SOULMATES #4

Dopo la nostra conversazione in sala musica di qualche ora prima, Lomax si stava dirigendo verso la classe quando aveva visto a distanza il suo amico Lester circondato dai cestiti della Harper. Era corso da lui, conoscendo l'inclinazione di quelli a bullizzare i più deboli. Con grande sorpresa aveva appurato che i ragazzi della squadra di basket non si stavano approfittando di Lester, semmai lo stavano incoraggiando a proseguire la terapia ormonale per cambiare sesso.

Quello che aveva tutta l'aria di essere uno scherzo di cattivo gusto non era nemmeno imputabile a una reale "conversione" da parte degli aspiranti giocatori NBA, quanto a delle notifiche di WIZ che aveva sponsorizzato la tendenza transgender. A Lomax la cosa puzzava, ma Lester non ascoltava ragioni: l'apprezzamento verso di lui e le sue scelte cresceva giorno dopo giorno, e qualsiasi fosse la ragione a lui non importava se poteva arrecargli giovamento. Al termine delle lezioni, Lomax mi aveva raggiunto nell'ufficio del preside, dove avevo appena finito di raccogliere la testimonianza del signor Duke. Lomax aveva notato quanto WIZ stesse cambiando le persone. Nel bene o nel male, quelle persone non erano più veramente loro stesse. Per questo Lomax aveva deciso di darmi ascolto.

Lo avevo velocemente messo al corrente di quanto avevo scoperto su Minimal Jack, nome in codice di Jack River. Sentivo che non tutta la verità era venuta a galla. Sentivo che dovevo ancora ricostruire il puzzle sulla vita di Minimal Jack se volevo veramente comprendere cosa mi stava sfuggendo del piano generale. Ma da dove cominciare? Lomax conosceva il nome di Minimal Jack grazie ai vecchi tutorial youtube che Jack River pubblicava quando studiava alla Harper e che ancora dispensavano saggi consigli a ogni aspirante hacker. Ma non aveva altri elementi che aiutassero a gettare luce sul quadro ancora nebuloso del suo passato.

«Pssst!» A richiamarmi è Jenna. Mi sbircia dall'interno dell'ufficio del preside, con la porta socchiusa a coprirle metà della faccia. Io e Lomax, in corridoio, ci avviciniamo per capire cosa vuole. «Se il signor Duke sa che ve l'ho data, mi uccide.» Dice Jenna allungandomi una busta bianca attraverso lo spazio aperto della porta. Jenna mi odia, ma ancora più forte è l'odio che prova verso il suo datore di lavoro, perciò non mi meraviglio che approfitti di ogni spiraglio per tramare alle sue spalle. Prendo la busta. «Ogni mese ne arriva una all'attenzione di Jack River, il ragazzo di cui ti ho sentito parlare con il preside. Dato che Jack River non studia più qui da anni e non sapendo dove recapitargliele, ogni volta che arrivano io conservo le buste accatastate nell'armadio. Sono tutte uguali.» La busta contiene una lettera: è indirizzata a Jack River ma proviene da Quiet Garden. «Chi può pensare che un ragazzo studi nella stessa scuola per oltre dieci anni senza mai diplomarsi?» Si domanda fra sé e sé Jenna prima di richiudersi dentro l'ufficio insieme alle note di Losing My Mind. Leggo il nome del mittente sotto Quiet Garden, e non credo ai miei occhi...


                                                                                             ***

«Siamo qui per Agnes River,» dico alla receptionist. Io e Lomax cerchiamo di comportarci con nonchalance. Dopo la scuola abbiamo impiegato mezza giornata di macchina per raggiungere l'elegante residenza di Quiet Garden. È la mamma di Minimal Jack che ogni mese scrive una lettera a suo figlio indirizzandola alla sua vecchia scuola. All'inizio pensavo che fosse un modo disperato per rimettersi in contatto con Jack, sapendo quanto fosse legato alla Harper. Lomax mi fece notare che probabilmente non aveva tutte le rotelle a posto, dato che Quiet Garden è una casa di riposo per anziani!

«Siete parenti?» Domanda la receptionist. Annuisco. «Bene,» dice la donna aprendo un grande registro: «fatemi vedere i vostri documenti.» Lomax si prende la testa fra le mani. Come ne usciamo? Dopotutto ho avuto il migliore dei maestri, e so come reagire di fronte l'imprevisto. «Va bene, ho mentito, non siamo parenti, e non la conosciamo nemmeno la signora River,» dico io prendendo la copertina del registro e richiudendolo sotto gli occhi della receptionist. Lomax crede che io sia impazzita. «Ci manda Minimal Jack,» dico alla donna mostrandole la busta da lettera: «dobbiamo personalmente consegnare questa lettera alla signora River. Personalmente, non so se mi spiego.» La receptionist legge il nome di Jack River sulla busta.

Se c'è una cosa che so di Minimal Jack è che sa come farsi amare. A parte i suoi nemici, non c'è una sola persona che l'abbia conosciuto e che non straveda per lui. Come a esempio il preside Duke. Soprattutto, Minimal Jack è uno che adora dispensare favori, rendere le persone riconoscenti nei suoi confronti. Se aiuta la gente non lo fa per seguire una morale, ma perché sa che un giorno potrà tornare a riscuotere il debito. Non ho dubbi che, anche a distanza, si sia assicurato che sua madre ricevesse il migliore trattamento: non solo pagando le migliori terapie, ma anche garantendogli cure amorevoli. Come riuscirci se non carpendo la benevolenza di chi le sta intorno?

«Ben fatto, Nancy Drew!» Lomax si congratula con me mentre un inserviente ci accompagna nella sala comune. Qui gli anziani ospitati dalla struttura siedono ai tavolini. Alcuni fanno i ricami, altri giocano a bingo. Prima di lasciarci, l'inserviente ci indica una signora in disparte, dalla corporatura robusta, seduta su una carrozzina. Non è esattamente un'anziana, la mamma di Minimal Jack non potrebbe esserlo anagraficamente. Però i suoi lineamenti scandinavi si sono induriti troppo in fretta. I suoi occhi chiari come il cielo sono spalancati, e dietro le pupille scorgo qualcosa di antico.

Io sono troppo sbigottita per aprire bocca. «Signora River?» chiede Lomax. Agnes sembra accorgersi soltanto adesso di noi. «Oh, Howard, ti trovo bene.» Come ci hanno spiegato all'ingresso, la donna ha subito una grave recessione neurologica. «Non sono Howard, signora River. Mi chiamo Freddie Lomax. Lei è Baby Lynn. Le abbiamo portato una cosa.» La mano di Lomax esercita una lieve pressione sulla mia schiena spingendomi in avanti. Mi faccio coraggio e restituisco la busta ad Agnes River. «Sappiamo che continua a scrivere a suo figlio. Purtroppo lui non è più alla Harper.»

Agnes prende la busta, il suo largo sorriso ha un ché di amaro. «Siete amici di Jack?» Non posso mentirle, per questo rispondo: «qualcosa del genere.» Agnes esamina la busta fra le sue grandi mani, rugose e carezzevoli. Non abbiamo aperto la busta. Non potevamo farlo tradendo la fiducia di una madre. Una madre la cui mente si sta nuovamente perdendo nei meandri oscuri dei ricordi.

«Siamo venuti per parlare di suo figlio Jack.» L'intervento di Lomax richiama al presente l'espressione smarrita di Agnes. «È Jack che vi manda? Come sta il mio bambino?»

Lomax si siede accanto a lei, le prende le mani fra le sue. «Veramente pensavamo che potesse essere lei a parlarci di Jack.» Mi siedo anche io vicino ad Agnes River, perché quella che ci racconta è una grande storia.

La storia del talento di Jack River. Vedeva cose che gli altri non vedevano. Sognava mondi che non esistevano. Parlava di un mondo migliore, che aveva preso forma nella sua testa e che lui avrebbe creato per rendere felici le persone. Agnes ha sempre creduto nel meraviglioso mondo decantato da Jack. Non era dello stesso avviso suo marito Howard, troppo realista, troppo preso dagli affari. A malapena degnava Jack di uno sguardo quando era un cucciolo. Quando Jack crebbe e ottenne i primi successi in rete, Howard lo esortava a smetterla e a intraprendere attività più serie. Poi, un giorno, un uomo buono venne a bussare alla porta dei River. L'uomo si chiamava Brian Denver. Era venuto per conoscere il "Golden Boy", così chiamava Jack. Lo aveva avvistato nella giungla del web, ne aveva scorto il potenziale, voleva unirlo al suo team, dare spazio alla sua creatività e trasformarlo nel genio che sarebbe diventato in futuro. Brian se ne andò non prima di avere lasciato un'offerta sul tavolo.

Jack, il Golden Boy, era felice di mostrare quel traguardo a suo padre. Una grande occasione che l'avrebbe consacrato nell'area informatica, ma soprattutto avrebbe cambiato la considerazione che il padre nutriva verso i suoi desideri. Niente di più sbagliato. "Ancora queste stronzate di internet?" aveva detto Howard stracciando l'offerta. "Devi crescere, Jack. Là fuori devi essere forte, devi imparare a combattere, a sbranare i tuoi avversari. Questa è la vera giungla. Homo homini lupis! Tu hai una responsabilità, Jack. Finiti gli studi, dovrai lavorare nell'azienda di famiglia e prenderne la guida quando non ci sarò più. Come ho fatto io, come ha fatto mio padre, e come tutti i River prima di noi. La nostra famiglia ha creato un impero. Non ti lascerò mandare tutto all'aria." Howard e suo figlio litigarono pesantemente, arrivarono quasi alle mani. Jack lo accusò di non essere mai stato un vero padre per lui, e scappò di casa. Scappò da quell'altro padre amorevole che aveva creduto in lui, scappò da Brian Denver. Poi successe quella brutta cosa...

«La fine del mondo... La fine del mondo...» Agnes non è più con noi. Il racconto ha rievocato un terribile ricordo. Improvvisamente la sua mente va alla deriva. Gli occhi azzurri le si inondano di lacrime. Il corpo fa avanti e indietro sulla carrozzina, la testa fa su e giù come a voler cascare giù dal collo, e ripete urlando sempre più forte: «io sono la fine del mondo... Io sono la fine del mondo!...»

Sono terrorizzata. Lomax mi prende per un braccio. «Andiamocene.» So che è la scelta più saggia. Prima che incolpino noi, e ci richiedano spiegazioni che non sapremo dare. Altri anziani vengono spaventati dalle grida di Agnes River. Perdono il controllo, come indemoniati anche loro scoppiano chi nel pianto chi a strillare.

Io e Lomax scappiamo via, inseguiti come dalle urla di un fantasma che latra alle nostre spalle: «...sono la fine del mondo. Io sono la fine del mondo...»

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