𝐏𝐫𝐨𝐥𝐨𝐠𝐨 - 𝐪𝐮𝐢𝐧𝐭𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞
Alzo la mano e mi sposto sull'angolo opposto rispetto a quello dove si trovava lui. Fletto le ginocchia, mi preparo a ricevere la palla, osservo con attenzione i suoi movimenti, ma temporeggia, palleggiando. Questo non fa altro che farmi entrare in agitazione.
'Non c'è altra scelta, non posso farmi prendere in giro così' Faccio fare un veloce giro alla racchetta. 'A meno che non si tratti di un sosia, forse mi sono sognata tutto? E' stato gentile ad offrirmi il pranzo, voleva testarmi?' Sposto il peso con il bacino ora a destra, ora a sinistra. 'Altroché, quelli come lui non hanno altro modo per divertirsi. Wilhelm, anzi, carissimo contrabbandiere di droga, avresti fatto meglio a cercare una scusa diversa, ho sbagliato a farmi abbindolare, rimango in attesa delle tue scuse. No, ci vuole qualcosa di più.. autorevole. Senza nome. Ti sei divertito a prendermi in giro ieri? No, anche peggio, gli dò la soddisfazione di esserci riuscito. Perché non un semplice: quelli come te possono anche avere fortuna, ma non andranno molto avanti con queste falsità, e giro i tacchi per andarmene, si.' Faccio e d'istinto mi guardo la punta dei piedi per imprimere nella mente il gesto. La voce del mio coach però mi destabilizza.
"Camilla, la ribattuta!" Alzo furtivamente lo sguardo e in una frazione di secondi mi accorgo che Wilhelm aveva appena terminato il servizio. Senza pensarci eseguo uno scatto incontrollato verso la palla, ma la racchetta mi scivola dalla mano avvicinandosi verso di me, la gamba sulla quale oscillavo prima cede, e finisco con il perdere l'equilibrio. La mano destra che uso per la ribattuta, con la quale cerco di attutire la caduta punta con il polso verso il terreno e la palla colpisce il manico della racchetta, il mio peso finisce interamente sulla mano. La vista si annebbia improvvisamente. Sento soltanto le voci dei miei compagni e del coach.
"Camilla! Camilla, mi senti?!" E' la voce di Kristen in lontananza che si sta avvicinando. Il coach che dice di non accalcarsi. Tento di alzarmi, ma riesco a mettermi seduta e aprendo bene gli occhi vedo il mio polso destro ritorto e viola. Non sento le dita, non riesco a muoverle in nessun modo, un improvviso dolore lancinante mi costringe a raggomitolarmi per il dolore. La vista si oscura questa volta e vedo Wilhelm correre verso di me, ma una sagoma mi copre la vista: è Karl. Mi solleva, ma il brusco movimento mi fa urlare per la tribolazione, mi sento leggera e mi gira la testa, sento solamente un suo sussurro: "Ci siamo qui noi Camilla, andrà tutto bene".
Non resisto, perdo coscienza e svengo.
Sento l'odore di lenzuola pulite, fiori freschi alla mia sinistra, un peso sopra il mio corpo, ma la vista deve ancora abituarsi alla luce. Le orecchie ronzano e non sento i muscoli del viso, ancora ammorbiditi dalla sensazione di essersi risvegliati dopo millenni. La lingua è secca, ma le corde vocali vibrano, e sussurro un: "Dove mi trovo..?" La risposta non tarda ad arrivare.
"Camilla, sei sveglia finalmente.. ci hai fatto preoccupare, pensavamo che avresti dormito tutto il giorno" E' una voce dolce e conosciuta.
"Mamma..?"
"Mmh-hm, proprio io. Ben svegliata amore mio" La sento stringermi la mano sinistra. Gli occhi finalmente abituati alla luce mi permettono di distinguere altre due sagome.
"Papà, Kristen.. ci siete anche voi" Sorrido, confortata. Il mio sguardo si sposta verso destra, d'istinto muovo il braccio, ma vedo che è stato bloccato da una fasciatura medica. "C-cos'è successo.. perché ho.." Mi rattristo, mentre cerco di ricordare, a fatica.
"Microfrattura estesa del polso. Il medico dice che non è grave, ma il dolore acuto ed improvviso ti ha fatto svenire" Risponde mia madre, sollevata ma ancora tesa.
"E' successo tutto così rapidamente.. n-non sapevamo cosa fare. Karl è corso verso di te, ti ha portato in braccio fino a fuori dove abbiamo aspettato l'ambulanza. Io sono riuscita soltanto a chiamare i tuoi genitori, ero così spaventata per te!" Vedo Kristen tremare per aver rievocato l'accaduto.
"Kristen, hai fatto una cosa giustissima e ti ringraziamo per questo" Aggiunge mio padre.
Ancora scossa e dolorante, sforzo troppo il braccio e mi lascio scappare un urlo. "Quali sono i tempi di guarigione? Potrò ancora allenarmi, vero?" Vedo con immensa tristezza che gli sguardi di tutti si fanno più grigi e spenti. "Parlate, non lasciatemi così!"
"Tre mesi. Due e mezzo senza sforzi. Il coach ha severamente vietato ogni genere di preparazione atletica fino ad allora" Interviene mamma.
Rimango senza parole.
"Quand'è l'esame finale Kristen?" Una lunga e inattesa pausa precede la sua risposta.
"Tra tre mesi."
Mi cade il mondo addosso e sento le lacrime rigare le mie guance. Kristen prova a rincuorarmi, stringendomi anche lei la mano, ma mi irrigidisco ancora di più. Ero stata svuotata di ogni emozione, non vedevo perché mandare avanti quella giornata. Volevo solo dormire e sperare di cancellare ogni cosa e di risvegliarmi nel mio letto, pensando che sia stato solo un brutto sogno. Ma quando riapro gli occhi vedo nuovamente quelle anime in pena, venute a darmi quella notizia. La visita si conclude poco dopo, ma avendomi vista in quello stato hanno pensato che mi potesse servire del tempo da sola ed era quello che volevo. Volevo cancellare la mia memoria ad ogni costo. Rimasi per quella che credevo una mezz'ora a fissare inutilmente il soffitto bianco e azzurro, pensando che in quell'intonaco fresco avrei trovato la risposta al mio problema. Invece guardando la finestra notai con immenso piacere che era quasi sera, il tramonto che tingeva le pareti di un più caldo arancio intenso. Sento bussare alla porta, ma non ho voce per rispondere, né la voglia.
"Con permesso.."
Sento una sottotono maschile, la porta si apre lentamente, rivelando un completo dello stesso colore del soffitto.
"Non disturbo, vero?" Chiede con voce sottile, ma profonda.
"N-no, cioè in realtà si, m-ma" Realizzo solo dopo di trovarmi comunque di fronte ad uno dei miei idoli sportivi. Lo vedo fermo sulla soglia. "Entra."
Chiude la porta dietro di sé, si accomoda con passi lenti sulla poltroncina a lato del mio letto. Prima di proferire nuovamente parola dà un'occhiata alla struttura che sorregge la mano fasciata, i tubicini che sono stati aggiunti per aiutarmi a respirare, le coperte e i cuscini bianchi da ospedale. Notando il mio imbarazzo, cambia espressione e mi parla.
"Mi dispiace per quello che è successo, Camilla" Mi rilassai appena. 'Solo mi dispiace?' Quasi leggendomi nel pensiero, aggiunge qualcosa subito dopo: "Ho chiesto alle infermiere quale fosse la diagnosi, e il resto. Dopo avermi riconosciuto mi hanno detto tutto. Tre mesi sono molti, troppi per un tennista" Sospira. "Deve essere dura per te".
Non mi ero ancora presa abbastanza tempo per riflettere sull'accaduto, ma sentivo che questa poteva essere un modo per esternare le mie emozioni. Prima che me ne accorgessi avevo iniziato a parlare.
"Non è colpa tua. Non ero concentrata" Inizio a ricordare alcuni dettagli dell'incidente. "Non stavo pensando a colpire la palla in quel momento" Dalla sua postura capisco che si sentiva chiamato in causa.
"Mi sono preso carico delle spese mediche, è il minimo che potessi fare"
"Grazie. Non avresti dovuto"
"Era il minimo"
Rimanemmo per un po' in silenzio. Era quello che mi serviva. Il mio sguardo vagava sul suo completo, lo stesso di ieri. La domanda mii sorge spontanea.
"Vesti sempre di bianco?" Lui si sveglia dal leggero tepore.
"Mi sta bene? Mette in evidenza la mia purezza d'animo" Sorrido. "Non credi?"
"Ora assomigli di più al ragazzo che ho conosciuto ieri" Sorride.
"Ieri è stata una mattinata frenetica. Spero che il pranzo sia stato di tuo gradimento"
"Sapevi che mi sarebbe successo tutto questo e mi hai offerto un pranzo?"
"Qualcosa di simile" inizia a giocare con le dita con il lenzuolo vicino alle mie gambe. "Era il minimo che potessi fare per scusarmi"
Pensare che fino ad adesso ha già avuto due buoni motivi per farlo. Lo interrompo.
"Wilhelm." Alza lo sguardo, lo punta su di me. Guardandolo ora non aveva nulla di diverso da un bambino che è stato appena destato dal suo sonno. "Non potrò sostenere l'esame. I-io lo desideravo più di ogni cosa. Il giorno stesso in cui ho saputo dell'iniziativa ho immaginato tutti i giorni a venire, e mi sentivo al settimo cielo. E' tutto quello che potevo desiderare. So che non era voluto, non voglio credere che sia stata una prova, voglio credere che sia tutto un sogno, un brutto sogno. I-io.." Sentivo nuovamente il viso bagnato. Mi ritraggo ed evito il contatto visivo. Percepisco il suo sguardo su di me. Wilhelm avvicina ancora di più la sedia.
"Camilla" Mi guarda con serietà. "Capisco bene ciò che provi. L'ho provato anch'io. Guardami ora, non c'è bisogno di vergognarsi delle proprie emozioni" Lentamente mi convinco e provo a seguire le sue parole. Prosegue, ora guardando me, ora guardando la mia mano destra. "Quando ero più piccolo, all'età di tredici anni, mi storsi violentemente la caviglia giocando a tennis. Mi sentivo malissimo, mi era caduto il mondo addosso, sentivo tutte le pressioni su di me perché avevo un destino in questo sport, gli altri, volevano che lo avessi. E giocare era quello che più mi faceva sentire libero. Mi storsi la caviglia e finii in ospedale. Il mio allenatore di un tempo mi disse che i veri campioni erano in grado di rimettersi in carreggiata, di trovare un modo per farlo. Tutti i giorni lui veniva da me e ripassavamo la teoria, esercitavo le braccia mentre con la gamba mi mantenevo a riposo. Dopo un mese, vinsi il mio primo torneo regionale" Concluse il racconto con un'espressione serena e fiduciosa, come se volesse prendere il posto del suo allenatore.
"Caviglia e polso sono un po' diverse" Mi rattristii. "Io non sono mancina"
Ritornò serio per un momento. Poco dopo, mi sorrise quasi come fosse un preludio ad una risata.
"C'è chi lo è diventato"
"Fammi indovinare.." Guardo le sue mani
"Precisamente" Dopo un istante di totale silenzio, sbotto in una risata senza fine.
"Tu? Ambidestro? Per prevenire casi come questi?"
"Precisamente" Ripete con maggior enfasi.
"E questo come potrebbe aiutarmi?"
"Non ho detto che potesse farlo"
"Giusto.." Sospiro.
"Ma qualcos'altro potrebbe" Si alza dalla sedia, versando un po' d'acqua nel vaso di fiori. "Un allenamento speciale, con un professionista della riabilitazione"
Lo guardai confusa ma divertita. "Fammi indovinare di nuovo.." Indicai prima lui e poi me.
"Precisamente"
Il suo sguardo si sposta dai fiori a me, osservando fisso i miei occhi, in cerca di una risposta. "Voglio rimediare al mio errore. Ho visto da come parli, da come reagisci, da come ti muovi, che giocare e ritornare in campo è la cosa che più desideri al mondo. Questo sentimento è lo stesso che mi ha spinto ad andare avanti. Tra una settimana ti dimetteranno. Voglio che tu possa partecipare all'esame finale, perché è ciò che vale di più al mondo: dimostrare che esistono ancora tennisti che credono in ciò che fanno, e lo fanno fino in fondo" Le sue parole risuonano potenti nella mia testa. Non mi trovavo in quel momento di fronte ad un ragazzo più grande di me di qualche anno, ma davanti ad un oratore di fronte ad una platea ghermita, che pendeva dalle sue labbra. Le sue parole mi avevano spinto a ritrovare la speranza.
"Tutto questo.. ha un prezzo, non è vero?"
Si siede nuovamente sulla poltroncina, a gambe larghe ma incrociate, così come le mani, con posa diplomatica. "In cambio dovrai fingere di essere la mia ragazza"
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