Cap 13

Man mano che passano i giorni, mi abituo lentamente ai ritmi dell'Aserâh.

Ogni minuto che stiamo insieme il mio rapporto con Nive sembra farsi più intenso; inoltre la cucciola, con le mie cure costanti, sta diventando più forte. Le sue dimensioni stanno aumentando, e pur non perdendo la sua dolcezza, sta sviluppando i muscoli e la corporatura del maestoso lupo adulto che è destinata a diventare.

Sono fiera di lei.

Giafa continua a giocare con tutti i cuccioli, ma dalla mattinata che abbiamo passato nella Nursey insieme viene raggiunta sempre più spesso dal cucciolo beige che il primo giorno stava scherzosamente tenendo Nive lontana dal cibo. E la mia amica sembra apprezzare la sua compagnia.

Probabilmente, spero, presto faranno coppia fissa come cavaliere e lupo.

Jamal continua a rompere, ma la maggior parte delle volte riesco a ignorarlo o rimetterlo al suo posto. Le due volte che lo ho stracciato durante le lezioni di Crad, poi, hanno contribuito di molto al farlo restare zitto.

Anche a queste lezioni mi sono abituata, più o meno. Ho scoperto che con la dovuta dose di stretching al mattino ci si può sopravvivere.

E ogni tanto colgo uno sguardo di approvazione negli occhi del mio istruttore, un piccolo fuoco d'orgoglio dedicato a me.

A me, che durante le lezioni non mi fermo mai. E che sono lentamente diventata la migliore della classe.

Tanti compagni si sono messi a seguire il mio esempio, e si impegnano cercando di non fermarsi durante l'allenamento.

E stiamo migliorando, tutti noi.

Eppure, questo mio essere la prima ha creato una specie di barriera con gli altri.

Non lo vorrei. Davvero. E quasi non si nota, in realtà.

Quando parlo con gli altri sono tutti sempre gentile, e disponibili.

Eppure non sono mai del tutto aperti, naturali. Lo percepisco. Forse anche inconsciamente, mi trattano in maniera diversa da quando ero una novellina e nulla d'altro.

E anche se ho promesso a mio fratello di diventare forte, anche se mi sono promessa io stessa di diventare forte... Ogni tanto mi piacerebbe essere di nuovo una fra tante per tornare a quella naturale complicità fra compagni d'accademia che si era instaurato all'inizio.

E che ora ho perso.

Gli unici momenti in cui mi sento davvero accettata sono quando sto con Nive e gli altri cuccioli. E con Giafa, ovviamente.

Lei non ha mai cambiato il suo modo di comportarsi. Ne cambierebbe mai, credo.

Intanto, con tutto quello che abbiamo da fare, il tempo scorre senza quasi che me ne accorga.

E in men che non si dica passano quattro mesi.

Il fulmine a ciel sereno arriva la mattina, nella Nursey. Senza nessun preavviso.

Sono intenta nel spazzolare accuratamente il pelo a Nive, quando la porta si spalanca di colpo sbattendo contro il muro con un gran fracasso.

Tutti nella stanza si voltano a guardare, mentre un ragazzo del secondo anno, Petar mi sembra, entra di corsa, rischiando di cadere.

-Ragazzi.. È arrivato un cavaliere- annuncia ansimando -Un ufficiale. Porta una lettera dal comandante supremo!-

Un mormorio collettivo si difonde per la Nursey. Da quello che so Petar è un ragazzo serio, non farebbe mai uno scherzo del genere. Una lettera dal generale è qualcosa di serio.

-Sai di cosa parlava questa lettera?- domando, sovrastando le altre voci.

Tutti tacciono per sentire la risposta.

-Non ne ho idea- risponde il ragazzo però, deludendoci. -Lui e il direttore si sono chiusi in ufficio, colloquio strettamente confidenziale. Il direttore non sembrava affatto felice, però-

Ricominciano i mormorii, le ipotesi e le teorie sull'accaduto. Giafa mi raggiunge, assieme al cucciolo beige.

-Secondo te cosa sta succedendo?- chiede, inquieta.

Ci rifletto su, passando per calmarmi ripetutamente una mano sul pelo setoso di Nive -Non ne ho idea- rispondo, tetra.

Non dobbiamo aspettare molto, in realtà, per sciogliere il mistero. E forse a questo punto avrei preferito che restasse irrisolto.

Siamo seduti in mensa, a mangiare e scherzare fra di noi, quando qualcuno si schiarisce la voce.

-Ragazzi. Ascoltatemi, per favore- dice.

Mi giro, e quasi mi va di traverso il boccone che stavo mangiando nello scorgere il direttore.

In quattro mesi che sono qui quest'uomo non si è fatto vedere mai, ma proprio mai, fuori dal suo studio. Figuriamoci nella mensa.

Man mano che tutti si girano verso di lui con la mia stessa sorpresa, lo metto a fuoco meglio.

C'è poco dell'uomo che si è finto insopportabilmente menefreghista nei miei confronti al solo fine di giudicare la mia reazione, davanti a me. La sua espressione è tesa, un misto fra l'arrabbiato e il preoccupato, e si volta spesso a lanciare occhiate all'uomo di fianco a lui. Guardando gli abiti di quest'ultimo, sobbalzo; riconosco la divisa, Dow mi ha insegnato a distinguerle. È il messo del generale.

Qualsiasi sia lo scopo delle occhiate che gli lancia il direttore, queste non sortiscono effetto. Il messo fa un passo avanti.

-Giovani apprendisti- inizia -Allievi. Futuri cavalieri dei lupi. Come sapete bene, da voi dipende il destino di questa nazione. Le vostre gesta dovranno avere il fine di salvaguardare la terra nella quale noi tutti viviamo-

Inizio ad innervosirmi. Parole. Adulazioni. Quest'uomo cerca di trascinarci nella sua lunghezza d'onda, per portarci dove vuole lui. È un manipolatore nato.

E la cosa non mi piace affatto.

Mi preparo al seguito del discorso,più diffidente che mai.

-Ora la nostra terra ha bisogno del vostro aiuto, e siete chiamati a compiere il vostro dovere. Siate onorati; per molti di voi questa sarà la prima missione ufficiale del regno.

Ognuno dei presenti iscritto all'accademia è stato automaticamente reclutato per una campagna militare contro l'armata nera, il flagello di questo regno.

La missione durerà due settimane. Domani partiremo all'alba; oggi vi recherete in armeria e vi procurerete tutto il necessario per il viaggio. Siate orgogliosi di essere stati scelti-

Cade il silenzio. Un silenzio carico di pensieri, nel quale tutti elaborano le informazioni ricevute come sto facendo io.

Una missione di guerra. Domani. Così su due piedi, senza darci il tempo di prepararci o nulla. Tutti noi. Faccio scorrere lo sguardo sui miei compagni di corso, e impulsivamente balzo in piedi.

-Ma signore!- esclamo rivolgendomi al direttore, trovando inconcepibile che lui possa approvare una trappola simile -Alcuni di noi si allenano solo da pochi mesi! Non siamo ne fisicamente ne psigologicamete pronti per una guerra! Sarebbe un suicidio di massa!-

Si gira. Mi guarda. E io barcollo per quello che leggo nei suoi occhi.

Dolore. Consapevolezza. Impotenza.

E allora capisco, guardandomi intorno e vedendo anche Crad e gli altri insegnanti con la stessa espressione, a capo chino, pugni e labbra serrati.

Loro sanno. Come me, capiscono perfettamente la situazione. E non l'accettano.

Solo che l'ordine arriva da troppo in alto perchè a loro sia concesso di rifiutarlo. Come a nessuno di noi. Siamo costretti ad obbedire.

-Ragazzina- ride infatti il messo -È una missione che ti è stata affidata dal generale in persona! Sapevi a cosa andavi incontro quando ti sei iscritta. Se non hai neppure il coraggio di affrontare qualcosa di così semplice, forse non sei adatta a fare il cavaliere non ti pare?-

Mi ribolle il sangue. Quest'uomo non può permettersi di dire cose simili. Non sa nulla di me. Apro la bocca. Ho già la risposta sulla punta della lingua, sono pronta a sputargli tutto il mio disprezzo in faccia.

Ma lo sguardo di Crag mi ferma.

Il maestro mi fissa dritto negli occhi, colmi di dolore, e capisco quanto vorrebbe scagliarsi a sua volta contro il messo e impedirgli di mandarci al macello. Ma si sta trattenendo, e mi fa un impercettibile segno di diniego. Devo trattenermi anche io.

Prendo un respiro profondo, poi due. E obbedisco. Torno a sedermi, e ignoro totalmente ogni voce attorno a me. Non voglio sentire nessuno,prima di perdere il controllo davvero.

Più tardi, in armeria,mi trovo davanti Crad.

Lo guardo negli occhi io, questa volta. -Perchè?- chiedo solo.

Lui abbassa lo sguardo per la prima volta da quando lo conosco.

-Un infiltrato nell'armata nera ci ha comunicato che ci sarà un attacco di grandi dimensioni nei prossimi giorni. Non abbiamo abbastanza soldati per affrontarli. E il generale piuttosto che assoldare mercenari ha preferito usare voi-

Boccheggio. -Non siamo pedine. Siamo esseri umani!- esclamo, indignata.

Crad mi lancia uno sguardo grave, e triste. -Lo so-.

Trattengo una lacrima di rabbia. Non c'è alcun rispetto nei nostri confronti, dunque. Per chi è al comando siamo sacrificabili. E non veniamo assolutamente considerati.

Eppure, il messo su una cosa diceva il vero. Siamo dei soldati ormai. E per quanto per un soldato la cosa più difficile al mondo è obbedire a ordini che si ritengono ingiusti. Eppure il nostro dovere è obbedire. E so già che lo faremo, tutti quanti. Mi guardo intorno, e studio i membri del mio gruppo.

A cominciare da Giafa, che non mi fa mai mancare nulla quando ho bisogno e c'è sempre per me; e Jamal, che in qualche modo è comunque diventato una costante nella mia vita sotto la voce "insopportabilità". Scorro con lo sguardo tutti quanti, uno per uno, rivivendo gli anche piccoli momenti trascorsi insieme come squadra. E guardo il maestro, già piegato sotto il peso degli allievi che teme di poter perdere in questa missione suicida.

Prendo un respiro, e rivolgo un muto pensiero di affetto a tutti loro.

È in questo momento che prendo la mia decisione. E faccio una promessa.

-Non vi lascerò morire- dico convinta, rivolta a nessuno ma a tutti, senza curarmi davvero che mi sentano perchè l'importante è che mi senta io. -Nessuno di voi. Costi quel che costi, vi riporterò tutti all'accademia. Insieme-

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