X. Alla luna - prima parte

Ta-dà tornata! Spero abbiate passato delle belle vacanze: le mie lo son state, rilassanti e poi vorticose all'ultimo col festival di Venezia. Vorrei ancora essere lì, lo ammetto, ahah.

Nuova prima parte di capitolo. Si riprende con gli aggiornamenti. Grazie a chi segue ma soprattutto a chi vota e commenta. Non siate timidi, almeno con i voti che aiutano la storia a essere più visibile. Se li lasciate giuro che non vi rincorro come questi lupetti :P 

Buona lettura e buon rientro a tutti ^^


X. Alla luna


«Questo è impossibile» ripeté Lukas forse per la decima volta nel giro di dieci minuti.

«Vi dico che è vero!» insistette Andrej e quasi ebbe la tentazione di sbattere un pugno sul tavolo per dare più enfasi alla propria dichiarazione. Peccato che avesse ancora il braccio fasciato. «Non sa trasformarsi.»

«Non si è voluto trasformare, è diverso.»

«Ho già detto come è andata: aveva la possibilità di fuggire, di avere la libertà e non si è trasformato perché non sapeva farlo. So quel che ho visto, Vor.» Si rivolse direttamente a Ljuba Vosikiev. «Non sto mentendo: eravamo lì, ho considerato le alternative e, data la situazione, ho deciso di farlo scappare in quel momento, ma lui non si è trasformato.»

«Sei sicuro che non ne sia capace?» domandò Vosikiev.

«L'avrebbe fatto, se l'avesse saputo fare.»

Calò il silenzio, netto, quasi disturbante. Si trovavano nella sala adibita per quegli incontri, Vosikiev era in piedi, come al suo solito; c'erano Lukas e Dimitrij, anche loro in piedi, mentre Raisa sedeva a gambe accavallate sul divano. Andrej si era alzato, nella foga, mentre spiegava cos'era successo il giorno prima. Ancora lui per primo non riusciva a crederci.

«Puoi andare» lo congedò il Vor.

Tentò una protesta. «Ma...»

«Puoi andare, ragazzo.»

Ora si sarebbero messi a parlare di quella novità, escludendolo, nonostante lui avesse un ruolo più che rilevante nell'operazione. Non era forse giusto che sapesse se era possibile per un vulkulaki non sapersi trasformare? Com'era possibile una cosa del genere? Come poteva tirarlo fuori dalla druzina se non assumeva sembianze umane?

«Rimani in attesa di istruzioni» disse Vosikiev, mentre Andrej si avviava. «Lukas, accompagnalo.»

Quando furono nel corridoio, da soli, dopo aver fatto un paio di metri, Lukas parlò: «Tutta questa storia è assurda.»

«Lo dici a me?» soffiò lui, trattenendo una smorfia. «Io ora come faccio a farlo scappare?»

«Ljuba si inventerà qualcosa.»

«Ma manca poco alla Maslenitsa, non abbiamo tanto tempo. Se Boris Novikh lo vede siamo fottu...»

«Non c'è bisogno che dici quanto siamo fottuti. Troveremo un modo, Ljuba lo trova sempre.»

Questo lo aveva sempre sorpreso di Lukas Maraskin: era un uomo che non si fidava di niente e di nessuno, ma per Ljuba Vosikiev provava una fiducia quasi incondizionata che destava stupore e tante domande.

«Merda, merda, merda» esclamò, tra i denti. Gli tremavano le dita. «Ieri ho avuto paura. Non hai idea di che aspetto avesse... Gli ho sparato, cazzo! Con un tranquillante, non un proiettile, ma gli ho sparato. Già quello mi odia, ora chissà cosa...»

«Fregatene di cosa pensa di te, già ti stai facendo il culo per liberarlo, dovrebbe ringraziarti che non lo ammazzi. Io lo farei.»

«Hai già espresso più volte il tuo punto di vista.»

«Che è quello più ragionevole. Vedrai che se non si trova una soluzione, rimarrà solo quella possibilità.»

Andrej strinse i pugni e non parlò più per tutto il resto del tragitto.

Fuori il cielo era plumbeo, un color grigio piombato, desolante. Il vento era uno schiaffo gelido in piena faccia; non si riparò, sollevandosi il colletto. Accolse il freddo come fosse un bacio.

«Perché non ti prendi una pausa?»

«Come?» Si girò verso Lukas che lo fissava dall'alto della sua statura, un alone caldo negli occhi azzurri.

«Una pausa. Prenditi una boccata d'aria da questo bordello e vieni a un bordello vero. Noi stasera andiamo al Zara.»

«Voi chi?»

«Alcuni della mia druzina e i nuovi acquisti. Li portiamo a divertirsi un po'. Sai com'è, l'addestramento prevede anche questo.»

«Aspetta, per i nuovi acquisti intendi...»

«I lupi, già.»

Raisa gliene aveva accennato quella sera di un paio di settimane prima. I nuovi vulkulaki entrati come finti membri della druzina del Volk; tra loro c'era anche il cugino di Sergej.

«Vengo volentieri.» Era curioso, in fondo. «E forse è vero: mi serve una pausa. Sono tutto un fascio di nervi per questa storia. Questi giorni mi devo imbottire di medicine per questa ferita del...»

«Ti ha fatto molto male?» chiese Lukas, scrutando la fasciatura che portava al braccio sinistro.

D'istinto Andrej lo strinse con l'altra mano. «Non è stata una carezza, ma no, sarebbe potuta andare peggio. Pensavo che mi avrebbe ammazzato.» Guardò un punto indefinito dell'orizzonte di edifici. «Dannazione, di questo passo invecchierò prima del tempo.»

Se ieri Sereb si fosse trasformato, ora sarebbe stato al sicuro, pensava, anche lui avrebbe potuto aggirarsi libero e senza difficoltà a Mosca.

Se lui...

«Ringrazia se ci arrivi alla vecchiaia» commentò Lukas, poi gli diede una pacca amichevole sulla spalla, vigorosa come al suo solito, e si voltò, dopo avergli detto orario e posto per quella sera.

Andrej volse lo sguardo verso il cielo, quella cappa pesante che sembrava opprimere ogni cosa, inserendola in un paesaggio congelato. Saliva dalla città un soffio profondo, come di carne malata, di anima marcia. Aveva sentito anni prima che ognuno porta con sé l'odore dell'anima, i lupi come gli umani, ma non sapeva se crederci. Che anche le città avessero un odore e quindi un'anima e quella di Mosca fosse incontrovertibilmente malata?

Dannato lupo, pensò per l'ennesima volta.

Lo avrebbe tirato fuori da lì. Fosse stata l'ultima cosa che faceva in vita sua.

***

Il posto si chiamava Zara e sembrava una chiesa.

«È fatto apposta» aveva spiegato uno di quegli stronzi. «È costruito come una vecchia chiesa ortodossa.»

Ilyas sapeva che, quale ormai membro della druzina, non avrebbe dovuto chiamare i suoi compagni "stronzi", ma l'altra sera si era ritrovato le lenzuola striate di merda, quindi faticava a trovare lo spirito cameratesco.

«Cerca di non fare l'attaccabrighe» gli aveva raccomandato Aisha, una raccomandazione a vuoto: lui non era come lei, non era calmo come lei. Alle provocazioni rispondeva, era incapace di rimanere indifferente, ecco perché, dopo aver saputo chi era il simpaticone che gli aveva fatto quello scherzo, gli aveva ficcato la testa nel cesso intasato del bagno della sede centrale. Ciò gli era valso alcune contusioni e il rischio di una coltellata ai genitali, ma era venuto Liperin a sedare gli animi.

Quali nuovi membri senza dimora potevano usufruire degli stanzoni della sede per alloggiare insieme ad altri nella loro stessa situazione. Aisha era stata messa in una stanza singola. Anche se si era tagliata i capelli e indossava maglie larghe il doppio, si vedeva benissimo che era una ragazza. Ilyas aveva insistito che quella sera venisse con loro; non si fidava a lasciarla sola, ma lei aveva nicchiato. Sarebbero andati tutti in quel locale meno un paio di uomini. Lei si sarebbe chiusa a chiave, leggendosi un libro.

«Poteva venire» stava dicendo Sasha, mentre lasciavano l'ingresso per seguire una cameriera dalla scollatura generosa e i tacchi alti come trampoli.

«Non le piacciono questi posti.»

«Perché, a te sì?»

«Almeno prendo una boccata d'aria da questa fogna di mafiosi.»

«Abbassa la voce» sibilò lui, affannato.

«Ma chi vuoi che ti senta qua dentro?»

La musica era alta, una melodia metallica, stridente. Faceva caldo dentro quel locale tagliato da luci stroboscopiche. Ilyas si guardò intorno, percependo i vari odori e suoni del nuovo ambiente come sempre faceva quando metteva piede in un territorio sconosciuto. Quello non sembrava altro che un buco di perdizione come tanti, arredato come una chiesa con candele che illuminavano nicchie scavate nelle pareti tanto per dare un'atmosfera blasfema. Le pareti erano invase di raffigurazioni iconoclaste, di antichi santi trafitti da spine e bastoni, ritratti nelle pose più oscene.

«Che posto!» sentì esclamare Sasha al suo fianco.

Certo che per essere figlio di un Vor era uno che si entusiasmava facilmente.

Vennero portati a un tavolo che era stato prenotato dal capo degli stronzi. Era così ormai che chiamava Lukas Maraskin nella sua testa. Uno da cui tenersi alla larga, sicuro.

Se non fosse stato costretto a rimanere lì...

Era una copertura, si diceva. Stavano sotto l'ala di questo Vosikiev – che aveva idee che lo interessavano, doveva ammetterlo – per potersi aggirare indisturbati nella Organizatsya. Alla prossima luna piena, dopo la Maslenitsa, avrebbero potuto mettere in atto il loro piano: infiltrarsi nella sede della Bratstvo con il pezzo di DNA avuto da Sergej Novikh. Era quello il loro obiettivo e quello era rimasto.

Il capo si rivolse direttamente a lui: «Hai rinfoderato gli artigli questa sera per goderti un po' di sana compagnia?»

Lo sbeffeggiava sempre, ogni volta che gli parlava. Usava quei modi con tutti, ma con lui sembrava li adottasse in particolar modo. D'altronde non è che Ilyas si ponesse gentilmente nei suoi confronti. Quel tipo gli aveva infilato tre centimetri di lingua in bocca quando non aveva manifestato quel che si poteva definire un chiaro e lampante consenso; lo aveva malmenato, bloccato a terra e minacciato di far stuprare sua sorella davanti ai suoi occhi. Dati quei presupposti si sentiva più che legittimato a non mostrarsi amichevole.

«Non vedo nessuna sana compagnia» ribatté con una smorfia perché era capitato che fossero vicini.

Maraskin passò a Sasha. «E tu, barchùk? La reggi la vodka?»

«Sì, più o meno. E non chiamatemi barchùk, lo dico sem...»

«Ma tu sei un barchùk!» esclamò uno degli uomini, un tale di nome Nizar, alto due metri e dal volto rincagnato. «E noi siamo uomini d'onore.»

«Questa non la sentivo dai tempi della guerra fredda dei Salamenki.»

«I Salamenki erano due gruppirovki dello stesso ramo familiare che venti anni fa si scontrarono a Mosca, ottenendo solo l'estinzione di tutti i loro membri» spiegò Maraskin a Ilyas, che era l'unico a non conoscere gli annali della storia criminale russa.

«Storia interessante quanto il buco del culo di un bychara, direi» commentò lui piattamente.

Quella frase gli attirò sguardi ostili da parte di tutti tranne Sasha e il Volk. Quest'ultimo anzi sembrò divertito. Non si smontava mai davanti al suo atteggiamento poco cordiale; era un'altra cosa che aveva notato.

«Guardate, ecco un altro marmocchio!» esclamò Georgij Zatenov, dirottando l'attenzione degli astanti verso una figura sottile che si avvicinava.

Ilyas lo riconobbe: era il ragazzo che avevano visto con Sergej Novikh al Valhalla, quello che Sasha sosteneva essere un vulkulaki. Aveva un braccio fasciato.

Un altro. Cercò di captare il suo odore, ma sentì solo sentore di uomo. Se lo era davvero, doveva già saperlo nascondere.

«Ciao, Lukas, ciao, Georgij, ohi, Levin, come va la tua impotenza?»

L'arrivo del nuovo arrivato irradiò ilarità e buon umore. Conosceva tutti e salutò tutti con un sorriso disteso e cordiale che non si trovava spesso tra le persone che orbitavano nella Mafiya. Doveva essere uno scagnozzo dei Novikh. Ilyas si mise automaticamente in allerta.

«Andrej, cosa ti sei fatto al braccio?»

«Una brutta baruffa, ma niente di rotto.»

«Gliel'hai fatta pagare allo stronzo?»

«Oh, sì» rispose il tipo e sorrise, ma non pareva un sorriso vero.

«Loro sono Ilyas Hasani e Sasha Kirayev» li presentò Maraskin, mentre il ragazzo prendeva posto. «I nuovi.»

Ci fu un'accentuazione quanto mai palese in quel "nuovi" e Ilyas capì, dallo sguardo d'intesa che passò tra i due, che dovevano aver parlato di loro.

«Io sono Andrej, Andrej Lazarev, piacere.»

«Ciao» fece Sasha, esitante, ma con un accenno di sorriso, mentre Ilyas si limitò a un rigido cenno del capo.

Il tipo faceva finta di non averli mai visti.

«Tu da dove vieni?»

«Caucaso.»

«È un po' lontano da qui.»

«Sarebbe una brillante osservazione?»

«Scusalo!» si affrettò a dire Sasha. «Non è molto socievole.»

Il ragazzo di nome Andrej non se la prese. Sorrideva ancora. «Non sono mai stato fuori Mosca.»

Ilyas non rispose perché non gli sembrava, quell'affermazione, qualcosa per cui valesse la pena rispondere.

Il ragazzo si voltò verso Sasha. «Kirayev, hai detto? Maliska?»

«Sì, esatto, proprio quelli.»

«Il ragazzino è un barchùk» si interpose uno. «È venuto a fare un po' di apprendistato in una vera druzina moscovita.»

«Ma stai zitto, Grisha! Se uno dei Maliska ti sentisse sai il culo che ti farebbe?»

«Oh, perché, pensi che siano così superiori?»

«Ma lo sai che si dice dei Maliska? Chiedi al barchùk

Sasha cercò di schermirsi. «Beh, voi non è che siete male, solo che... lì ci sono metodi diversi.»

«So che va molto la castrazione» si inserì Maraskin con un pigro sogghigno.

«Anche. Va un po' tutto.»

Andrej Lazarev riprese parola: «E la tua famiglia ti fa stare qui a Mosca in una druzina mercenaria? Scusa, Lukas.»

«E di che? È la verità.»

«Ne abbiamo parlato» fu la risposta laconica di Sasha e, abbozzando un sorrisetto di scuse, si alzò dicendo che doveva andare in bagno.

Ilyas sapeva che aveva sentito i suoi nelle scorse settimane, il tempo che si erano trasferiti – erano stati imprigionati – nella druzina di Maraskin. Lo aveva sentito parlare al telefono, mangiandosi parole, balbettando, emettendo dei suoni rassegnati. A quanto aveva capito suo padre non gli aveva fatto storie – non lo aveva neanche cercato più di tanto quando, di punto in bianco, era sparito da Krasnodar –; era stata sua madre quella più apprensiva.

«Per favore, mamma» lo aveva sentito mormorare. Parlava un russo molto veloce, la voce che trasudava stanchezza. «Non posso tornare. Non voglio.»

Non avrebbe dovuto origliare, ma era capitato: non era colpa sua se quella cima sceglieva proprio il cesso in comune come luogo dove fare le sue conversazioni private. Ilyas aveva aspettato che se ne andasse, per non farsi scoprire. Lui odiava il pensiero che qualcuno potesse impicciarsi, anche senza mala fede, nei propri affari, quindi non si era palesato. Erano problemi suoi. Da quando erano finiti in quella druzina non aveva più niente da spartire con Sasha Kirayev, una cosa che avrebbe voluto che anche sua sorella capisse. Invece ogni tanto li scovava a confabulare...

Forse avrebbe dovuto ricordargli che la minaccia di evirazione era ancora valida, se si fosse azzardato a sfiorarla. Giusto per rinfrescargli la memoria.

«Non sei davvero socievole, eh?»

Riemerse da quei pensieri all'udire la voce del tizio nuovo, che stava – ancora – sorridendo.

Non gli era mai piaciuta la gente buontempona che vuole risultare simpatica a tutti. A quelli che sorridevano a ogni piè sospinto, poi, avrebbe volentieri spaccato i denti.

«No» rispose e si alzò a sua volta per andare al cesso.

Trovò Sasha che si stava lavando le mani. Lo prese per il polso, gesto che lo fece sussultare.

«Dimmi un po'» tenne un tono di voce basso per non farsi sentire nel caso ci fosse qualcuno nei bagni, «è lui quello che dicevi che era un lupo, vero? Il tizio che stava con tuo cugino quella sera.»

Il nobile annuì, torcendosi il colletto. «Lui, sì, l'ho visto... ho visto una strana immagine...»

«Deve sapere che lo siamo anche noi. Che cosa vuole ottenere quello stronzo, che facciamo comunella tra simili?»

«Lo stronzo sarebbe Maraskin?»

«Chi altri?»

«Per te lo sono tutti.»

«Tu no» confessò con un borbottio.

Lui sbatté le palpebre, preso alla sprovvista. Poi fece una smorfia rassegnata. «Perché credi che sia un deficiente.»

«Se anche fosse perché dovrebbe interessarti? Cosa ti importa di quello che pensa un altro di te?»

«Ah, le persone sicure di sé.» Si liberò dalla sua stretta, scostandosi e ritornando al lavandino. Riprese a lavarsi le mani. «O arroganti. Ecco, voi non ci arrivate a certe cose.»

Ilyas incrociò le braccia e lo guardò corrucciato dal riflesso dello specchio. Vedeva anche il proprio volto, un'ombra nell'ombra.

Sasha finì di pulirsi e, senza guardarlo, infilò la porta del bagno. Ilyas si lasciò sfuggire un sospiro. Poi si chiese perché diamine si preoccupasse per quel ragazzo; non era affar suo. Non erano amici, né compagni di una causa comune. Poteva anche trovare accattivanti le teorie portate avanti da quel Ljuba Vosikiev – sovrastare gli umani, non più nascondersi ma combattere alla luce del sole –, ma non credeva a panzane come la solidarietà tra simili o i codici di fratellanza. L'unica connessione che avesse mai avuto era stata con la sua famiglia. Aisha era l'ultimo legame che gli era rimasto, l'unico essere della cui vita gli importava più della propria; l'unico che avrebbe sempre anteposto a se stesso.

Quando tornò al tavolo avevano già servito la vodka.

«Ehi, assaggia un po', chissà che non ti faccia passare l'aria da cane rabbioso!» esclamò quello che aveva parlato prima, Grisha, sghignazzando insieme agli altri.

Ilyas evitò di rispondere e si sedette al suo posto. Iniziò a sorseggiare il cocktail. Sasha stava parlando con il loro simile.

«Quindi sei di Mosca?»

«In realtà prima abitavo nei dintorni, in campagna, vicino Serghjev Posad – quel che è rimasto della città. Avevamo una dacia, sì, sì, giuro, come quelle del passato con dei campi, i funghi da raccogliere, gli animali e...»

«Decapitavi galline, Andrej?» chiese Levin, apparentemente interessato.

Il ragazzo gli rivolse un sorrisetto. «Sì, ecco perché poi è stato facile vedersela con le teste di cazzo: in confronto le galline sono molto più intelligenti.»

Quella battuta scatenò un'ondata ilare, non condivisa da Ilyas, che ascoltava con indifferenza il racconto bucolico. No, non gli piaceva quel tipo. Troppo cortese, troppo fascinoso; il suo sorriso sapeva di falso, di qualcuno così abituato a impostarlo da averne perduto la spontaneità.

Una volta aveva sentito sua madre dire che esistono persone che sorridono troppo perché hanno pianto tanto...

«E come sei finito a Mosca?» volle sapere Sasha, che beveva a calibrati sorsi la sua vodka, facendo smorfie ogni tanto.

«Divergenze familiari» rispose il ragazzo con una leggera scrollata di spalle e cambiò subito argomento. «Adesso sto nella druzina di Sergej Novikh. Lo conosci?»

Sasha arrossì sensibilmente e Ilyas alzò gli occhi al soffitto: non sapeva neanche stare al gioco del far-finta-che-non-ci-siamo-già-visti-proprio-davanti-a-tuo-cugino-stronzo.

«Sì, è mio cugino.»

«Oh, sei imparentato coi Novikh!»

Di fronte a quelle chiacchiere che sottolineavano tutte cose che già sapeva, decise saggiamente di estraniarsi, scolandosi il suo intero cocktail e chiedendone un altro. Passò circa mezz'ora in cui non interagì con nessuno; stava finendo il secondo bicchiere quando dovette trattenere Sasha per il braccio perché ne voleva un terzo.

«Guarda che resisto, hic» dichiarò con voce malferma e gli occhi lucidi.

«Tu non resisti a un cazzo.»

«È così antipatico» si lamentò il nobile rivolto a quell'Andrej. Soffocò un singhiozzo. «Tu invece sembri simpatico. Ecco, dovresti insegnargli un po' di buone maniere. Perché non prendi esempio, Ilyas?»

«Non prendo esempio dai russi.»

«È pure razzista. Dio, ce l'ha tutte!»

«Ah, tu nomini Dio, è vero, è una cosa di voi nobili» rise Andrej Lazarev, la risata tintinnante come ghiaccio in un bicchiere. «Tuo cugino lo fa solo per bestemmiare.»

«Mio cugino è uno stronzo. Tutta la mia famiglia, sia da parte di madre che di padre, è una manica di stronzi.»

Eh, sì, il ragazzino aveva proprio bevuto troppo: gli si stava sciogliendo la lingua.

«È meglio che ti riportiamo a cuccia» decise Maraskin, alzandosi. Era uno dei pochi che pareva ancora lucido. «Non vorrei perdere il pezzo d'oro della compagnia.»

«Pezzo d'oro di cosa?»

«Barchùk, avanti, alzati.»

«Non chiamatemi così, quante volte ve lo devo dire? Mi dà fastidio... mi ha sempre dato fastidio...»

«Ah, questi nobili viziati» Ilyas sentì qualcuno sussurrare quella frase, ma non si voltò per indagare chi fosse. Si alzò a sua volta.

«Lo riporti alla base?» chiese a Maraskin.

«Sì, meglio di sì, non mi sembra che riesca a reggersi in piedi. E dire che suo cugino va famoso in tutta Mosca per reggere un intero Bajkal di vodka!»

«Vero» osservò Lazarev. Si alzò anche lui. «Vi accompagno, stavo giusto pensando di levare le tende.»

«Ehi, Andrej, subito te ne vai? Che sei venuto a fare?» domandò Levin.

«Non certo per vedere la tua brutta faccia.»

L'uomo sghignazzò e qualcun altro provò a trattenere il ragazzo come provarono a trattenere il Volk, prendendolo in giro sul fatto che stava facendo da balia. Maraskin reagì con apparente imperturbabilità. «Coi Maliska non si scherza» dichiarò.

Nessuno cercò di trattenere Ilyas, cosa che non lo sorprese, anzi.

Prese Sasha, circondandogli la vita con un braccio in modo da sorreggerlo nel camminare. Scansò bruscamente Maraskin quando si propose di aiutarlo.

«Basto io» sibilò e, diviso tra il ringraziare mentalmente il nobile per permettergli di andare via e mollargli un calcio per essere un tale idiota da sbronzarsi subito, lo trascinò per il locale, seguito dagli altri due. Lo caricarono in una delle macchine con cui erano venuti: una grossa Volga ritoccata sul modello di quelle prima della guerra coi finestrini infrangibili buoni per i raid.

Sasha si allungò sul sedile e protestò debolmente. «Non sono ubriaco.»

«Certo, e il mio cazzo non è grosso» fece Maraskin sottolineando una volta di più la sua capacità di dare arie al suo armamentario.

Ilyas lo sopportava sempre meno ogni giorno che passava.

«Allora.» Il ragazzo, Andrej, si voltò per guardarlo. «Lupi stranieri, eh?»

Non c'era nessuno nella via: la strada era deserta, la luce acquosa dei lamponi illuminava a sprazzi le pozze di neve sciolta sui marciapiedi. L'unica altra luce era quella del locale che avevano appena lasciato: un'insegna luminescente color blu elettrico. Quella era una notte dal cielo nero, screpolato, vuoto di stelle e di qualsiasi Dio, come sempre erano le notti di quella città.

Ilyas reagì a muso duro. «Sei uno scagnozzo dei Novikh.»

«Pensavo fosse pacifico.»

«Non parlo con gente invischiata coi Novikh.»

«Anche se è un tuo simile?» L'altro fischiò e si voltò verso Maraskin. «Però, questo ti assomiglia in fatto di solidarietà.»

«Io sono più simpatico.»

Ilyas guardò male tutti e due, mentre Sasha si sporse dalla portiera, sgranando gli occhi in direzione del ragazzo-lupo. «Io quella sera ti ho visto, ho capito che eri... c'era qualcuno che stava sparando, un uomo, un uomo, sì, e c'era una donna, una donna che urlava.»

«Di cosa sta farneticando?» sbottò Maraskin, ma il ragazzo, per un istante, era impallidito.

«Credo di aver bevuto troppo» mormorò Sasha, grattandosi dietro la nuca. Seguì una battuta dell'uomo e una smorfia da parte di Ilyas. Nel frattempo, Andrej Lazarev aveva riacquistato colore.

«Per quanto tempo volete rimanere?»

«Non sono affari tuoi» fece Ilyas.

«Per ora sono sotto la mia custodia, te l'ho detto» disse Maraskin, attirandosi un'occhiata gelida da parte di Ilyas e un sospiro rassegnato da Sasha.

«Io credo che rimarrò. Non voglio tornare a Krasnodar. Vorrei... vorrei vedere come vanno le cose, sapete, tra... tra noi. Noi della specie, intendo.»

«Vanno come tra gli esseri umani, solo che non ci saltiamo alla gola così spesso, ma è solo per convenienza.»

«Lukas...»

«Andrej, suvvia, lo sanno già e, se non lo hanno ancora capito, lo capiranno.» L'uomo squadrò entrambi i suoi nuovi membri. «Questa non è un'associazione di beneficenza tra simili, mi sembra abbastanza evidente. Se uno rimane è perché ha qualcosa da dare.»

«Dovete ancora dimostrarmi di valere il disturbo» disse Ilyas, tra i denti.

«Oh, a te servirebbe una bella dimostrazione di come si risolvono le cose qui in Russia.»

«Come, tra bicchierini di vodka?»

Andrej Lazarev interruppe quel battibecco prima che sfociasse in altro: «Sergej vi ha visto, entrambi. C'era anche una ragazza.»

«È alla base, è la sorella di lui.»

«Ecco, se lui dovesse sospettare...»

«Cosa?» sbottò Maraskin con una risata di scherno. «Sergiski non sa neanche trovarsi le mutande da solo a momenti. È suo cugino: penserà che sono i suoi scagnozzi.»

«Sai a cosa mi riferisco. Con già la situazione precaria che c'è nella sua druzina...»

Ilyas non stava più seguendo.

«Non starti tanto a preoccupare. Ripeto, Sergej non è intelligente neanche la metà delle suole delle mie scarpe. Da quanto tempo sei nella sua druzina? Quasi due anni e non ha mai sospettato nulla. No, l'unico di cui preoccuparsi, se bisogna preoccuparsi di qualcuno a parte il Vor, è Aleksandr Novikh, ma a quello ci pensa Raisa, quindi siamo a posto. E ora scusami.» Fece tintinnare le chiavi, le labbra piegate in un sorriso. «Devo riportare questi cucciolotti alla base. Vuoi un passaggio?»

Sembrava che si conoscessero bene quei due, pensò Ilyas, dimenticandosi di prendersela per quel "cucciolotti".

Il ragazzo scosse la testa. «No, grazie, sono venuto con la mia. Allora ci si vede in giro. State attenti agli artigli del Volk!»

Ilyas emise uno sbuffo di sufficienza e salì in macchina senza salutare. Si sedette vicino a Sasha, non certo al posto vicino al guidatore. L'ultima volta che era entrato in macchina con Lukas Maraskin si era fatto una sega mentre l'altro guidava. Lo ricordò con fastidio.

«Un altro lupo» mormorò Sasha, il viso rivolto alle ombre che scivolavano dietro il finestrino mentre la macchina partiva. «Ce ne sono tanti...»

«Si riproducono di più in cattività» sentenziò lui. Gli parve di sentire un sospiro dal posto di guida, ma non ci fece caso.

Posò la fronte sul vetro e cercò di estraniarsi. Non voleva parlare con quei due come non aveva voluto parlare con quel ragazzo. Non capiva perché, al di là dei propositi, si ritrovava a interagirci. Si stava rammollendo o cosa?

Sasha tirò fuori la voce ogni tanto, qualche biascicamento brillo e considerazioni stralunate. Ilyas gli diede retta solo quando lo sentì nominare Aisha.

«Certo che poteva venire stasera...»

«Ti ho già detto più di una volta che devi stare lontano da lei.»

«Ehi! Ma non ho detto niente! Mio Dio, sembra che le metti picchetti attorno come li metti al tuo culo.»

Tanto fu sorpreso da quella risposta pronta e mordace che non riuscì a ribattere nell'immediato, facendosi sfuggire l'occasione. Maraskin, al volante, scoppiò in una risata scrosciante.

«Ragazzino, cerca di ubriacarti più spesso.»

«Non sono ubriaco!»

«La prossima volta ti offro io vodka di qualità.»

Ah, per come offriva le cose lui...

Ilyas si girò verso il finestrino e decise di non prestare più attenzione a nessuno dei due.

Quando arrivarono alla sede della druzina, un edificio che aveva l'aspetto di un hangar, scese per primo dalla macchina e si inoltrò senza aspettarli per assicurarsi che da sua sorella fosse tutto a posto. La porta era chiusa a chiave dall'interno.

«Se mi aiuti» gli arrivò la voce di Maraskin, che stava trascinando un barcollante Sasha lungo il corridoio, «te la apro io, poi.»

Trattenendo uno sbuffo, lo aiutò. Portarono Sasha al suo letto nel dormitorio maschile ora vuoto. Lo fecero distendere con lui che continuava a borbottare di non essere ubriaco ma al tempo stesso chiedeva di lasciargli una bacinella vicino nel caso in cui dovesse vomitare.

«Ma ci hai scambiato per tua madre?» sbottò Ilyas.

Maraskin invece arrivò addirittura a togliergli le scarpe.

«Quanta sollecitudine.»

Lui gli rivolse un sorriso sbilenco. «Vorresti fosse rivolta a te? Nasci in una famiglia di nobili con più soldi che anima e poi ne riparliamo.»

Beh, almeno diceva le cose come stavano senza nascondersi. Era un punto a suo favore, quell'onestà ruvida. Insieme alla gente che sorrideva troppo Ilyas odiava anche gli ipocriti. A dir la verità erano poche le tipologie umane che gli andavano a genio.

Aisha stava dormendo. Un sonno placido, tranquillo. Si infilò nella stanza dopo che Maraskin l'ebbe aperta con la sua targhetta e constatò che era tutto a posto.

«Tu e tua sorella avete un rapporto...» iniziò il Volk, mentre richiudeva la porta, ma non finì la frase.

Ilyas lo guardò truce. «Che cazzo stai insinuando?»

«Niente, niente. Avete un rapporto molto stretto, no?»

«Siamo fratelli.»

«Io non avevo fratelli, però avevo tanti cugini» disse senza che nessuno glielo avesse chiesto. «Oh, avevo una marea di cugini.»

«Dovrebbe interessarmi?»

Lui fece schioccare la lingua con un suono simile a una risata. «È un piacere parlare con te, davvero.»

Avevano attraversato il corridoio, stavano vicino alla porta dei dormitori maschili. Ilyas aveva tutta l'intenzione di aprirla e farsi una sana dormita, quando la voce dell'altro lo richiamò.

«Non mi dirai che sei già stanco.»

«Sto andando a dormire. Non ti dico buonanotte.»

«Aspetta un attimo!»

«Senti, se vuoi fare proposte del cazzo, ficcatele nel...»

«Guarda, ragazzo, che non tutto gira intorno alle tue braghe. Ti voglio proporre una corsa notturna – da lupi. Saprai meglio di me che ogni tanto abbiamo bisogno di... liberarci. È il termine adatto, non trovi?» Snudò i denti in un sorriso affilato. «Conosco un posto dove possiamo farlo senza farci scoprire.»

Ilyas era con la mano sulla maniglia; non perse la presa, ma neanche l'abbassò.

«Una corsa?»

«Sarai abituato alle tue montagne del Caucaso, immagino. Io alla steppa siberiana. Con il mio clan c'erano notti in cui correvamo fino all'alba. Il vento aveva un profumo diverso.» La sua voce parve perdersi in una sfumatura nostalgica e anche i suoi occhi vagarono nel corridoio vuoto, grigio e spoglio. Tornarono velocemente su di lui. «Allora, ti sembra una proposta allettante

Correre...

Da quanto tempo non lo faceva? Quanto tempo lui e Aisha avevano dovuto viaggiare evitando di trasformarsi per l'alto tasso di umani presenti in ogni luogo che visitavano? L'ultima volta era stato prima di giungere a Mosca: avevano deciso di attraversare la foresta di Khimki sotto forma animale, ma avevano incontrato dei cacciatori e Aisha era stata colpita alla zampa. Solo grazie al suo potere la ferita non si era aggravata. Da allora si erano aggirati soltanto in vesti umane. Era passato più di un mese, troppo; sentiva il richiamo dell'aria fredda, della notte e della luna, della sensazione della terra sotto le zampe, dell'aria schiaffata sul muso; erano tutti istinti che la sua seconda natura anelava come acqua dopo giorni trascorsi nel deserto.

«Conosci un posto dove potremmo correre senza essere visti?» chiese, ancora cauto, il sangue che aveva iniziato a battergli forte contro le tempie.

«Ci sono posti qui nei dintorni di Mosca dove gli umani non si arrischiano e dove quelli come noi possono aggirarsi indisturbati. Vivo in questa città da anni, ormai la conosco.»

Era tentato, doveva ammetterlo. Poter correre, di notte, quella notte che era chiara, pallida e trasparente, senza neve, con la luna quasi piena soffusa di un alone argenteo.

«Hai paura per caso?»

Quella domanda lo fece sussultare. Lasciò la maniglia.

«E di cosa dovrei avere paura? Di te

Lukas continuava a sorridere. «Allora, vieni o no?»

Rispose di sì.

Credit immagine capitolo: https://www.deviantart.com/rhovynn/art/Saint-Theresa-in-Ecstasy-Bernini-727813626

Ps: Non so se si è notato, ma non è un caso che Ilyas chiami, nella sua testa, Lukas col suo cognome, "Maraskin", e solo all'ultimo, quando accetta di andare a correre con lui sotto forma di lupo, col suo nome. Come ho già avuto occasione di dire: il rapporto tra questi due personaggi evolverà, lentamente, ma evolverà. Nel prossimo capitolo c'è già un assaggio ;)

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