti catturato e lasciato morire un lupo per gli interessi di quegli uomini, lo neghi o no?»
Non lo negò: rispose con un teso silenzio.
Sereb fece un cenno col capo, come a confermare una teoria. I suoi occhi erano ritornati impenetrabili come nella gabbia.
«È questo che non sopporto: abbassarsi, in un modo o in un altro, agli umani. Ieri mi avresti ucciso, sì, ma lo avresti fatto da lupo.»
«Noi siamo tutti e due le cose» disse allora Andrej, un sussurro.
«Tu forse lo sarai, io no. Io voglio essere solo un lupo.»
Detto questo, Sereb si girò e incedette nel corridoio, lasciandolo in quel silenzio che si spandeva in ogni angolo come un veleno, o un giudizio.
Trattenendo un sospiro, Andrej lo seguì.
Angolo scribacchiante
So che il cannibalismo (sort of) è un tema abbastanza forte. C'è da dire anche che è molto frequente nelle storie che parlano di licantropi o esseri mostruosi in generale come, che so, i giganti (penso a AoT,) quindi immagino prevedibile per molti, niente di sconvolgente. Spero poi sempre che gli avvertimenti e i warning che ho messo all'inizio abbiano già "scremato" i lettori che non si troverebbero a loro agio con certe tematiche. Comunque lo scrivo qui: non ci saranno tante scene grafiche in tal senso e quando ci saranno saranno poco splatter (non mi piace lo splatter fine a se stesso) e avviserò.
La prossima settimana sono in trasferta, l'aggiornamento tarderà un pochino ma arriverà. Buona domenica intanto ^^
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