II. Bad fellows - prima parte


«Un lupo puro» disse lei.

«Sì.»

«Che non si nasconde.»

«Forse non l'ha neanche mai fatto, esistono vulkulaki del genere?»

«I vulkulaki sono sia uomini che animali, quindi è impossibile che non abbia una parte umana.»

«Solo che non la mostra.»

«Questo è un bel problema.»

«È quel che penso io.» Andrej ingollò un sorso della vodka e all'istante si sentì bruciare le vie respiratorie. Iniziò a tossire. «Che cosa è questa roba? Maledizione, quanto...»

«Ti ha fatto male ai dentini da latte?» A sfotterlo, ovviamente, non poteva che essere Lukas, arrivato in quel momento – almeno lui lo vide solo in quel momento –; si era poggiato con indolenza contro lo stipite della porta. «Vacci piano con quella "roba", non vorrei ti intossicassi di virilità.»

«Vaffanculo» replicò piattamente Andrej, pulendosi la bocca e riprendendo a guardare la donna seduta di fronte a lui. Il suo nome era Raisa, nessun cognome – lavato via come la sua vita precedente –, ma tutti la chiamavano la Rusalka, come quelle creature acquatiche della mitologia slava: bellissime e spietate.

Aveva aggrottato la fronte, pensierosa. «Cosa ti ha detto?»

«È un miracolo che mi abbia concesso più di tre parole» spiegò e ripeté per filo e per segno quel che il lupo bianco aveva raccontato, cioè ben poco. Mentre parlava Lukas avanzò e prese la vodka sul tavolo, la bevve direttamente dalla bottiglia. Al contrario di Andrej non sputacchiò nulla.

«Un altro uomo-lupo, che notiziona: stiamo diventando una comunità proprio numerosa.»

Raisa lo ignorò, ma Andrej gli rivolse un'occhiataccia. «Tu li lasceresti tutti catturare dagli umani.»

«Non tutti, solo quelli che si fanno catturare. Si chiama legge della sopravvivenza, ragazzo: non merita di vivere chi non è in grado di guardarsi le chiappe. E a proposito di chiappe: stai ancora dietro al figliol prodigo di Novikh?»

«Non penso che siano cazzi tuoi.»

«No, infatti, sono tuoi e di quello stronzo. Ah, Sergej Novikh! In che bella merda stai sguazzando.»

«Tanto dovunque vai qui la calpesti» borbottò Andrej. «E poi stai zitto che è solo per una serie di circostanze che non ci sei finito a letto anche tu, visto che non puoi trattenerti dallo scopare tutto quello che respira.»

L'uomo sorrise, il suo sorriso affilato. «Vero, ma il giovane Novikh me lo risparmio: abbiamo un conflitto d'interesse noi due oltre al fatto che lo considero la carogna peggiore di questa città carogna.»

«Il conflitto d'interesse quale sarebbe? Che nessuno dei due vuole stare "sotto" all'altro?»

«Io non mi faccio tanti problemi, è il giovane vory che non ne vuole sapere. Qualcuno dovrebbe insegnargli che essere il figlio del più importante Vor della Russia non lo salva dal poterlo prendere tutto intero e bello duro nel culo.»

Beh, su questo anche Andrej era d'accordo.

Raisa non li ascoltava. Stava ancora pensando alle parole del lupo bianco. «Non ti ha detto nient'altro? Da dove viene, come è finito qui...»

«Ha cianciato che era stato la Città a "chiamarlo". Per me quello, a forza di andarsene a zonzo nella steppa, è andato pure fuori di testa.»

Aveva chiamato subito Raisa dopo quel che era successo: lei era l'unica vulkulaki con cui aveva sufficiente confidenza a parte Lukas. Ma dell'ex militare Lukas Maraskin sapeva di non potersi fidare per quanto riguardava faccende "alte", quelle al di là della pura carneficina.

Lo chiamavano il Volk tra le fila dell'esercito federale, il Lupo, soprannome che gli era rimasto addosso anche in quella vita, inciso nella pelle come i tatuaggi simbolo della cultura urkagan dalla quale proveniva; un nome che era anche il suo essere, seppur dall'esterno nessuno poteva immaginare quanto fosse appropriato.

Alto, zigomi affilati da slavo, capelli scuri, tagliati corti come tutti i militari. Aveva le spalle ampie, definite, la mascella tesa e schegge di vetro azzurro al posto degli occhi. Era uno sguardo chiarissimo, il suo, di un'intensità glaciale, che ispirava un timore naturale insieme a un senso di attrazione inevitabile. Andrej con lui condivideva un rapporto quasi fraterno; Lukas sembrava a volte considerarlo il suo indisciplinato fratellino. Tuttavia, doveva ammettere che a volte, a livello puramente teorico, aveva immaginato come sarebbe stato "assaggiarlo". Sotto le lenzuola l'altro doveva essere un animale più di quanto quel suo soprannome suggeriva.

«Sarà uno di quei pazzi eremiti: la steppa ha di questi effetti collaterali» dichiarò, sempre vodka in mano.

«Un vulkulaki allo stato brado» mormorava Raisa, meditabonda.

Andrej si alzò: «Io ve l'ho detto, ora devo solo tirarlo fuori da lì. Sia ringraziato il Dio che non c'è più, Sergej vuole tenerlo in vita per darlo al padre, ma...»

«Andrej, non è concepibile che te ne occupi da solo. È un problema che riguarda tutti, sì, anche tu, Lukas, non fare quella faccia. Si tratta di un nostro simile e non possiamo lasciarlo agli umani. Non possiamo correre il rischio che scoprano il nostro segreto.» Raisa si alzò; i suoi occhi erano verdi, un verde penetrante e tagliente. «Parlerò con chi di dovere e poi... poi lo tireremo fuori da lì.»

Andrej si limitò ad annuire; era quello che si aspettava di sentirsi dire.

Quando si alzò, Lukas si offrì di accompagnarlo fuori. Sulla soglia dell'appartamento, si appoggiò di nuovo contro lo stipite della porta, braccia incrociate, quello sguardo di ghiaccio raschiato.

«Lo sai quale sarebbe la soluzione migliore, l'unica ragionevole?»

«Non la voglio sentire.»

«Ucciderlo e togliersi così la patata bollente dalle mani, lo sai meglio di me.»

«Ecco perché non la volevo sentire.»

L'altro assunse d'un tratto un tono serio, autoritario: «Stammi a sentire, ragazzino: Sergej Novikh sarà anche il più grosso idiota del pianeta o perlomeno di questo schifoso buco di mondo, ma è pericoloso come tutta la sua famiglia. Se dovesse scoprire che fai il doppio gioco non pensare che quel culetto stretto che a lui piace tanto ti risparmierà.»

Andrej strinse le labbra. «Pensi che non lo sappia?»

«E allora uccidilo.»

«Lukas, è uno di noi.»

«Non esiste un noi in guerra, e questa è una di quelle senza trincee visibili e missili strombazzanti. È una guerra continua.» Parve esitare un attimo, ma forse fu solo un'impressione. La sua espressione si era fatta dura quanto la voce. «Senti, fosse per me non ucciderei mai un mio simile, ma qui la situazione è pericolosa. È stato catturato, è in balia dei Novikh, si è già scavato la fossa. Tanto vale ucciderlo subito.»

«Non sei divertente quando fai il duro, Lukas.»

«Non lo voglio essere. Se vuoi divertirti va' sulla Tverskaya e trovati qualcuno che lo sa ciucciare bene, poi ritorna e uccidi quel lupo prima che si accorgano di cosa è veramente.»

«Non è un semplice lupo e non è una cosa, nessuno di noi lo è.» Andrej irrigidì le spalle e alzò il mento. «Tu pensala come ti pare, ma io ho finito di uccidere lupi, figurati se lascio morire un mio simile. E se ci fossi tu nella stessa situazione?»

«Io non mi sarei mai fatto catturare.»

«No, perché tu sei il grande Lukas Maraskin il Volk.» Sospirò teatralmente e gli allungò un colpetto al petto, sorridendo. «Provvedo io al mio culo, ti ringrazio della premura, comunque.»

«Stai attento, Andrej. Dico sul serio.»

«Lo sarò» assicurò e uscì, scivolando nell'ombra del corridoio.

Continuò a sentirsi addosso lo sguardo azzurro di Lukas per tutto il percorso.

***

Stavano camminando da un paio di ore buone, in quella città di detriti umani, quando Aisha si fermò.

«Lo senti?» gli chiese in un sussurro, ma suo fratello continuò a camminare, spingendola a fare altrettanto. Lei riconobbe l'alone guardingo che gli offuscava lo sguardo.

«Fai finta di niente» le disse, un sussurro appena percepibile.

Girarono l'angolo; era un vicolo cieco.

«Ora.»

Aisha si spostò; la gamba ferita le impediva movimenti agili, fu dunque Ilyas a balzare addosso alla sagoma che li stava seguendo. Ci fu il tonfo di qualcosa che cadeva, il suono smorzato di un corpo a terra, un ringhio trattenuto. Aisha andò a stringere il kinzhal che portava alla cintura, avvertendo sotto i polpastrelli il manico freddo e duro. Anche se non poteva trasformarsi questo non significava...

«Smettila, smettila, sono uno di voi! Non voglio combattere!»

Quel grido risuonò nella strada deserta. Aisha strinse gli occhi e distinse la figura alta di Ilyas che teneva premuto contro il muro quello che sembrava un ragazzo: un ragazzo come loro. Si stava dibattendo disperatamente.

«Lasciami, vengo in pace, per l'amor di Dio...»

Chi era che invocava ancora un dio in un tempo in cui non c'era più nessun dio? Aisha avanzò e scosse la spalla di Ilyas.

«Lascialo.»

Lui obbedì, smettendo di stringere il collo dello sconosciuto. In confronto a Ilyas, sembrava un ragazzino: non molto alto, capelli rossicci, volto pallido e schietto, labbra carnose. Aveva l'aria di qualcuno che era sempre stato nutrito bene e ora guardava il mondo attraverso occhi smarriti, i lineamenti scavati.

«Chi sei?» chiese Ilyas, seccamente, non abbassando la guardia.

Il ragazzo si stava massaggiando il collo. «Mi hai quasi strozzato...»

«Ti ho chiesto: chi sei?»

«Il mio nome è Sasha, cioè Aleksandr, ma...»

«Non mi hai capito. Non me ne frega un cazzo del tuo nome, chi sei veramente?» Ilyas minacciò di schiacciargli il ventre col piede, ma la presa di Aisha glielo impedì.

«Ilyas, non hai sentito? È uno di noi.»

«Non dire il mio nome» sibilò lui.

«Sono... sono un lupo. Credo.»

Il ragazzo di nome Sasha smise di toccarsi il collo, dove stavano già affiorando dei lividi bluastri; li guardò, dal basso verso l'alto e lei si accorse allora che aveva occhi chiari, tra il verde e l'azzurro, il viso cosparso di lentiggini simili a briciole di pane dorato.

Un cucciolo, ecco quel che doveva essere: qualcuno che aveva scoperto la sua seconda natura da poco. Si sentiva dall'odore, che non riusciva a mascherare come avrebbe fatto un vulkulaki più maturo. Ricordava quando era successo a lei, quando si era scoperta diversa: era stato molti anni prima e se non ci fosse stato Ilyas sarebbe stata sola come era sempre stata.

«Come hai fatto a capire che anche noi lo siamo?» continuò l'interrogatorio Ilyas.

«Vi ho sentiti.»

«Cosa?»

«I vostri pensieri... non lo so, da quando ho scoperto questa cosa, riesco... riesco a sentire le sensazioni della gente o di altri esseri.» Parve rattrappirsi su se stesso. «È normale?»

Sembrava così spaurito, pieno di dubbi, di paure.

«Ognuno sviluppa un potere quando scopre la propria natura» spiegò lei e Ilyas la fulminò con lo sguardo. Con molta probabilità avrebbe voluto tramortire il ragazzo e filarsela. Non dare mai confidenza, era una delle regole base; ma quella valeva per gli umani, pensava lei.

Si chinò. Il ragazzo si addossò ancora più al muro, ma la guardava dritto negli occhi.

«Il mio è questo» sussurrò lei nel levare delicatamente le dita a toccargli il collo. All'istante i graffi sparirono.

A lui si mozzò il fiato in gola, sgranò gli occhi, blaterando un'esclamazione stupita, mentre Ilyas induriva il viso in una maschera di disappunto. «Cosa fai?»

«Lo aiuto.»

«Maledizione, Aisha...»

«Ti chiami Aisha? È il tuo nome? Sai guarire le persone?» chiese il russo.

Lei si rialzò, continuando a squadrarlo. «Non solo.»

«Chi siete?»

Questa volta fu il ragazzo a chiederlo. Aisha e Ilyas si guardarono. Quella era una domanda difficile.

«Siamo come te, né l'uno, né l'altro, né uomini, né lupi, siamo...» Andò alla ricerca delle parole giuste, non trovandole. «Siamo quelli senza patria.»

C'era un termine nella cultura ashkale: "gadze" che voleva dire simultaneamente "straniero", "nemico" e "sconosciuto". A volte con gadze si designava chi perdeva la propria identità, il proprio popolo e le proprie radici, chi diventava straniero nel mondo, nemico degli uomini, sconosciuto a se stesso. Aisha non sapeva se esistesse un termine del genere in russo, ma lei si era sempre sentita così da quando aveva perso tutto.

Ilyas era l'unica cosa che le era rimasta.

«Io non lo so più chi sono» ammise il ragazzo, una nota dolente e atona nella voce.

Aisha, nonostante l'espressione di Ilyas, si chinò di nuovo, lo guardò dritto in faccia, gli tese una mano. «Allora sei uno di noi.»

Angolino note

Altro mezzo capitolo, piuttosto breve, in cui compaiono i restanti personaggi principali della storia. Ne manca solo una (che comparirà però più avanti) e siamo al completo. Nel prossimo si leggerà meglio di questi tre lupetti appena apparsi.

Viene nominata la "cultura ashkale". Gli ashkali sono una popolazione che esiste davvero, impiantata nel sud dei Balcani, una minoranza piuttosto eterogenea, balcanica con ascendenze egiziane e di origine gitana; è l'etnia di questi due fratelli, Aisha e Ilyas. Mi sono concessa di prendere soltanto il nome e poche altre cose. Le parole , per esempio, sono inventate. Gadže, comunque, si rifà al termine gage che i sinti usano per "straniero".

Metto qui sotto, visto che l'ho nominata, l'immagine di una rusalka, spirito d'acqua della mitologia slava, un po' la nostra sirena *_* Allegato anche un link in inglese, se vi interessa approfondire. 

L'immagine all'inizio del capitolo è invece presa da qui: https://www.pinterest.it/pin/655062708277326334/

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