DO IT BETTER #3
L'ANNO PRIMA...
So che nessuno dall'esterno poteva vedermi a bordo perché i finestrini erano oscurati. Però io, seduta sui sedili posteriori, riuscivo a vedere fuori il disegno urbano delle case popolari trasformarsi nel paesaggio cittadino del centro di Winter Spell.
Minimal Jack era seduto davanti, sul sedile del passeggero. Come avrei scoperto conoscendolo più a fondo, non ha mai amato guidare. Al volante dell'automobile c'era una ragazza dalla pelle brunita. Minimal Jack me l'aveva presentata con il nome di Jameela. Come indicava il nome, era di origine indiana, o pakistana. Portava i capelli rasati cortissimi, attraverso i quali si poteva scorgere la cute, ma questo non intaccava nulla della sua bellezza esotica. Azzardai che potesse essere sulla trentina, come Minimal Jack. La sua fidanzata? Sperai con tutto il cuore che non fosse così. Jameela mi incuteva una certa dose di inquietudine tutte le volte che incrociavo il suo sguardo sullo specchietto retrovisore. Qualcosa mi diceva che non era felice di avermi intorno.
Lungo il tragitto nessuno di noi tre aveva pressoché detto una parola. Di tanto in tanto Minimal Jack si voltava a guardarmi, il suo sorriso mi confortava in una maniera che non so spiegare e mi è rimasto impresso insieme alle strofe di Take a Chance on Me allo stereo. Non avevo mai creduto che mi stesse conducendo a un castello diroccato in montagna, ma neppure che la Olds Mobile 442 nera come la notte (nelle poche battute che avevamo scambiato Minimal Jack si era vantato di questo lussuoso pezzo da collezione) si potesse fermare nel parcheggio sotterraneo della stazione centrale.
Lasciammo Jameela a prendersi cura della Olds Mobile e risalimmo in ascensore. Non eravamo diretti ai binari ma ai piani superiori. Non ero mai stata lassù. Diversi corridoi bianchi si allungavano e intrecciavano come i percorsi di un labirinto. L'illuminazione era asettica, quasi da far perdere il senso dell'equilibrio. Oscillatori acustici sistemati sul soffitto a debita distanza tra loro trasmettevano senza soluzione di continuità un rilassante sottofondo chillout elettronico. Se da un lato le vetrate consentivano di affacciarsi sul formicolio sottostante di lavoratori e visitatori che andavano e venivano per la stazione, l'altro lato dei corridoi era composto da pareti divisorie trasparenti che davano su diversi ambienti. Spazi dedicati a desktop provvisti di PC all'avanguardia con schermi incredibili, aree fumatori, sale ricreative e un salottino da tè. Non capivo la ragione di un assortimento di natura così disparata.
«Questa è la nostra casa, Baby Lynn!» mi disse Minimal Jack. Nostra di chi? Improvvisamente, una ragazza spuntò da dietro l'angolo in fondo al corridoio. Aveva la mia età, la testa rasata come Jameela, ma la cosa più incredibile era che andava in bicicletta! Se solo io mi fossi azzardata a fare una cosa del genere in casa mia, Mercedes mi avrebbe sbattuta fuori dalla porta. La ragazza alzò una mano dal manubrio per salutare. «Ciao, MJ.» Lui le rispose mentre quella ci veniva incontro. «Ciao, Polly.» La bicicletta ci raggiunse, la ragazza salutò anche me con un sorriso, ci superò e svoltò dietro l'angolo che ci eravamo lasciati alle spalle.
«Questa è la sede della Tipping Wiz, la mia tech company,» mi spiegava Minimal Jack facendomi strada: «Io e loro lavoriamo qui. Facciamo ogni cosa qua dentro: mangiamo, dormiamo, ci viviamo!» Fece scorrere una parete divisoria e mi invitò a entrare. «Loro chi?» domandai con una punta di timidezza. Mi introdussi nella stanza, bianca come tutte le altre, con un fintissimo arredamento stile Ikea, dove la musica diffusa veniva sostituita dal brano elettronico trasmesso da una vecchia radio Pioneer che pendeva dal tetto come un lampadario. Minimal Jack tese il palmo aperto a indicarmi: «loro!»
C'erano due ragazze soltanto, credo un po' più grandi di me, impegnate in una sfida a ping pong al tavolo centrale. «Amiche,» Minimal Jack le chiamò a raccolta: «vi presento Baby Lynn!» Le due misero giù le racchette, mi rivolsero gesti cordiali e frasi di benvenuto: una si chiamava Shannon, l'altra Heather. Entrambe con la testa rasata.
Shannon non la smetteva di parlare. Diceva di essere un'appassionata di videogiochi, mentre la sua amica era una a cui piaceva ballare in discoteca. Il sorriso a trentadue denti di Shannon, il modo in cui le punte delle labbra si incuneavano sul principio delle guance mi ricordava qualcosa, ma non sapevo dire cosa. Heather si limitava a dire qualche sciocchezza di circostanza, perlopiù se ne stava in ascolto con il sopracciglio destro più sollevato del sinistro. A chi altri avevo visto farlo?
Qualche minuto dopo entrava Jameela con la sua espressione perennemente accigliata, seguita da Polly che spingeva la bicicletta. Mi accorsi solo allora che tutte quante vestivano alla stessa maniera indossando una specie di tuta bianca da ginnasta modello maschile. Ai piedi portavano stivaletti neri, intorno alla vita era stretta una cintura di cuoio e completavano il tutto con un paio di bretelle color carne. Pensai fosse la divisa della Tipping Wiz. «Loro lavorano per te?» domandai subito dopo pentendomene.
«Oh, no. Loro lavorano insieme a me. Noi siamo una famiglia.» Le quattro ragazze si erano messe una di fianco all'altra di fronte a noi. «Ti presento le Tipping Girls!»
Ero seriamente ammirata dal fascino che trasudava quella squadra di giovani ragazze. Come spiegava Minimal Jack, Shannon era l'esperta di grafica, Heather l'organizzatrice di eventi, Polly si occupava degli aspetti testuali. Si soffermò su Jameela, passandole dietro e mettendole le mani sulle spalle: lei era la commerciale, l'addetta alle vendite, da come ne parlava intuivo che era la sua ragazza prediletta, quella di cui si fidava di più. Per questo Jameela mi odiava, non mi conosceva ancora e pensava potessi rappresentare un pericolo per lei. Beh, ammetto che provai un tantino di invidia e irritazione nei suoi confronti.
«Baby Lynn si fermerà da noi per un po' di tempo,» comunicò infine Minimal Jack. Polly si offrì di prepararmi una camera nell'ala degli alloggi. Shannon si mise a disposizione nel caso mi fosse servito qualcosa. Heather, al solito, non proferì parola, capii che non mi vedeva di buon occhio. Quelle che più mi ferirono furono però le parole di Jameela: «quantifica un po' di tempo.»
Non mi voleva tra i piedi. Era guerra aperta. Come potevo competere con lei? Era la ragazza preferita di Minimal Jack. Ed era magnifica, una di quelle bellezze ideali da cartellone stradale che pensi esistano solo se disegnate da dio photoshop, troppo bella per essere vera. Vidi che sotto la sua tuta bianca emergevano le sagome di due piercing circolari appesi a entrambi i capezzoli, si erano induriti per l'ebrezza della competizione. Mi puntò addosso i suoi occhi rabbiosi: «io dico che non dura un giorno.»
Cercai di reggere la sfida e di non abbassare lo sguardo. Non era facile. Poi vidi qualcosa. La sua iride castana si restringeva e allargava in maniera ipnotica. La stessa identica rifrazione pupillare con la quale Minimal Jack mi aveva stregato in ospedale. Nel caso di Jameela però aveva qualcosa di innaturale. Cominciai a collegare. Il sorriso di Shannon, l'alzata di sopracciglio di Heather, il tic oculare di Jameela... erano tutte caratteristiche di Minimal Jack! Come se quelle donne fossero l'emanazione dell'unico uomo che viveva insieme a loro. Erano umane, ma quelle crepe rivelavano qualcosa di artificiale, come fossero create a immagine e somiglianza di un'altra persona, il loro capo...
«Quanto tempo durerà lo vedremo,» Minimal Jack tagliò corto e con un cenno fece segno alle Tipping Girls di tornare alle loro attività. Mi accompagnò sino al fondo della sala, dove rivolse la sua attenzione a un vecchio telefono dotato di cornetta e appeso a muro. Doveva avere una significativa fascinazione per il vintage a giudicare dall'automobile, dalla radio Pioneer e ora dal telefono. Si mise a comporre un numero sul selettore a disco. Non stava chiamando nessuno. Si trattava di una password. Terminata la sequenza numerica, uno sbuffo da sotto la parete mi refrigerò i piedi. Il codice di sicurezza aveva sbloccato una porta segreta. Minimal Jack la spinse in avanti, e insieme a lui entrai nella sua caverna.
Nessun laboratorio high-tech da Silicon Valley e nessun antro alchemico da film dell'orrore. Era un teatro. Lo seguii lungo il corridoio centrale che divideva in due parti le file di poltrone e che puntava dritto al palco in legno. «Allora, MJ» dissi ironica e ripetendo il nomignolo con il quale l'avevo sentito apostrofare dalle altre ragazze: «hai promesso che mi avresti aiutato a vendicarmi. Qual è l'addestramento? Non ho una buona mira, nel caso pensassi al lancio del coltello o al tiro a bersaglio. Arti marziali? Una volta ho seguito un corso di kick...»
Venni interrotta dalla sua risata. Spontanea ed esagerata al tempo stesso. Era salito sul palco e io lo seguivo di qualche passo. «Niente di tutto ciò, Baby Lynn» disse cominciando a frugare in uno scatolone: «niente coltelli, niente pistole. Quella che imparerai a usare è l'arma più pericolose di tutte.» Prese qualcosa fra le cianfrusaglie, lo lanciò verso di me, lo presi al volo, e guardai incredula l'oggetto sul palmo della mia mano: «un cellulare?»
«Un modello particolare. Non può chiamare, non può collegarsi in rete. Troverai al suo interno una sola applicazione, predisposta per funzionare off-line.» Parlava e mi girava pian piano intorno, così vicino che potevo sentire il suo respiro. «Questo posto è pieno di animali invisibili. Li ha creati Shannon. Quel cellulare è uno dei pochi in grado di individuarli attraverso la sua videocamera.» Pokémon Go? Sul serio? «Non dovrai semplicemente individuarli. Devi avvicinarti con cautela, attenta a non farli fuggire. Tutti loro hanno un QR Code stampato in una parte del loro corpo. Devi scovarlo e fotografarlo. Questo è il tuo addestramento.»
Non volevo credere alle mie orecchie. Feci uno sbuffo divertito: «tutto qua?»
«No, in effetti no. C'è un'altra cosa.» Smise di vorticarmi intorno, mi venne vicino, il suo naso quasi a sfiorare il mio. «Non chiamarmi mai più MJ. Non fin quando non sarò io dirtelo.»
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