The Devil
[Impero austriaco, territori centrali]
La pioggia battente che non aveva dato tregua a quelle terre sembrava improvvisamente essersi placata, lasciando posto a un surreale silenzio nella stanza, prima riccamente invasa dallo scroscio dell'acqua sulle imposte, saldamente serrate, e dai fragorosi boati dei tuoni. Il silenzio e le tenebre ripresero possesso dell'ampia camera lasciando la piccola Lucretia sola con i propri pensieri. Rannicchiata al centro del suo grande giaciglio, degno di una principessa qual era, attese per qualche istante prima di muoversi: districandosi fra le candide coperte fece far capolino alla sua testa, liberando la sua chioma d'avorio dall'abbraccio delle lenzuola. Il buio non era un problema per i suoi occhi, cremisi come il sangue, poteva facilmente intravedere la volta della stanza; decorata da un unico grande affresco rappresentante una battaglia fra eserciti, suo padre doveva avergliene sicuramente parlato ma non riusciva a rammendare l'evento rappresentato. Una memoria non certo di ferro, ma comprensibile per una bambina della sua età; Lucretia Katherina Elizabeta d'Asburgo, che di anni non ne aveva compiuti ancora dieci, era la figlia primogenita di Maria Antonietta d'Asburgo e Vlad Dracul, sedicente successore del ben più famoso sovrano della Valacchia e flagello degli ottomani, vampiro di stirpe nobile. L'unione venne sancita per decisione dell'imperatore in persona, desideroso di ripagare il supporto che i vampiri avevano fornito alla causa austriaca nel reprimere i moti rivoluzionari in Francia; in secondo luogo vi era l'intenzione di legare coloro che un tempo venivano temuti e considerati mostri alla corona reale, fomentando anche una campagna di riabilitazione pubblica verso la figura dei succhia sangue. La regina di Francia era rimasta vedova del marito, il quale aveva perso la vita durante il grande incendio di Parigi scatenato dalle truppe inglesi, oltre ad aver subito la perdita dei figli; sembrò quasi naturale proporla come sposa al nuovo alleato, promuovendo la convivenza pacifica tra la razza umana e le creature della notte. Nonostante il parere contrario di buona parte degli stregoni di corte, i quali ritenevano non fertile l'unione, si giunse comunque alla nascita, definita miracolosa e blasfema in egual misura, della piccola Lucretia. Dopo secoli di terrore e persecuzioni la razza non umana aveva ottenuto il suo riconoscimento, segnando al contempo le prime crepe nel rapporto tra Vienna e Roma, facendo riaffiorare vecchi strascichi che si portavano dietro fin dal regno di Carlo V.
La bambina, definita al pari di una messia, ignorava le gravose questioni che aleggiavano sulla sua vita, limitandosi a condurre una vita piuttosto riservata tra le mura della sua residenza. La situazione nell'impero si stava si distendendo, ma secoli di paura non possono essere cancellati da un semplice editto anche se questo è emanato da sua maestà in persona, più ci si allontanava dalla capitale imperiale e più il timore nella sua razza proseguiva, accentuandosi nelle aeree rurali, da sempre più portate verso la superstiziosità. Suo padre le aveva da sempre raccomandato prudenza, non solo la convivenza con il mondo esterno sarebbe stata complessa ma prima di potersi sporgere oltre le alte mura della propria residenza, doveva apprendere come dominare i propri istinti e timori: una vita limitata alle ore notturne dove il favore delle tenebre consentiva la sopravvivenza della loro razza, scandita dalla sete che attanaglia l'animo di ogni vampiro. Molti definiscono la sete dei vampiri una semplice fame di sangue, riducendo quell'istinto atavico e singolare della razza come a un semplice atto ristoratore, al pari di un comunissimo pasto; ma essa è qualcosa di più, è il grido d'aiuto di un corpo, bisognoso d'energia, che non dovrebbe esistere su questo mondo gettato sulla terra solo per capriccio degli dei che vollero divertirsi nel vedere l'evoluzione delle loro creature. Abbandonati dal conforto nella fede negli dei, in quanto loro per primi condannarono i primi vampiri a quella grama esistenza, e poi nella speranza di convivere con gli umani, a causa del bisogno che li dilaniava, si arresero alla loro condizione. Proprio il precario equilibrio fra i due mondi spingeva suo padre a muoversi con i piedi di piombo, un qualsiasi incidente che vedesse coinvolto un vampiro avrebbe nuovamente screditato la loro immagine agli occhi di tutti, così com'era fondamentale che si preservasse l'incolumità di sua figlia, al momento unico ponte di congiunzione fra le due realtà.
L'incresciosa questione sui vampiri passò però in secondo piano allo scoppiare dei nuovi conflitti nel vecchio continente, il timore delle guerre napoleoniche dirottarono l'attenzione dei popoli e degli stati sugli esiti della battaglie piuttosto che sulla vita dei "senza riflesso", nonostante lo stesso Vlad e le sue truppe facessero parte del'esercito imperiale venendo anche adoperate con successo sul campo di battaglia. Ma, come se la guerra su tutto il continente non fosse abbastanza, sull'esistenza di tutti si abbatté una nuova minaccia. Dopo il colloquio avuto con lo stregone Fergus Leòmhann, durante la sua sosta nella capitale, si era decretato che far rimanere ulteriormente la famiglia reale a Vienna fosse oltremodo pericoloso. Vlad portò via sua moglie e sua figlia, presente a Vienna in uno dei rari viaggi oltre la sua magione, comandando di non abbandonare per alcun motivo il castello. Lucrezia non obiettò alla volontà del suo genitore, nonostante non gradisse interrompere così improvvisamente il suo soggiorno nella bellissima città simbolo dell'impero. Restare confinata nel perimetro della fortificazione non era un grosso problema per lei, in fondo casa sua pullulava di persone, sempre disposte a intrattenerla in modo che non provasse mai noia o tristezza, ma in quei giorni il castello sembrava essersi svuotato della vivacità a cui era abituata lasciando spazio solo all'austerità di buona parte dei grandi saloni. Suo padre non amava molto gli eccessi per ciò che concerneva l'arredamento delle sue proprietà, in aperta polemica con la sua consorte, limitandosi allo stretto necessario. La stessa camera di Lucrezia, per quanto fosse decisamente più decorata rispetto alle altre sale, era anch'essa piuttosto spartana: la stanza aveva forma rettangolare a affacciava sull'ampio cortile interno, attraverso tre grandi finestroni distanziati fra loro di qualche metro e totalmente oscurati da particolari drappi neri, che impedivano anche al più piccolo raggio solare di penetrare all'interno; il letto era piuttosto alto e spazioso, sia la pediera che la spalliera avevano ricevuto un minuzioso lavoro di intarsiature rosse che andavano a comporre il simbolo della famiglia paterna, un grande drago rosso, rappresentato in tutta la sua maestosità sulla trapunta delle coperte. Il resto dell'arredamento era relegato a due comodini in legno, retti da un trespolo, affiancati al letto e ad un commode posto di fronte dall'altro lato della stanza; uno dei cassetti era ancora aperto e dal suo bordo pendeva una delle bambole di Lucrezia, non caduta a terra come altri giochi sparpagliati sul pavimento.
Il silenzio fu nuovamente rotto dallo sbattere delle ante in legno dell'ingresso del salone distante dalla camera della bambina solo la lunghezza di un corridoio. Lucretia drizzò le orecchie per poi nascondersi, quasi istintivamente, sotto le calde lenzuola; il suo primo pensiero fu il ritorno di suo padre ma presto il vociare che proveniva da oltre la sua porta spegnava questa sua idea, la voce che sovrastava le altre era molto familiare ma non apparteneva né a suo padre né a sua madre. Senza esitare ulteriormente discostò le coperte da sé e con un balzo aggraziato scese sul pavimento, i piedi scalzi gelarono d'improvviso a contatto con il marmo mentre la folta chioma albina ricadeva sulla vestaglia, confondendosi con la tonalità simile di quest'ultima. Raddrizzò le spalle minute e gonfiò il petto, cercando di dare una blanda imitazione della postura del padre attendendo l'ingresso nella sua stanza dei nuovi arrivati. Il rumore della ferraglia delle armature che cozzava con il pavimento si unì al coro di voci così come il suono della fanghiglia, rimasta incastrata nelle calzature dei nuovi arrivati, che si disperdeva per i corridoi; quando furono ormai prossimi all'ingresso tutti si zittirono lasciando soltanto che una persona bussasse alla porta lignea.
"Sua altezza Lucretia, mi duole interrompere il suo riposo ma ordini di vostro padre hanno disposto diversamente da quanto stabilito nell'ultimo periodo, con permesso..."
La bambina guardò la porta spalancarsi, facendo palesare il demone Zakareth e la scorta che si portava dietro, più di quattro demoni dalle fattezze celate da grandi elmi dai quali solo gli occhi si intravedevano appena, come bracieri nel mezzo della notte. Zakareth dal suo canto invece vestiva sempre in modo alquanto difforme dalla sue truppe: due stivaloni marroni dotati di un piccolo tacco erano le sue calzature, generalmente immacolate ma ora completamente sozzi di fango; i pantaloni di un marrone chiaro stretti in vita da due cinture in cuoio, a cui erano assicurate la sua spada e un pugnale, il suo abbigliamento veniva completato da un doppiopetto rossiccio, con al di sotto una camicia bianca dal colletto ricamato, e dal soprabito lungo e marrone.
"Mio padre vuole che ci spostiamo? Cos'è successo questa volta?"
Chiese al demone della pelle rossa, lui senza indugiare nel rispondere a quella domanda si avvicinò a Lucretia, alzandola da terra senza troppi complimenti suscitando in lei un leggero nervosismo.
"Sicuramente avrete molto da parlare tu e tuo padre, ma non sono venuto qui per i discorsi... ho il tempo contato e l'ultima cosa che voglio e rimanere secco fra questi quattro blocchi di pietra."
Senza dare tempo alla bambina di controbattere, uscì rapidamente dalla stanza venendo seguito a ruota dalla sua milizia; senza curarsi di chiudere gli ingressi presero la via delle scale principali dirigendosi verso il portale d'accesso completamente spalancato.
"Dov'è mia madre?"
Bofonchiò innervosita la piccola vampira.
"la vedrai tra poco, pensi che tuo padre possa dividervi? Più probabile che tutte le fiamme dell'inferno si congelino seduta stante."
Il demone accennò la sua solita risata stridente, indicando poi con il braccio libero la carrozza che sostava nel centro dell'ampio cortile del castello. Nessuno lì aveva problemi a fendere lo scudo del buio con lo sguardo, perciò il mezzo era comunque ben visibile nonostante le tenebre. Gli stivali del demone affondarono nuovamente nel fango nel tratto per raggiungere la carrozza, con grande disappunto dell'interessato.
"Tutto ciò fa quadrare questa giornata del cazzo... peccato non abbia mia sorella Deghest per ripulirmi gli stivali, quello sì che mi darebbe morale..."
Lucretia guardò Zakareth con leggera per perplessità, venendo ricambiata da un sorriso inquietante ed enigmatico tipico di quel singolare figuro, spesso e volentieri non comprendeva quando le sue parole celassero ironia o stesse effettivamente dicendo il vero.
"Su tesoro... non guardarmi così, non vorrai che tuo padre si arrabbi con il buon vecchio Zakareth, ora ti mollo alla tua mamma se tanto ci tieni."
Il demone con disinvoltura premette il palmo della mano contro lo sportello della cabina, il tocco attivò un sigillo circolare contrassegnato da un numero imprecisato di linee che andavano a comporre un intricato disegno, pulsante di viola. Nel giro di attimi la portiera si aprì e la coppia eterogenea salì sulla carrozza.
"Oh cara... ci siamo, ora è tutto in ordine."
La cabina era illuminata da un paio di fiammelle fatue di grande intensità, che rischiaravano l'intero vano, alquanto spazioso per essere quello di una semplice carrozza. Zakareth e Lucretia si sedettero su una delle due file di sedili, mentre dinanzi a loro era già accomodata la persona a cui il demone si era rivolto. Lucretia non l'aveva mai vista prima di allora ma qualcosa le provocava una leggera inquietudine, forse doveva essere lo sguardo penetrante di quegli occhi blu elettrico oppure si trattava di semplice suggestione non essendo la bambina abituata a vedere molte persone esterne al castello. La donna doveva essere abbastanza alta, nonostante fosse seduta, e di costituzione longilinea; un lungo vestito bluastro, dello stesso colore degli occhi, le adornava il corpo da cima a piedi, le maniche a sbuffo terminavano con guanti neri mentre il busto invece era stretto da un corsetto. Lucretia alzò timorosa lo sguardo incrociando il volto lievemente incavato e incastonato nella chioma cobalto della donna. Lei rivolse alla piccola un mezzo ghigno, rivolgendosi poi a Zakareth.
"Zakareth, verso Vienna."
Il demone annuì all'ordine, accingendosi a far partire il mezzo quando la piccola prese di botto la parola con tono indispettito.
"Zakarateh dov'è mia madre... e lei chi è?! Mio padre non ha mai parlato di fughe"
I due demoni si scambiarono uno sguardo veloce, Zakareth sospirò ridacchiando subito dopo lasciando la parola alla donna.
"Oh piccola vampira io sono il diavolo!"
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