Capitolo 13


Nella foto: Alexander Theodore Donovan, l'Incantatore


"Non sarò giudicata da voi, ma da qualcuno più grande di voi."
(Misery, Stephen King)


Alexander's POV

La riformazione delle cellule craniali è la peggiore. Ci vogliono ore, e rimane comunque un lieve mal di testa, di quelli fastidiosi e resistenti che non riesci a mandare via neanche con chili di analgesici. E' così che mi sento ora. Avverto una lieve pressione sul corpo, un qualcosa di morbido e caldo.

Caldo?

Sbarro gli occhi, incontrando il buio più completo. Non è possibile. Perché la mia vista non funziona? Lui mi ha accecato? Ma lui chi? I ricordi si susseguono rapidi nella mia testa. Quelle ultime parole, cariche d'odio: "Sogni d'oro, papà." Alex. Lo avevo riconosciuto, nonostante i lineamenti ormai marcati da uomo abbiano sostituito quelli da bambino. Ma come è possibile? E soprattutto, perché? Il peso di prima si aggrava, premendomi il petto, che si alza e abbassa in preda all'ansia di ricordi apparentemente senza alcun filo logico. Un momento. Si alza e si abbassa? Mi porto una mano sotto al naso, sentendo l'aria che ne entra e fuoriesce, quel calore corporeo con cui ormai non avevo più familiarità. Respiro. Ho caldo. Non vedo. Cosa mi sta succedendo? Dove sono? Improvvisamente una porta si spalanca, inondando la stanza di luce. Mi alzo, accorgendomi solo in quel momento che ero seduto, e sono sorprendentemente lento nel farlo. La figura scura davanti a me non accenna allo spavento, anzi, viene avanti con espressione arzilla. E' un ragazzo con giacca rossa e pantaloni bianchi, abbinati ai guanti. I capelli biondi, quasi bianchi, si notano lievemente anche nella penombra.

"Oh, già sveglio signorino Flinnegan." esclama, e riconosco la voce così giovanile e allegra, ma con un'ombra matura nascosta dietro l'accento slavo. La figura mi supera e spalanca delle pesanti tende in velluto verde, illuminando tutto intorno a me, ma non bado molto allo scenario, concentrandomi su quella sottospecie di fantasma che mi stava davanti, spalle dritte e capelli perfettamente pettinati indietro.

"Vlad?" A quel nome i suoi occhi azzurri hanno un guizzo, ma non si scompone più di tanto.

"Vi sentite bene, signorino?" Mi sento bene? No. E perché mi chiama signorino?

"Che ci fai qui?" chiedo, trattenendo l'impulso di saltargli addosso e tranciargli la testa... o quello di abbracciarlo per averlo lì, davanti a me, e non tra le grinfie di... mio figlio. No. Ancora non ci credo. Lui sembra ancora incerto sul mio comportamento.

"S-sono il vostro cameriere, signorin..."

"Smettila di chiamarmi in quel modo, lurido bastardo." A quel punto Vladimir è letteralmente terrorizzato.

"Alexander, cosa diamine ti prende?" sbotta a quel punto, scomponendosi e facendo un passo verso di me. Alzo un sopracciglio, mantenendomi a debita distanza.

"Oh, come se non lo sapessi, Vladimir."

"Sono Jonathan, testone!" sussurra, ma si vede che vorrebbe urlare. "Jonathan. Ti riverisco da anni, lo hai dimenticato?" Sento il fiato mancarmi all'improvviso a quel nome.

"J-Jonathan?" balbetto, e solo a quel punto mi accorgo di dove sono: il letto a baldacchino dal quale sono uscito, le tende verdi, il tappeto dove sto poggiando i piedi, i mobili in legno con una F corsiva intarsiata a menadito su ogni cassetto di quel comò che non vedevo almeno da quattrocento anni. "Non è possibile." Lui si toglie una mano guantata, posandomela sulla fronte. La sua pelle è calda, ma dura come cuoio. Una volta mi ha detto che riusciva a riscaldare il suo corpo grazie alla sua capacità di dominare il calore e il fuoco, in modo da sembrare più umano, ma la durezza era impossibile da simulare e nonostante potesse indurre la scusa di calli da lavorol'innaturalezza di quel tocco era percepibile.

"Non sembri avere la febbre, ma non si sa mai." mormorò, rimettendo il guanto. "Avverto le signorine che non puoi accompagnarle al mercato." Fa per andarsene, ma io lo afferro per un braccio, costringendolo a girarsi.

"Dov'è lui?" ringhio, aspettandomi di veder comparire l'Incantatore da un momento all'altro. Vladimir si scosta con poca fatica, ancora più preoccupato.

"Forse stai più male del previsto. Dirò a madama Flinnegan di mandare a chiamare il medico." Madama Flinn... No. Devo rimanere concentrato. In fondo Alex ha la capacità di manipolare il tempo, giusto? Potrebbe avermi rispedito indietro. Guardo Vladimir chiudersi la porta alle spalle, lasciandomi da solo e in vestaglia in mezzo alla mia vecchia camera. Sbuffo, cosa che non facevo da tempo immemore, e cerco di ponderare la situazione.

Dunque, mio figlio troppo cresciuto a quanto pare mi odia, e mi ha spedito indietro nel tempo nella mia vecchia stanza. Perché? Per Satana, perché? E dove sono i miei compagni? Kirsten? A questo punto sarei contento persino di vedere Guido! Razza di idiota balordo, aprire la porta in quel modo. Devo capire cosa fare. Come uscirne. Dannazione, il mio cognome fa schifo per intero.

"Piaciuta la sorpresa, paparino?" Questo tono a metà tra lo scherno e il disprezzo mi fa voltare, e sento la vestaglia svolazzarmi sulle gambe.

No. La vestaglia no.

L'Incantatore è seduto sul mio letto, una gamba gli penzola nel vuoto e ha le mani impegnate a maneggiare un ninnolo di cristallo preso dal mio comodino. Non ha nessuna cappa scura addosso, anzi, sembra un normale adolescente del ventunesimo secolo con una felpa verde scuro degli Yankees e dei jeans troppo larghi per le gambe magre. I capelli scuri sono spettinati e il ciuffo rosso spunta in mezzo come un papavero tra la terra. Gli occhi sono neri come i miei, e mi guardano con divertimento anche se le occhiaie scure ne dimostrano l'incavatura. "E' la stanza giusta? Ho detto al tuo telepata di essere accurato ma..." storce la bocca, facendo spallucce. "E' difficile trovare del bravo personale."

"Alex." lo chiamo, come se fosse un fantasma. "Tu non puoi essere mio figlio." Lui ridacchia, scuotendo la testa.

"Già, mi hai già detto questa frase." Lascia andare il cristallo sulle coperte, rimanendo seduto. "Cosa dire? La cosa non fa piacere neanche a me." mormora. "Ma immagino vorrai delle spiegazioni." dice poi, stupendomi. "Sento già le domande nella tua testa. Oh, cosa mi vorrà fare questo brutto mostro? Perché mi ha portato nel '200? Me l'ha messa lui, la vestaglia?"

"Wow, tre su tre." dico, incrociando le braccia. Visti da fuori non sembriamo toglierci molti anni, anzi, lui sembra anche un po' più grande di me. Alex china leggermente la testa, aggrottando le sopracciglia. Sembra alquanto stupito da qualcosa che non riesco a capire. Picchietta con la mano sul posto accanto al suo, con fare premuroso.

"Su, siediti. Abbiamo un po' di cose su cui discutere." Mi guardo intorno, poco fiducioso. E perchè mai dovrei fidarmi di lui? Non so neanche se dica il vero. "Dai, non ti mordo mica, per ora." Quel per ora è abbastanza preoccupante.

"Sto comodo qui." Lui annuisce, dandomi una veloce occhiata.

"Comunque no. Non ti ho messo io quella roba, anche se ti slancia."

"Se sei Alex, come fai ad essere così... così..." lo indico e lui ridacchia.

"Cresciuto?" completa la mia frase, ma io scuoto la testa.

"Intendevo pazzo." Lui non sembra risentirsene e si mette più comodo, in posizione da fachiro.

"Siamo il prodotto di ciò che passiamo." mormora con calma, senza sorridere. Non capisco, ma a quanto pare lo ha già capito dal mio sguardo perso, perché sbuffa infastidito. Ah, sarebbe lui quello infastidito? "Mettiamo le cose in chiaro: non sono propriamente tuo figlio. Sono il figlio di un te alternativo. Anzi, in effetti per me saresti tu quello alternativo, ma con i viaggi nel tempo bisogna stare attenti a queste cose." Viaggi nel tempo? Ha sviluppato il suo potere così tanto? Sento un moto d'orgoglio inaspettato salirmi su per la nuca, subito represso. Concentrati, Flinn. Non hai ancora ben chiaro cosa stia succedendo.

"Quando dici un te alternativo..." domando, avvicinandomi di poco. "Intendi che vieni dal futuro?"

"Però, non ti facevo così perspicace." Mi passo una mano sul viso, mettendo in ordine le idee. Quello è mio figlio pazzo venuto dal futuro a cercare di uccidermi. Sapevo che avrei fatto schifo come padre, ma c'è un limite a tutto. Cosa potrò aver mai fatto per scatenare tanto odio?

Ti ucciderà e poi morirà. Sembra che non gli importi di morire.

Lo guardo meglio e lo scopro pallido, emaciato, qualche livido sbuca dalle maniche della felpa. Come si sta riducendo per uccidermi?

"Dove sono Kirsten e gli altri?" A quel nome lo vedo scattare e alzarsi come una furia, venendo verso di me fino a quando non siamo uno ad un centimetro dall'altro.

"Non parlare di lei come se te ne importasse qualcosa!" ringhia, puntandomi un dito contro. In un lampo glielo afferro e provo a scaraventarlo via, ma tutto ciò che ottengo e venire buttato contro il muro da una forza sovrumana. L'Incantatore scoppia a ridere, guardandomi dall'alto. "Non sei ancora un vampiro, Flinn." dice con disprezzo, abbassandosi e afferrandomi per la gola. Lo sento sollevarmi mentre la mia schiena striscia contro il muro. I miei piedi perdono il contatto con il pavimento e l'aria inizia a mancare. Adesso respiro, dannazione. E sto soffocando. Mi aggrappo al suo polso ma lui sembra fatto d'acciaio, il suo occhio sinistro adesso ha assunto una vaga tonalità di rosso. "Come vorrei poterti uccidere qui e ora." Stringe ancora e il mondo inizia a diventare un insieme di puntino incolori. "Ma purtroppo servi per procrearmi, bastardo." Mi lascia andare e cado riverso sul pavimento, tossendo e sputacchiando in giro. Mi asciugo un rivolo di saliva con il palmo della mano e cerco di riacquistare equilibrio, provando a pensare alle parole adatte da dire.

"Dimmi dove sono. Cosa hai fatto, Alex?"

"NON CHIAMARMI COSI'!" Per un momento la stanza intorno a me scompare, per poi riapparire in un lampo. Mi viene in mente cosa è successo nel mio sogno, quando facendolo arrabbiare gli avevo fatto perdere presa sull'incantesimo delle streghe. Forse funziona così anche con i suoi poteri. Se in questo periodo storico non sono un vampiro, basterà tornare nel presente.

Al massimo mi ammazza e morirà con me.

"Perché non dovrei?" dico, rialzandomi a fatica. Lui mi guarda con un odio che fa male. Sembra lo sguardo di Kirsten la prima volta che l'ho vista.

Kirsten...

Lei lo aveva capito e non ne era spaventata. Aveva capito che quello era Alexander! "Sei mio figlio, dopotutto, Alex."

"Tu non meriti di essere chiamato padre. Tu non sei mio padre!" La stanza trema ma lui sembra non essersene accorto. Sta perdendo la presa. Ci sono quasi. "Io non ho mai avuto un padre." sibila poi, colpendomi con un pugno che mi manda al tappeto. Presto sento un sapore metallico in bocca, e mi ci vuole un po' a ricordare che è sangue.

Stronzo. Mi ha rotto il naso.

"Non hai idea da quanto sognassi farlo." esulta, e sembra di nuovo euforico. "E di quanto mi stia trattenendo per non farti fuori e poi scuoiarti qui per far trovare il tuo corpo alle mie dolci ziette. Ma voglio che tu sappia perché ti voglio morto. Credo sia tuo diritto."

"Gentile da parte tua." mormoro sarcastico e lui schiocca le dita. La stanza cambia totalmente, traslando in avanti come un pannello scorrevole. Sento il mio naso rimettersi a posto e il mio sangue sa di nuovo di acido da batterie. Sono tornato un vampiro. E' sorprendente.

"Ti piace questo posto?" chiede, indicando il luogo in cui mi trovo: una specie di stanza senza fine sui muri della quale scorrono immagini e immagini senza senso. "E' un Tunnel Spazio-Temporale. Con il tempo si impara a controllare la nausea." afferma, e prima che io possa chiedergli di quale nausea si tratta le immagini prendono la forma di un pavimento. Improvvisamente è come se qualcuno mi avesse investito con un'auto in corsa, e vomito lì davanti, con lo stomaco in subbuglio. Non mi sono mai sentito così male in vita mia. "Su, in piedi." Mi afferra per il braccio e mi solleva con poca fatica, roteando gli occhi. "Non essere melodrammatico."

"Senti chi parla." borbotto, cercando di non farmi sentire. Lui mi ignora, spingendomi a guardarmi intorno. Riconosco con stupore l'ingresso della casa di Philippe Donovan, e sento due voci femminili provenire dal salotto. Le conosco entrambe con facilità: Elisa e Kirsten stanno parlando del più e del meno, e ogni tanto accennano a un bambino. Guardo Alex di sottecchi e lui mi invita a proseguire senza fare rumore. Quando mi affaccio nella stanza capisco di aver avuto ragione. Kirsten sta bevendo del the al mirtillo con Elisa, mentre Alex scrive steso sul tappeto. Sembra avere otto anni, forse. Di certo non ne ha più sei o due.

"Alexander e gli altri non sono ancora tornati dalla missione del Concilio?" domanda la strega, e Kirsten scuote la testa, ma in quel gesto c'è qualcosa di delicato ed affabile che non è da lei. Si porta la tazza alle labbra rosse, bevendo un sorso e lasciandosi dei baffi scarlatti. Sbarro gli occhi quando li lecca via, rivelando due canini bianchi e allungati. Una vampira. Kirsten Donovan è una vampira. Vorrei una macchia fotografica.

"No. Inizio a preoccuparmi. Non sono mai mancati così a lungo e Tania non mi scrive da ieri. Di solito mi invia foto imbarazzanti dei ragazzi."

"Quella vampira maledetta." sibilo, conscio di questa informazione.

"Tranquilla, sanno badare a loro stessi. E poi Vladimir non permetterebbe mai che qualcuno gli faccia male."

"Non me ne parlare." Vlad? In questo futuro sono ancora in buoni rapporti con lui? Allora questo non è il mio... Mi volto verso Alex, che guarda la scena con fare assorto. Ha le mani strette a pugno, si stringe le maniche della felpa.

Questo è il suo futuro. penso, guardando il bambino che fa i compiti. Quello è lui.

"Vi avevano convocato per una riunione speciale." calca il tono sulle ultime parole, quasi non ci credesse neanche lui, ma in fondo sa qualcosa che io non so. "Ed è stata davvero speciale, non c'è che dire."

"Cosa intendi?" sussurro, e la scena trasla ancora, costringendomi ad aggrapparmi da qualche parte. Il mondo si è fatto improvvisamente buio, e l'odore di sangue marcio mi riempie le narici. Il salotto adesso è sottosopra, ci sono segni evidenti di una lotta, e c'è un pianto nell'aria. Guardo l'Incantatore, ma lui è sparito, lasciandomi solo in quello scenario post apocalittico. Cammino verso il rumore, verso quei singhiozzi sconnessi che mi conducono in cucina. Anche qui le imposte sono rotte, c'è uno schizzo di sangue lungo la parete. Lo seguo con lo sguardo e noto che inizia da una figura rannicchiata sul pavimento, con la gola squarciata e le orbite bianche, tipiche di un vampiro morto disseccato. Una pozza di sangue sembra partirle dalla testa, confondendosi con i capelli rosso scuro. Sbarro gli occhi quando capisco di chi si tratta: Kirsten. Chi le ha fatto quello? Un'altra figura, più minuta, si muove nel buio. Si avvicina a lei con cautela e le afferra una mano, la scuote.

"Mamma." singhiozza, sporcandosi di sangue nero. "Mamma, svegliati. Dobbiamo andare via." Riconosco il piccolo Alex che piange sommessamente e faccio per avvicinarmi, per prenderlo, ma qualcuno mi blocca la visuale. Una schiena nera che si staglia silenziosa sul cadavere della mia ragazza e su mio figlio. E a quel punto che Alex alza lo sguardo languido, terrorizzato. "Perché lo hai fatto?" chiede, e la sua voce è carica di rabbia e delusione. La figura non risponde e Alexander piange e piange ancora, stringendo il corpo della madre. "Papà, perché?"


Kirsten's POV

Se un giorno qualcuno mi avesse detto che il mio psicolabile figliolo demone-vampiro sarebbe venuto dal futuro per uccidere il suo padre-vampiro probabilmente avrei attribuito la cosa ad un trip di acidi. Adesso invece, chiusa in una camera da letto che è probabilmente due volte quella della regina d'Inghilterra, non riesco a pensare ad altro se non al fatto che probabilmente sto crescendo un ingrato. Dopo che ha schiacciato la testa ad Alexander, Elisa ci ha storditi tutti ed io mi sono svegliata qui, completamente sola, o almeno pensavo di esserlo fino a quando non ho visto l'inquietante figura di Stefano a guardia della mia porta. Ovviamente non parla. Non credo neanche che mi senta, ormai. Le finestre sono sbarrate, ogni tentativo di comunicare con l'esterno inutile e non so né dove mi trovo né dove siano gli altri. Certo, non sono questi gli interrogativi più bizzarri della giornata.

"Complimenti per la progenie, Donovan." Alzo la testa con fare attento, guardandomi intorno per cercare la provenienza di quella voce poco gentile. Il mio sguardo incrocia quello verde di Stefano, ancora immobile nella sua posizione. Ho qualche ricordo sporadico di lui, oltre a quello in cui lo uccidevo brutalmente, si intende: un sorriso, una mano alzata, lui che mi chiedeva di insegnargli ad atterrare Guido, nel sotterraneo dei Creed. Sembra passato un secolo. Lascio perdere il fiume di pensieri e continuo a scrutare la stanza, in cerca di un indizio. "Quaggiù, sotto al letto." Alzo un sopracciglio e sollevo le pesanti coperte in velluto bordeaux, appendendomi a testa in giù. Mi sorprendo di trovare una piccola grata per il passaggio dell'aria proprio lì sotto, ma non riesco ancora a vedere chi parla.

"Satana?" chiedo, sentendo le guance andare a fuoco per l'improvviso afflusso di sangue. C'è un attimo di silenzio in cui mi aspetto di vedere fiamme, fumo e una figura caprina che mi chiede di seguirlo nel suo Inferno, poi: "Avrei dovuto ucciderti. Già. Un bell'omicidio. Avrei incolpato quell'italo-americano che Alexander odia già. Chissà perché non ci ho pensato. Adesso sarei a Roma a godermi la non-vita." In un primo momento quelle parole mi lasciano sconcertata, poi cerco di mettere insieme i pezzi e di dare loro un volto. Un volto a cui avevo rotto il naso.

"Vladimir." dico, sorpresa. C'è anche lui, allora.

"Prost catea roscata*." lo sento mormorare, e mentre faccio leva per spostare il letto mormoro un faticoso: "Spero per te che non fosse un insulto, stupido rumeno."

"Cosa te lo fa pensare?" Il letto si sposta dopo istanti di estrema fatica per quel poco che mi ci vuole per liberare la grata. Mi stendo sul pavimento in marmo, gemendo per quell'istante di fresco. La mia T-shirt nera è macchiata di sangue, ma fortunatamente non si nota molto. Non che a qualcuno importi come io sia conciata ora.

"Ce l'ho fatta." Respiro affannosamente, sentendolo ridacchiare.

"Sei così debole." ringhia, disgustato.

"Sono solo fuoriforma. Prova tu a crescere un figlio e ad andare in palestra." Mi affaccio, cercando di vedere qualcosa oltre le sbarre in ferro scure. Sembrano nuove, ma sono decorate con un motivo a ghirigori che ricorda quelle presenti nei castelli o nelle case avangardé. Riesco a vedere la testa bionda di Vladimir proprio sotto di me. Lui alza lo sguardo, inchiodandomi con gli occhi azzurri e spenti, poi ci sovrappone il polso. Una catena lo tiene ancorato a qualcosa, impedendogli di muoversi. Non posso fare a meno che provare una sorta di muto compiacimento.

"E lo hai cresciuto bene, vedo." mi prende in giro, per poi voltarsi verso destra e guardare qualcosa di indefinito. "Avrei dovuto capirlo prima, quando i Daimonions hanno accennato alla parte demoniaca, ma come avrei potuto pensare che..."

"Perché lo hai fatto, Vlad?" lo interrompo, continuando a guardarlo dall'alto. Lui non ricambia lo sguardo e so che ha capito a cosa mi riferisco, ma da questa posizione non riesco a vedere la sua reazione.

"Te l'ho già detto. Tu non mi piaci, e poi non mi sembra il momento adatto per discuterne."

"Beh, per quanto ne so potresti anche morire ora." gli faccio notare, lanciando ogni tanto qualche occhiata a Stefano, che però non batte ciglio. "Tanto vale pulirti la coscienza."

"Non sono l'unico a poter fare una brutta fine da un momento all'altro."

"Alexander non ucciderebbe mai sua madre." dico bruscamente, stupendomi della mia stessa fermezza. Socchiudo leggermente gli occhi, ricordandomi le sue parole. "Lui mi vuole bene, non mi farebbe mai del male."

"Commovente. Il mostro psicopatico ha dei sentimenti."

"Non è un mostro!"

"Oh, andiamo Cacciatrice." sbotta, tornando a fissarmi. "Anche se volessimo passare sopra a tutto questo, hai partorito un essere mezzo vampiro e mezzo demone. E' qualcosa di mai visto prima. Le razze demoniache non si mischiano, Kirsten." Dice il mio nome urlando, ma è più frustrazione che rabbia. "Anche se riuscissimo ad uscire da questa situazione e limitare i danni, cosa ti fa pensare che il tuo Alexander non impazzirà ancora? E' instabile, sorprendentemente intelligente ed è unico nel suo genere. Allora? Come fai a dire che non si sentirà solo, che non si accorgerà delle sue facoltà e deciderà di sovvertire gli schemi e governare lui il Concilio dei Vampiri, i Tribuni della Magia o anche l'Assemblea dei Licantropi?"

"Wow, avete un sacco di cose politiche voi... razze demoniache."

"Ci piace la burocrazia." minimizza, guardandosi le unghie. "Ciò non toglie che ho ragione. Il piccolo Flinn è una bomba ad orologeria che rischia di distruggere una società intera."

"Non credi di essere un po' fatalista?"

"Potresti essere seria?" mi rimbrotta, e l'astio nei suoi occhi aumenta. Poggio la guancia sul palmo della mano, sentendo lo stomaco brontolare. Inizio ad avere fame, non mangio da ieri, ma non è il momento adatto. Perché nelle situazioni di pericolo riesco a concentrarmi solo su cose inutili? "Dobbiamo pensare a come uscire di qui e trovare Alexander. Il tuo amato figlioletto non sembra incline a trattarlo in maniera confacente ad un padre." Ha l'aspetto di un diciassettenne ma parla come se avesse ottant'anni. Vorrei farglielo notare, invece rimango zitta, preferendo cambiare argomento.

"Perché dovrei farti uscire?" chiedo, con una semplicità che lo spiazza. Gli occhi azzurri ora sono quasi congelati.

"Come, prego?" Mi scosto una ciocca di capelli con nonchalance, sorridendo interiorimente.

Ora mi diverto un po', Dracul.

"Vuoi uccidere mio figlio. Hai rovinato il mio rapporto con Alexander. Direi che la situazione mi porterebbe degli svantaggi." Vladimir sorride, di un sorriso amaro, poi lo sento gemere sommessamente quando muove le catene.

"Non puoi parlare sul serio." dice, smorzando un urlo soffocato. Sento puzza di carne bruciata. Le catene devono essere imbevute di acqua santa.

Bravo Alexander. Previdente.

Scuoto la testa, dicendomi di rimanere concentrata. "Credevo avessi capito che sono costante nelle mie vendette." sibilo, e a quel punto vedo della consapevolezza nei suoi occhi. Sa che lo abbandonerei lì. Perché non dovrei farlo, dopotutto? Vladimir continua ad osservarmi senza battere ciglio, poi scoppia a ridere, e la sua risata ha qualcosa che mi fa ricordare i vecchi cattivi dei film Disney che guardo con Alex.

"Io so orientarmi qui meglio di chiunque altro, Cacciatrice." dice, poggiandosi al muro con la schiena. "So dove probabilmente l'Incantatore tiene gli altri, e dove tiene Flinn."

"Perché dovrei crederti?" Lui fa spallucce, cacciando un enorme sbadiglio. Aveva l'aria annoiata di chi sa di aver vinto la sua battaglia.

"Perché questa non è l'Inghilterra." Sbarro gli occhi, senza capire? Come sarebbe? Mi sollevo di scatto, correndo verso le pesanti tende rosse e spalancandole con violenza. Il respiro mi si blocca nel petto quando vedo cime di montagne innevate stagliarsi per chilometri davanti a me. Il cielo è limpido e azzurro e quando guardo in basso noto uno strapiombo che cade a picco in una sottospecie di fossato. "Stoker è stato bravo a descriverlo nel suo libretto, non c'è che dire." Dalla grata la voce di Vlad si innalza come se arrivasse direttamente dalle viscere dell'Inferno. "Benvenuta nel mio castello sui Carpazi, Kirsten Donovan."


Scusate l'assenza enorme, ma è maggio e io sono una classicista e la mia vita sta diventando indegna di essere vissuta in questo periodo.

Ho notato che molte di voi sono rimaste perplesse dall'Incantatore. Me lo aspettavo, ma vedrete che nei prossimi capitoli (che faranno meno schifo di questo) si capiranno tutte le ragioni e i perché di Alex e di Vladimir.

Vorrei ringraziarvi tutti per voti, visualizzazioni e commenti (alcuni mi hanno fatto morire dalle risate. Anche su Red Like Blood) ma sembrerei scontata e la scontatezza mi disgusta, quindi non lo farò. Rassegnatevi.

*Stupida puttanella dai capelli rossi

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