₁₅
Il porto di Yokohama da lontano non dava l'idea di quella carneficina in corso, eppure così stava accadendo.
Yui spense la moto e la nascose dietro dei grossi carichi a molti metri di distanza dalla rissa, poggiò il casco e supervisionò la zona con l'eco delle urla in lontananza.
«Li vediamo da qui... Quelli con la divisa rossa sono della Tenjiku?» Domandò Himari sopra uno dei carichi per poter vedere il meglio possibile.
«Sì, guarda quelli in alto, li vedi?» Le dita pallide di Yui indicarono dei membri in rosso distinti dal resto del gruppo, a loro volta seduti su dei grandi carichi.
«Sono sicurissima che si trattino di chi li comanda, almeno quello centrale coi capelli bianchi. E credo che sia proprio Izana lui», constatò con stizza.
«Sai cosa penso... Forse gli altri due sono proprio i suoi sicari, quelli che hanno ucciso Emma» ribatté Himari con sguardo fisso su di loro, tentando invano di focalizzare al meglio lo scenario e più dettagli possibili anche dei loro volti: tutto ciò che distinse fu una ciocca bionda tra i capelli neri del tipo più alto, rispetto all'altro biondo.
«Sì, è molto probabile. Guarda un po' ai lati, quelli che stanno scendendo adesso in campo» la ragazza rossa spostò l'attenzione su altri due membri appena scesi a combattere «le loro divise sono nere eppure si scontrano contro la Toman e credo anche di sapere chi siano, il simpatico duo di Roppongi: i fratelli Haitani».
«Haitani? Mai sentiti».
«Purtroppo una mia amica era rimasta coinvolta in una rissa contro loro... e quei bastardi non ci vanno piano con nessuno. Hanno ucciso un ragazzo a soli dodici anni» a Yui scappò una breve risata, portandosi poi una mano sulla fronte.
«Ucciso..?»
«Erano in riformatorio poco prima di me, ho sentito talmente tante voci su di loro che mi era salita una voglia assurda di affrontarli faccia a faccia. Sono meschini, non si fanno problemi nell'usare le armi e soprattutto attaccano sempre insieme, è tosta batterli» Yui schioccò la lingua.
«Vieni, passiamo da qui e non daremo nell'occhio. Da questa distanza non vedo un cazzo».
«Hai intenzione di combattere?» la voce di Himari si disperse tra le urla della folla inferocita in loro prossimità.
Polvere e terra annebbiavano la vista, dei rivoli di sangue a terra bagnavano le suole lasciando impronte sparse ovunque. Feriti, tanti feriti, e quanti morti già? Quanti usavano armi bianche, quanti non si limitavano e giocavano sporco, specie quelli vestiti in rosso: anche la loro apparenza era ben diversa dagli altri, molti sembravano più grossi di costituzione, più adulti, furiosi e con qualche acido in corpo per atteggiarsi da schizzati senza freni. Un coltello volò in direzione delle due ragazze e Yui fu rapida a scostare Himari, lasciando che solo delle ciocche venissero tagliate via.
«Cos'è, hai perso la grinta di prima? Te la starai facendo sotto?» Yui non la degnò di uno sguardo. Era fissa solo su un unico individuo.
«No... Non sono all'altezza però. Mi ammazzano questi» rispose un po' titubante.
«Non credo, sono di un numero spaventoso ma la sostanza manca. Chi mi preoccupa è solo al vertice, quel dannato Izana che ancora non scende in campo».
«E se non ce la facessi..?» la corvina chinò il capo, chiuse i pugni tremanti.
«Perché sei venuta con me allora?» Sbuffò Yui. Alle prese col cellulare, lo sbatté contro un muretto per il nervoso, aggiungendo: «nessuna delle mie amiche risponde, pare che saremo solo io e te. Sempre che tu voglia veramente combattere o prendere polvere qui».
«Cazzo...»
«Stammi vicino, io ti copro le spalle. Uniamoci momentaneamente alla Toman, scavalchiamo quei damerini del cazzo e arriviamo a Izana poi lo affronterò da sola», avanzò Yui già verso il campo da guerra. Non c'era tempo, bisognava agire in fretta.
«Vieni, non pensare».
Così anche quella volta Himari scese in pasto ai lupi di sua iniziativa, con l'adrenalina in sangue mista all'amarezza dei ricordi freschi di quella sera: l'ospedale, le lacrime di Kyo, la sfuriata di Yui, un turbinio fatale che le fece perdere la lucidità per pochi frangenti andando contro due o tre ragazzi ma restando troppo scoperta ai lati.
Yui la coprì e insieme batterono due, tre, quattro, otto componenti della Tenjiku, crollati a terra come statue di sabbia. Senza spina dorsale, pensava la ragazza corvina costantemente, con l'odio nello sguardo e un'insana forza allo sferrare di ogni singolo pugno.
I capelli raccolti in una fugace coda di cavallo si sciolsero, l'elastico si spezzò ma non le causò un eccessivo fastidio se non per continue ciocche sull'occhio e naso che scostava involontariamente a ogni calcio in aria, anche quelli a vuoto.
Il caos si propagò per tutta l'area e di lì in poco sempre meno chiare erano le intenzioni da ambo le parti: uccidersi, non uccidersi, deridere l'avversario, torturare e spezzare le ossa per il solo divertimento di sentire le urla. Finché non scese uno dei più "importanti"-a detta sua anche se sembrava uno stuzzicadenti in piedi- e si pavoneggiò provocando la Toman con parole al vento.
Si chiamava Madarame e anche dallo sguardo sembrava uno più che malato e sadico. Himari fece qualche passo indietro, turbata dalla sua apparenza quasi animalesca, un taglio caotico di capelli biondo grano e un ampio tatuaggio dalla testa alla tempia, con un sorriso maniacale perenne sul suo volto smagrito. Ridacchiava e provocava continuamente un membro apparentemente importante della Toman, un qualcuno che Himari non aveva mai visto prima ma che le dava comunque una certa aria tenebrosa.
Senza accorgersene, sbatté la schiena contro un individuo e sobbalzò dallo spavento. Girando lo sguardo e intravedendo la divisa nera della Toman il cuore rilassò i battiti ma portando gli occhi sul suo viso parve come arrestarsi direttamente. Doveva essere uno scherzo del destino, non se lo sarebbe spiegato in maniera diversa.
«...» A labbra schiuse non riuscì a dire una parola e non ebbe neanche il tempo di pensare che, dall'altra parte, uno stupore generale indicò la vittoria netta del membro della Toman contro quel Madarame a terra, stecchito.
Il brusio annunciò l'arrivo del capitano della Tenjiku. Un'aria gelida colpì le spalle della ragazza, invitandola a chiudersi in un pietoso abbraccio. La scena divenne solo più straziante, nel sentire l'acuta voce del capitano intrisa di sdegno e un sadismo immane: insultò l'ex compagno svenuto a terra, lanciò segni di intesa alla Toman, il tempo di sbattere le palpebre e si buttò su tanti, seguito da altri compagni e così via; un massacro senza fine.
Nell'orda, Himari e Yui riconobbero Takemichi urlante di dolore ma ancora in piedi e ora contro un ragazzo biondo con gli occhiali e uno sguardo cinico da mettere i brividi.
«Yui! Yui!» Invano la ragazza richiamava l'attenzione dell'amica persa tra la folla e puntando solo agli spostamenti del capitano in rosso.
Himari incassò pesantemente un colpo allo stomaco che la piegò in due, sputando e sbattendo le ginocchia a terra. Non c'era tempo di rimuginare su nulla, alla prima distrazione ci avrebbe rimesso tutto. Cercò di mettere a fuoco la vista ma tutta la stanchezza improvvisa le pesò ulteriormente, lasciandola allo stremo.
«Alzati, muoviti!» Quella voce maschile la strattonò in piedi, facendola tentennare.
«Che... Perché sei qua tu?» Bofonchiò Himari a una breve distanza da Inui.
Lo vide nei panni della Toman, diverso dalla solita apatia che lo vestiva ma sempre con uno sguardo profondo contornato da sangue e lividi sul viso, poi le mani distrutte e violacee. I capelli biondi e spenti intrisi a loro volta di sangue secco e polvere lasciavano delle ciocche sparse sulla fronte, ora poco più lunghe tanto dal scendere appena sulle chiare ciglia e coprirgli parzialmente la vista. Nonostante l'ambiente caotico attorno, si prese dei preziosi e lunghi minuti per risponderle, regolare il battito, riprender fiato. Probabilmente quella era la prima volta in cui lei lo vide senza maschere e senza rabbrividire.
«Mi chiedo lo stesso di te. Ora accogli il rischio della morte a braccia aperte?» Il suo tono tagliente le ricordò ogni dettaglio delle volte precedenti aprendo troppe ferite.
«Non è quello che credi», arrancò una risposta vaga recuperando a sua volta energie e lanciando lo sguardo sullo scenario circostante: sangue e feriti a non finire, la Tenjiku era in netto vantaggio.
«Mi chiedo perché veramente tu voglia tanto stare in mezzo ai guai. Ora ti saresti potuta ritrovare in casa, al sicuro e al caldo, anziché qui a rischiare la tua vita ancora senza motivo e per mano di altri» Inui sputò a terra e fissò per tutto il discorso gli occhi azzurri e lucidi di Himari, senza aspettarsi delle risposte concrete.
«Non... Non è così, cazzo. Che cosa puoi saperne tu? E perché ora dovrebbe interessarti?» La ragazza tentò un passo indietro ma in un attimo Inui buttò a terra l'ennesimo avversario in procinto di attaccarla. Tutto in un istante. Non si era accorta di nulla.
«Cazzo. Ti ringrazio...» Esalò, con tono sorpreso.
Uno sparo. Il caos venne sovrastrato da uno sparo, accadde all'improvviso e Himari sobbalzò, spinta verso Inui.
«Che cazzo è successo?!»
«Kisaki ha una pistola! Ha sparato ad Hanagaki!»
«Fermi, tutti indietro! Kisaki ma sei pazzo?!»
In quel momento Yui raggiunse Himari, scattando verso di lei. La folla si era agglomerata e divisa in due schiere opposte e a poco a poco le ragazze soffocavano tra i loro corpi. Scostando alcuni in nero, davanti Himari e Yui si presentò uno scenario pietoso: Takemichi tentennava davanti Kisaki, col sangue che sgorgava da un piede spandendosi in una pozza sempre più grande.
L'aguzzino col braccio ancora dritto davanti a sé, guardava imperterrito l'avversario, rivolgendogli parole portate dal vento che mai arrivarono alla folla. Le lenti graffiate dei suoi occhiali non trasparivano alcuna pietà nello sguardo, talmente cinico e freddo da metter i brividi.
«È fuori di testa, che cazzo, un'arma! Ma dai!»
«È facile così però eh!»
Commentarono ancora altri, molto scossi. Eppure Takemichi era lì in piedi, non si mosse. Dall'inizio della battaglia ad allora aveva incassato innumerevoli colpi ma era andato avanti, sempre avanti, sempre a incitare tutti, coinvolgendo Yui e Himari a loro volta. Una forza d'animo quasi sovraumana che magari gli impediva di sentire la stanchezza. Himari non poté far altro che ammirare tutta la sua tenacia, non avrebbe immaginato nulla di ciò da un ragazzo all'apparenza gracile e semplice.
Takemichi alzò un pugno e si fermò.
Tutto parve fermarsi. Sorrise, rivolgendosi oltre l'avversario, oltre le sue spalle, ben più lontano. Quando tutti seguirono il suo sguardo le parole non servirono più, solo grida di gioia e tanto stupore: il capitano della Toman e il suo vice erano arrivati.
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