SHARED UNIVERSE #6
La hot rod corre come un razzo attraverso la distesa desertica. Sulla biposto, io sono seduta di fianco a Minimal Jackie che manovra il volante ridendo come una ragazzina. Va veloce e guida spericolata. Mi piace! Ha pure un vecchio mangianastri che canta Evening Star di Fripp & Eno. L'hot rod plana da una duna all'altra perché è molto leggera, priva com'è di tettuccio, finestrini e paraurti. Mi tengo allo sportello per non essere sbalzata fuori, ma non voglio che rallenti.
Sento della corrente passarmi sulle mani, è mossa dalle prese d'aria alla base degli sportelli. La macchina a passo corto è stata modificata per contenere degli alettoni interni, ma sopra i copertoni posteriori svettano comunque due tagliavento, uno per lato, come le ali da pipistrello sulla batmobile. Se le ruote davanti sono normali, quelle posteriori sono grandi almeno il triplo. La parte davanti è mostruosa, con il gigantesco motore che si affaccia dal centro del cofano, sormontato dal radiatore e circondato sui lati da cilindri metallici che sfiatano a tutto gas.
Attraversando i tunnel sotterranei la vettura, verniciata di un rosso appariscente, risalta su ogni cosa. Il soffitto è ampio e roccioso, la pavimentazione arida. Senza un cielo, quel mondo privo di risorse viene definito dalle radici marce e annerite che, mentre in superficie si sviluppano negli alberi della grande foresta, gigantesche e sproporzionate piovono dall'alto per frastagliare gli ambienti.
«Questo è il mio feudo,» dice Minimal Jackie senza mezzi termini. Abitanti del feudo sono gli Alterni, uomini e donne, potenti telepati, tutti sottomessi al volere supremo di Minimal Jackie. Vivono a gruppi, o tribù familiari a giudicare dalla composizione eterogenea. Mangiano e dormono dentro buche sotterranee scavate nelle pareti: al nostro passaggio gli Alterni aprono le tende distillanti e si affacciano dalle tane per salutare la Regina. Ciascuno di loro, senza alcuna eccezione, indossa una tuta nero carbone e un mantello impermeabilizzato. «Le tute mentaliche filtrano i loro residui organici, ne riciclano le cellule e le restituiscono al loro corpo come energia mentalica.» In questo modo la loro telepatia è continuamente ravvivata. Unica nota di colore sulla divisa nera è il turbante bianco, strettamente annodato alla testa, a simboleggiare la purezza delle loro menti elevate. Sono stati spogliati del loro nome proprio, a identificarli rimane solo un braccialetto al polso che indica il loro gruppo sanguigno, come profughi di una banca di sangue vivente.
Vedo alcuni Alterni attingere l'acqua da cisterne comuni: qui è stata portata l'umidità e la rugiada prima raccolte e purificate dai condensatori sui tetti, poi restituite sottoforma di acqua potabile. Quando gli Alterni faticano, respirano dentro boccagli collegati a tubi di recupero che espellono il calore radiante. Mangiano piccoli frutti rossi simili a more dall'aria indigesta. Quegli spazi sono impoveriti, hanno poco o nulla ormai da offrire, ma loro non sembrano soffrirne. «Le peggiori condizioni ecologiche e fisiche servono per migliorare l'addestramento mentale,» dice Miniaml Jackie dopo aver eseguito un testacoda. Conduce la hot rod indietro e prende una nuova direzione.
Il labirinto di tunnel converge su uno slargo, simile a uno stagno prosciugato, dove è collocata una statua metallica, mezza coperta da conchiglie e minerali, che riproduce le fattezze di un robot. Da quando in qua si costruiscono le statue in omaggio ai robot? Minimal Jackie ferma l'hot rod vicino al piedistallo del monumento, ma non spegne il motore, segno che non è quella la nostra destinazione finale.
Mi accorgo che, al posto della testa di ferro, il robot ha un enorme globo grigio-azzurro. Un ologramma che riproduce un volto umano: gli occhi esprimono una forza irresistibile, il naso è lungo e ricurvo, la bocca ampia e sensuale. Minimal Jackie è accanto a me, ma anche nella bolla virtuale sulle spalle del robot: un'intelligenza artificiale che sempre osserva gli operosi Alterni e comunica direttamente alla mente della vera Jackie. «Alzarono questa statua in mio onore quando li liberai dalla tirannia,» mi dice Minimal Jackie. Vedo una fiamma accendersi nei suoi occhi mentre mi racconta come divenne la Regina Rossa.
«Se hai creduto che io fossi malvagia, non ti biasimo. Una persona malvagia è però l'eroe buono della propria storia, perché in passato ha subito altre malvagità. Mai giudicare. I cattivi sono solo eroi che hanno perso la loro occasione e ai quali non ne è stata offerta una seconda. Mi vedi da ragazzina, sporca di grasso e olio per motori, a rubare rottami nei depositi e a riparare le auto nell'officina dello zio? Un giorno venni rapita e portata qui da un uomo malvagio. Ero il suo sogno bagnato, di un uomo più anziano di me. Il Piegatore ha fondato la tribù di Alterni che qui vive, ha creato lui questo posto, è stato il mio maestro, come io lo sono stata per Jack. Il suo nome era Siege, il suo titolo quello di Piegatore e questo posto il suo vescovado. Siege è stato il mentalista più potente che sia mai nato, il nostro messia. Egli solo aveva il dono dell'iper-percezione, una facoltà derivata dall'antica aruspicina: egli poteva vedere in anticipo tutti i futuri possibili. E fra tutte le infinite probabilità che aveva consultato, una sola strada temporale avrebbe portato a un grande destino: il giorno in cui noi mentalisti avremmo trasmesso l'arte della telepatia ai comuni mortali, elevandoli al gradino successivo della specie umana. Per riuscirci, i mentalisti avrebbero dovuto cancellare ogni dolore dai cervelli mortali e rigenerarle come menti vergini.»
Le labbra di Jackie si serrano in una linea dritta con gli angoli segnati e stretti nella parte finale, tingendo di lampone la sua pelle candida. «Il Piegatore era ostinato, non voleva condividere il nostro dono con il genere umano, era sordo al volere del suo popolo. Fui costretta ad ucciderlo, furono gli Alterni a chiedermelo. Prima che se ne andasse per sempre, ottenni il perdono del mio maestro. Siege non era sorpreso che l'avessi tradito, non aveva paura della morte, anche quella aveva "visto" nel futuro. Prima di morire il Piegatore Siege mi disse tutta la verità: c'era una ragione se aveva voluto tenere la sua gente lontana da quell'unico snodo temporale. Era l'unico futuro incompleto, che lo turbava nel profondo perché non riusciva a scrutarvi fino in fondo. Era un futuro oscurato da un'incognita che sfuggiva alla sua visione profetica, quella che lui definì una macchia genetica. Non ho mai scoperto a cosa si riferisse. Non ne ebbi il tempo. Il popolo mi acclamò sovrana, io trasformai l'antico vescovado nell'attuale tribù, sostituii il ruolo del Piegatore con quello della Regina Rossa. Nel Paese delle Meraviglie la regina deve sempre correre per rimanere nello stesso punto, io correvo veloce verso il cambiamento e il cambiamento mi ha fermato nello stesso posto. Salii sul trono del mio maestro.»
Minimal Jackie recupera la sua aria schietta e superiore, mi sorride triste, estremamente affascinante. Lei è stata l'eroina del suo popolo, ha rinunciato al suo amore verso il maestro per dare la precedenza al bene comune: ha liberato la sua tribù dalla tirannia. Ma cosa succede all'eroe quando conquista il potere? Mi chiedo se Minimal Jackie non sia talmente innamorata del suo ruolo, del fortino che ieri ha salvato e che oggi protegge, da essere diventata un tiranno a sua volta.
«Quando vedo te, vedo la me del passato.» Sono lacrime quelle che le vedo sulla guancia? Minimal Jackie torna sulla hot rod, dove il mangianastri è passato a Streets of Laredo. Riprendo il mio posto accanto a lei. L'auto infila il declivio sulla sinistra e corse lungo una striscia di tunnel. Rimango in silenzio. Mi chiedo se anche io debba vedere in Minimal Jackie la me del futuro.
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