ROOKIE VIP #6

Appena mezzora dopo ci muoviamo in mezzo ai visitatori delle installazioni artistiche di ispirazione luddista del Google Barn. Sculture notevoli che si rifanno ad esempio al telaio meccanico introdotto durante la rivoluzione industriale comportando la diminuzione salariale e la disoccupazione di molti lavoratori. Non ci rimane moltissimo tempo. Io e Lomax ci separiamo al montacarichi che funge da ascensore. Abbiamo deciso che sarà lui a sfruttare il nostro unico badge per accedere ai piani alti, io rimarrò alla mostra per guidarlo a distanza.

L'inserviente spinge una leva per mettere in moto i potenti generatori e azionare il montacarichi. Lomax avverte la piattaforma traballare e si regge al corrimano, non avendo una gabbia di protezione. Annuisco in forma di sollecitudine, dopodiché il montacarichi, senza strattonare i passeggeri o sferragliare, parte come un razzo, risale lungo la struttura d'acciaio dipinta di giallo alla quale è agganciato e divora le trenta rampe di scale del palazzo.

«Una teoria molto accreditata e mai verificata nella pratica, meglio nota come Sindrome Cinese, ci fa capire cosa succederebbe in caso di incidente in una centrale elettrica nucleare.» Mi muovo attraverso la mostra fingendomi interessata alle opere d'arte, in realtà sto ascoltando tramite cuffie bluetooth la voce della guida che, all'ultimo piano, accompagna il gruppo cui si è unito Lomax. «La Sindrome Cinese presuppone che, in caso di fusione del nocciolo del reattore, niente al mondo riuscirebbe a fermare il nocciolo, il quale dopo essersi fuso fino alla base della centrale, perforerebbe la crosta terrestre e continuerebbe a scendere, supererebbe il nucleo del pianeta e spunterebbe dall'altra parte del globo, ovvero in Cina

Lomax sussurra nelle cuffie, sovrappone la sua voce a quella della guida per descrivermi il disastrato scenario in cartapesta attraverso il quale lo stanno conducendo. Un percorso binario che si snoda lungo un paesaggio roccioso, cosparso di finta grafite dispersa dall'esplosione atomica oppure dalla fissione in corso negli impianti nucleari rappresentati dalle scenografie sul territorio circostante.

«Ci sono, Wiz Girl. Ripeto, ho raggiunto Whiterose.» Lomax ci prende gusto a fare la spia. Non sentivo più quel mio soprannome da supereroina, Wiz Girl, dalla notte del grande ballo. Seguando la strategia concordata, Lomax si è defilato dalla carovana di visitatori e, non visto, ha aggirato il set apocalittico per sbucare in un corridoio dalle pareti metalliche. Mi ha contattato dopo avere individuato la sala che abbiamo indicato con il nome in codice di "Whiterose". Ha sbirciato attraverso l'oblò di vetro sulla porta blindata e riconosciuti i monitor interconnessi a un disco centrale: sono i sistemi operativi che stanno downloadando i dati della Google Car e che li uploaderanno su street view. Considerata la delicatezza del compito, Whiterose è costruita come una gabbia di Faraday: è una stanza schermata dall'ambiente esterno, dove è proibita l'intromissione di ogni tipo di segnale elettromagnetico, no wifi, no radio, no segnale. Ragion per cui non è sorvegliata da un sistema di telecamere. Nessuno vi può entrare se non i tecnici di controllo a determinate ore del giorno. A quest'ora del giorno è totalmente vuota. Dobbiamo sbrigarci.

«123 non va,» mi comunica Lomax dopo aver digitato il codice di tre cifre sul dispositivo di sicurezza alla porta. Alla Tipping Wiz Minimal Jack mi aveva fatto memorizzare i codici più comuni. Nemmeno i programmatori informatici sfuggono a una tale semplicità di pensiero. Detto nuove formule di codice a Lomax, che in simultanea li digita sulla pulsantiera. 911 come l'11 settembre e 365 come i giorni dell'anno si rivelano due buchi nell'acqua. «Ci rimane un solo tentativo,» mi annuncia Lomax, preoccupato dalla sfera rossa dell'allarme. Stavolta non posso sbagliare. Penso a 666, il numero del diavolo. Poi dico: «777.»

Lomax trattiene il respiro. Compone il codice. 7 è il numero sacro, e penso che chi celebri il potere del mondo binario voglia proteggerlo con tre volte il numero sacro. «Sono dentro Whiterose,» dice Lomax richiudendosi la porta alle spalle. Mi asciugo il sudore dalla fronte.

Lomax ha recepito bene i miei insegnamenti. Manca mezzora all'aggiornamento satellitare definitivo, ma lui ha già individuato il monitor che interessa a noi. La trasmissione satellitare dei dati raccolti dalla Google Car è in corso. Lomax preme il tasto "Delete" e spazza via ogni cosa.

Lo sento esultare mentre, passeggiando, sono finita nella sala dei dipinti. «Non così in fretta, Lomax. Interrompendo il protocollo di informazione hai bloccato i metadati e gli header, quel flusso di dati che rappresenta il contenuto informativo. Siamo solo a metà del lavoro. Dobbiamo far sparire anche il payload o non avremmo combinato nulla.» So che a Lomax il termine ricorda per analogia il mondo dei corrieri e dei trasportatori, in quanto si riferisce a un carico utile. «Quando una macchina smette di funzionare, i dati informativi si salvano su una memoria di file diagnostico. Trova il nostro payload e fallo fuori!»

Stacco la conversazione per non assillare Lomax più del dovuto mentre ricerca il server di backup con la foto di Jack Boy. Tento di sedare l'ansia galoppante sedendomi a una panchina di marmo. Mi ritrovo a fissare il dipinto appeso alla parete, che da solo la occupa tutta. La targhetta sottostante ne indica il titolo: Undo, come il tasto nei Mac che resetta ogni sbaglio, ogni errore commesso. Sarebbe bello se esistesse un pulsante simile nella vita vera.

Il cuore del quadro è una scena da incubo, e da incubo nucleare sottolineerei. L'ambientazione medievale e il soggetto del rogo della strega non sono una novità, ma lo è il modo in cui l'artista li ha rappresentati. Il castello che sullo sfondo sorge sulla rupe assomiglia alla centrale di Chernobyl. La strega legata al palo di legno urla alla luna piena, la pelle del viso è già tutto ustionata, mentre quella dai fianchi in giù ha cominciato a sciogliersi. La brace che avvampa ai suoi piedi scaglia dardi di fuoco al cielo, successivamente piovono sulla folla di villani accalcata in festa attorno alla vittima sacrificale. Il fuoco, come passando attraverso la magia della condannata a morte, si restituisce ai suoi aguzzini sotto forma di radiazioni nucleari: si infrangono sugli spettatori come bolle di gas nervino, li portano prima al vomito, poi all'emergere di bolle rosse sui loro corpi, bolle che si scuriscono prima della morte. Un fumo nero collega il rogo della strega a quello emesso dalla lontana centrale nucleare.

«Ti piace?» Una donna è seduta accanto a me. «È mio.» Mi guarda con la coda dell'occhio. «Non l'ho fatto io, sono la finanziatrice digitale, a mezzo NFT.» Una sigla che sta per Non-Fungible Token, un rivoluzionario concetto di attribuzione di proprietà e valorizzazione dei lavori digitali che non poteva sfuggire a un hacker del mio stampo: gli NFT sono attestazioni "digitali" e non fisiche di originalità di un'opera d'arte non soltanto crittografica. La donna che si rivolge a me deve essere una ricca mecenate dell'era digitale.

«Quello che mi ha sempre colpito di quest'opera è come rappresenti alla perfezione il parassita della memoria. Quel parassita che si alimenta nelle nostre ferite, impedendole di suppurare, impedendoci di guarire.» Mi ritrovo imbambolata esponendo con candore la mia naiveté di fronte a una simile creatura divina. Elegante nella sua divisa rosso chiaro da guida del museo, il volto serafico abbellito da una capigliatura nera a caschetto con la frangetta corta sulla fronte. La sua voce è ferma, la posa sicura dettata da anni di esperienza. «Forse a quei poveretti nel quadro sarebbe bastato ingoiare una compressa di iodio per salvarsi dalle radiazioni nucleari. Ai nostri giorni non è altrettanto facile convincere qualcuno a disattivare un account facebook, soprattutto se quell'account rappresenta un introito economico lavorativo. I social media non ne vogliono sapere di dimenticare.»

Sulla targhetta appesa alla giacca bordeaux scorgo il suo nome: "Grace". Lasciandomi sospingere dalle sue parole contemplo con maggiore attenzione il dipinto. La strega impalata sul rogo soffre e si contorce per gli spasmi. Talmente realistico che mi sembra di avvertire io stessa una parte di quel dolore fisico, ricordo quello che voleva farci Minimal Jack nel Giorno della Conversione, assoggettarci tutti al suo volere dispotico. Mi strofino le nari, posso quasi avvertire il puzzo di zolfo e carne bruciata. A differenza del volto della strega, quello degli spettatori nella folla, i sacerdoti e i contadini con i forconi, le donne impaurite e i bambini festanti, è contorto a tal punto che è impossibile distinguerne esattamente i connotati. «Perché il pittore non ce li vuole far conoscere?» domando, riconoscendo una punta di ingenuità nella mia voce.

«Il pittore ha fatto di meglio. Ha voluto cancellarli.» Grace parla senza scomporre mai il suo corpo maturo da ballerina di danza classica, testimone di quel sangue germanico che emerge dalle ciglia e sopracciglia nerissime e dagli occhi verdissimi. «La strega non è mai una strega, storicamente era una donna scomoda. Il processo alle streghe di Salem è stato uno stratagemma politico per liberarsi delle donne facoltose o sessualmente libere che non andavano a genio a puritani e ai mariti devoti. L'Inquisizione accusava semplici levatrici di danzare la notte con il diavolo, solo perché rubavano i pazienti alla medicina esercitata dagli uomini. La caccia alle streghe è stato lo strumento migliore che ha avuto il patriarcato per ridurre al silenzio la voce delle donne.» I roghi volevano cancellare le donne rivoluzionarie dalla memoria collettiva, ottenendo il risultato opposto di esaltarne, le hanno consegnate alla storia. Al contrario, i loro aguzzini sono stati inghiottiti dalle sabbie del tempo. Non posso più nutrire dubbi sul significato che l'artista ha voluto dipingere sulla tela.

«Oggi la nostra società è in mano a un algoritmo social. Una sequenza di codice che sceglie per noi cosa vedere, cosa non vedere, riduce ogni scelta a una banalissima differenza fra il e il no.» Seguo il filo del discorso di Grace, raccolta in un'espressione ardita e radiosa insieme. «Un algoritmo che spinge le folle sul web a schierarsi contro persone famose solo perché non si sono allineate alle scelte impostate dal codice. Sono l'equivalente di una folla medievale, ma il rogo lo allestiscono online. La caccia alle streghe non è mai finita e prende forme moderne di ostracismo. Le masse cercano una determinata persona, un film, un'azienda che esprimono opinioni difformi dalla loro, o che hanno fatto qualcosa di discutibile, le tolgono dal contesto originale e le accusano di portare valori deprecati. Le masse si sentono offese da loro e accendono la miccia boicottandoli per protesta, alimentano le fiamme smettendo di dare loro supporto, le sciolgono come cera spingendole lontano dalle loro cerchie sociali.» Grace ha ragione. Prendete quello che succede alla Harper. Il dramma del mondo binario si è tradotto in un dilemma reale, i giovani CAPS colpiscono ed eliminano tutto quello che secondo i loro standard non è politically correct, e se gli altri studenti non si conformano, pure loro verranno cancellati.

Grace si alza in piedi. Potrebbe avere l'età di Mercedes, ma mia madre non è mai stata tanto magnifica. «Ciò che si sceglie di cancellare," dice guardandomi dritto negli occhi, inclinando la testa di lato, «è più importante di ciò che si ricorda.» Mi ripeto questa frase a mente, e non la vedo sparire fra il resto delle guide e la moltitudine dei visitatori.

«Chiamo Wiz Girl. Qui è Lomax. Wiz Girl è in ascolto?» Il richiamo di Lomax mi riporta alla realtà. Ha individuato il server dove è stata immagazzinata la memoria di riserva. «Come faccio a cancellare i dati?» Stavolta lo sorprendo, perché in certi casi non esiste soluzione migliore di quella analogica. «Fallo a pezzi, letteralmente.»

Lomax si dispera nel mio orecchio. Non ha un martello a portata. Sta colpendo il server con una penna, ma non serve a nulla. Non può scaraventarlo per terra o si farebbe scoprire. Esulta per una nuova idea. Gli ultimi piani del Google Barn ricostruiscono uno scenario anni '50 in stile Nevada del progetto Manhattan. Sa come fare, sempre se riesco a togliergli di torno la guardia di sicurezza che è venuta a sedersi proprio all'esterno di Whiterose.

Rassicuro Lomax. Lui però dice di sbrigarmi, ci sono rimasti dieci minuti. Strabuzzo gli occhi. Il tempo è volato di fronte al quadro, ascoltando la dolce voce di Grace. Grazie al mio nuovo cellulare è un gioco da ragazzi scoprire tutti i telefonini connessi al wifi dell'edificio, quindi seleziono quelli interfacciati come cellulari della sicurezza, geolocalizzo il mobile della guardia vicino Lomax. Tempesto il numero di oltre un centinaio di messaggi di grandi dimensioni. La sequela di beep allarma il sorvegliante, che estrae il cellulare per vederlo spegnersi sotto il suo naso. Imprecando, si allontana dalla sua postazione per chiedere il caricabatterie a un collega. «Hai via libera, Lomax.»

Ho impiegato cinque minuti buoni. Sento Lomax abbandonare la gabbia di Faraday, lasciando accostata la porta. Torna nella scenografia postatomica, confondendosi nel melodioso ritmo della pazza folla, e si avvicina a un frigorifero abbandonato. Secondo la ricostruzione artistica, il frigorifero è stato sparato via dall'esplosione del vicino sito nucleare. Il conto alla rovescia non è in nostro favore, mancano tre minuti. Lomax apre il congelatore, all'interno foderato di piombo trova una bottiglia di vetro di Coca Cola. «Negli anni '50 tutte le famiglie americane ne avevano una in frigo.» Ritorna di corsa verso la sala dei server. È questo il suo ingrediente segreto? La Coca Cola? Un minuto e mezzo. Sono nel panico totale.

Lomax è di nuovo dentro Whiterose. Trenta secondi. Si avvicina al server con i dati digitali su Jack Boy. Dieci secondi. Lomax versa la Coca Cola sul server. Il dispositivo comincia a lampeggiare impazzito. Quando anche l'ultima goccia si è rovesciata sul quadrato di cavi, il server sbotta un'ultima soffiata nera e si disattiva a un secondo dall'invio satellitare. Missione compiuta!

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