Cap 22

LUX

La cosa più importante a cui devo pensare ora è non nuocere più del necessario ai civili rimasti in piazza. Per fortuna, sono davvero in pochi. Poi devo considerare il fatto che, appena sarò avvistata, c'è la possibilità che i monaci possano ritirarsi lasciandomi ad affrontare le loro guardie e dileguarsi, facendo in modo che l'azione diversiva di Giafa sia del tutto inutile.
E questo, sia per il pericolo a cui lei si è esposta per darmi questa opportunità, sia per il pericolo che comportano questi monaci rimanendo in circolazione, non deve assolutamente succedere.
Quindi non posso semplicemente buttarmi là in mezzo e ingaggiare battaglia. Mi serve un piano preciso.

Purtroppo non ho più di qualche secondo per pensarci perché, forse allarmato dall'apparizione della mia amica, il monaco che sembra essere di grado più alto fa un cenno ai suoi compari e si avvia per lasciare la piazza.
Per un attimo mi lascio prendere dal panico, poi realizzo che la stradina che hanno imboccato è la stessa da cui sono arrivati, e passa proprio qui, davanti alla porta della casa.
L'idea mi giunge come una folgorazione, e in un secondo perlustro la stanza dove mi trovo. A parte la porta e la finestra che abbiamo usato per spiare fuori, non ci sono altre uscite.
Tutto sommato, la mia idea potrebbe funzionare.

Così, appena la piccola processione passa davanti alla porta spalancata, mi limito ad allungarmi in avanti ed afferrare i monaci per le braccia, tirandoli verso di me e l'interno della stanza.

Sebbene stupiti, dopo il primo attimo di smarrimento oppongono resistenza, e devo usare gran parte della mia energia per trascinarli dentro con un unico colpo di reni. Dopodiché salto fuori e mi chiudo la porta alle spalle, estraendo finalmente la spada, che da tempo ormai urla reclamando il sangue, e fronteggio le guardie. Non posso interrogare i monaci se non li tolgo di mezzo, rischierei di essere distratta.
Prima che possano reagire in qualsiasi modo ne trapasso uno da parte a parte all'altezza del petto, e il sangue schizza dalla sua ferita sporcandomi la faccia.

Sbatto le palpebre più volte per pulirmi la visuale, mentre mi libero del corpo con un calcio in modo che non mi intralci.
Il secondo energumeno però si è già slanciato verso di me.
Impugna due spade con una tecnica che, mio malgrado, è davvero raffinata. Mi trovo ad indietreggiare cercando di pararmi meglio che posso, senza trovare spazio per qualsiasi contrattacco. A peggiorare le cose il terzo uomo mi attacca, usando la mazza di ferro che gli è servita per suonare il gong come arma. Se mi colpisse mi fracasserebbe senza dubbio il cranio.

Faccio un paio di passi indietroo, finendo con le spalle contro la porta chiusa, sulla quale si susseguono colpi furiosi da parte dei monaci bloccati dall'altra parte.
Serro i denti.
Non c'è dubbio, questi due sono dei veri veterani della guerra, abituatii a lottare e addestrati alla battaglia.
Però lo sono anche io.
Sicuramente non posso batterli utilizzando solo la mia spada. Già con le due lame del primo gorilla sono abbastanza in difficoltà, l'aggiunta di un terzo elemento mi rende la vittoria quasi irraggiungibile.

Mi porto una mano alla cintura. Rapida, come ogni battaglia richiede, sfilo la frusta e la faccio guizzare in avanti, facendo si che si attorcigli attorno al braccio del mio primo avversario, che si è già lanciato in avanti. Con questa mossa riesco a impedire che porti a termine il suo affondo, e ne approfitto per portare a compimento una stoccata.
Lo colpisco a una spalla, non alla testa come avrei voluto, ma se non altro è molto conveniente per fermare i suoi movimenti.
Avanzo di nuovo, per non lasciarmi sfuggire il vantaggio appena acquisito, ma subito colgo con la coda dell'occhio un movimento alla mia destra.
Ruoto il busto e cerco di pararmi con la spada, ma non faccio in tempo.
La mazza di ferro si abbatte sul mio petto, e tutta l'aria schizza fuori dai miei polmoni, mentre gli occhi mi schizzano fuori dalle orbite per il dolore.
So con certezza che mi si sono incrinate due o tre costole, forse una si è anche rotta.

Per qualche istante vedo tutto nero. Guidata dall'istinto alzo la spada sopra la testa, ed è una fortuna, perché sento un'altra lama cozzarci sopra, e contemporaneamente faccio un salto all'indietro, appoggiando di nuovo le spalle al muro.
Essere contro un muro può essere sia un vantaggio che uno svantaggio in combattimento. Da una parte ti impedisce di spostarti e schivare come vuoi, dall'altra però impedisce avli avversari di coglierti in un punto cieco, come è appena successo.

Per qualche secondo rimaniamo tutti e tre perfettamente immobili, a scrutarci a vicenda.
Ho il fiatone. Per colpa del colpo al petto non riesco a respirare bene, e le gambe non mi rispondono come vorrei.
L'energumeno che impugna le spade ha la guardia sinistra praticamente del tutto abbassata, a causa della ferita alla spalla che continua a spillare sangue.
Dalla porta si sentono ancora dei tonfi.
-Idioti, che aspettate? Uccidetela!- tuona uno dei due monaci, dall'interno.
Ciò basta perché il gorilla con la mazza mi carichi di nuovo da destra.

Se provassi a bloccarlo con la spada rischierei di romperla.
Così scambio in fretta l'impugnatura di frusta e spada, e mentre con la prima tiro una vergata sul volto dell'assalitore, facondolo arrestare e rubandogli un urlo straziante, con la seconda tento di nuovo un affondo nei confronti delllo spadaccino. Questi lo para.
La mia mossa, però, non è stata inutile. Lo spadaccino è stato costretto a arretrare di nuovo, mentre la mia frustata ha colpito l'occhio del picchiatore, che ora è un grumo di sangue. Sicuramente da quell'occhio è cieco.

Chiedo uno sforzo supremo alle mie gambez per spostarmi in un punto in cui non può vedermi. E poi lo decapito con un gesto solo.
Poi indietreggio l'ennesima volta. Però, questa volta non sono più in una situazione di svantaggio eccessivo.
Uno contro uno. Ferito lui, ferita io.
Rimaniamo a studiarci ancora qualche istante, poi finalmente lui si decide. E carica. Sono grata che lo abbia fatto, perché avrei avuto seri problemi a caricare io.
Nel momento in cui le nostre lame si incrociano, in lontananza sento risuonare un fischio acuto.
Giafa. Deve essere nei guai.
Mi irrigidisco per un attimo, e questo è il mio errore.
All'improvviso l'uomo alza il braccio ferito, che ha lasciato penzolare fin'ora lungo il fianco e che pensavo non potesse usare.
Mi apre un taglio che parte dalla coscia e incide l'anca. Deve avere usato tutte le energie residue che aveva in quell'arto per alzarlo, infatti subito dopo questo ricade di nuovo, e la spada gli sfugge definitivamente di mano, piombando a terra con un clangore.
Nello stesso momento, cado anche io, posando il ginocchio per terra e lasciandomi sfuggire un grido di dolore.

L'uomo ha un brillio febbrile negli occhi e alza la spada sopra la testa, pronto a calare su di me il colpo di grazia.
Questo errore, questo movimento ampio e ricco di trionfo per quella che pensa essere già una vittoria, mi salva la vita. Lascio cadere la frusta e estraggo fulminea dallo stivale il pugnale che Giafa mi ha praticamente obbligato a inserire nel mio equipaggiamento, e lo infilzo dritto al cuore.
Non sono mai stata così grata di aver accettato un consiglio dalla mia amica.

Mi prendo qualche secondo per riprendere fiato ed esaminare la ferita. È abbastanza profonda, e le costole continuano a pulsarmi nel petto.
Strappo un pezzo di maglia per fasciarmi e fermare l'emorragia, ma ho appena il tempo di stringere il nodo che alle mie spalle un vetro si infrange in un fragore si schegge.
Mi volto in tempo per vedere uno dei due monaci rotoolare fuori dalla finestra rotta. Dell'altro non ci sono tracce.
Prima che possa rialzarsi per scappare ho già raccolto il pugnale e l'ho lanciato con tutta la forza e la precisione di cui dispongo.
E devo ammettere che il lancio è impeccabile.
L'arma ruota un paio di volte su se stessa, prima di conficcarsi millimetricamente nella giuntura del ginocchio del maledetto, che ricade a terra con un grido.

In pochi secondi gli sono cavalcioni, mentre lui si lamenta per il dolore.
All'improvviso estrae una lama dalla manica e prova a colpirmi, ma grazie al cielo riesco a impedirgli di portare a termine il movimento e gli storco il polso a terra.
Poi lancio un'occhiata alla finestra per verificare la posizione dell'altro monaco.

Quello sotto di me tossisce e sputa un grumo di sangue.
-Tu sia maledetta- dice -Non lo troverai. È già morto, e presto lo sarò anche io-
Lo guardo inorridita, mentre la sua tosse aumenta.
-Cosa diavolo avete fatto?- chiedo.
Non provo pena per lui, questo no. Ma lo scopo della mia missione era catturarli vivi, scoprire cosa avevano in mente. Se muoiono ora è stato tutto inutile.
Lo afferro per le spalle e lo scuoto, presa da un attacco di rabbia.
Lui si limita a ridacchiare. -Quando abbiamo capito che per noi non c'era più scampo abbiamo assunto un veleno.
Anche se ci fermi ora, noi non cadiamo. Pensi di averci fermato? Gli uomini di questa città non si fermeranno per le nostri morti dal compiere la missione che gli abbiamo assegnato. E non è la sola città che è stata conquistata.
Il vostro regno è debole, cavaliere. Come farai a proteggere tutti?-

-Chi ti manda? Perché questo? Come li curo?- urlo quasi, scuotendolo ancora.
Ma ormai è morto. Non può rispondere più.

Urlo, sfogando la mia frustrazione al cielo, mentre rimango qui ferita e piena di domande che non avranno risposte.
Non so se ho fatto davvero qualcosa per gli abitanti di questa città.
Ma, se quello che ha detto il monaco è vero, il regno è in pericolo come non lo è mai stato.
I soldati sono sempre schierati sul confine. Talvolta, si prendono dei permessi e visitano i villaggi appositi per cavalieri, o fanno qualche giro di ronda per vedere com'è la situazione nel paese.
Ma nessuno è minimamente preparato per un attacco che giunge dall'interno.

Tiro un pugno al suolo, con il solo risultato si spellarmi anche le nocche.
Ho bisogno di trovare una soluzione.
Ma, realizzo mentre l'ennesimo offuscamento dei sensi mi sa barcollare, prima ho bisogno di medicarmi le ferite per bene e sdraiarmi, recuperare le forze. In questo momento a malapena mi,reggo in piedi. Non sono abbastanza lucida da elaborare qualsiasi piano.
Mi alzo barcollando e mi guardo un attimo intorno, pensando a dove andare. Per un attimo valuto l'idea di uscire dalla città per riposarmi come si deve, ma non ho più il fischietto e non potrei avvisare gli altri.
In città risuona ancora un forte clamore, anche se non saprei identificare la sua provenienza.

Ripenso al fischio di Giafa. Forse centra lei.
Non era un fisschio lungo, quindi non era in un pericolo mortale, eppure ha ritenuto opportuno fischiare lo stesso. Qualsiasi cosa sia successa, spero che Leos e Dow l'abbiano raggiunta in tempo.
Prendo in considerazione l'andare a controllare, ma viste le mie condizioni non credo sia fattibile. La cosa migliore da fare è tornare al punto di ritrovo.
Ma prima, c'è qualcos'altro che non posso lasciare in sospeso.

Non so dove siano finiti i cittadini che bazzicavano ancora qui intorno prima dell'inizio della mia lotta con le guardie del corpo dei monaci, tuttavia ora la piazza è deserta.
Spero solo che non siaano usciti dalla città.
Ecco, questo è un altro problema da risolvere. Di nuovo, spero ci abbiamo pensato mio fratello e i miei amici, almeno per ora.

Nell frattempo, sono giunta davanti al cadavere del lupo. Lo guardo e di nuovo vorrei piangere. Come si può trattare in questo modo una tale creatura?
L'aver già visto un simile orrore non lo rende più facile da sopportare. Epppure non posso solamente girarmi e andare via.
Ora che gli uomini che hanno fatto un tale scempio sono morti, e lui stesso è stato vendicato, non deve più restare lì sospeso.

Aiutandomi con la lama inizio a fare leva sui chiodi che lo tengono inchiodato alla crove, cercando di non ferirlo ulteriormente. I chiodi sono grossi e fissati in profondità. D'altronde, non potrebbero sostenere un corpo così grande, altrimenti.
Facendo leva e incidendo il legno ci metto parecchi minuti a staccare il primo chiodo dal muro. Il secondo richiede altrettanto e forse più tempo.
Alla fine riesco a staccarlo completamente dalla croce, e il cadavere cade pesantemente a terra, sollevando una gran quantità di polvere e rumore.

Mi scendono due lacrime dagli occhi senza che io possa trattenerle.
La morte di un lupo ha sempre avuto un'incredibile impatto su di me, forse per alcuni versi anche più che quella di un essere umano.
Questo è perché io sono umana, in fondo. Sono consapevole dei limiti del mio corpo, e del fatro che in battaglia sono incredibilmente vulnerabile, che basterebbe un colpo per uccidermi.
Invece, guardando un lupo, non attribuirei mai al suo corpo la parola "limite". Un lupo nel mio ideale è qualcosa di invincibile, di inarrivabile.
Ho ammirato i lupi per tutta la vita, così come ho ammirato i cavalieri. Ma quella per i lupi è una forma di ammirazione differente.

Rimango inginocchiata ancora qualche minuto davanti al lupo. Infuria ancora clamore nella città, ma non riesco ad alzarmi.
O forse non voglio. Anche se ormai ha chiuso gli occhi per sempre, la presenza di questo splendido animale mi port un senso di pace e sicurezza, come quando da piccola dormivo abbracciata a Jeis.
Non so esattamente quanto passa. So solo che, a un certo punto, mi arriva alle orecchie un rumore differente. Un rumore che proviene da fuori dal cancello.

Mi alzo di scatto, cosa di cui non mi credevo capace vista la difficoltà che hanno le gambe a reggermi, e mi preparo a difendermi, chiunque sia l'aggressore.
Non posso nascondermi, non ne ho il tempo.
Quindi non mi resta che rimanere qui in piedi, a gambe divaricate, spada in mano. E in qualche modo speriamo di sopravvivere.

Quella che mi si presenta davanti, però, è una scena che non avrei ma potuto prevedere. Dal portone entrano sette persone, cinque uomini e due donne.
Non sono come gli abitanti di questa città.
Non camminano curvi, imbrattati di sporco, al limite dell'umano.
Sono alti e fieri, la postura eretta, lo sguardo di chi sa perché è qui e cosa sta facendo.
Li riconoscerei ovunque. Cavalieri. Non posso sbagliare.
Una delle due donne è la prima a notarmi e si avvia verso di me, mentre io abbasso per metà la spada.
Per un attimo si gira a guardare il lupo, e il suo viso si adombra come fosse scesa la notte. Almeno lei non lo ha visto impalato. Poi si gira verso di me e azzarda un mezzo sorriso.
-Tu sei Lux, giusto? Il capitano Dow ci ha mandato a cercarti-

Abbasso del tutto la spada, portandola a sfiorare con la punta le mattonelle dwlla piazza. -Mio fratello?-
L'ultima voltaa che l'ho visto era con Leos. Niente subordinati, niente cavalieri ausiliari. Non ho idea di come possano essere arrivati questi uomini. Eppure non mentono, lo so. Posso sentirlo dalle loro voci.
Uno degli uomini si fa avanti.
-So che ti sembrerà strano, e che non hai motivo di fidarti di noi- dice -Ma siamo dalla tua parte, te lo posso assicurare. Siamo venuti a Zyola dal campo che si trova a due giornate su un lupo da qui, per una segnalazione. Inizialmente avevamo mandato un cavaliere novizio, ma...-
Fa una pausa e lancia un'occhiata sconsolata al cadavere del lupo. Poi riprende a parlare. -Siamo giunti da poco, e siamo entrati in città dall'altra porta, vicino alla quale abbiamo incontrato tuo fratello. Lui ora è diretto alla base doce abbiamo lasciato i lupi, ti spiegherà di persona cosa è successo.
E immagino che anche tu abbia qualcosa da riferirgli- conclude, guardando alle mie spalle, dove ci sono i cadaveri del monaco e delle sue guardie del corpo.
E poi -Ci ha dato questo da mostrarti, come prova che puoi fidarti di noi-
Allunga la manona mostrandomi un oggettino d'osso. Non ho bisogno di un secondo sguardo. È uno dei due fischietti che abbiamo utilizzato oggi.
Se mi fosse servito un altro motivo per fidarmi di loro, con questo mi avrebbero definitivamente convinta.

Annuisco, piano.
-È vero. Vi prego, portatemi là. Tuttavia dovremmo trovare il modo di sigillare il portone, andandocene. Non possiamo lasciarlo incustodito-
Non possiamo lasciare che gli abitanti di Zyola, ancora soggetti alla droga, escano e vadano ad attaccare i cavalieri. Non sarebbe giusto.
I cavalieri non sembrano trovare la mia richiesta così bizzarra, e annuiscono. -Ci pensiamo noi.

Una mezzora dopo siamo in vista della base, che è stata collocata al margine del bosco da cui siamo usciti per venire qui.
Solo i prmi due cavalieri con cui ho parlato mi hanno accompagnato, mentre gli altri sono rimasti ad occuparsi dell'ingresso alla città.
Inizialmente ho provato a camminare, poi vedendo le condizioni della mia gamba l'uomo ha deciso di aiutarmi, e io mi sono trovata imbarazzata come non mai a essere portata in braccio da un quasi totale sconosciuto, fin quando non abbiamo superato il punto dove i nasi dei lupi non venivano martellati troppo abbondantemente dall'odore della città e questi sono venuti a prenderci.
Finalmente, arriviamo, e io vedo mio fratello.
Hanno montato un campo improvvisato. Lui è seduto al tavolo esattamente al centro dell'accampamento, in pura posizione di comando. Tuttavia, appena mi vede, si alza e mi viene incontro per aiutarmi a scendere dal lupo che mi sta trasportando.
Lo osservo meglio mentre si avvicina. È sporco, e abbastanza contuso, ma il suo viso ha un'espressione energica e non sembra avere ferite gravi.
-Sei ferita- mi dice subito, preoccupato.

-Qualche costola incrinata, forse rotta- confesso, abbassando lo sguardo -Ma non è servito per scoprire come aiutare quei poveri innocenti. Anzi, l'unica cosa che ho saputo è che questa città non è l'unica in condizioni simili. Dow, si stanno preparando a invaderci dall'interno-
Mio fratello impallidisce leggermente e mi afferra per le spalle, pur attento a non farmi male. -Ne sei assolutamente sicura, Lux?-
Annuisco. -L'ho saputo da uno dei monaci. Ma, Dow... non ho potuto fare nient'altro-
-No, sei stata brava- mi rassicura lui, passandosi una mano sul viso. Riesce anche a sorridermi -Grazie a te che lo hai scoperto possiamo preparare delle contromisure-
-E gli abitanti? Come li aiutiamo?- chiedo di nuovo.
-Non ti preoccupare per questo. Neanche la perlustrazione mia e di Leos è stata del tutto infruttuosa. Ma non è il momento di parlarne ora.
Devi farti vedere da un medico e riposare. Anche i tuoi amici sono già crollati-

-Loro come stanno?- chiedo, preoccupata.
-Bene. Un po' ammaccati, ma nulla di serio. Sono sfiniti dalla giornata di oggi, ma chiunque lo sarebbe.
Ora smettila di preoccuparti per gli altri, sorellina. Le tue ferite vanno visitate subito. Domani parleremo bene, ora devi riposare.
Non preoccuparti di nulla, ci penso io qui-

Ci penso io qui.
Era la frase che avevo bisogno di sentire. E anche se so che Dow ha avuto una giornata difficile quanto la nostra, non posso fare a meno di fidarmi di lui e farmi accompagnare alla tenda dei medici, mentre lui si volta e torna al tavolo a fare il suo lavoro, con spalle da uomo e da capitano.
Come quando ero piccola, Dow c'è. Posso fidarmi del mio fratellone e so che risolverà tutto, perché me lo ha detto. Non ha mai fatto promesse che non può mantenere.
Così, semplicemente, mi giro e entro nella tenda a riposarmi, più che conscia di essere in buone mani.
E penserò di nuovo a tutto questo domani.

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