11. Azriel cosa ne pensa?
Olivia Rodrigo – Jealousy, Jealousy
00:30 ━❍──────── - 02:56
↻ ⊲ Ⅱ ⊳ ↺
VOLUME: ▁▂▃▄▅▆▇ 100%
Con una spallata apro la porta della mensa e imbocco il corridoio gremito di studenti.
Io e Raven non ci siamo più rivolti la parola da quando l’ho aiutata a sgattaiolare via dalla mia stanza.
O se vogliamo essere più precisi, da quando l’ho vista nuda.
Completamente nuda.
Dovrei ritenermi enormemente fortunato per questa improvvisa mancanza di dialogo tra di noi. Dovrei provare sollievo. Forse persino gratitudine, perché ha deciso di non ostacolare più il mio cammino.
Ma l’avvilente, deludente e sconcertante verità è che per tutta la settimana non ho fatto altro che cercare il suo sguardo.
Non appena intercettavo il suo profilo, io iniziavo subito a decifrare le sue emozioni, a esaminarle scrupolosamente e con ostinata determinazione.
Raven, però, non si è soltanto limitata a distogliere lo sguardo o sfrecciare nella direzione opposta.
No.
Lei è diventata un fantasma.
Riesce a mimetizzarsi in maniera magistrale con il nulla.
Riesce ad essere tutto e niente allo stesso tempo.
E quando penso che voglia far piegare il mondo ai suoi piedi, mi fa capire che a lei del mondo non frega nulla.
Le mie dita fremono al bisogno di arpionarle il braccio, di fermarla e farla voltare verso di me. Voglio guardarla negli occhi soltanto per scorgere un’altra volta quella scintilla provocatoria o per immergermi stupidamente nel colore chiaro delle sue iridi. A volte sembrano freddi e taglienti come il cielo d’inverno. Ma sono anche ipnotizzanti, come i primi fiocchi di neve che iniziano a oscillare nell’aria.
Persino adesso riesco a intercettare la sua figura con la coda dell’occhio mentre cammina a passo svelto.
L’orlo della gonna le sfiora quasi le ginocchia. Penso al privilegio di Adeline e arriccio il naso. Quella gonna non solo è troppo lunga per lei, ma il materiale le causa prurito. Penso si sia grattata la coscia cinque volte in tre minuti.
La fisso come un maniaco, ne sono consapevole.
Con un gemito soffocato decido di girarmi.
Diana Dawson avanza verso di me con i libri stretti al petto e un sorriso luminoso stampato in faccia. I capelli lunghi e castani sono raccolti in una coda alta. Un grande fiocco verde abbellisce la sua acconciatura.
«Ciao», le dico con tono neutro.
Arresta la sua camminata in maniera brusca e per poco non inciampa. Posa gli occhi verdi su di me e assume un’aria spaesata.
«Dici a me?», chiede con un filo su voce, guardandosi un attimo intorno.
«Sì, dico proprio a te», mi faccio spazio tra gli studenti e l’affianco. «Continua pure a camminare, Diana, e non guardarmi così. Non mangio le persone.»
Tutto il sangue fluisce sulle sue guance, ma cerca di mantenere ancora quel sorriso delizioso sulle labbra. Ha un’aria così ingenua.
«Ti serve qualcosa?», chiede, aumentando la presa intorno ai libri. Manifesta le sue emozioni in modo esplosivo.
È molto diversa da Raven.
«Niente di che», dico, stringendomi nelle spalle.
«Ebbene? Come posso esserti utile?»
Continuiamo a farci spazio tra la calca mentre avanziamo verso l’uscita, accompagnati nel frattempo dal brusio generale degli studenti.
«Sei la compagna di stanza di Raven Parker.»
«Sì», risponde, spalancando gli occhi.
«Non era una domanda», la guardo dall’alto. Lei arrossisce. «So che quello che ti sto per chiedere potrebbe sembrare inopportuno da parte mia, ma sono certo che una ragazza come te sa quando tenere la bocca chiusa.»
Sulla sua fronte appare un piccolo solco. «Non ho fatto niente di male! Lo giuro.»
Si mette subito sulla difensiva e arriccia il labbro inferiore, formando un mezzo broncio.
«Lo so, Diana. Calmati», le rivolgo un mezzo sorriso amichevole. «Volevo soltanto farti una domanda. Ma voglio che questa conversazione rimanga soltanto tra me e te.»
Lo stupore le anima gli occhi, ma poi un sorriso scaltro prende vita sul suo viso delicato e manda quasi al diavolo la facciata della brava ragazza che ha sfoggiato fino ad ora.
«Dimmi tutto», strilla con enfasi, poi si tappa la bocca con una mano e mi rivolge uno sguardo pieno di scuse.
«Da questa parte», la guido fuori.
Scendiamo i gradini, lei si fa di nuovo piccola, come se non volesse farsi vedere insieme a me.
«Come ti tratta Raven?», è la prima domanda che faccio.
Non se l’aspettava.
«Oh», mormora con un’espressione disorientata. «Raven è molto complicata», inizia a dire quasi bisbigliando. Ci sono ancora troppe persone intorno a noi. «È chiusa. Ed è rigida. Come un dannato sasso», inizia gesticolare nervosamente con una mano. «È come un lago: bello e calmo. Vorresti immergerti e sfiorare le lieve increspature dell’acqua in superficie, ma poi scopri che quel lago in realtà è ghiacciato, inscalfibile. Capisci quello che sto dicendo?»
Annuisco. «Vai avanti, grazie.»
«Predilige il silenzio a qualsiasi ora del giorno ed è stancante, perché io sono una grande chiacchierona.»
Sì, ho notato.
«Vorrei davvero diventare sua amica, ma sembra una missione impossibile. Provo a parlarle, ma lei finge di non sentirmi. A volte si infila gli auricolari nelle orecchie e preferisce scarabocchiare cose su quel suo quaderno piuttosto che guardarmi in faccia.»
«Cioè? Cosa fa? Studia?»
Diana scuote la testa. «No, no. Credo disegni. Eppure a me ha detto che detesta disegnare. Non la capisco», sospira con un’espressione affranta. «E poi-», lascia la frase incompleta.
«Cosa?»
«Credo si stia sentendo con qualcuno.»
Mi irrigidisco.
«In che senso?», le chiedo.
«A volte sparisce all’improvviso e non è per stare con i suoi fratelli. Non la spio, solo che è talmente evidente!»
Non è possibile.
O forse sì?
«Forse sto divagando», arriccia il naso. Proseguiamo lungo il viale. Le trema il braccio, quindi afferro i libri che stringe al petto. Lei non protesta, anzi mi rivolge uno sguardo pieno di gratitudine.
«Sai, credo che Raven sia molto triste», esclama con fare pensieroso.
«Ne dubito.»
«È semplicemente molto brava a nascondere ciò che prova davvero. Conosco le persone come lei.»
«Non sono completamente d’accordo con te», ribatto con un sorriso freddo. «Ho saputo che studia amministrazione finanziaria», dico, cercando di non mostrarmi troppo interessato.
«Sì, come te», cinguetta e poi mi rifila un ghigno.
Sta ghignando sul serio.
Storco la bocca. «Sai se…», abbasso lo sguardo sulle mie scarpe.
Sembra che Diana sia in grado di leggermi nel pensiero, perché dice: «Non penso abbia bisogno di aiuto», attorciglia una ciocca di capelli intorno all’indice. «Anzi, probabilmente il suo obiettivo è diventare più brava di te», mi sorride di nuovo e io l’assecondo come un idiota.
«Per com’è fatta…», scuoto il capo. «Ne sarebbe capace.»
«Vi conoscete già, non è vero?», solleva un sopracciglio. Sì è. avvicinata di più, ora il suo gomito sfiora il mio.
«Lei cosa ti ha detto?», indago.
«Oh, lei non parla mai di te.»
Una strana emozione si posa sul mio stomaco. È pesante e si irradia ovunque dentro di me.
«Tu la odi?», chiede, assottigliando lo sguardo con fare minaccioso.
«Sì», rispondo distrattamente.
«Devi odiarla abbastanza allora, se fai tutte queste domande», mi dà una gomitata nel costato e io la guardo sorpreso.
Sta osando un po’ troppo adesso.
«Cosa vuoi insinuare?»
«Niente. Facciamo un patto!», esclama gaia, fermandosi. Si piazza davanti a me, lo sguardo non promette nulla di buono.
«Io ti fornisco informazioni su Raven e tu-» deglutisce.
«Non esco con te! Sono fidanzato», le ricordo.
«Non voglio uscire con te, sciocco!», diventa rossa in faccia e inizia ad agitarsi come una zanzara fastidiosa.
«E allora cosa vuoi da me?», riprendo a camminare, tagliando per il prato. Diana mi segue.
«Che tu dica a Adeline di non prendermi più in giro», ha lo sguardo terrorizzato. Incrocia le braccia al petto, si mette subito sulla difensiva.
«Scusami?», chiedo.
«Mi prende sempre in giro. La gente mi mette ansia, quindi inizio a balbettare o a parlare a raffica. Hai notato, no? Oppure arrossisco un sacco», si indica la faccia. «Tipo in questo momento», ciondola, spostando il peso da una gamba all’altra. «Le persone non dovrebbero mettermi paura, eppure a volte quando guardo tra di loro non vedo volti, ma mostri pronti ad abbrancarmi. Sono sempre stata presa di mira per la mia sensibilità. Vorrei che per una volta fosse diverso», punta gli occhi lucidi nei miei e io mi sento uno stronzo.
«Adie ti prende in giro?», è tutto ciò che riesco a dire.
Annuisce timidamente. «Lo fa dal primo anno. Lei odia quelli come me.»
Non odia solo quelli come te, Diana.
Questo pensiero lo tengo per me.
«Mi dispiace. Non lo sapevo», le rivolgo uno sguardo mortificato.
«Allora? Andata?», cancella dal viso l’espressione triste e la sostituisce con un’altra più determinata.
«E in cambio tu mi fornirai informazioni su Raven?», valuto silenziosamente la proposta. «Perché dovresti farlo?», le chiedo guardandola con fare circospetto.
Lei si stringe nelle spalle. «Lo sai, in questa scuola siamo tutti dei subdoli manipolatori. Ognuno pensa a sé stesso, quindi io penso al mio benessere mentale in questo momento.»
Sì, è così. Eppure, non mi aspettavo una mossa così sleale da parte sua. È comunque la sua compagna di stanza. Se fosse stato un altro al posto mio, avrebbe stipulato lo stesso questo accordo?
Sento che nasconde altro, ma non intendo indagare oltre.
Lo scambio mi sembra equo. Certo, Adie si insospettirà, ma cercherò di tenerla alla larga da lei.
Non devo neanche girarmi per sapere che Raven è a pochi metri di distanza da noi. La sua presenza la sento fin dentro le ossa. Ma in questo caso la sento davvero, perché la sua voce stranamente allegra mi giunge alle orecchie, strappandomi un lamento.
Allaccio rudemente le dita intorno al polso di Diana e la trascino con me dietro al tronco di un acero. Le faccio cenno di restare in silenzio e poi le indico la direzione da dove proviene il vivace scambio di battute.
Mi pizzico il ponte del naso e trattengo nei polmoni una grande boccata di ossigeno.
Non è possibile, cazzo.
Cosa diavolo ci fa lei con Asher-bastardo-Cohn?
Camminano sotto la maestose fronte degli alberi, i raggi del sole filtrano tra le foglie lievemente ingiallite e illuminano i loro volti. Lei sorride e si abbassa per allacciarsi la scarpa. Asher, dietro di lei, tira indietro il capo e cerca di sbirciare sotto la sua gonna.
Diana calpesta un ramoscello secco accanto a me e la fulmino con lo sguardo. «Shh», le dico.
I due ci passano quasi davanti.
«In realtà a me piace correre. Sono anche parecchio brava e non lo dico per vantarmi», gli sta dicendo.
Asher la guardo con una faccia da pesce lesso e con il pollice le accarezza dolcemente lo zigomo.
«Puoi vantarti, tesoro. Fallo, perché sei così bella quando sorridi. Sembra che ti abbia dipinto Picasso», le dice con tono eccessivamente smielato. Quelle come lei non le conquista in questo modo. È impossibile. Raven detesta questa roba sdolcinata e ridicola.
Diana seppellisce la faccia nell’incavo del braccio e cerca di attutire la sua risata, io invece ho i brividi.
Raven si ferma di nuovo e lo guarda con quel sorrisetto che io conosco fin troppo bene. Lo sta mettendo alla prova. «Hai mai visto un quadro di Picasso?»
«Ehm… Certo!», risponde Asher con voce incerta. Si porta una mano sulla nuca e muove il palmo su e giù, cercando di placare il nervosismo.
Raven gli mostra lo schermo del cellulare e dice: «Quindi io ho quest’aspetto?»
Asher scoppia a ridere e getta la testa all’indietro, una mano aperta sulla pancia. «Non ci credo! Ho toppato alla grande. Cavolo, mi dispiace. Però sei davvero incantevole e lo saresti anche se avessi la forma di un cubo o se fossi in una posizione strana», le dice con un’espressione ammiccante.
Io e Diana ci scambiamo uno sguardo complice.
Ottimo. Potrebbe andare peggio di così?
Sono appostato dietro ad un fottuto albero insieme alla sua compagna di stanza e la stiamo quasi pedinando.
È ridicolo!
Diana picchietta il dito sul dorso della mia mano e poi con un cenno ripetuto della testa indica Raven.
La osservo, incuriosito.
La sua reazione stupisce entrambi.
Sembra divertita e questo non va bene.
Non va affatto bene, maledizione!
Vederla sorridere insieme agli altri mi fa venire l’orticaria.
Ma vederla mentre si atteggia da brava ragazza ed elargisce sorrisi zuccherosi come se la pagassero per farlo, mi fa venire voglia di tapparle di nuovo la bocca.
Il modo in cui mi piacerebbe farlo, preferirei non rivelarlo.
È ripugnante.
Davvero sgradevole.
I miei stessi pensieri mi destabilizzano. Creano una frattura nella mia cazzo di vita che, fino a qualche settimana fa, era equilibrata, ma non abbastanza da poterla definire perfetta.
Il bisogno di andare da quel figlio di puttana e spaccargli la faccia rasenta quasi la follia.
Ma non posso fare a meno di osservarla con occhio di falco e analizzare persino il modo in cui cammina. Sembra così sicura di sé.
Il suo mondo cade a pezzi ogni giorno sempre di più e io mi chiedo dove trovi la forza per tenerlo unito. Non vacilla mai in pubblico, ma è così anche quando è da sola? Ecco, è questo il tipo di informazione di cui avrei bisogno.
Ma come diamine ho fatto a farla entrare nella mia vita?
Perché mai ho permesso ad un soggetto simile di scombussolarmi la testa?
Più la guardo, più sento il mio mondo riempirsi di crepe. Non posso permettermi di diventare una cazzo di scheggia nel castello di cristallo nel quale ho vissuto per anni. Non posso.
Quindi è con questo imbecille che trascorre il suo tempo libero? È per questo che non si fa più vedere in giro? Perché è impegnata?
Abbasso lo sguardo su Diana e bisbiglio: «Accetto.»
Lei solleva il pollice. «Non avevo dubbi.»
Adesso i dubbi vengono a me. «Sul serio?»
«Certo», mi fa l’occhiolino.
Non capisco questa ragazza.
Lei mi darà le informazioni di cui ho bisogno e io le toglierò Adie dai piedi.
Tutto qui.
Sarà il nostro piccolo segreto.
«Ora dobbiamo separarci», le dico, offrendole i libri.
«Già! Ci sentiamo, partner», sventola una mano in cenno di saluto e se ne va, camminando furtivamente tra gli alberi.
Esco dal mio nascondiglio, mi schiarisco la voce e mi passo la mano tra i capelli.
È tutto a posto.
Tiro dritto verso di loro. Le mie gambe avrebbero potuto portarmi da un’altra parte, eppure hanno scelto lo stesso cazzo di percorso. Anzi, hanno scelto lei.
Asher le cinge le spalle con un braccio e lei si irrigidisce per un istante, poi si rilassa piano piano.
Mi prudono le mani.
«Ma guarda un po’ cosa abbiamo qui», dico con tono cantilenante dietro di loro. «Un coglione e una-», la voce mi muore in gola quando lei si gira verso di me.
Non ora. Non bloccarti ora, Elias.
Ma lei mi guarda con quei suoi occhi magnetici e io non ricordo più neanche dove cazzo sono.
Raven muove le spalle e si scrolla di dosso il braccio di Asher. Si acciglia. Ha un broncio che vorrei-
Vorrei?
Niente. Non voglio niente da lei.
«Sono cosa?», chiede facendo un passo verso di me con i pugni stretti lungo i fianchi e lo sguardo omicida. Pensa di incutermi timore?
Povera sciocca, non è il suo atteggiamento da teppistella a mettermi paura, bensì le emozioni che mi fa provare quando sono intorno a lei.
«Avvicinati così posso dirtelo all’orecchio», le dico. Secondo il mio cervello è giusto che io provi a farla allontanare da lui. Perché devo essere io il suo problema.
E Asher al momento è soltanto d’impiccio.
Lei avanza, furiosa. Cosa farà adesso? Si metterà a pestare i piedi come una bambina capricciosa o forse mi scaglierà un fiume di insulti addosso?
Quando mi si piazza davanti, reclina la testa all’indietro per guardarmi e io premo le labbra in una linea sottile, costringendomi a sostenere il suo sguardo senza sorridere come un coglione. Mi fa quasi tenerezza quando mi guarda in questo modo. Sono alto un metro e ottantanove. Non ho mai dato alcun peso alla mia altezza, ma in questo momento ringrazio i geni di mio padre.
Si morde il labbro inferiore, ma non è un gesto sensuale. Lo fa perché sta cercando di trattenere un’imprecazione. La percepisco. È proprio lì, sulla punta della sua lingua.
Il ricordo di lei sotto di me scoppia nella mia testa come un ordigno. Il boato è violento e mi lascia frastornato.
Così vulnerabile.
Così perfetta.
Le sue tette sono perfette.
Le sue curve sono perfette.
Persino la sua fica è perfetta.
È questa è una di quelle cose che non dovrei dire neanche a me stesso. Perché sono felicemente fidanzato. E la mia ragazza è uno schianto. Non mi manca nulla.
Ma quando sono intorno a Raven le mie facoltà mentali mi abbandonano. Quindi, come un perfetto idiota, abbasso la testa e con la bocca le sfiora appena il lobo dell’orecchio. Lei trattiene il respiro.
«E tu sei una piccola e sporca ladra», le dico. «Cercherò di mantenere il segreto per adesso. Non vogliamo mica che lo sappiano tutti, no?»
La mia bocca scivola pericolosamente più in basso, sul suo collo. «Quando eri nuda davanti a me respiravi benissimo e sembravi persino divertita. Adesso per caso sei a corto di ossigeno, volpina?», bisbiglio e, porca puttana, lei rabbrividisce.
Fa un lungo e profondo respiro.
«Brava, proprio così», mi complimento, dandole un buffetto sul naso. Immagino la frase appena pronunciata in un contesto diverso e trattengo un gemito.
Calmati, cazzo. È soltanto Raven. Tu la odi.
«Bastardo», sibila. «Stammi alla larga.»
«Sono sorpreso. Non pensavo che avessi standard così bassi», le dico, guardando l’idiota annoiato alle sue spalle.
«Lei ha un quoziente intellettivo decisamente superiore. Per fortuna non ha bisogno che uno come te scelga al posto suo», si intromette Asher.
«Superiore rispetto al tuo?» lo provoco.
«Smettila, Elias», bofonchia lei. «E levati! Mi stai rovinando la giornata.»
«Dio, come ho osato?», mi porto la mano sul petto con fare drammatico. «Ero certo che te l’avesse già rovinata lui, quando poco fa si è complimentato per la tua bellezza.»
Raven stringe i denti. «Era simpatica, la battuta.»
«Era una battuta?», le chiedo con tono derisorio. «A me è sembrato serio come la morte.»
«Ti sbagli. Almeno io so scherzare, Bailey. È con la simpatia che le conquisti, sai? Per questo mi amano tutte», si vanta Asher, aprendo le braccia.
«Davvero?», le chiedo.
Raven scrolla le spalle. «Mi piace ridere e lui è bravo a fare battute.»
«Azriel cosa ne pensa?», domando, corrugando la fronte.
Ci fissiamo. La domanda è fuori luogo. Cosa cazzo mi importa di cosa pensa il suo gemello?
«Dai, volpina, sul serio? Proprio lui? Non hai trovato nulla di meglio qui? Hai l’imbarazzo della scelta.»
Si rabbuia. «Te l’ho detto. Mi fa ridere, è adorabile e ama passeggiare insieme a me. I miei fratelli si rompono sempre il cazzo», confessa con una smorfia.
«E Diana?», azzardo.
Lei mette le mani sui fianchi. «Non la sopporto. È troppo carina per me.»
«Guarda che non te la devi mica portare a letto», le dico ridacchiando.
«Lei è troppo e basta.»
Pensa di non meritare di diventare sua amica?
Abbasso lo sguardo sulle sue gambe.
«Non dovresti sopportare in silenzio», faccio un cenno del capo verso la sua gonna. Non si rende neanche conto, ma le sue dita stanno già grattando la coscia. «Dillo a qualcuno.»
«Cosa?», chiede, confusa.
«Dillo a qualcuno», ripeto e poi mi dirigo verso Asher.
«Stanne fuori o giuro che ti ammazzo», minaccia a bassa voce. «Ti ho detto che lei mi piace e a quanto pare le sto simpatico.»
«Povero idiota», scuoto il capo. «Da quelle come lei non devi lasciarti sedurre», gli dico, sento lo sguardo di Raven bruciare sulla mia schiena. «Da quelle come lei devi scappare», gli do una spallata mentre mi allontano.
Al termine delle lezioni, ne approfitto per fare una capatina a casa di Wes.
Dopo aver ascoltato per un’intera ora i terribili vaneggiamenti di Adeline e le pessime battute di Ryan, il mio cervello mi ha supplicato di lasciare quel posto e rifugiarmi qui, dove di solito trovo sempre un momento di pace.
Busso alla porta, anche se è già aperta, ma non ricevendo alcuna riposta, decido di intrufolarmi dentro.
Il profumo di vaniglia e altri aromi aleggia nell’aria come una nuvola di zucchero e il mio stomaco prende subito a gorgogliare in segno di approvazione.
Mia madre non è mai stata una grande cuoca, ma mia nonna sì. Questo profumo delizioso mi catapulta nel passato. Rivedo mia nonna impegnata ai fornelli mentre cerca di prepararmi la mia torta preferita.
Che è anche quella di Raven.
Questo pensiero mi strappa una smorfia di disgusto.
«Wes, sono io, Elias!», annuncio il mio arrivo, ma non ricevo ancora alcuna risposta.
Cammino lungo lo stretto corridoio, sbirciando un po’ in ogni stanza, poi uso la porta che dà sul retro per uscire fuori.
Eccolo qui.
Wes è seduto sulla panchina, gli occhiali sottili scivolano sulla punta del naso e tra le mani ha una rivista e una penna stretta nell’altra.
Sul tavolo in legno bianco, e ormai da riverniciare, c’è della limonata fresca, un giornale e le briciole di ciò che ne è rimasto del dolce.
«Non dirmi che ti sei abbuffato da solo, Wes», appena lo dico lui solleva lo sguardo e mi sorride a trentadue denti.
«Elias, vieni!», batte il palmo sulla panchina, facendomi spazio. Una strana nuvola di entusiasmo lo avvolge e il suo sguardo adesso è molto più luminoso.
«L’altro ieri ho conosciuto la tua ragazza e già mi manca», esclama e io divento di pietra.
Lei non mi ha detto nulla.
Batto le palpebre, confuso. «La mia ragazza?»
Mi siedo accanto a lui.
«Era insieme ad una bambolina bionda. Il profumo dei dolci attira tutti», ride sommessamente. «È rimasta ferma davanti a casa mia per un po’, ignara che io fossi esattamente dietro la porta. Parlava di te con l’altra ragazza. Insomma, non c’è nessun altro Elias qui, a parte te.»
Continuo a fissarlo senza dire una parola.
«Quindi l’ho invitata dentro», racconta e finalmente mi riscuoto dai miei pensieri.
«Onestamente non capisco, Wes », mi acciglio.
«Le ho detto “Tu devi essere la ragazza di Elias, vieni ho qualcosa per te”. Insomma, non avrei potuto negare i miei dolcetti alla tua donna. Aveva questo sguardo luminoso e mi guardava con i suoi occhioni azzurri, non ho potuto dirle di no quando mi ha chiesto dieci tortine con la marmellata di lamponi», mi dice con un sorrisone fiero.
«Dieci… cosa?», spalanco gli occhi. Adeline a stento ne mangia una. Ci tiene molto alla sua forma fisica.
«Già. E ha conosciuto Freccia», punta il dito verso il cavallo bianco. Gli ho dato io questo nome.
«Sembrava una bambina felice. Mi piace questa ragazza, Elias. Mi piace davvero! Non pensavo che me l’avresti mai presentata. Anche Maggy la ama, per la miseria! E anche Mary e George!»
Non sto capendo nulla e l’irritazione inizia a posarsi sulla mia pelle come un velo di spine.
Spalanco di poco gli occhi. «Maggy e Mary hanno conosciuto Adeline?»
Sulla fronte di Wes appare una ruga profonda. «Adeline? Chi è?»
Il cuore inizia a pompare sangue ad un ritmo folle. «Come si chiama la ragazza che è venuta qui?»
No. Non può essere lei. Non di nuovo, cazzo!
«Raven, mi pare. E l’altra biondina si chiama Mallory. Graziose entrambe, comunque», mi fa l’occhiolino.
La terra inizia a vacillare sotto i miei piedi. Per fortuna sono seduto.
«Le ho detto che un giorno le farai un giro», indica di nuovo Freccia. «Non ha mai cavalcato, ma si è innamorata di lui.»
«Wes, ho una domanda per te», la mia voce ha un’inflessione a causa della rabbia che sto provando. «Davvero pensi che lei sia la mia ragazza?»
«Non lo è? Figliolo, in tutta sincerità, non ti ci vedrei con un’altra. Siete tremendamente uguali.»
«Questo non è vero! Io non sono come lei. È un disastro su tutti i fronti, Cristo!», sbotto non riuscendo più a trattenermi.
Io e lei on potremmo essere più diversi di così.
Lei sfida tutte le leggi morali per puro divertimento e io sfido tutte le leggi dell’universo per divellere le radici che ha ostinatamente piantato nella mia testa. Ho provato di tutto per annientare questi pensieri che gravitano unicamente intorno al suo nome, ma nulla ha funzionato.
No, noi siamo uguali. Proprio per niente.
Io eccello in tutto. Lei invece fallisce.
È sempre stato così.
«Questo non è stato molto carino da parte tua», mi rimprovera con sguardo severo.
«Lo so. È solo che non è la mia ragazza, Wes.»
Si toglie gli occhiali da lettura con mano tremante e mi guarda con occhi colmi di ira. «Come dici? L’hai lasciata?», scatta in piedi e lancia gli occhiali sul tavolo. «Ha detto che sei il miglior fidanzato del mondo e tu l’hai lasciata? Mi piace quella ragazza, Elias! Non puoi parlare in questo modo adesso. Io ho una grande stima di te.»
Sbatto le palpebre una volta. Poi due. E infine tre. «Ti ha detto che cosa?», grido.
«Le ho dato dei dolci da portare via. Era contentissima. Le ho anche detto che adesso avrà un posto speciale qui e dolcetti gratis ad ogni visita. Maggy le farà la pasta con le polpette nel fine settimana. Mary le ha promesso un torta salata e George le preparerà il pumpkin spice latte in autunno. Ha conquistato già tutti. È un tesoro», mi dedica una lunga occhiata torva. «A differenza tua», e detto ciò, mi tira uno scappellotto dietro la nuca.
«Wes, ma che cazzo!»
Mi osserva con aria pensierosa, poi dice: «Forse hai fatto bene a lasciarla. Tu non la meriti. E io dovrei smetterla di darti gli scones quando hai le palle girate», scuote la testa.
Il mio stomaco protesta. «Cosa?»
«È troppo buona per te. È proprio un angelo.»
«Sì, se per angelo intendi Lucifero», lo guardo esterrefatto. «Wes, quella verrà qui soltanto per scroccare altri dolci!», grido indignato.
«Quella? Porta un po’ di rispetto! I miei vicini stravedono per lei. Tu stai decisamente perdendo punti», mi punta l’indice contro. «Senti, se ti do una tortina al cioccolato, mi prometti che gliela porterai? O forse intendi ferire ancora di più i miei sentimenti? Cosa c’è, adesso ti sembra divertente prenderti gioco di un vecchio come me?»
«Wes…», mi prendo la testa tra le mani. Non è possibile, cazzo! Non può essersi infiltrata persino qui. È il mio posto felice.
E lei deve sparire.
È davvero una maledizione.
Avevo promesso a me stesso che l’avrei tenuta lontano da me. Lei mi ha rovinato. Ha rovinato tutto. Ci ho messo un sacco di tempo per smettere di pensare a lei con una tale insistenza.
Ma lei è sempre rimasta conficcata nella mia testa come una dannata scheggia.
Lei non sa cosa ho dovuto passare per colpa sua.
Mi sono imposto di starle lontano.
Ma anche cosi, ogni volta che appoggiavo il culo sul sedile della mia nuova macchina, io risentivo il peso delle parole dei miei genitori gravarmi sulle spalle.
“Sei davvero un irresponsabile”, mi aveva detto mio padre.
Non avevo fatto un cazzo di niente. Non era colpa mia.
E ricordo perfettamente la delusione che galleggiava negli occhi di mia madre.
E anche la rabbia e lo sconforto imprimersi sul viso di Adeline.
Il suo povero ragazzo divenuto l’oggetto di scherno per eccellenza di tutta la fottuta scuola.
Mi aveva lasciato senza farsi troppi scrupoli.
“Non posso continuare a stare con te. Sei circondato da persone cattive e pericolose”.
Diceva che non ero degno di lei.
Che in fondo non lo sono mai stato.
Ed è esattamente ciò che ripeteva anche mio padre quando non gli davo ascolto.
Ho provato in tutti i modi a riconquistarla, a dimostrarle che non ero cattivo e che l’amavo follemente.
L’amore per lei mi rubava il respiro.
L’amore per lei ha ucciso qualche parte dentro di me. E quella parte è lì, conficcata come un pezzo di carbone nella mia carne. E ogni volta che Raven incrocia il mio sguardo, quel pezzo di carbone si infiamma e mi fa urlare.
Ecco cosa mi hai fatto, vorrei dirle. Mi hai distrutto. Hai distrutto la mia cazzo di vita.
Ero un ragazzino circondato da mille paure e mille responsabilità. Era compito mio far sentire al sicuro la mia donna. O almeno era ciò che mi ripeteva sempre il nonno. Era compito mio comportarmi da uomo. Era compito mio trattarla come una principessa e tenermela stretta. Perché una così non la trovi due volte. Perfetta. Lei è perfetta.
Adeline mi ha insegnato a spegnere il cuore. A spegnere la mente. A spegnere me stesso. A sentirmi vuoto quando tutto quanto diventa pesante nella mia vita.
Raven, invece, riaccende ogni mio piccolo dubbio, ogni mio pensiero. Preme il dito sull’interruttore e mi distrugge.
La rabbia mi ruggisce nelle vene quando la vedo.
La sua voce infestante si introduce con forza nella mia testa.
E i pensieri… i pensieri fanno un gran trambusto ogni volta che lei si allontana da me.
Io so com’è fatta.
Raven è come un elastico. Se lo tieni fermo, ti irrita comunque la pelle. Se lo rilasci, però, rischi di farti male.
Lei è così e basta.
Ma io non sono come lei. Non distruggo la felicità degli altri.
È per questo che sono migliore, no?
«Okay», acconsento. «Però sarà l’ultima volta che lei mangerà qualcosa di tuo.»
Wes mi guarda con sguardo deluso. Sembra talmente deluso che mi viene voglia di sotterrarmi. O di vomitare.
Basta.
«Fuori da casa mia», ordina perentorio.
«Cosa?», sussurro, sono immobile come una statua.
«Io non tollero questi giochetti e pensavo di essere stato abbastanza chiaro, quando hai messo piede qui per la prima volta. È vero che nutro una grande simpatia nei tuoi confronti…», sposta lo sguardo verso Freccia. «E piaci molto a quell’indomita bastardo, però ti avevo detto di portarla qui soltanto quando saresti stato davvero pronto.»
Be’, non l’ho portata perché non è la mia ragazza, ma mi pare inutile stare qui a ripeterlo. Inoltre, Adeline non verrebbe mai in un posto simile. Lei detesta i vecchi.
Cristo, detesta persino i suoi nonni.
Sugli occhi di Wes si posa un velo lucido. È tutta colpa di quella piccola stronza. Ancora una volta è riuscita a rovinare una cosa bella.
«Non-», mi passo una mano sulla guancia mentre farfuglio come un ubriaco. «Non l’ho lasciata.»
Wes alza il mento e mi scocca un’occhiata scettica. «Ah, no? Hai cambiato idea?»
«No, non l’ho mai lasciata. Non pensavo che sarebbe venuta qui. Avrei voluto esserci», vorrei mordermi la lingua fino a sentirla sanguinare.
«Quindi posso ancora sperare che un giorno la sposerai?»
«Raven brucerebbe la chiesa con me e il prete all’interno, ma sì, c’è ancora speranza», mormoro e inizio a contemplare l’idea di impiccarmi proprio qui, sull’albero dietro di me.
Mi servirebbe soltanto una corda.
Oppure potrei…
«Quindi è davvero quella giusta per te! Lo sapevo», esclama dandomi una pacca sul bicipite.
…darmi fuoco.
Quando sono di ritorno, stringo il sacchetto marrone tra le mani e alzo lo sguardo al cielo. Va tutto bene.
Non dirò niente di inappropriato questa volta. Le darò questa tortina del cazzo e poi mi leverò immediatamente dalle palle.
È ciò che farò.
Dato che non so in quale buco si è nascosta, decido di mandarle un messaggio.
Io: Ho una cosa per te. Dove posso trovarti?
Raven: A fanculo, dove ti ci ho appena mandato.
Io: Ritira gli artigli altrimenti la tortina al cioccolato me la mangio io.
Raven: Quale tortina?
Io: Wes.
Capirà al volo, dato che tutto questo teatrino l’ha messo su lei.
Raven: Ah.
Io: La vuoi o no?
Raven: Sono dietro la scuola, vicino al gazebo.
Io: Lì la gente ci va per scopare, lo sai?
Raven: Forse è quello che sto facendo.
Sorrido mentre la osservo.
È seduta a terra con la schiena appoggiata ad un albero e ha le gambe incrociate. Non indossa più quella fastidiosa gonna, quindi immagino mi abbia dato ascolto e ne abbia parlato con la vicepreside. I pantaloni neri non le calzano alla perfezione; su di lei risultano larghi, ma comodi. Fanno parte della divisa maschile. Lo so, perché sono uguali ai miei.
Sembra assorta nei suoi pensieri. Non mi ha sentito nemmeno arrivare.
Dopo un piccolo colpo di tosse, dico: «Quindi? Aspettavi me per farlo?», le chiedo.
Raven si mette subito in piedi. «Mi hai fatto spaventare, idiota.»
«Raven Parker che si spaventa?», la stuzzico.
«Non sono un robot. Reagisco come un normale essere umano», sbotta.
«Permettimi di dissentire. Non c’è niente di normale in te», mi avvicino un altro po’. «Dov’è finita la tua gonna?», indico le sue gambe con un cenno del mento.
Posa il palmo sul suo avambraccio e lo sfrega lentamente, dandosi conforto. «Preferisco i pantaloni», taglia corto.
«Non ti credo», ribatto.
«Hanno detto che i miei tatuaggi sono indecorosi», rivela con uno sbuffo. «Ma ho rivalutato la mia opinione, e ora penso che i pantaloni siano molto più comodi rispetto alla gonna», aggiunge con fare altezzoso.
Con i capelli scarmigliati e la camicia spiegazzata, con quella sua espressione ostile e i pantaloni che le scivolano morbidi sui fianchi sembra meno spaventosa e decisamente più tenera.
Freno i miei pensieri quando la vedo allungare la mano verso il sacchetto.
Lo sollevo in alto.
Lei ruota gli occhi al cielo.
«Non ti sforzare, tanto non ci arrivi», le dico.
«È mia», batte il pugno sul mio petto e io scoppio a ridere.
«Sei esilarante. Un po’ meno quando vai in giro dicendo che sei la mia ragazza», appena sgancio la bomba lei per poco non balza all’indietro.
«A proposito…», mormora, guardando da un’altra parte. È imbarazzo quello che vedo sul suo viso?
«So perché l’hai fatto», avanzo verso di lei come un predatore.
«Ah, davvero?»
«Davvero. Ti diverti a sottrarre cose agli altri con astuzia, no?», sollevo un sopracciglio e lei indietreggia verso l’albero. «Va bene, Raven, puoi avere i suoi dolci. Puoi prendere in giro me, ma non ti permetterò di prenderti gioco di Weston. Quindi, ecco cosa faremo, volpina.»
Lei solleva lo sguardo, non dice una parola. Leggo il rimorso nei suoi occhi, ma si affretta a dissimularlo con una finta indifferenza.
«Che cosa faremo?», domanda con voce flebile.
«Il tuo cazzo di gioco ti si ritorcerà contro», appoggio l’avambraccio sulla corteccia ruvida dell’albero, all’altezza della sua testa, e mi piego verso di lei, finché la mia faccia non è a pochi centimetri di distanza dalla sua. «Scoprirai quanto è fantastico avermi come ragazzo, Raven.»
«Aspetta», dice, appoggiando le mani sul mio petto. Ignoro la scarica elettrica che mi pervade il corpo. «Ho sbagliato, okay?»
«Sbagli un po’ troppo, non credi?»
Incurva le dita nel tessuto leggero della mia camicia. Ci si aggrappa come se fossi il suo unico sostegno in questo momento.
«Puoi non fare lo stronzo per un secondo?»
«Io?», la guardo allibito. «Non hai idea in che guaio ti sei cacciata.»
In realtà non lo so nemmeno io, ma adoro vederla spaventata.
«Sii ragionevole, Elias.»
«Sono il tuo ragazzo, no? Certo che sono ragionevole», la prendo in giro.
«Smettila! Stai ingigantendo tutto!», grida.
«Dato che ti piace così tanto fingere di essere la mia ragazza, allora lo sarai.»
Non so cosa sto dicendo.
Fermati, Elias. Ha ragione, stai peggiorando la situazione.
«Cioè-», deglutisce. «Cioè che vorresti dire? Non hai mica intenzione di baciarmi e tenermi per mano soltanto per dimostrare ad un vecchietto che sei il mio ragazzo, giusto?»
Non rispondo.
«Non intendi spingerti fino a questo punto, giusto Elias?», diventa pallida.
«Non hai idea fin dove sono disposto a spingermi, Raven, ma lo scoprirai», le do il sacchetto e me ne vado.
La testa mi sta scoppiando.
Cosa diavolo ho fatto?
Fin dove sono davvero disposto a spingermi?
Non lo so.
Non ne ho la più pallida idea.
Un brivido di eccitazione mi attraversa il corpo.
Lo scopriremo insieme, volpina.
Hai deciso tu di giocare a questo gioco e adesso non mi tirerò più indietro.
Ti rovinerò usando le tue stesse cazzo di armi.
Qualche ora più tardi mi imbatto in Asher. Ha sotto il braccio una coperta a quadri e lo zaino su una spalla.
«Dove stai andando?», gli chiedo.
Si passa una mano tra i capelli castani, i suoi occhi celano una minaccia. «Non sono cazzi tuoi.»
Mi passa accanto e poi gira l’angolo. So che sta andando da Raven. È talmente palese. Cos’è, un appuntamento romantico?
Sospiro e continuo a camminare. Non vedo l’ora di infilarmi sotto la doccia e dimenticare questa giornata del cazzo.
I fratelli Parker sono seduti sulle scale.
Meraviglioso, cazzo.
«Dobbiamo escogitare un piano», mormora Peter.
«Io appoggio il tuo piano», gli dice quel tizio italiano, con il quale non ho ancora avuto il piacere di parlare.
Peter si acciglia. «Non ce l’ho ancora un piano. Sai cosa vuol dire escogitare?»
Mallory alza gli occhi al cielo.
«Allora forse dovresti oleare gli ingranaggi del tuo cervello e sbrigarti prima che sia troppo tardi», ribatte quel tizio.
«Troppo tardi per cosa?», mi inserisco all’interno della loro conversazione.
«Non sono cazzi tuoi, Bailey», risponde Mallory. È graziosa come sempre. Così gentile.
Tutti i Parker dovrebbero essere rinchiusi in un manicomio.
«Sono quasi le undici e vostra sorella è lì da qualche parte insieme ad un ragazzo. Le regole sono regole e lei non può stare fuori oltre l’orario stabilito.»
Azriel si alza lentamente in piedi. «Sì, le conosciamo le fottute regole.»
«Voi sì, ma Raven?», chiedo, guardandolo con un sopracciglio arcuato.
L’italiano solleva l’indice, poi inizia a parlare: «Sì, tecnicamente il piano riguarda Raven. Dobbiamo trovare un modo per farla allontanare da quel tizio, perché a quanto pare, secondo il golden retriever qui presente, potrebbe avere una cattiva influenza su di lei.»
Peter borbotta: «Non sono un cane.»
«Emani la stessa energia», gli dice.
«La stessa energia di un Golden retriever?», Peter sembra sconvolto.
«Sì e no. Tu sembri più un cane con ansia da separazione, se davvero ci tieni a saperlo.»
Peter abbassa lo sguardo, a disagio.
«Tu chi saresti?», gli chiedo.
Azriel avanza di un passo. «Lui è Matteo. Non dargli corda. Non ho mai sofferto di emicrania in questo modo, ma ora grazie a lui la sto sperimentando per la prima volta. Non ti perdi niente.»
Di solito Azriel è taciturno, quindi se si è premurato di mettermi in guardia, significa che questo Matteo è davvero loquace.
Il gemello di Raven continua a fissarmi dritto negli occhi. Sostengo il suo sguardo inquisitore per un paio di secondi, poi lo distolgo.
«Hai incontrato quel tizio, non è vero?», dice a voce più bassa mentre mi affianca.
«Credo che lei abbia una sorta di appuntamento romantico con Asher», rivelo.
Azriel annuisce con aria pensierosa.
«Ti dispiace fare qualcosa per me?», mi chiede all’improvviso.
Le mie sopracciglia schizzano verso l’alto.
Azriel non chiede mai favori.
«Tipo?», domando.
«Rovinale l’appuntamento», ordina.
«Perché io?»
«Perché ti odia già ed è molto più semplice così. Se lo facessimo noi, le cose si metterebbero male. Peter non è in grado di gestire le sue cazzo di paranoie e Mallory potrebbe prenderla a schiaffi e non si parlerebbero per giorni.»
«E tu?», lo guardo di sguincio.
«Io devo essere pronto a sorreggerla, non posso sprecare le mie energie per stronzate simili», la sua confessione mi lascia con l’amaro in bocca. Che cosa intende?
«Siete tutto tranne che una famiglia unita», biascico.
«Ti sbagli», ribatte. «Siamo così uniti che quando uno dei quattro sta per fare una stronzata, l’altro lo sa già. E in questo momento sappiamo tutti che quel tizio lì non è ciò di cui ha bisogno al momento.»
Avanzo un’ipotesi. «Perché? Magari vuole soltanto divertirsi.»
«Ma sei tu il suo divertimento più grande, Bailey. Non farti rimpiazzare così in fretta. Possiamo gestire un problema per volta e con te non abbiamo ancora finito», mi dà una pacca sulla spalla e poi si frappone tra Peter e Matteo, che stanno ancora litigando per non so cosa.
Mallory mi fissa con occhi scettici.
«Dai, andiamo! Non possiamo stare fuori», Azriel, esattamente come se fosse un padre, guida i fratelli e Matteo verso il dormitorio.
Rimango da solo sulla scalinata.
Guardo l’ora sul cellulare.
Mancano meno di dieci minuti.
Maledizione, perché io?
Corro giù per la scalinata e raggiungo il punto in cui ho incontrato Asher poco fa.
Cammino furtivamente rasente al muro, ma il mio cuore si ferma.
I miei pensieri si congelano.
Non sono completamente immersi nel buio grazie alla luce calda del lampione, ma riesco comunque a capire cosa sta succedendo.
Raven è sdraiata a terra e Asher è sopra di lei. La sta baciando in modo lento mentre la sua mano scende verso la sua coscia.
Per fortuna è vestita.
Indietreggio lentamente, all’improvviso disgustato.
Non sarò io a disturbarli.
Ci penserà il custode a farlo.
Magari la prossima volta si ricorderà meglio il regolamento.
💅🏻👀
Che ne pensate dell'accoppiata Diana - Elias?
Adesso sarà Elias a giocare un po' con Raven 😌
Finirà male? Boh
A breve succederanno cose strane.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top