ꨄ C͟a͟p̲i͟t͟o͟l͟o͟ t͟r͟e͟d͟i͟c͟i͟ ꨄ

Il cancello era stato volutamente lasciato aperto, certo. Doveva essere una qualche idea di Marisa per incastrare Charlotte tra i giornalisti e costringerla alla conferenza.

Ora non le importava niente di tutto questo. Il lupo si voltò e sparì dietro il muretto rossiccio attorno al giardino. Prima di sapere cosa stesse facendo, Charlotte schizzò in piedi.

Corse fuori, nel disperato tentativo di inseguire il baluginare della pelliccia platinata. Pozzanghere di ghiaccio sciolto le schizzarono sulle caviglie sottili. Freddo, freddo, freddo.

Fortunatamente, nessuno era in giro nel bel mezzo del pomeriggio, quando sarebbe potuto rabbuiare da un momento all'altro.

Sbandò sull'asfalto scricchiolante di brina, disegnando una mezza luna con i tacchi. Si imbucò in una vietta laterale, appoggiando le mani sul muro poroso di un edificio per non perdere l'equilibrio in una curva.

Il cartello bianco sopra la sua testa portava segnato il nome della via in inchiostro nero sbafato da pioggia e intemperie. Charlotte si ritrovò stretta fra i gusci vuoti di due pareti grigio piombo. Davanti a lei, il vicolo sporco terminava in un muro di mattoni; ruvidi e umidi.

Rossi e intarsiati di calce, parevano grattarle lo sguardo. Contrasse le mani lungo i fianchi. Un tremito di rassegnazione percorse le sue dita. L'aria era secca, immobile e quasi rarefatta. Puzzava di immondizia.

Infatti, un sacco della spazzatura si dibatteva ai piedi del muro come ali di corvo percorse da spasmi; mezzo lacerato. Una bistecca ricoperta di mosche e una buccia di banana sbucavano dal grosso buco nel materiale di pece lucida.

Charlotte si massaggiò le nocche doloranti. Gli occhi azzurri studiarono le cicatrici argentee che le attraversavano i palmi. L'aveva perso. Di nuovo.

Ora la sua mente tornava a Marisa, sua madre e Oliver; a tutto quello che era accaduto in pochi minuti.

Deglutì; l'ossigeno sembrava attorcigliarsi attorno al collo diafano in stringhe spinose. Non poteva credere di essere corsa via davanti a decine di giornalisti per inseguire un lupo potenzialmente omicida.

Le tremarono le labbra. Charlotte non era così; avventata, turbolenta ed emotiva. Non sapeva cosa le fosse preso. Voleva accucciarsi nell'anfratto più buio del vicolo cieco e sparire per sempre in quell'angolino, solo la puzza della spazzatura a farle compagnia.

Fu come se il terreno le mancasse sotto i piedi. Ebbe l'impressione che le pareti, sporche di poster mezzi strappati, ai due lati del vicolo volessero accartocciarsi su di lei e ricoprirla di calce come una statua. Il cuore le palpitava nei polsi.

Premette la mano sul seno sinistro, sotto la giacca scura. Piegò le unghie con forza nel tessuto del dolcevita grigio antracite, lasciando mezzelune rosse nella pelle tenera sulle clavicole.

Un'energica fitta la frustò, come se una costola avesse accidentalmente punzecchiato il cuore.

«Tu,». Una voce strofinò l'aria come la corda pizzicata di un arco. «Che pensavi di fare?». Era aspra e placida; un diamante che scivola sopra un prato coperto di brina.

Più avanti l'avrebbe considerata diversamente. Brooks era ghiaccio. Non nel modo in cui il ghiaccio viene solitamente percepito, freddo o calcolatore, no.

Era quel tipo ti ghiaccio che ti spacca il cuore in due nel suo gelido abbraccio. Quello che ti ustiona lentamente, ti rimane attaccato addosso finché non lo strappi e viene via assieme alla pelle.

Anche allora, ti rimangono cicatrici e un fascio di nervi scoperti, sensibili al freddo. La distrasse, sventando quello che sarebbe potuto facilmente diventare un attacco di panico.

Charlotte scattò sull'attenti, ruotando rapidamente su sé stessa.

Il suo cuore batteva ancora incredibilmente forte. «Scusami?», domandò altera. Poi sbatté le palpebre, inquadrando chi avesse parlato. Un battito d'ali le annegò i pensieri come l'alta marea che investe le carcasse concave di navi abbandonate nell'Artico.

C'era un ragazzo all'imboccatura del vicolo. La spina dorsale bronzea e arrossata del tramonto gli planava dietro le spalle piane come se un paio d'ali insanguinate spuntasse fuori dalla sua camicia traslucida.

Il colletto rigido era appiattito contro il pomo d'Adamo; graffiava la pelle nevosa. Riccioli sottili, come ragnatele traslucide, danzavano sulla fronte pallida e tesa. Sembravano zucchero filato alle luci dell'imbrunire.

La mano con cui Charlotte si stringeva il petto ricadde sul fianco e sbatté contro la tasca dei jeans. Qualcosa di caldo e denso come melassa si sciolse proprio sotto le sue costole; tanto appiccicoso da rallentarle i battiti.

Il ragazzo era luminoso e caldo come argento fuso che riflette la luna, ugualmente intrigante. «Volevo sventolare una bandiera bianca,» rispose, infine, alla domanda che le aveva posto. Bianca, come lui.

Non sapeva neanche perché glielo avesse detto. Era impossibile che quello sconosciuto sapesse qualcosa del suo tentativo fallito di riappacificarsi con la madre di Madeleine. Effettivamente, chi diavolo era quel tizio?

«E' stato sciocco,» eccepì lui, inclinando appena la testa. Il suo tono non era accusatorio, ma piuttosto rassegnato. «Tu più di tutti dovresti sapere che le bandiere bianche sono le prime a tingersi di rosso».

I riflessi di sole rosa nei suoi candidi ricci e quel suo sguardo languido non gli davano il diritto di giudicare le sue azioni. Raddrizzò le spalle rigide.

«Io non ti conosco e tu non conosci me», rispose semplicemente. «Il minimo che puoi fare è tenere a freno la lingua.»

Il suo sguardo trafisse e sfilacciò l'anima di Charlotte, bruciandone spietatamente i pezzi. I suoi occhi erano scuri come tè nero alla liquirizia e pungenti in ugual modo. Lui, però, manteneva l'eleganza.

«Non ho mai visto una persona più pallida di te, per non parlare dei tuoi capelli ossigenati», la ragazza proseguì, innervosita dal suo silenzio e da quello sguardo intenso e incomprensibile. «Vuoi dirmi che hai le mani sporche di sangue più di chiunque altro?».

Gli occhi di lui scivolarono sul suo corpo come una carezza lenitrice. Li puntò, infine, sulla mano arrossata e piena di cicatrici della ragazza. Lei contrasse nervosamente le dita.

Quando arrivava la sera cominciavano sempre a intorpidire, in ricordo delle ferite. Fortunatamente, l'intera Adell era una sacca di ghiaccio formato città. Per un momento il ragazzo parve seccato, ma poi si riscosse.

Strano. Osservare il morbido avvallamento color corallo delle sue labbra piegarsi in un sorriso le fece venire le vertigini. «Hai ragione,» le disse. Strofinò le suole dei suoi scarponi sull'asfalto. «Io non conosco te e tu non conosci me».

«Non è divertente,» ribatté Charlotte, piccata da quella maliarda bocca ermetica. «Se tu fossi un serial killer, dovrei scappare.» Fece un passo indietro, corrispondente a quello che lui aveva fatto in avanti.

Si erano mossi come due poli di egual nome; respingendo. Il ragazzo fu inghiottito dall'oscurità del vicolo, che gli si arrampicò addosso come un manto di lupo. «Puoi farlo; a dir la verità, dovresti».

Un suono simile al fischio di una teiera lasciata troppo a lungo sul fuoco riempì le orecchie di Charlotte. Solo più ricco di acuti e ricadute, quasi arricciandosi sulle note finali come il rombo di un motore.

La fece vacillare. Era un ululato. «Mi correggo,» disse il ragazzo, i bordi della voce meno lieti. «Devi andare, ora», i denti perlacei sfiorarono appena il labbro inferiore pieno. «Sarai al sicuro fino a casa, te lo prometto».

Il suo tono era prepotente, invadente, eppure così invitante, quasi una promessa. La attraversò come un battito tra le cosce. Una tempesta di agitazione appiccò un fuoco nel suo stomaco. I nervi pizzicavano.

Un forte fruscio, come il sibilo di un serpente acquattato sotto una siepe, la fece voltare di scatto verso il muro di mattoni dietro di lei. Era solo la busta della spazzatura, ora mossa da un vento improvviso, che le spinse ciocche bionde davanti alla faccia.

Quando si voltò di nuovo, il ragazzo era sparito. La sua sagoma contro l'ultima luce palpitante dell'orizzonte era un ricordo. Charlotte si premette le mani ghiacciate contro le guance.

Faceva freddo, l'anidride carbonica che superava la soglia delle sue labbra soffici si arricciava nell'aria in nuvolette di condensa, eppure i suoi zigomi erano bollenti sotto i polpastrelli.

Angolo d'autrice.

La cognizione di Charlotte di fascino è uno che le dà ordini, quella di flirtare è litigare fino all'ultimo respiro.

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