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Azie per aver letto il primo capitolo, piuttosto introduttivo ma spero a suo modo piacevole. Ho deciso di dividere i capitoli in più parti per agevolare la lettura, esser più veloce nei tempi e anche rendere il tutto il meno pesante possibile. Comunque amo Yuzuha e sono felice vi sia piaciuta la sua introduzione!
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«Ti prego, mi faresti assaggiare un po' del tuo bentō? Ti prego, ti prego!»
«Che è successo al tuo, Hidemi?»
Durante la pausa pranzo l'intera scuola si animò come al solito, colmando corridoi e giardini e lasciando quasi spoglie le classi. Quel giorno era particolarmente soleggiato, fresco ma abbastanza soleggiato da invogliare la maggior parte degli studenti a prender aria all'esterno. Un paio di compagni rimasti fissava il solito siparietto di una Hidemi disperata, in cerca di cibo.
«Ho dimenticato di prepararlo questa mattina, i miei erano già a lavoro...» sbuffò sonoramente, sedendosi con flemma al proprio posto. Poco dopo i suoi occhioni verdi si illuminarono al profumo di carote cotte sotto il proprio naso. Si lasciò imboccare da Himari e le regalò un'espressione talmente esagerata e delle sue che l'altra abbozzò un sorriso, condividendo con piacere il proprio pranzo.
«Ero particolarmente stanca... Non riuscivo ad alzarmi questa mattina. Mi sentivo la testa pesante, ti giuro» si massaggiò le tempie per un paio di minuti, senza aggiungere altro.
«Sai, Yuzuha ci ha invitate a uscire dopo le lezioni. Voleva andare in sala giochi, ti va?» Chiese con pesantezza Himari, guardando un punto non definito fuori la finestra.
«Mhm, sì. Sì, certo.»
«Sicura?»
«Certo che sì. Non mi va più di fare scuola-casa ogni giorno.»
«...Neanche a me».
Erano passate forse due settimane dall'incontro con Yuzuha e il tempo scorreva sempre lento, tedioso o spento tranne nei momenti in cui si ritrovavano a casa di una o dell'altra per studiare in vista di diversi esami. Ogni invito di compagni a Hidemi era declinato, talvolta con evidente irriverenza che a stento la caratterizzava. Si scusava in un secondo momento, inchinandosi di poco ed evitando lo sguardo o il vociare altrui.
Se non fosse stato per la ragazza dai capelli ramati probabilmente né lei né l'amica percorrerebbero il tragitto fino a scuola, chiudendosi in una trappola da sole.
Pochi giorni prima, si era palesata una scena simile alla scorsa volta: vicolo desolato, tempo uggioso, uno di quei delinquenti dall'uniforme bianca e fare maniacale in procinto di violentarla. Aveva ripetuto il suo nome, alternando ogni passo al graffiante suono della zip, passando con foga la lingua sulle sottili labbra.
Era riuscito a sfiorare una ciocca bionda di Hidemi, quello soltanto, prima che la ragazza fosse fuggita via con uno scatto.
Himari non seppe molti dettagli e Hidemi non le disse nulla di più; tra le quattro fredde mura dell'aula ammirava le spalle, la nuca, i capelli della ragazza notando quanto stonasse anche in quell'ambiente, camuffandosi tra le risa dei compagni, i discorsi su cibo e canzoni, senza lasciar palese la tentata ferocia, chiudendola dietro il suo candido viso. Lasciando credere si trattasse della meravigliosa Hidemi Ueno di sempre.
Non toccò altro dal proprio bentō e Hidemi lo terminò senza prestarne troppa attenzione.
«Scusa se, se te lo richiedo. Hai vo-»
«Sì, Himari. Tranquilla» la ragazza bionda scattò dalla sedia nello stesso istante in cui la campanella suonò. Si riordinò l'uniforme e alzò in un paio di gesti ripetuti le calze, tornando al proprio posto e facendo finta di niente per il resto della giornata.
Tokyo non era certo nota per la tranquillità ma in quel frangente dove le due ragazze attraversarono i cancelli di scuola e raggiunsero la zona della sala giochi in autobus si sentirono come fragili in mezzo alla folla di predatori. Si girarono dall'altra parte alla vista di alcuni bulli che chiedevano probabilmente soldi a un povero ragazzino. Himari sussultò al rombo delle moto, fissando con occhi sgranati perfetti sconosciuti.
«Sono quasi le 18:30, oh siamo arrivate», constatò Hidemi a gran voce, tentando di distiguersi dai rumori della città e non farsi inghiottire dalla folla al marciapiede.
Strinse forte la mano di Himari e proseguì a passo svelto e sguardo in alto, sull'insegna, beccando la spalla di qualche ragazzo in direzione opposta.
Riconobbero Yuzuha in lontananza, con un paio di cuffie e una busta di patatine tra le mani. Il suo sguardo sempre indifferente si illuminò appena incrociò il loro, salutandole con la mano ed evitando un qualsiasi contatto troppo intimo e fastidioso come gli abbracci di Hidemi.
«Piuttosto tardi, mhm... restiamo un po' ma poi voglio decisamente mangiare qualcosa. Sto morendo di fame», Avvisò Yuzuha gettando la busta ora vuota e dirigendosi all'ingresso della sala giochi a passo svelto.
Indossava il suo solito vestiario scuro, con giacca e gonna corta tendenti al blu. Come altre sue amiche, prediligeva soltanto dei chiari scaldamuscoli come tocco opposto all'ordinario. Non sprigionava mai, per quelle volte in cui Himari e Hidemi l'avevano vista, di trucco o altre frivolezze ma sembrava sempre davvero molto sicura di sé. Sebbene avessero circa la stessa età, Yuzuha si mostrava quasi più grande o almeno così Himari la percepiva.
«È quasi tutto occupato...» Constatò con tono basso Hidemi ma le altre non la sentirono. Buttò lo sguardo per tutta la sala vedendo file di ragazzi e ragazze o gruppi attorno giochi arcade e simulazioni di corse, un vociare generico sovrastato da melodie retrò, neanche troppo apprezzate dalle ragazze. Perlopiù Himari non riusciva a cancellare la smorfia dal viso, scrutando spesso l'amica bionda tentare di battere Yuzuha in una partita.
«Se vinco, voglio battermi con te. Tieniti pronta», l'avvisò quest'ultima lanciandole uno sguardo di sfida.
«Sì... Sì, va bene».
Prese dal gioco, Himari si mise un po' più in disparte. Era insolito come riuscisse a percepire i distinti battiti del proprio cuore sovrastando musica e chiasso, come se si alienasse. Chinò la testa fissando un punto indefinito del pavimento in piastrella nera; sotto diverse luci forti notò poco il suo riflesso sfocato, quanto più una semplice e anonima sagoma. Provò a lasciarsi andare, batté la suola delle scarpe a ritmo una o due volte ma finito lì.
Riprese fiato.
Un altro paio di volte ma finito lì.
Tentò di richiamare Yuzuha e Hidemi ma erano immerse tanto nella competizione che sembravano essere fuori da tutto. Himari si guardò attorno un po' di volte, inspirò lentamente invano, guardò centimetro per centimetro il volto di ogni ragazzo lì presente, voleva andarsene, si sentiva soffocare, sempre più piccola e indifesa. E se fossero lì? Quanti ragazzi c'erano e quanti erano dei delinquenti? Quanti avevano riconosciuta?
Indietreggiò di qualche passo, a stento respirava regolarmente. Al tocco della schiena di qualcun altro sobbalzò, fissandolo spaurita ma trovandovi solo un ragazzino gracile contro un paio di altre persone.
«Se credete che vi do i miei soldi anche questa volta me la rido! Mi avete stufato.» Si impuntò quello più minuto, sulla difensiva e sempre più vicino a Himari. Nonostante ringhiasse, il timbro della sua voce risultava molto acuto.
«Ma sentila, allora perché scappi? Ma chi ti credi di essere?» Alzò il tono un suo interlocutore, un gradasso dall'aria trasandata e sudicia.
Era una situazione molto comune a cui Himari aveva già assistito nei corridoi di scuola o fuori i cancelli, paradossalmente più ai tempi delle medie che allora; eppure, soltanto allora considerava queste delle situazioni appena tediose, davvero nell'ordinario. Si sentiva capace di affrontarle, forse l'adrenalina al momento, forse la pietà per quel ragazzino o forse ci cominciava a crederci sul serio. Senza rendersene conto, si piazzò in mezzo e con sguardo efferato, dall'alto al basso, fissò i due bulli.
«Andatevene, lasciatelo stare», pronunciò con tono tagliente senza distogliere lo sguardo.
I minuti passavano più lenti, eterni, Himari nascondeva il tremore alle mani. Nessuno rinunciava al proprio posto e il minore guardava la scena spaurito. Finché un bullo osò spintonare la ragazza e lì si duplicò la confusione e il caos pervasi nella sala, chi incitava i due alla lotta e chi insultava quel gradasso per aver toccato una femmina. Himari tentennò appena, alzò la guardia.
Quanto ci voleva per tirare un pugno? Era troppo sovrappensiero. Doveva pensare e agire in fretta.
«Ma che vuoi fare tu, non dovevi metterti in mezzo, sparisci!» Entrambi i bulli risero sguaiatamente, noncuranti dei commenti dalla folla. Uno tirò fuori la lingua e commentò viscido: «vattene, troia!»
Il pugno di Himari fu troppo lento, il ragazzo sbatté la testa alla parete. Si accasciò a terra mugugnando qualcosa, soccorso dall'amico.
«Cazzo, Himari. Quanto ti ci vuole per zittire questi idioti?» Le parole di Yuzuha le rimbombarono in testa. Si voltò verso di lei, intenta ad aggiustarsi uno scaldamuscolo. Il suo volto corrucciato poteva incutere timore a chiunque.
«Sistema tu l'altro. Devi farlo», senza scomporsi, Yuzuha affiancò Himari, invitandola con un cenno della testa.
Diventò tutto sempre più caotico, molti si erano già stancati dello spettacolo pietoso e tornarono ai propri giochi mentre qualche curioso rimase, scommettendo su una o l'altro. Ma altre parole volarono e l'impeto della ragazza cresceva senza freni, stanca di assistere a situazioni banali ma ancor più stanca e amareggiata di non riuscire ad affrontarle. Davanti a sé, in ginocchio, aveva un paio di mocciosi insolenti che osavano etichettarla in più modi, che anche in evidente difficoltà si permettevano di prenderla in giro. A guardarli meglio, sotto le forti luci dritte sui loro sporchi visi, percepì solo più fastidio e rabbia, qualsiasi sensazione ben lontana dalla paura.
«Stupide puttane...»
Un calcio allo stomaco. Un altro. Il compagno si piegò in due e imprecò, avanzò verso Himari ma venne zittito con un pugno. E un altro. E un altro. E un altro.
«Ok, basta. Sparite, stronzi» intervenne Yuzuha.
Lei e Hidemi placarono Himari, ancora tremante e con troppa adrenalina. Fissò le nocche pregne di sangue, col rischio di colare sul pavimento. Le fissò a lungo, prendendo coscienza di quanto avvenuto in quell'istante, non frutto della sua testa ma lì, sulla parete adiacente. Hidemi le sorrise debolmente, le sussurrò qualcosa, prendendole le mani noncurante del sangue.
Distinse solo il tocco più rude di Yuzuha, con un braccio attorno la sua spalla e una risatina.
«Per un secondo ho avuto paura di te».
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