43. Albert
«Aspetti un attimo!» esclamai «Io lo conosco...»
«Che cosa vuole infermiera? A nessuno è permesso avvicinarsi a questo paziente.» disse l'infermiere e si rivolse al direttore «Dottor Leonard, dove lo mettiamo?»
«Portatelo nella stanza numero zero.» rispose lui.
La stanza numero 0? Era una camera singola al terzo piano. Era spoglia e non ci batteva mai il sole. Non era accogliente come le altre camere.
«Proprio come pensavo. Lo mettono nella stanza delle persone poco raccomandabili che non possono stare con gli altri pazienti.» bisbigliò Rachel.
«Non possono avvertire la famiglia. Non sanno niente di lui.» replicò Nathalie.
Ma era inammissibile. Non potevo lasciare che il mio caro amico Albert venisse ricoverato in quella stanza.
«Dottor Leonard, l'uomo che è appena arrivato in ospedale si chiama Albert. Io lo conosco molto bene» gli dissi.
«La cosa mi meraviglia molto» rispose perplesso.
«È un mio carissimo amico» gli spiegai. «La prego, non gli dia la stanza numero zero.»
«Sono sempre più sorpreso. Ha detto che il suo nome è Albert, vero?» mi chiese.
«Si dottore» annuii.
«E saprebbe dirmi anche il suo cognome? Conosce la sua famiglia?» mi domandò.
«La sua famiglia...» Io sapevo che era in Africa e che lavorava in un piccolo ospedale e che ormai viveva felice. Sapevo che gli piaceva essere libero come il vento. Sapevo della sua passione verso gli animali. Sapevo che aveva salvato Terence quella notte a Londra e che aveva aiutato me decine di volte, ma in quell'istante mi accorsi di non sapere nulla su di lui.
«Dove abita? E quanti anni ha? Che succede? Non conosce la sua famiglia nè il suo indirizzo, vero?» continuò lui austero.
«È vero dottore, conosco solo il suo nome. Vede, io e Albert ci conosciamo da molto tempo, ma non mi ha mai parlato della sua famiglia, però le posso assicurare che è una bravissima persona, è generoso e...» iniziai titubante.
«Non può fare nulla per quest'uomo, ha subito un grosso trauma e ha perso la memoria» annunciò.
«Come ha perso la memoria?» esclamai sconvolta.
«Non sappiamo nulla di lui, nè di come si sia ferito. Certo non potrà pagare l'ospedale. Non possiamo rivolgerci alla sua famiglia, siamo costretti a metterlo in quella stanza. Questo è il massimo che posso fare. Non ne voglio parlare più.» concluse il dottor Leonard e tornò nel suo ufficio.
«Des, cerca di fare attenzione a quello che dici.» mi disse Nathalie.
«Non vogliamo che si creda che un'allieva infermiera della scuola Mary Jane sia amica di un criminale.» aggiunse Rachel.
«Non ti permetto di parlare così di Albert e poi non ci credo che ha perso la memoria. Quando si sveglierà andrò a parlargli. Mi riconoscerà e mi racconterà ciò che è accaduto.»
Era il mio migliore amico. Non volevo perderlo.
Il mattino dopo, in sala infermiere tutte stavano parlando del misterioso paziente che aveva perso la memoria.
«Sai cosa si dice? Che il paziente della numero zero venga dal fronte italiano.» riferì Sarah.
«Come? Dall'Italia?»
«Sembra che si trovasse su un treno quando iniziò un bombardamento. Rimase ferito e forse lo shock gli fece perdere la memoria.» continuò.
«Se posso darti un consiglio, cerca di non dire in giro che sei amica di questo paziente. Dicono che su quel treno si trovasse una spia.» mi disse Rachel.
«E se fosse tutta una scusa? Dice di aver perso la memoria per nascondere che è lui la spia.» disse preoccupata Nathalie.
«Il fatto che fosse su quel treno non vuol dire niente. Io conosco molto bene quell'uomo e so che non farebbe mai una cosa del genere.» intervenni io.
«Non capisco come mai l'abbiano mandato proprio qui.» disse Nathalie.
«Perché sembra che durante il delirio ripeteva spesso la parola Chicago» rispose Sarah.
Mi diressi in corsia.
«A quanto pare i nostri colleghi italiani non sono riusciti a fare molto per questo paziente.» diceva il dottor Owens.
«Già, li posso capire. Curare un paziente che ha perso la memoria è molto difficile.» ribatté l'infermiere.
«Non capisco perché l'hanno portato qui»
«Siccome ripeteva spesso la parola Chicago, pensavano che qui vivesse la sua famiglia.»
Tutto l'ospedale non parlava d'altro. La storia di Albert aveva interessato tutti, ma non c'era nessuno che spendeva per lui una parola buona. Albert, come mai eri in Italia? Io pensavo che che stessi lavorando in un piccolo ospedale, che ti prendessi cura anche degli animali in Africa. Entrai nella stanza dove era ricoverato. Era ancora incosciente. Era pallido e molto magro. Aveva la testa e il petto fasciati, non aveva più la barba e aveva i capelli più corti. Notai per la prima volta i suoi bei lineamenti. Sembrava anche più bello. Avrei voluto che si svegliasse e che dicesse il mio nome, che mi riconoscesse. D'ora in poi l'avrei protetto io. Avrei tanto voluto che il dottor Leonard lo mettesse in una stanza migliore. Non potevo pensarlo in quelle condizioni.
Stavo tornando in corsia, quando dei ragazzi mi vennero incontro.
«Vorremmo parlare con l'infermiera più brava dell'ospedale.» mi prese in giro Peter.
«E anche la più carina.» aggiunse Patrick.
«Shh! Non potete stare qua.» dissi io.
«Des, sei riuscita a incontrarti con Terence?» volle sapere Annie.
«Si, ma soltanto per poco.» le risposi. Era sul treno che lo portava via ed era molto bello con i capelli mossi dal vento.
«Oh Des, sono davvero contenta» disse lei abbracciandomi.
«Che cos'hai Des? Non sei del tuo solito umore.
Sembri piuttosto pensierosa.» mi disse preoccupato Patrick.
«Già, dovresti essere molto più felice considerando che hai visto Terence, non ti pare?» mi chiese Peter.
«Perché non usciamo fuori un momento?» proposi.
«Si, mi sembra un'ottima idea.» convennero «C'è qualcuno che ti aspetta.»
Andammo in giardino e da dietro un albero sbucò Kriss.
«Kriss!» le corsi incontro.
«Sono arrivata ieri a Chicago e mi sono fatta subito accompagnare qui da te.» mi spiegò.
«Qui è tutto molto diverso. L'America è in pace. Non potete immaginare come si vive in Europa.»
«Deve essere terribile stare a Londra adesso.»
«Si, sono stati tutti mobilitati. Gli uomini al fronte e le donne a lavorare negli ospedali da campo.»
«Così anche le donne sono in pericolo.» disse Annie preoccupata.
«Perché anche loro sono costrette a vivere in luoghi pericolosi?» intervenne serio Patrick «Credo che soltanto noi uomini dobbiamo andare in guerra e cercare di proteggere il più possibile le persone amate. Io non sopporterei mai l'idea che una persona a me cara possa lavorare in un ospedale da campo e rischiare così la sua vita.»
«Hai fatto proprio un bel discorso fratello, ma non preoccuparti, tanto tu non devi partire per il fronte.» lo tranquillizzò Peter.
La guerra cambiò ogni cosa. Mi sembrava che fosse accaduto molto tempo fa quando eravamo a Londra ed ero scappata dalla scuola per portare la tartaruga di Kriss allo zoo da Albert. Quando ero arrivata avevo scoperto che anche Terence conosceva Albert. Ricordavo la sua dolce espressione. Era sano e felice. Alcune lacrime iniziarono a scendermi lungo la guancia.
«Che ti succede? Perché stai piangendo?» mi chiese Kriss.
«È per Albert» confessai.
«Perché? Gli è accaduto qualcosa di grave?» domandò Peter.
«Si purtroppo, è qui in ospedale» spiegai.
«Che cosa? Dici sul serio? È ferito molto gravemente?» domandò preoccupato Patrick.
«No Patrick, non è ferito ma non è più lui. È molto cambiato... oh mio dio. Ha perso la memoria» mormorai.
«È tremendo, com'è successo?» domandò Kriss.
«Sappiamo che è stato mandato qui dal fronte italiano, ma purtroppo non abbiamo altre notizie. Qui in ospedale si sentono le storie più strane sul suo conto.» spiegai loro con la voce strozzata.
«Possiamo vederlo?» mi chiese Peter.
«D'accordo, ma non deve vedervi nessuno» acconsentii.
Salimmo le scale e arrivammo davanti alla stanza di Albert.
«Non ha ancora ripreso conoscenza, mi dispiace» dissi aprendo la porta.
«Lasciaci entrare lo stesso, vogliamo vederlo» insistette Patrick.
«Sarebbe meglio aspettare che ritorni in sé, altrimenti è molto triste vederlo così» consigliai loro.
«Non andrò via di qua finché non l'avrò visto» ribadì deciso Peter.
«Anch'io sono d'accordo, ti prego Des» mi scongiurò Annie. Aprii la porta del tutto ed entrammo nella stanza.
«Santocielo, è proprio lui, è Albert. Certo, è molto pallido» constatò Patrick avvicinandosi al letto.
«Povero amico» sussurrò Peter avvilito.
«Non sapevo che avesse i lineamenti così belli. Chissà perché li nascondeva dietro la barba e gli occhiali. È terribile che un uomo debba ridursi in questo stato e tutto per colpa di questa maledetta guerra.» riflettè Patrick.
Dopo un po' dovetti tornare in reparto.
«Chiamaci se hai bisogno di qualcosa» mi disse Peter.
«Prometticelo Des.» mi pregò Annie.
«Ve lo prometto e grazie di tutto» li ringraziai.
«Torneremo molto presto a trovarti. Mi raccomando, prenditi cura di Albert»
«Ma certo»
«A presto» mi salutarono con un cenno della mano e scomparvero tra le vie di Chicago.
Quella sera tornai da Albert. Si era alzato e stava in piedi a guardare fuori dalla finestra.
«Albert!» esclamai. Ero così contenta che si fosse svegliato.
«Cosa? E tu chi sei?» chiese sorpreso girandosi verso di me.
Oh mio dio. Non mi aveva riconosciuta. Non poteva avermi dimenticato.
«Sono la tua infermiera» risposi esitante. «Albert devi mangiare qualcosa se vuoi rimetterti presto e soprattutto cerca di riposarti. Non avresti dovuto alzarti.»
«Ma dove sono?» domandò.
«Sei in America e questo è l'ospedale più grande di Chicago, il Santa Johanna» gli dissi gentilmente.
«E come mai mi trovo proprio qui, in questo ospedale in America? Chicago, America, Chicago uff» continuò tenendosi la testa fra le mani.
«Non devi sforzarti a pensare, è ancora troppo presto. Devi prima rimetterti in forze. Torna a letto» gli dissi accompagnandolo a letto.
«Chi è Albert? Perché mi chiami con questo nome?» mi chiese.
Se gli avessi detto di conoscerlo, si sarebbe sentito ancora più confuso. La sua mente per il momento doveva restare tranquilla.
«Albert ecco... é mio fratello. Tu gli somigli molto e visto che dobbiamo chiamarti con un nome, ho pensato di darti il suo. Se non ti piace puoi dirmelo. Possiamo trovarne un altro» mentii.
«Va bene questo, mi chiamerò come tuo fratello» acconsentì «Ma quale sarà il mio vero nome? Chi sono? Non ci riesco... non riesco a ricordare niente» mormorò confuso. Non l'avevo mai visto in quello stato.
«Non affannarti per il momento. Appena starai meglio vedrai che la tua memoria ritornerà e ricorderai anche il tuo nome» lo rassicurai.
«Lo spero tanto»
«Per qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno puoi contare su di me» gli sorrisi.
«Sei molto gentile, come ti chiami?» mi domandò.
«Non mi sono presentata, è vero. Il mio nome è Destiny, ma tu puoi chiamarmi semplicemente Des»
«Des, è un bel nome»
«Grazie.»
Non poteva sapere quanto mi faceva piacere sentirgli dire di nuovo il mio nome.
Ciao ragazzi🤩✨,
Albert è stato ricoverato nel Santa Johanna dopo aver subito un incidente in Europa durante un bombardamento. Ha perso completamente la memoria. Des decide di prendersi cura di lui e di aiutarlo fino a quando non l'avrà riacquistata del tutto.
A presto,
Carla💗
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