POWERBOMB #6
Lomax è ancora disteso sul ring. Tossisce e il suo viso assume una smorfia come in seguito a un dolore acuto. Tìa Soledad si china su di lui e con una mano gli tasta il petto all'altezza delle costole. «Forse ho un po' esagerato,» ammette dispiaciuta ma con un mezzo sorriso, come fosse orgogliosa di aver usato la Powerbomb contro un ragazzo. Montero estrae un cellulare dalla tasca e invia un messaggio ad alcuni suoi uomini. Daranno una sistemata a Lomax prima di sbatterlo in strada. «Presumo tu sappia dov'è l'uscita,» il suo tono sprezzante si rivolge a me: «qui abbiamo finito.»
Sono come pietrificata mentre odo i pesanti passi di Montero che si allontanano dall'arena. Lomax ha fatto uno sforzo notevole per voltare la testa. Credo che parlare gli faccia troppo male. Sta usando gli occhi per chiedermi scusa se non è riuscito a farcela. Il suo sguardo è come una lama che mi pugnala al cuore. È a terra, dolorante, ferito. Tutto a causa mia. Mi sento preda di una rabbia incredibile, diversa da quella che ho provato dopo la discussione con Mercedes. Questa rabbia è accompagnata da un velo di vergogna e autodistruzione. Vorrei spaccare me stessa in mille pezzi per quello che ho fatto. È colpa mia se Lomax è ridotto in quello stato. È colpa mia se quella bruja – termine spagnolo che sta per strega – gli ha fatto così male. Per un attimo dimentico il motivo per cui siamo qui. Dimentico Minimal Jack, WIZ e il piano segreto che dobbiamo sventare. Penso solo a quello che Lomax ha rischiato per me: trauma cranico, lesioni alla colonna vertebrale. La rabbia misteriosa si fa strada nel mio corpo.
Mi lancio all'inseguimento di Montero. Lo trovo quasi subito, varcata la porta da cui era uscito. È appoggiato a una parete, intento a scrollare delle notifiche sul cellulare. Tranquillo come se nulla fosse.
«Montero!» gli urlo contro. Lui si gira, senza fretta. «Sei un vigliacco, Montero! Un vigliacco!» Gli sono addosso, inizio a prendere a pugni i suoi addominali di marmo. Non si sposta di un millimetro per i miei colpi, non lo scalfisco neanche. L'unica reazione che gli provoco è il timore che un pugno faccia volare il suo cellulare, così lo ripone nella tasca dei pantaloni. Continuo a colpirlo e urlare: «mi stava anche bene finire in coma dopo la de-manipolazione, perché riguardava me, soltanto me! Ma cosa c'entrava Lomax? Perché hai dovuto fargli questo? Adesso per colpa mia rischia di finire paralizzato!»
Sto ancora tirando pugni quando mi rendo conto di quello che ho detto. A volte le parole vengono dette prima che la mente possa censurarle. Sono parole che vengono dritte dal cuore, per questo fanno tanto casino.
Ho detto: "Per colpa mia" e lo penso.
Sono io che ho scatenato questo casino. Ho dato la colpa al male che mi hanno fatto, al desiderio di vendetta come se mi avesse trasformato in una persona diversa. Ma la verità è che sono io ad averlo voluto. Io ho fatto tutto, io non ho fatto niente per fermarlo. È colpa mia, ogni cosa è colpa mia. Lo penso e lo ripeto, senza più censure.
«Per colpa mia! Per colpa mia! Per colpa mia!»
Montero si scansa con un gesto rapido e il mio pugno va a finire contro la parete a cui lui era appoggiato. La potenza di un pugno si calcola in base alla distanza con il suo obiettivo. Il mio obiettivo si è spostato e il pugno ha perso potenza, facendo perdere a me l'equilibrio e facendomi cascare a terra. Sono stanca, sfinita. Terrorizzata che Lomax sia ferito gravemente. Alzo lo sguardo e vedo che Montero mi sta porgendo la mano: «alzati biondina, e vieni con me.»
Qualcosa nella sua voce mi convince. Rifiuto la sua mano, preferisco alzarmi da sola, ma appena si muove io lo seguo. Arriviamo fino al suo ufficio, che dà sulla terrazza della Catedral. «Conosci il vangelo, Baby Lynn?» inizia così il discorso di Montero, la sua voce sembra meno spaccona: «c'è un passo che mi ha sempre colpito. Parla di un centurione romano che avvicina Gesù chiedendogli la grazia di curare un suo servo. Gesù è disposto a venire in casa del centurione ma questi non si sente degno di riceverlo sotto il suo tetto, essendo un pagano. Però ha fede che se Gesù dirà una sola parola, il suo servo guarirà. La stessa fede che ripone nei suoi soldati, perché quando dice a uno "fai questo" è certo che il soldato la farà senza bisogno di controllare.»
Non so dove mi stia portando con questo discorso.
«Ho letto questo passo a Minimal Jack quando eravamo ragazzi. Per molto tempo ho creduto che io e lui guardassimo nella stessa direzione. Creare una tecnologia in grado di migliorare la vita e a cui fare cieco affidamento. Proprio come il centurione.» Prende un attimo di pausa, come dopo aver incassato un diretto: «Mi sono reso conto troppo tardi che Minimal Jack era affascinato da un altro dettaglio di quella storia: la cieca obbedienza dei soldati romani al loro centurione. Comandare ed essere sicuri che quel comando fosse eseguito, senza bisogno di verificare o discutere.»
Mi tornano in mente le Tipping Girls. Soldati fedeli al comando del loro signore e padrone. Come le aveva definite lo stesso Minimal Jack, erano i suoi "primi imperfetti prototipi" che conservava per questioni affettive. Come Dio con Adamo, o Eva: quelle ragazze rappresentano i primi esperimenti umani del "mondo nuovo" che si prometteva di costruire.
«Forse anche io ho la mia parte di responsabilità nel piano che Minimal Jack sta per attuare. Forse anche io ho contribuito a far nascere in lui quell'idea terribile.» Sento rimorso nelle sue parole. Autentico. Sincero. «Ciò nonostante, io non fermerò Minimal Jack. Sembra pazzesco, ma io gli voglio ancora bene. Fermare Minimal Jack vorrebbe dire distruggerlo. Non parlo a livello metafisico o simbolico. Intendo distruggerlo come essere vivente. Io non lo farò. Ma se tu vorrai provarci, non ti ostacolerò.»
Si avvicina a me. Mi consegna la busta nera che nascondeva nello smoking bianco. La scarto velocemente...Vuota! Non c'è nulla al suo interno. Gli occhi di Raul Garcìa Montero mi fissano, da dietro la maschera di Blanco Jr.
«Nel tuo caso non esiste un Distorsore abbastanza efficace da praticare una corretta de-manipolazione. Quando ci siamo conosciuti l'anno scorso, eri venuta per rubarmi il Distorsore. Come sai, in passato io e Minimal Jack abbiamo lavorato allo stesso progetto ma su due fronti opposti: suo è il copyright del Radiante, il programma che può manipolare la gente. Mio è il Distorsore, il programma che può de-manipolare la gente.» Raul si sposta all'esterno, lo seguo. «Quando hai giocato nella mia realtà virtuale il mio Distorsore ha potuto constatare che c'era qualcosa nel tuo cervello, una sorta di lucchetto limbico messo a sigillo della tua psiche. Ho riconosciuto subito la firma del mio ex socio: è sempre stato il numero uno a creare quei lucchetti tramite l'induzione di squilibrio emotivo. Panico, soggezione, disperazione: sono queste le inclinazioni emotive sulle quali si basa il suo Radiante. Tutto l'opposto del mio Distorsore.»
Raul si appoggia al cornicione del terrazzo. «Il lucchetto limbico era inespugnabile anche di fronte alle emozioni più viscerali come la rabbia o il dolore. Avevo provato a liberarti, ma tu eri già a un passo successivo negli esperimenti di Minimal Jack. Il mio ex socio ha sempre creduto che l'evoluzione potesse essere pilotata. Dopo i dinosauri sono venuti gli uomini, e dopo gli uomini pare verranno gli "uomini perfetti" di Minimal Jack. Mi resi conto che tramite te era arrivato alla soluzione finale.» Anche io mi sporgo dalla terrazza, e ammiro il panorama di Winter Spell rischiarato dalla luna piena. «Però c'era ancora una possibilità, un'altra emozione che Minimal Jack non aveva considerato e che avrebbe causato uno squilibrio sulle onde primarie del tuo lobo frontale. Una distorsione spontanea che avrebbe potuto polverizzare il lucchetto. Nessun mezzo esterno sarebbe stato efficace quanto un'autodiagnosi. Nel tuo caso la distorsione doveva venire da te, da dentro di te. Il senso di colpa! Ciò che hai provato nel vedere la lotta fra Tìa Soledad e il tuo amico... o qualunque cosa lui sia per te!»
Non ho capito... sta dicendo che sono libera dalla manipolazione?
«Il lucchetto ora è aperto, e tutto ciò che Minimal Jack ha provato a cancellare dalla tua mente per renderti la perfetta vendicatrice ora verranno fuori. Questo però avrà un costo. Potresti andare incontro ad allucinazioni, visioni oniriche del tuo passato. Una sorta di brutto trip mentale. Alla fine però sarai del tutto libera, te lo prometto.»
Controlla una notifica sul suo cellulare e sorride: «perdonami per la messinscena, ti posso assicurare che Tìa Soledad è una maestra nel giostrare la forza, mi ha appena detto che il ragazzo ha solo qualche livido. Si rimetterà presto in piedi. Guarda tu stessa.»
Mi porge il suo cellulare, collegato a un sistema di telecamere all'interno della infermeria dell'arena. Lomax è steso sul lettino, a petto nudo. Le immagini sono in bianco e nero ma riesco a vedere le macchie scure sul suo petto, i suoi lividi. Mi rendo conto subito dopo che questa è la prima volta che vedo Lomax a petto nudo, e che ha il fisico asciutto ma più muscoloso di quanto pensassi! Tìa Soledad sta passando uno straccio bagnato sui lividi. Sì, ammetto che Lomax potrebbe non avere tutti i torti. Il fisico, l'altezza, le movenze della wrestler mascherata ricordano quelli di Miranda Eval, la gestrice del negozio sportivo: la prima persona ad averci messo sulla pista giusta per rintracciare Blanco Jr. Un momento, Tìa Soledad si china su di lui e... che sta facendo quella stronza?? Sta baciando Lomax?? Ma come si permette??
Lomax apre gli occhi. Io metto l'audio del cellulare a tutto volume. Voglio capire cosa si diranno.
«Credevo che volessi uccidermi, o comunque che fossi impegnata!» dice Lomax, con il suo solito modo gentile. Tìa Soledad la prende a ridere, gli risponde con tono languido: «oh, passerottino!» Ma come parla questa qui? Come si permette di chiamarlo "passerottino" poi? «Non c'era niente di personale. Mi hanno chiesto di darti una piccola strapazzata e io l'ho fatto, tutto qui. E poi, io e Raul non viviamo in una gabbia come tante altre coppie. Viviamo senza catene,» dice così mentre continua a palpeggiargli i pettorali, le taglierei quelle mani se potessi! «Catene che forse piacerebbero a te e alla biondina. Vi vedo bene incatenati insieme, sai?»
Come si permette questa stronza? Perché non si fa i fatti suoi? «Tu dici?» risponde Lomax. Perché le risponde? Tìa Soledad sorride: «tu no?» Che rabbia mi fa con quest'aria da superiorità che si mette! «Non siamo neanche riusciti a baciarci.» Lomax, ma perché le racconti i fatti nostri? Chi è lei per te da darle tutta questa confidenza?
«Passerottino...» ricomincia? «...ascolta questa guapa: la biondina ha passato troppo tempo a pensare solo alle cose brutte, ora deve ricordarsi che ci sono anche quelle belle. È come quando sali sul ring, devi pensare solo a una cosa: buttare giù l'avversario. Ma quando scendi dal ring, devi lasciare lì la guerriera e tornare la chica che eri prima di salirci. Devi pensare questo: la biondina non è ancora scesa dal ring, ma se avrai pazienza lo farà. Perché prima non aveva motivo di scendere, ora però ci sei tu.»
Riconsegno il cellulare a Raul e lo ringrazio. Mi avvio verso l'uscita pensando alle parole di Tìa Soledad. Per essere puta è davvero puta.
Ciò non toglie che abbia ragione.
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