13. Non puoi andare avanti così

Billie Eilish - BLUE
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Le parole a volte sono taglienti come la lama di un coltello.

Azriel le usa sempre con prudenza quando si tratta di me.

A volte una sua parola diventa un cerotto, un consiglio diventa un salvagente e una semplice frase diventa l'amica perfetta che mi abbraccia nei momenti cupi e mi impedisce di cadere e di finire clamorosamente con la faccia spiaccicata a terra.

Ricordo perfettamente il momento esatto in cui le sue parole mi hanno avvolta come una corda e mi hanno tenuta sospesa a due centimetri da terra, mentre il mio mondo si sgretolava poco a poco sotto il mio sguardo.

Era giugno inoltrato.

Il venticello fresco si srotolava piacevolmente sulla nostra pelle, era il primo bacio tiepido dell'estate. La luna piena brillava alta nel cielo, il mio ginocchio contro il suo, il suo braccio sulle mie spalle.

I miei occhi pieni di illusioni e i suoi freddi come l'universo ma ammalianti come le stelle; silenziosi e talvolta cupi, ma traboccanti di celata e ansiosa speranza.

Io mi sentivo un disastro, lui i disastri li ha sempre trovati affascinanti. Tra le rovine a volte si trovano le cose più belle, era solito dirmi nei momenti di vulnerabilità.

Ci concedevamo una frase di conforto sussurrata nella notte mentre ci stringevamo in un abbraccio e il giorno dopo facevamo finta di niente.

Ogni mio brutto pensiero lo trasformava in una tela piena di colori.
Ogni mio fallimento diventava una quasi vittoria. Ogni lacrima si trasformava in un sorriso. E a volte nella rigidità del suo abbraccio, nel timido calore che si nascondeva tra le sue parole io mi sentivo a casa.

«A volte abbiamo bisogno di conservare dentro di noi i raggi di sole più caldi e belli per poter sopportare gli inverni più freddi», mi diceva.

Quando nostra madre ci ha abbandonati, grazie a lui l'odio non è riuscito a consumarmi. Ma tra le rovine del nostro rapporto è sbocciato un fiore e io ho cercato di prendermene cura, anche se non sempre con i modi più gentili.

«Non ami in modo sbagliato. Ami in modo diverso e va bene così», mi aveva detto quella notte, mentre le mie braccia gli cingevano il collo e le sue parole cercavano un luogo dove posarsi tra i miei pensieri ingarbugliati. Facevo spazio alla sua voce in mezzo al caos che si propagava nella mia testa ad ogni "Non sei abbastanza" e "Potresti fare molto di più per i tuoi fratelli".

E adesso sono qui e sto provando, quasi di nascosto, come una ladra, a custodire gelosamente dentro di me il raggio di sole che quell'idiota di Elias mi ha donato in una giornata di pioggia.

Ho provato innumerevoli volte a togliermi dalla mente il suo sorrisetto sghembo, ma senza successo.

Sento ancora il peso del suo braccio sulle mie spalle quando sono sola e il suo profumo che mi solletica le narici.

Nel corso degli anni ho pensato diverse volte a lui, ma mai in modo così intenso. Non è mai riuscito a intrufolarsi nella mia mente con così tanta facilità.

Mi spaventa.

Ed è esattamente per questo motivo che cerco non solo di non incrociare più il suo cammino, ma anche di evitare di guardare negli occhi i suoi amici.

Con una mano nella tasca dei pantaloni e gli occhi puntati sulle porte della mensa, mi appresto a raggiungere i miei fratelli.

«Ciao, Raven», dice una voce familiare alle mie spalle.

«Ciao, chiunque tu sia», rispondo senza voltarmi. Sento uno spostamento d'aria alla mia destra e poi con la coda dell'occhio scorgo la figura di Ryan Campbell, l'amico di Elias.

«Ti serve qualcosa?», gli chiedo ed estraggo la mano dalla tasca per passarmela tra i capelli.

Ryan sorride e scuote il capo. «Volevo soltanto salutarti, piccola combinaguai», mi strizza l'occhio e io assottiglio lo sguardo.

Probabilmente riesce a leggere le mille domande che prendono vita nei miei occhi, perché si affretta ad aggiungere: «Sai, non tutte hanno questo coraggio di farsi quasi scopare da Asher dietro la scuola. Complimenti! Sei una vera tosta, non è così?», dice con tono derisorio. Quindi adesso sono la combinaguai che si lascia quasi scopare? È così che mi vedono in questo posto?

«Ryan, lo vuoi un consiglio?», gli chiedo addolcendo lo sguardo.

Si gratta il collo e mi sorride. «Mmh, certo, sentiamo.»

Faccio un passo verso di lui e mi assicuro che riesca a cogliere la serietà delle mie parole dal mio semplice sguardo. «Cerca di stare lontano non solo da me ma anche da Mallory.»

Inarca un sopracciglio. «Perché? Tua sorella è carina ed è sicuramente meno violenta. Lo sai che sono un po' interessato a lei.»

«Non voglio ripeterlo una seconda volta. Sarò anche una povera delinquente ai vostri occhi, ma non sai ancora di cosa sono capace. Prova a fare un solo passo sbagliato verso Mallory e ti prometto che neanche tuo padre riuscirà a tirarti fuori dalla merda nella quale ti farò affogare.»

Il sorriso si spegne per un secondo sulle sue labbra, ma affiora di nuovo quasi con prepotenza.

Solleva di poco il mento e mi guarda di traverso. «Povero Elias. Non vorrei essere al posto suo», fa una breve pausa di riflessione. «Però a modo tuo sei adorabile, Parker. E so che faresti qualsiasi cosa per tenere al sicuro i tuoi fratelli, ma ti assicuro che dovresti guardarti le spalle da altre persone. Io sono innocuo, Elias può confermarlo», si stringe nelle spalle con indifferenza. Seppur mi costi molto ammetterlo, nelle sue parole percepisco la sua sincerità.

Distolgo lo sguardo e getto un'occhiata fugace oltre la spalla.

Adeline incrocia le braccia al petto e sogghigna. Trattengo il desiderio di scagliarle addosso la mia ira e afferro il vassoio per mettermi in fila.

Azriel è rilassato sulla sedia, mi sta aspettando pazientemente. Puntella il gomito sul tavolo e fa oscillare lo sguardo tra me e gli amici di Elias.

Peter non è seduto accanto a lui. Mallory, invece, si tortura le dita e batte nervosamente il piede sotto il tavolo.

«Percepisco una certa tensione. Meglio che vada», esclama Ryan. Mi dà una pacca sulla spalla, afferra una pera dal vassoio di un ragazzo mingherlino e visibilmente in imbarazzo e se ne va.

Un minuto dopo guardo la porzione di pasta che ho nel vassoio, la banana che sicuramente non mangerò e la torta al cioccolato che sta già avendo un impatto positivo sul mio umore.

Sento una risatina bassa alle mie spalle. «Allora, sei finita nei guai a causa mia?», chiede Asher, rifilandomi un sorrisetto malizioso.

«Non è a causa tua. Ho scelto io di rimanere lì con te, quindi cerca di ridimensionare il tuo ego», ribatto con tono neutro.

Avverto il suo fiato caldo solleticarmi il collo e poi lo sento sussurrare al mio orecchio: «E tu cerca di farti trovare nella tua stanza tra un'oretta e mezza. Manda via la secchiona.»

«Come farai a intrufolarti nella mia stanza?», gli chiedo a bassa voce.

«Ho i miei metodi, dolcezza», ridacchia e mi lascia un bacio sulla testa prima di dirigersi verso un gruppo di studenti, che presumo siano suoi amici.

Guardo in fondo alla sala e intravedo il profilo di Lucy e la testa riccioluta di Peter.

Il mio corpo è abituato ad avvertire in anticipo le situazioni di pericolo. E questo è uno di quei momenti in cui mi va in cortocircuito il cervello.

Rimango immobile, le mie dita stringono con forza il vassoio, i miei piedi sembrano incollati al pavimento. Per qualche strano motivo anche gli altri puntano i loro occhi velati di maliziosa curiosità verso la coppietta che sta discutendo in maniera concitata non curandosi delle occhiate maligne degli altri.

Peter si appoggia con la spalla al muro, quasi come se in realtà volesse afflosciarsi a terra; scorgo il suo viso ferito per pochi secondi e dentro di me qualcosa si spezza.

«Lo sta mollando», mormora una ragazza alla mia sinistra.

«Lui sembra un cucciolo che sta per essere abbattuto», aggiunge con una risatina divertita la sua amica.

«In realtà credo stia per piangere. È umiliante.»

Mi tremano le mani e vorrei scagliare il vassoio contro la faccia di Lucy fino a vederla piangere e strisciare ai miei piedi. Trasalisco di fronte ai miei pensieri violenti e inarrestabili.

Quando finalmente penso che l'incubo stia per terminare, la voce acuta di Lucy sovrasta il chiacchiericcio generale: «Perché sembri sempre alla ricerca della mammina, ecco perché! Sono stanca di farti da balia, di prenderti per mano e introdurti nei contesti sociali che per te sembrano nuovi o di stare attenta a cosa dire per non urtare la tua stramaledetta sensibilità!»

Avanzo soltanto di un passo, poi sento due mani afferrare il mio vassoio. Lo appoggia sul bancone e mi stringe affettuosamente una spalla. «Non farlo. È esattamente ciò che vuole», mi informa Asher. «Se reagisci, significa che ti butteranno fuori a calci in culo da questo posto», sposta delicatamente la mano sulla mia schiena. Ma il suo tocco non è in grado di domare le fiamme che divampano dentro di me.

«Tranquilla. Resisti ancora un po'», sussurra al mio orecchio. Lo guardo con la coda dell'occhio e mi limito ad accennare un piccolo sorriso.

«Chiedi a tua sorella! Mi ha pregato lei di spezzare quel tuo cuore tenero!»

Mi concentro sulla stretta ferrea di Asher intorno al mio polso. Chino la testa e conto fino a dieci.

È una mera provocazione. Lo ha fatto apposta. È ciò che vuole.

L'istinto mi dice di sollevare lo sguardo e puntare gli occhi in quelli di Peter, che da lontano mi osservano con una tristezza schiacciante.

Mille occhi gli si imprimono addosso.

Mille giudizi gli pungono la pelle.

Mille paranoie prendono forma nella sua mente.

E mille coltelli stanno per squarciarmi il petto.

Articolo mille scuse nella mia mente, ma so che non riuscirò a pronunciarne nemmeno una per il resto della mia vita.

Il mio cervello elabora mille modi diversi per fargliela pagare.

Tutti gli occhi si spostano con un incredibile lentezza su di me.

Adeline si infila la cannuccia in bocca per nascondere il suo sorriso vendicativo, ma a me non sfugge.

Non mi sfugge niente.

Ryan sembra del tutto ignaro, perché osserva la situazione con un'espressione preoccupata.

Guardo i miei fratelli: Mallory ha lo sguardo basso, Azriel esamina la situazione con occhi scrupolosi. Sta cercando di capire.

«Che succede?», chiede Elias affiancandomi.

Mi giro verso di lui, gli occhi incendiati dalla rabbia. «Ti conviene fare da guardia alla tua ragazza da oggi in poi, Bailey.»

Elias si acciglia. «Che ti prende, volpina?»

Mentre lui cerca di dare un senso alle mie parole, io mi prometto silenziosamente di rovinarlo. Ho soltanto bisogno di tempo.

Peter cammina spedito verso di me, non osa guardarsi intorno. I suoi occhi mi trafiggono, stringe le labbra e vedo il momento esatto in cui la delusione gli si imprime sul volto come una maschera e le lacrime stanno per riversarsi sulle sue guance.

L'ho ferito.

Sono uguale a nostra madre. O forse uguale a papà.

Non ha importanza. L'ho sempre saputo. La mela non cade lontano dall'albero.

«L'hai fatto davvero?», chiede con un filo di voce. «Le hai dato il permesso di spezzarmi il cuore?»

Sostengo il suo sguardo e anche se il mio cuore cade in frantumi insieme al suo, mi impongo di restare fredda e distaccata. «Sì. L'ho fatto», dico.

Lui annuisce, si morde il labbro inferiore così forte fino a farlo sanguinare, poi guarda Azriel con un'espressione disgustata, come se stesse cercando di dirgli: «Sei miserabile come lei?»

«Che hai fatto?», chiede Elias, sempre più in ansia.

«Quello che faccio sempre», mi limito a dire, scrollando le spalle.

«Distruggi tutto ciò è bello?»

Proteggo gli altri, vorrei dirgli.

«A quanto pare», rispondo invece con un sorrisetto strafottente.

«La tua è un'arte», dice ricambiando il mio sorriso.

Se solo sapesse.

«Grazie.»

«Non molti farebbero ciò che fai tu. Ogni arte suscita meraviglia, ma non tutti sono in grado di capirla», aggiunge in modo criptico e aggrotto le sopracciglia, ma quando mi giro per guardarlo lui si è già allontanato parecchio da me.

Peter biascica come un ubriaco che sta per rimettere davanti a me: «Non so che cazzo hai in testa, Rav. Ma questa volta mi hai rovinato. Cristo santo, mi sento male», si schiarisce la gola, cercando di rimandare indietro il pianto, e mi dà una spallata quando esce dalla mensa.

Sollevo il mento all'insù, infilo una mano nella tasca dei pantaloni e con l'altra afferro il coltellino che tengo nell'altra tasca. Cammino con aria disinvolta verso Lucy, Azriel si alza in piedi e inizia a zigzagare tra i tavoli.

Lucy deglutisce e indietreggia verso il muro alle sue spalle. Cerca di dominare la paura.

È terrorizzata.

Deve esserlo.

Sorrido.

«Hai fatto un ottimo lavoro, Lucy», mi complimento.

Lei apre la bocca per ribattere, ma la richiude subito dopo.

«E meriti di essere ripagata per questo», estraggo la mano dalla tasca per posarla con nonchalance sul suo collo. «Hai fatto più del dovuto. Sei stata davvero generosa, ma anche la mia ricompensa lo sarà, sappilo», le dico guardandola negli occhi. Le stringo leggermente il collo, simulando una carezza, poi sento qualcuno afferrarmi la spalla e stringerla dolcemente.

«Andiamo via, Rav», mi esorta a lasciare la mensa e io lo seguo in silenzio.

Attraverso il corridoio, i pugni stretti lungo i fianchi. Mi fermo e appoggio i palmi contro la porta di un'aula.

«Peter non mi perdonerà mai», gli dico con un nodo che mi serra la gola.

«Lo farà», risponde con voce dura ma carezzevole. «Ma voglio sapere cosa è successo davvero là dentro.»

«Ho detto a Lucy di lasciare Peter», gli spiego.

«Gliel'hai detto e basta?», indaga.

«Potrei averla minacciata», sospiro affranta.

«Potresti?»

«L'ho fatto», cedo.

«Non è esattamente il modo più efficace per convincere qualcuno a fare qualcosa, ma questo lo sai già. Perché hai agito in questo modo?», domanda, incrociando le braccia al petto.

«Perché devo tenere Peter lontano da quella maledetta fonte di guai, odio e ansia. Andiamo, Az! Quella neanche lo ama, lo sai anche tu.»

«Raven non è compito tuo mettere tutti in salvo», scuote il capo con disappunto.

«Non è "tutti". È Peter, diamine!»

«Non sarai in grado di proteggerlo a vita. Tutti stiamo da cani a volte, non puoi accogliere dentro di te il dolore degli altri in questo modo. Non puoi andare avanti così. Prima o poi esploderai.»

Arriccio il naso, infastidita. «Non è vero. C'è ancora un po' di spazio dentro di me. Posso farcela.»

«Certo, ma per fare spazio a qualcosa di brutto significa che devi rinunciare a qualcosa di bello. A che punto sei, adesso?»

Mi metto in posizione di difesa. «A cosa ti riferisci?»

«Quanti pezzi hai già perso di te stessa?»

«Risparmiami queste stronzate, Azriel. Ci sentiamo dopo, ho lezione tra poco.»

Lui non mi ferma e io non mi guardo dietro.

E mentre mi allontano, vorrei che fosse di nuovo giugno di qualche anno fa.

Ero meno bugiarda allora.

E il sangue sulle mie ferite aveva un sapore diverso. Sapeva di speranza.

Adesso le ferite bruciano e io le guardo sanguinare.

E mi sento sbagliata.

Un disastro che è semplicemente destinato a precipitare.

Giù.

Sempre più giù.

In profondità.

 

Raggiungo la mia stanza e sbatto con forza la porta. Diana è seduta davanti alla sua scrivania, mi dà le spalle. Da quando l'ho respinta non mi ha più rivolto la parola. Mi guarda di sfuggita, mi sorride timidamente e quando stiamo insieme per troppo tempo, allora si mette le cuffiette e guarda qualche serie per sopprimere la voglia di parlarmi.

Mi schiarisco la voce. «Ti va di-»

Lei balza in piedi, esclamando ad alta voce: «Sì!»

«…di lasciarmi un attimo da sola?», finisco la frase con un senso di sconfitta che mi schiaccia il petto.

L'entusiasmo si spegne nei suoi occhi come la fiamma di una candela.

«Certo», risponde quasi con voce robotica. Prende il suo zaino, se lo mette in spalla e se ne va senza fare troppe storie.

Mi butto a peso morto sul mio letto e chiudo gli occhi.  Ho mentito a mio fratello. Non devo andare a lezione, quindi potrei chiamare Asher adesso che sono da sola.

Afferro il cellulare e gli mando un messaggio.

La sua risposta non tarda ad arrivare. Tra mezz'ora sarà qui.

Mi alzo in piedi e vado in bagno a sciacquarmi il viso. Bussano alla porta.

Asher ha cambiato idea? Si è precipitato già qui?

Mi tampono l'asciugamano sul viso e poi vado ad aprire. Il sorriso svanisce quando vedo chi c'è davanti a me.

«Elias», dico a mo' di saluto.

Mi ignora, si guarda intorno e poi entra nella mia stanza e chiude la porta a chiave.

«Cosa pensi di fare?», gli chiedo, aggrottando le sopracciglia.

«Dimmelo tu», replica con tono accusatorio.

«Cosa c'è? Lucy ti ha mandato qui a leccarmi il culo?», sogghigno e retrocedo verso la scrivania.

«Per quale motivo dovrei farlo?», inclina di poco il capo.

Se dovesse vedere Asher davanti alla mia porta, lo direbbe al custode? Verrei punita anche per questo?

Certo che lo farebbe! Non sarebbe di certo la prima volta per lui.

Prendo il cellulare e guardo l'ora.

Ventiquattro minuti.

Questo è il tempo che ho a disposizione per liberarmi di lui, sgattaiolare fuori da qui e cercare Asher.

Devo fare qualcosa di stupido. Qualcosa di abbastanza folle da indurlo a levarsi dai piedi immediatamente.

Rimetto il cellulare sulla scrivania e mi avvicino a lui senza distogliere lo sguardo dal suo.

Solleva di poco le sopracciglia, come se avesse percepito un cambiamento nell'aria che ci circonda. Non sa che sto per dire la cosa più stupida al mondo.

Si acciglia. I suoi occhi scivolano su di me, mi accarezzano la figura con curiosità.

Deglutisco, poi prorompo: «Voglio fare sesso con te.»

Nonostante il mio tono abbastanza risoluto e cristallino, lui mi guarda leggermente stralunato e dice: «Ti dispiacerebbe ripetere?»

Il nervosismo inizia ad attorcigliarsi intorno alle mie budella. «Adesso. Subito. Io e te. Spogliati», ordino perentoria. Penso soltanto al tempo che scorre tra di noi e alla delusione negli occhi dei miei fratelli. Non posso finire di nuovo nei guai per lo stesso motivo.

«Oh», un sorriso strano si apre sul suo volto. «Be', se è ciò che desideri», inizia a sbottonarsi la camicia, i suoi occhi sono puntati nei miei.

Cosa?

Il panico mi scorre nelle mie vene. Credo di essere persino diventata pallida.

Si siede comodamente sul mio letto, le gambe divaricate. Apre la camicia rivelando una porzione di pelle e mi fa cenno di avvicinarmi a lui. Il mio sguardo si posa involontariamente sul suo addome definito e sento la gola secca.

Non era questo il piano.

Perché è ancora qui?

Mi afferra per i fianchi e con una mossa decisa annulla gran parte della distanza tra di noi.

«Toglimi le mani di dosso», gli dico.

Lui ghigna. «Pensavo volessi fare sesso con me.»

Appoggio le mani sul suo petto per spingerlo via, ma lui mi afferra entrambi i polsi.

«Avresti dovuto dire di no», gli dico quasi come se fossi alla ricerca disperata di una boccata di ossigeno.

Elias sorride. «Lo so, volpina.»

«Lo sai?», gli chiedo confusa.

«Non ti offriresti in questo modo a me. Mai», mi fa avvicinare ancora di più e serra le cosce intorno alle mie, bloccandomi tra le sue gambe. «Cosa nascondi?»

«Non sono affari tuoi», dico guardandogli le labbra come se fossero la cosa più invitante al mondo in questo momento. Sollevo lo sguardo e per poco non mi cedono le gambe. Elias lascia il mio polso e fa scivolare le sue dita sulle mie costole, sopra il tessuto leggero della camicetta.

«Adesso lo sono», le sue dita sfiorano il bordo del mio reggiseno e si fermano lì, come se volessero marchiarmi a fuoco. Il tessuto sembra una barriera invisibile sotto il suo palmo. Sento tutto, ma vorrei sentire ancora di più.

Cazzo, questo non va affatto bene.

«I miei affari sono soltanto miei», ribatto, la voce carica di desiderio.

«E tu sei affare mio, Raven», mi stringe i fianchi e io perdo definitivamente la lucidità.

«Da quando?», ghermisco un respiro, costringendomi a non fargli sentire quanto in realtà mi sento debole.

«Da sempre.»

«Non sono più la tua nemica numero uno?»,

«Tieniti stretti gli amici e ancora di più i nemici, dicono».

Appoggio le mani sulle sue spalle, il mio pollice gli accarezza dolcemente il collo. Elias schiude le labbra, il suo petto si alza e si abbassa ad un ritmo più rapido. Le sue cosce mi stringono di più quando cerco di tirarmi indietro e finisco per perdere l'equilibrio e cadergli addosso. Il suo corpo piomba sul materasso e io sono sopra di lui, con il mento premuto sul suo petto marmoreo e le mani sulla sua vita.

«Cazzo», grugnisce e solleva i fianchi per sentirmi meglio o forse mi sta semplicemente incitando ad alzarmi. «Quindi anche tu ami tenere i tuoi nemici stretti?», l'angolo della sua bocca si solleva in un ghigno peccaminoso.

Prima di crollare definitivamente sul suo corpo e fare qualcosa di sconsiderato, decido di raccogliere quella poca dignità che mi è rimasta e rimettermi in piedi. I miei occhi però scendono un'ultima volta sul suo torso e qualcosa di selvaggio e primordiale inizia a destarsi dentro di me. Qualcosa che non sono capace di gestire. Qualcosa che mi rende... Cazzo, mi rende-

«Raven?», mi chiama, ma io sono completamente pietrificata.

Sto tremando. Mio Dio, sto tremando per colpa sua.

«Volpina?», adesso sento una traccia di preoccupazione nella sua voce.

Se Elias sembra preoccupato, allora devo essere messa davvero male.

«Sembri terrorizzata», afferma l'ovvio e io vorrei abbandonarmi ad una risata nervosa e prendermi a schiaffi subito dopo.

Cos'è? Cosa sto provando?

«Okay, va bene», mormora circondandomi la vita con un braccio mentre si rimette in piedi anche lui.

«Sto bene. Volevo soltanto spaventarti», gli dico smorzando la tensione con una risata forzata.

Scuote il capo e mi riserva un'occhiata circospetta. Mi afferra il mento con una mano e avvicina il viso al mio.

«La prossima volta non me lo ordinerai. Ci siamo capiti?», sussurra, una scintilla di malizia si insinua nei suoi occhi.

«Cosa?»

Le sue dita tracciano un sentiero di brividi sulla mia gola. «Tu mi pregherai, volpina.»

La sua frase mi piomba addosso come una secchio d'acqua gelida. «Ti pregherò quando tu striscerai ai miei piedi.»

Ovvero mai.

Elias mi infiamma un'ultima volta con il suo sguardo e dice, di punto in bianco: «Non stai mangiando.»

«Eh?»

«Cerca di rispettare gli orari della mensa.»

Ma che diavolo?

«Spero ti piaccia il pollo alle arachidi.»

«Cosa-»

«Tra mezz'ora controlla fuori dalla porta. E se uscirai da qui senza aver prima mangiato, scoprirai quanto in realtà è brutto avermi come nemico, Parker.»

Indietreggia con un sorrisetto soddisfatto e lo guardo uscire dalla mia stanza.

Rimango in piedi a fissare la porta frastornata.

Cosa è appena successo?

 

Ho aggiornato in ritardo, lo so, scusate!! Nella mia vita stanno succedendo delle cose, sicuramente di alcune ve ne parlerò al momento giusto! :)
Grazie per aver atteso con pazienza l'aggiornamento! Vi leggo, sappiatelo, ma al momento non sto molto sui social.
Ci sentiamo al prossimo aggiornamento 💕 spero vi sia piaciuto, fatemi sapere 💋

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