TIME BOMB #4
L'ANNO PRIMA...
«Saresti tu il postino?» L'uomo dall'accento messicano mi squadrava dall'alto in basso. Non si aspettava di trovare alla sua porta una bella adolescente bionda con il top nero, gli attillati pantaloni bianchi e le Dottor Martens rosso sangue.
Toccava a me squadrarlo adesso. «Saresti tu il señor Montero?» Difficile dirlo poiché Minimal Jack non aveva una foto da mostrarmi prima di mandarmi in missione, e il tizio che mi aveva appena aperto la porta aveva il volto coperto da una maschera di stoffa. I ricami riproducevano il muso di una tigre, ma c'erano dei buchi in corrispondenza degli occhi e della bocca. Il suo corpo eccessivamente muscoloso era vestito con un inconsueto smoking bianco.
Seguii il suo invito a entrare. Fuori era buio, e io adesso mi trovavo in una catapecchia puzzolente insieme a un uomo mascherato. Se con Mercedes vivevo nella periferia di Winter Spell, quella volta mi trovavo ben oltre, nel misero quartiere di case sfitte e roulotte accampate che gli onesti cittadini chiamano bidonville e hanno il buon senso di tenersene alla larga. Non mi aspettavo che quella lurida baracca fosse abitata da un uomo tanto elegante (ma certo non doveva avere tutte le rotelle a posto se andava in giro con il volto coperto). La tv era sintonizzata su un cooking show, ma io venni colpita dalle coppe gettate alla rinfusa dietro il vetro di una credenza. Coppe e corone di lucha libre, il wrestling messicano, di cui il señor Raul Garcìa Montero era uno dei campioni più acclamati. Il suo nome d'arte, come attestato sulle targhette celebrative, era Blanco Jr. Mi fu chiaro allora perché vestisse con il completo bianco.
"Un tempo io e Raul componevamo la pareja perfetta," mi aveva spiegato Minimal Jack fornendomi i parametri della missione. La pareja è il tag-team del wrestling usato per definire le coppie che si scontrano nella lotta a quattro. Minimal Jack non aveva il fisico del wrestler, e ovviamente si era servito della metafora sportiva per farmi capire quanto in gioventù lui e Raul fossero come fratelli. Erano cresciuto sotto l'egida di Brian Denver, poi Minimal Jack aveva mollato per mettersi in proprio e, senza di lui, Raul aveva abbandonato il pionierismo futuristico per seguire le orme di famiglia e dedicarsi al wrestling. Non riuscivo a immaginarmi tipi più diversi. Minimal Jack, biondo e smilzo, sempre in eleganti abiti neri; Raul Garcìa Montero, palestrato e dalla pelle brunita, sempre in smoking bianco.
«Ne vuoi un goccio?» mi chiese Raul porgendomi la bottiglia aperta di Aviation Gin. Quella roba mi avrebbe ucciso, scossi la testa. Lui bevve direttamente dalla bottiglia, attraverso la fessura della maschera. «Accomodati e serviti pure.» Accettai l'invito a sedermi sul divano sbrindellato e sforacchiato dalle molle interne, ma non osavo sfiorare le ciotole di nachos dalle quale le sue grosse dita attingevano generose manciate che portava dentro la bocca, con le briciole che rimanevano impigliante sugli orli di stoffa sfilacciata della maschera. «Il bonifico del tuo capo è già arrivato nelle mie tasche,» disse Raul a bocca piena. «Immagino che vorrai la merce.»
Piccolo passo indietro. L'obiettivo della missione era recuperare un importantissimo artefatto tecnologico che era in possesso di Raul. "Quando lavoravamo entrambi per Brian Denver, avevamo elaborato un progetto avveniristico senza precedenti," mi aveva chiarito Minimal Jack. "Ci occupavamo di fasi separate. Io non avevo accesso ai suoi codici, e lui non aveva accesso ai miei. Io ho ottenuto il copyright del Radiante, Raul quello del Distorsore. Due elementi distinti ma che si completano a vicenda. Io ho il Radiante, adesso mi serve il codice sorgente del Distorsore per poterlo replicare e ultimare da solo il nostro progetto." Lui e Minimal Jack avevano litigato di brutto e non si parlavano da moltissimi anni, per questo Minimal Jack doveva agire per vie traverse. Raul non era più interessato alla tecnologia come un tempo, così aveva deciso di vendere il codice del Distorsore al migliore offerente. Minimal Jack aveva saputo che Brian Denver aveva deciso di comprare. Dopo lo scherzo che gli avevo tirato, Brian Denver non disponeva più di molta liquidità. Gli ultimi fondi a sua disposizione li aveva investiti per pagare il Distorsore. Era il suo ultimo disperato tentativo per risanare il crack della sua società. Ma gli serviva di un corriere che andasse per lui nella bidonville a ritirare il codice da Raul e poi consegnarlo a lui. Qui entravo in gioco io.
La persona alla quale si era rivolta Brian Denver per fargli da corriere era il più fidato dei suoi ex dipendenti. Bill, il ragazzo che mi ero lavorato alla Eternal. Mi bastò aspettare che si avviasse da casa, fermarlo per strada come fosse una casualità, e manipolarlo come avevo già fatto in passato: anzitutto gli feci spifferare tutto, dopodiché mi offrii per andare al posto suo. Dopotutto lui era un bravo ragazzo, chissà quali difficoltà avrebbe incontrato alla bidonville. Io invece ero cresciuta alle case popolari e per me sarebbe stata una bazzecola andare e tornare. E così eccomi in compagnia del señor Raul Garcìa Montero, il quale mi credeva essere lì per conto di Brian Denver.
«Sono nato a Città del Messico, e mi hanno educato secondo la tradiciònes delle màscaras. Ho un codice d'onore: non avrei mai tradito il mio capo. Riferisci questo a Brian Denver quando lo vedrai.» Annuii. «Digli anche che non sento più Minimal Jack. Quel pazzo ha sempre creduto di vivere in uno stato di polizia, ho sentito dire che si è messo in testa di creare un consorzio para-terroristico di hacker o che so io. Vuole realizzare il suo vecchio sogno della Techcrazia: cataloga i comportamenti umani, diffida dal libero arbitrio umano e roba del genere.» Ma di che stava parlando? Mi convinsi che la stava sparando grossa. «A ogni modo, fatina, veniamo a noi.» Non aspettavo altro. «Prima di darti il codice del Distorsore, devi fare qualcosa per me...» Oh cielo!
Ero sola, nei bassifondi, in compagnia di un elefante umano mascherato. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa di me. «Rilassati, fatina, io non mangio fagioli e cago riso.» Penso che fosse il suo modo per dirmi che potevo fidarmi. «Hai mai sentito parlare di realtà virtuale?» Come tutti, avevo visto film di fantascienza dove alcuni laboratori facevano indossare grandi caschi per proiettare le persone dentro ambienti simulati. Raul andò ad armeggiare nella zona cucina che, d'altronde, era comunicante con l'ambiente dove mi trovavo io. «Combatto per vivere, però non ho mai perso la passione per la scienza. Sono un wrestler, ma il mio cervello è matematico, funziona come una casella outlook. È piena di bozze al momento. Non le vedi le bozze nella mia testa? Ogni nuova mail in arrivo è un sovraccarico per il mio cervello, ma non sai che goduria ogni volta che c'è una mail in uscita. Hai presente un orgasmo?» Raul aka Blanco Jr. era ed è il personaggio più singolare che io abbia mai conosciuto. Aprì il frigo, prese la confezione del ghiaccio, ma al suo interno teneva una collezione di pile congelate. «Rubare queste pile è illegale, farne una copia è illegale. La loro stessa esistenza è illegale.» Feci spallucce e dissi: «mettile in un museo.» Nessuno usava espressioni come "mettere in un museo", per questo lo feci ridere di gusto.
«La tecnologia RV presente oggi sul mercato si basa su visori Oculus Rift o Samsung Gear. Gli Oculus devi collegarli a un computer, i Samsung a uno smartphone. Entrambi sono scomodi e con tutti i problemi del caso: difetti di compressione del file, visione sfocata per colpa delle lenti deformanti del visore, pixel e stereoscopia...» Vidi che inseriva le pile dentro un arnese. Non potevo vedere bene perché agiva dietro a una torta squagliata con crema e ananas e un fetido piatto di maccheroni al formaggio. «Io ho trovato la via giusta e l'ho chiamata: Candelora!» Quando mi mostrò l'invenzione segreta, impallidii. Aveva caricato le pile gelate dentro il tamburo di una pistola. Ebbi il tempo di alzarmi per tentare la fuga, che già ricascavo sul divano. Lentamente perdevo i sensi, e l'ultima cosa che vidi fu una specie di siringa piantata nella mia rotula.
Mi risvegliai lentamente. Vidi la mia mano senza pelle, il mio braccio fatto di ossa scoperte. Ero uno scheletro, ma lentamente la mia struttura si rivestiva come un guanto di pelle umana pixelata. Finché non tornai ad avere un aspetto umano. Mi trovavo sulla carrozza di un treno. Dico carrozza perché era tremendamente vecchia. Ero la sola passeggera. Vedevo scorrere il tramonto dai finestrini del treno in corsa. Il paesaggio era reale ma al contempo mi sentivo lontana come non mai dal pianeta Terra. Mi muovevo in una specie di mondo fantasma, del tutto estraneo alla realtà che ero abituata a percepire. Sul mio sedile era abbandonata una edizione ingiallita del Winter Daily. Il titolone in prima pagina annunciava la "Notte di Valpurga".
«Ciao, fatina.» Cercai la voce di Raul. Proveniva dal fondo della carrozza. Raul indossava la divisa di un controllore ferroviario. Non aveva più la maschera da tigre al volto, anzi, non aveva più il volto! La testa era conica, culminante in una specie di tentacolo bianco-grigio. Mi parlava dal foro al termine di quella oscena proboscide. «Ce l'hai il biglietto?»
Le sue intenzioni erano ben più sinistre, ma non rimasi ad attendere di scoprirle. Corsi nella direzione opposta. Sentivo i suoi passi pesanti inseguirmi, il tentacolo tagliare l'aria nella mia direzione per acchiapparmi con la sua ventosa. Passai alla carrozza successiva. Continuavo a correre. Il mostro mi raggiunse anche lì dentro. Arrivai alla fine del secondo vagone.
Stavolta non c'era però una porta che mi consentisse di uscire. O meglio, non era al solito posto. Si trovava sul pavimento. L'aprii come fosse una botola e mi fiondai dentro, avvertendo l'aria spostarsi sopra i miei capelli perché il tentacolo aveva appena tentato di afferrarmi. Non precipitai verso il basso come mi ero aspettata, perché questo nuovo mondo si sviluppava in orizzontale. Ma intanto, il mostro non mi concedeva respiro.
Arrivata all'altro capo del vagone, conoscevo già il gioco. Trovai la porta sul soffitto. Mi arrampicai sulle maniglie dei finestrini, ribaltai la porta, mi aggrappai con i gomiti per tirarmi su. Il tentacolo del mostro mi aveva afferrato per una caviglia e mi spingeva verso sotto. Lo scalciai. Risalii fino a ritrovarmi in un nuovo vagone. Corsi fino alla fine. Non appena aprii la porta e passai al successivo, mi trovai di fronte a una brutta sorpresa.
Il mostro era lì, e mi stava venendo incontro. Tornai nella carrozza di prima, e rividi il mostro anche lì, che mi correva incontro. Rientrai nella carrozza dalla quale ero già uscita, e il mostro che mi veniva incontro si era fatto più vicino. Indietreggiai fino alla carrozza precedente, ed anche lì il mostro che mi correva incontro si era fatto più vicino. Ero bloccata fra due mondi, e man mano che passavo dall'uno all'altro, il mostro era sempre più vicino. Era solo questione di tempo prima che mi prendesse.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top